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Autore: Strega_Mogana    11/01/2019    5 recensioni
Attesa .
La sua vita era stata una lunga, continua attesa
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Questa storia fa parte dell'universo Eligis tuum iter (Scegli ciò che desideri) .
Dello stessa saga potrete trovare anche le storie Hopeless Hope, Porcospino, Eredità e Esprimi un desiderio, Severus. .


In attesa di questo momento
 
Attesa.
La sua prima vita era stata una continuaattesa. 
Aveva atteso la lettera di Hogwarts per allontanarsi il più possibile da quella casa e da quella vita squallida carica solo di odio.
Aveva atteso che quella ragazzina dai capelli rossi lo notasse, che andasse oltre al cappotto dismesso di suo padre o i capelli dall’aspetto unto.
Aveva atteso l’arrivo al castello con il cuore che batteva all’impazzata, ignorando le battute ironiche degli odiosi occupanti del vagone.
Aveva atteso che il cappello parlante emettesse il suo verdetto quando Lily si era seduta sullo sgabello traballante.
Aveva atteso con il fiato corto e le mani sudate mentre lei camminava sorridente verso il tavolo rosso e oro.
Aveva atteso mentre il mondo si oscurava per lui, con quel cencio maleodorante che si contorceva sulla testa esplorando i suoi pensieri più nascosti.
Avrebbe voluto dirgli di smistarlo con lei, in quella Casa dagli imbarazzanti colori.
Lo aveva desiderato, ma era rimasto in silenzio, solo su quello sgabello, con tutti gli occhi puntati addosso.
Aveva atteso la sua sentenza e l’inizio della strada che l’avrebbe allontanato da lei.
Non era degno del rosso e oro.
Non lo sarebbe mai stato.
Forse non lo aveva desiderato con abbastanza forza. 
Quello era stato l’inizio della sua  lunghissima attesa nel castello.
Attesa di tutto.
Di un suo sguardo. Un sorriso. Un lieve bacio fraterno sulla guancia.
Attesa di vederla la mattina a fare colazione, divisi da stupide idee e ideali fasulli.
Attesa di stare con lei a lezione, vicini di banco, ma non abbastanza. Mai abbastanza per lui.
Attesa di vederla tornare dopo le vacanze natalizie; lei che tornava dalla sua allegra e felice famiglia. Lui che restava nel castello, per nulla atteso a casa.
L’attesa dell’estate e dei pomeriggi ad esercitarsi insieme, non più separati degli animali cuciti sulle rispettive divise. Le giornate a ridere, magari prendendo un po’ in giro la sorella di lei sempre altezzosa e ficcanaso.
Era la sua vita.
La sua vita in costante attesa.
Crescendo nulla era cambiato.
Sapeva che quegli stupidi ideali e quei simboli cuciti sul taschino prima o poi li avrebbero divisi per sempre.
Non era uno stupido, né uno sprovveduto.
Vedeva le strade che stavano prendendo, vedeva tutto e viveva nell’attesa di conoscere quel preciso momento in cui le loro vie si sarebbero separate. 
No, non era stupido, ma si era comportato come tale.
E la sua rabbia, il suo orgoglio e quello stupido serpente cucito sul taschino avevano fatto il resto.
Se non era degno di far parte del suo mondo rosso e oro, sarebbe stato il perfetto esempio di quello che dovrebbe essere un mago dai colori verde e argento.
Così aveva fatto. Dividendo sempre di più le loro strade, aspettando, comunque, un suo cenno. Un suo sorriso.
Il suo perdono.
Un perdono che non sarebbe mai arrivato.
Neppure con la morte.
Aveva atteso lei e il suo amore così come aveva atteso gli insegnamenti di un Maestro che non si era rilevato tale. Giovane mago disilluso, assetato di conoscenza e potere per poter vendicarsi di quella lunga attesa nel dolore e nell'ombra.
Non andava fiero di quei suoi sentimenti. Non gli piaceva ammette di aver odiato la donna che aveva amato, ma era stato così.
Forse se la sua attesa fosse stata meno dolorosa e penosa non avrebbe mai seguito quel mago dagli occhi color rubino.
Forse.
O forse sì.
Non lo avrebbe mai saputo.
Aveva passato tutta la sua vita in attesa di un perdono che non sarebbe mai arrivato.
Un perdono che, alla fine, si era concesso da solo in qualche modo, accettando il suo passato, rassegnato a non poter cambiare le cose.
Aveva accettato gli errori di gioventù. Quegli stessi errori che lo avevano portato sulla strada della Profezia e poi su quella scogliera a pregare un altro mago di salvare la donna che non avrebbe mai saputo chi l'aveva condannata.
La sua seconda vita era stata segnata da un altro tipo di attesa.
Attesa della redenzione dei suoi errori.
Pagava per aver portato morte, per aver parlato quando avrebbe solo dovuto stare zitto. Pagava per la sua sete di potere, di conoscenza, per aver riposto fiducia nel Maestro sbagliato.
Era una vita destinata ad attendere lui: il ragazzino che aveva reso orfano.
Quel giovane mago già segnato dalle ingiustizie della vita con gli occhi di lei.
Aveva poi atteso che il suo sguardo non gli facesse più male, che quel verde non lo accusasse non solo delle colpe del presente, ma anche di quelle passate.
Aveva atteso di provare affetto verso di lui e quello che rappresentava: l'ultimo rimasuglio di lei, del suo ricordo e dei suoi maledetti occhi verdi.
Invece c'era solo l'odio per il volto che vi vedeva, odio per il rivale che gliela aveva portata via. Anche se non era mai stata veramente sua.
Odio verso sé stesso e per quello che aveva perso.
Una vita di odio era più facile di una vita di in attesa di qualcosa.
Odio anche per l'unica figura paterna avesse mai riconosciuto.
Amico, fratello, padre e Maestro.
Silente era stato tutto.
Donava amore e perdono nello stesso modo in cui fomentava i suoi sensi di colpa e il suo modo di sentirsi sempre inadeguato al mondo.
Aveva odiato anche lui.
Forse anche più di lei.
Per averlo lasciato solo quando più sentiva il bisogno di un amico, di un fratello e amico.
Quando sentiva il disperato bisogno di un  padre.
Attesa dell'odio degli altri colleghi.
Attesa di fare il suo lavoro di doppiogiochista.
Attesa che il Marchio bruciasse.
Attesa di morire.
Ed era morto in effetti.
In quella casa putrida. Solo, come era sempre stato.
E quell'attesa infinita non aveva ancora trovato la sua conclusione.
Era rinato.
Nella polvere e nel suo sangue che sporcava il pavimento; con una testarda, seccante strega che l'aveva preso per mano e riportato alla luce di un mondo che non l'aveva mai accettato.
O forse era lui che non lo accettava.
Come si fa a vivere in attesa di qualcosa che non sai cosa sia?
Come fai a sapere che quel qualcosa é arrivato quando non sai cosa stai aspettando?
E così era cominciata la sua terza vita.
Troppe vite per un uomo solo, tutte insieme.
La sua terza vita di attesa del… nulla.
Non aveva più colpe da espiare.
Non aveva più nemici da combattere, se non l'immagine di se stesso riflesso nello specchio.
Non aveva più Maestri da seguire o da spiare.
La sua attesa del niente.
Terribile e devastante.
Un'attesa che l'avrebbe portato alla follia se non fosse stata per la riccia strega che gli aveva dato un'altra strada da seguire.
Una strada che gli aveva fatto paura per anni. Rintanato dietro la scusa dell'età, della responsabilità di non gravare sulla sua vita come una malsana ombra portatrice di morte.
L'amava e l'aveva lasciata andare perché credeva che fosse la strada giusta.
Per lei almeno.
Lui era abituato al dolore, alla solitudine, al rimorso di qualcosa perduto.
Erano emozioni conosciute, a lui consone, ma che l'avevano riportato al punto di partenza.
Lui solo e lontano che aspettava un suo sguardo, una sua carezza o parola.
Ma questa volta non era rimasto a guardare.
Ci aveva provato, ma non aveva resistito.
La lontananza da lei era stata troppo dolorosa. La solitudine insostenibile.
L'attesa di qualcosa che li avvicinasse per caso devastante.
Aveva ceduto al cuore, all'amore che lei aveva saputo donargli senza nessuna pretesa.
E, finalmente, si sentiva degno di andare avanti, di vivere e di amare. 
Era nella cucina della loro casa. La casa che un tempo era stata di Minerva e suo marito.
Era appoggiato al bancone della cucina, sua moglie camminava avanti e indietro in fremente attesa.
Ora capiva.
Aveva vissuto due vite di dolorosa attesa ricevendo in cambio il nulla.
Aveva atteso per anni senza sapere cosa stava aspettando.
Ma ora lo sapeva.
Aveva atteso quel preciso momento.
Non il perdono.
Non una vita serena.
Non l'amore.
Ma il futuro.
Un futuro che non aveva neppure immaginato. Una vita che non riteneva di meritare.
Hermione sbuffava infastidita. Cercava di tenere le mani occupate, ma invano.
Era divertente, ma non avrebbe mai osato ridere di fronte quel suo insolito comportamento.
Non se voleva dividere il letto con lei nei prossimi giorni.
Era nervosa; lo era anche lui a dire il vero.
Tutto stava per cambiare. Di nuovo.
Ma aveva imparato che non tutti i cambiamenti erano negativi.
Aveva solo dovuto vivere due vite e morire per arrivarci.
Hermione si bloccò di colpo fissando il tavolo 
- Oh…
Sollevò un sopracciglio e si staccò  dal bancone.
Stranamente aveva le mani sudate.
Sua moglie prese il piccolo oggetto bianco dal tavolo, quel pomeriggio, quando l’aveva portato a casa, l'aveva scambiato per una penna.
Con il cuore in tumulto la vide voltare il piccolo oggetto con mani terminati.
Lo fissò.
Lui fissò la schiena di lei.
Gli parve che ci mise un'eternità. Improvvisamente tutta la sua esperienza nell'attesa gli sembrò non bastare.
Hermione si voltò. Sorrideva e aveva gli occhi lucidi.
- È… é positivo, Severus.
Sentì le labbra distendersi in un sorriso, si avvicinò e abbassò  lo sguardo sul test di gravidanza che gli porgeva.
Un oggetto così piccolo, così apparentemente insignificante, ma che significava così tanto.
Padre…
Lui sarebbe diventato padre.
Scoppiò  a ridere e la prese in braccio, iniziò  a girare in tondo con Hermione che rideva stringendogli le braccia al collo.
C'erano volute due vite di attesa per arrivare a quel momento.
Due vite di dolorosa attesa.
Ma ne era valsa la pena.
   
 
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