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Autore: EdemaRuh    17/01/2019    1 recensioni
Una soffitta, una videocassetta e noi, che non sapevamo farci gli affari nostri. Così è iniziata.
Un manicomio di notte, il cliché perfetto. Così è finita.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sveglio nel mio letto senza ricordare più niente. Il calendario segna lunedì 30 novembre, tutto regolare. Per un attimo riesco a convincermi che era davvero soltanto un brutto sogno troppo realistico. All’improvviso capisco che è stato il suono insistente del campanello a svegliarmi, così mi alzo e vado ad aprire la porta, maledicendo chiunque si sia attaccato al citofono.
Dall’altra parte della porta trovo Luca. Improvvisamente ricordo gli ultimi dettagli della sera prima, la sua voce che mi chiama, poi tutto nero. Che mi abbia riportata a casa lui? Mi faccio da parte per lasciarlo entrare, seguendolo in cucina. Spero che decida di parlare per primo perché non saprei proprio da dove iniziare.

«Sono morti davvero. Erika e Alessio. Li hanno trovati morti nel loro letto stamattina, come se non si fossero mai spostati da casa.»
Non so se essere felice del fatto che ha rotto il silenzio o se andare in panico per quello che ha appena detto.
«Quindi eravamo lì davvero? Mi hai riportata a casa tu? Che diavolo è successo?»
«Sinceramente non lo so, ricordo solo di averti sentita piangere e ripetere cose senza senso, sono uscito per vedere dov’eri, poi non ricordo nulla.». Meraviglioso.
«Ok, mettiamo in ordine le cose. Ho ancora il cellulare di Alessio, probabilmente ha ripreso tutto, possiamo guardare il video per capire, se te la senti.»
«Tu te la senti?» chiede. Non lo so, non capisco che emozioni sto provando in questo momento. Non sono ancora riuscita a mettere insieme tutti i pezzi nella mia testa, a rendermi conto di quello che è successo. Forse se non vedo il video non avrò mai la conferma che ho appena perso due persone a cui tenevo e potrò fingere per sempre di non averle mai perse. No, non funziona così. Alla fine, decidiamo di guardarlo.

All’inizio sembra tutto tranquillo, proprio come ricordo. Visto attraverso uno schermo sembra tutto meno inquietante, meno reale. Ad un certo punto, senza dire nulla, mi allontano dal gruppo e me ne vado. Gli altri provano a chiamarmi, poi a seguirmi, ma falliscono. Questo non lo ricordavo assolutamente. Si dirigono quindi verso l’atrio dove Riccardo, senza motivo, con assi e martello comparsi da non si capisce bene dove, sbarra la finestra. La cosa peggiore è che mentre lo fa continua a borbottare frasi sconnesse tra sé e sé, come se stesse rispondendo a qualcuno.
«Mi ha detto la cosa di farlo.» si giustifica quando Erika, nel panico più totale, gli chiede cosa diavolo abbia appena fatto. Chiaramente. Non posso fare a meno di pensare che mi piacerebbe proprio avere il suo collo tra le mani, ora come ora, per farmi spiegare per filo e per segno quale “cosa” precisamente gli ha detto di chiuderci l’unica via di fuga. E se potessi mi arrabbierei con gli altri per averglielo permesso ma temo sia tardi anche per arrabbiarsi ormai.
Dal video risultano tutti abbastanza in panico, in un angolo scorgo la stessa sedia a cui poco dopo ho, se non ricordo male, staccato una gamba per usarla come arma di difesa. Col senno di poi, direi che è stata un’idea davvero brillante, complimenti a me.
L’intenzione del resto del gruppo sembra quella di aspettarmi lì, sono sicuri che arriverò. Mando avanti il video velocemente per arrivare al punto in cui qualcosa cambia: Riccardo decide di essere la causa di tutti i problemi per l’ennesima volta e convince gli altri a spostarsi nell’ala sinistra dell’edificio, convincendoli che probabilmente mi troveranno lì quando sono chiaramente da tutt’altra parte. Luca si offre volontario per rimanere ad aspettarmi in caso tornassi. Coraggioso da parte sua.

«Tu questa cosa te la ricordi?» gli chiedo dopo aver messo in pausa.
«Sinceramente no.» esattamente come sospettavo. Ormai non mi stupisco più. Faccio ripartire.
Nulla di interessante fino a quando Riccardo non comincia a parlare, suppongo rivolto a Erika.
«Sai, non dovevamo entrare qui di notte. Ora, se vogliamo uscire, abbiamo un prezzo da pagare. Me l’ha detto la cosa.» fa una pausa, aspettando una risposta che non arriva. «Il tuo prezzo, mi dispiace dirtelo, è quello di uccidere Luca. Altrimenti puoi sempre morire per lui.»
A questo punto gli altri due rimasti in sua compagnia cominciano a pensare che qualcosa gli abbia dato alla testa e cercano di farlo ragionare, spiegandogli che non c’è nessuna cosa, che è tutto nella sua testa. Non la prende bene.
In quello che suppongo sia un tentativo di aiutare Erika a scappare, è Alessio stesso ad attirare Riccardo nella camera del paziente 507, dove lo abbiamo trovato morto. All’interno, ovviamente, non c’è il cadavere, cosa che non stupisce più di tanto i due, troppo presi dall’oggetto che li aspetta al centro della stanza: una videocassetta.
«E questa?»
«Lascia stare, questa è il destino di un’altra persona» la voce di Riccardo si fa sempre più minacciosa.
«Ma cosa stai facendo? Sei impazzito? È tutta la sera che ti comporti in modo assurdo con gli altri. Stai bene?»
«Ha detto di cambiare squadra. Anche tu devi cambiare squadra. Se lo fai possiamo pagare il prezzo e andare a casa, ma se non lo fai devi morire.»
«Ma quale squadra? Quale prezzo? Guarda che a casa ci torniamo comunque, non appena troviamo gli altri. Anzi, dovremmo andarcene da qui.»
A queste parole Riccardo sorride.
«Se dici così è solo perché non puoi vederla.»
«Vedere cosa? Per Dio, smettila di cercare di spaventarmi con queste frasi idiote.»
«Come, non hai ancora capito? Non riesci a vedere la cosa. Ma io sì. E adesso la faccio vedere anche a te.»

Con queste parole gli si avventa contro, cercando il suo collo con mani rabbiose. È abbastanza chiaro dall’espressione sul suo volto che quello non sia più Riccardo, ma una marionetta nelle mani di qualcun altro. Il cellulare cade a terra, evidentemente dal lato della fotocamera perché il video diventa nero ma i suoni rimangono. Più ascolto più sono felice di non poter e di non dover vedere. Qualcuno cade, delle ossa si spezzano. Alessio ansima e geme di dolore.
«No! Mettilo giù! Riccardo ma cosa diavolo stai..NO!» il grido di Alessio si spezza con un rantolo soffocato. Sento le lacrime affiorare, anche se pensavo di non riuscire a piangere di nuovo.
«Il vostro prezzo da pagare era di due anime» spiega una voce fredda e spettrale che assomiglia ben poco a quella del Riccardo che conosciamo «Ora in due sono morti e gli altri sono liberi. Se mi avessi dato ascolto saresti uno di loro. Addio.»

Passi che si allontanano e il video prosegue nero finché non arriviamo io e Luca a raccogliere il cellulare. Mi chiedo se Riccardo lo abbia lasciato apposta perché noi lo trovassimo o se fosse troppo distante da se stesso per ricordarsi di portare con sé le prove del suo omicidio.
«E adesso? Vogliamo guardare l’ultima videocassetta?» mi chiede Luca a video terminato. Non c’è stato molto altro da vedere, dopo la morte di Alessio. Soltanto io che vago, senza nemmeno il sostegno di Luca, fino a che non lo ritrovo con la mia migliore amica morta. Ripenso anche alle terribili parole di Riccarso. “Il vostro prezzo da pagare era di due anime”. Eppure Erika doveva essere ancora viva quando Alessio e Riccardo si sono allontanati, quindi in che modo quest’ultimo sapeva che il prezzo era stato pagato? Significherebbe che Riccardo non l’ha uccisa e che quindi qualcun altro l’ha fatto. Dovrei parlarne con Luca, lo so, ma so anche che è troppo sconvolto dai fatti per reggere una discussione simile ora.
«No. Secondo Riccardo questa videocassetta è il nostro destino, dobbiamo guardarla assolutamente. E allora sai che ti dico? Non la guarderemo. Nè ora, nè mai. Però c’è un’altra cosa che dobbiamo fare. Sai, adesso credo di aver capito.»

Lui mi guarda stralunato, perché evidentemente si aspettava di vedere cosa ci fosse di tanto importante in quell’ultima maledetta videocassetta che è costata la vita alla sua ragazza e al mio migliore amico. E chissà, magari anche a Riccardo. Eppure, sento che non sarebbe giusto vederla ora, anzi non credo ci sarà mai un momento veramente giusto per guardarla, perché sia io che lui lo sentiamo nel cuore da quando l’abbiamo vista: contiene la verità. E io, personalmente, ne ho abbastanza di cercare la verità in questa storia e non ho intenzione di andare avanti.
Così mi metto a frugare tra tutte le altre cassette finché non trovo quella che ha fatto iniziare tutto. Quella con il video del paziente 507 che abbiamo cercato di mostrare a suo figlio. La faccio partire e ovviamente il video del matrimonio non esiste più. C’è ancora il nonno di mio cugino in manicomio.
«Cerca una cassetta che contenga veramente il video di un matrimonio, per favore.»
Luca lo fa, anche se ancora non ha capito. Non appena ne trova uno, gli spiego.

«Siamo stati noi per tutto il tempo. Non so come quella cosa abbia il potere di farti vedere cose passate e future, o se sia veramente questo quello che fa. Però lo fa. La prima volta che sono salita in soffitta da sola ho sentito il rumore della pallina che abbiamo tirato quando ci siamo tornati insieme. E a terra c’erano le impronte che abbiamo lasciato quella sera. Così come vicino alla macchina da cucire c’erano i capelli  che Erika poi si è tagliata. Anche nel manicomio abbiamo visto la finestra che Riccardo avrebbe poi chiuso e il corpo di Alessio che però era ancora vivo insieme a noi quel giorno. E su questa cassetta, quando abbiamo cercato di farla vedere al padre di mio cugino, c’era un matrimonio. Dovremo mettercelo noi. Adesso. Sai farlo?»
Lui annuisce silenzioso e dopo poco stiamo di nuovo salendo verso la mia soffitta.
«Non voglio sembrare un codardo ma...ti dispiace se aspetto qui? Ne ho avuto abbastanza di tutto quanto.»
«Ma certo, non ti preoccupare. Lascio la porta aperta così mi guardi le spalle?»
Entrare da sola non era esattamente quello che volevo ma non è nemmeno un problema. Per qualche strana ragione, non ho più paura. Lascio la cassetta proprio sul tavolo della macchina da cucire, dove come mi aspettavo, mi attende un pennarello rosso. Questo sarà ben più difficile. Devo essere io a mandarci in quel manicomio, io a consegnare alla morte le persone a cui tengo di più. Ma non ho nemmeno scelta.
Mi avvicino all’armadio, lo spalanco senza esitazione e ovviamente trovo le ante pulite. Il profumo del pennarello mi piace, mi aiuta a non pensare, mentre risoluta traccio le lettere che ci hanno condannati. Change Sides.
Quando esco, per qualche strano motivo sto sorridendo. Luca invece è pallido come un cadavere.
«Tutto ok? Pensavo avessi capito che dovevo scrivercelo io, non volevo farti sentire male.»
«No no, non è quello. Cioè non l’avevo capito finché non hai preso il pennarello ma quello è ok. È..cioè..come hai fatto a rimanerle accanto tutto il tempo senza scappare?»
Oh no. No no e ancora no. Decisamente no.
«Che intendi?»
«La cosa. È stata al tuo fianco per tutto il tempo. Più di una volta ho pensato che stesse per sfiorarti ma poi si fermava. Oddio non dirmi che non l’hai vista.»
«No, non l’ho vista. Grazie al cielo.»
«Si, davvero. Ha sorriso per tutto il tempo.»
 
 
E così eccomi qui, seduta su un treno che sta riportando me e Luca a casa dopo i funerali. Non è stato facile. Abbiamo dovuto mentire alla polizia, dicendo che sapevamo che Alessio, Erika e Riccardo avevano intenzione di andare a esplorare la Casa delle Rose e che non sono più tornati. Abbiamo dovuto recitare la parte degli amici tristi quando la madre di Riccardo è venuta a chiederci qualche informazione in più, ricacciando indietro parole di odio e vendetta.
In questo buio e freddo pomeriggio di dicembre, però, sembra che siano rimasti solo il dolore e tante domande. Alla fine, dopo un viaggio per la maggior parte silenzioso, Luca si decide a rivolgermi parola per chiedergli quello che suppongo lo tormenti da tutto il giorno.
«E adesso che faremo?»
«Beh, suppongo niente.»
«Non vuoi..scoprire la verità? Sicura?»
«A volte purtroppo non rimane niente a cui aggrapparsi, puoi solo lasciare andare, anzi devi lasciare andare. Per esempio ora. Abbiamo avuto la nostra avventura da film horror ma non siamo riusciti a gestirla e abbiamo perso. Che altro ci resta da fare, a parte arrenderci all’evidenza? Quali parole ci restano da dire dopo i discorsi ai funerali di due nostri cari amici? Persone che credevo avrei avuto al mio fianco per tutta la vita.»
Luca non può che darmi ragione  e cercare di trattenere altre lacrime.
«Questa storia ci è costata fin troppo, molto più di quanto avrebbe dovuto. Non lo dobbiamo a nessuno di continuare a indagare, nessuno di loro ci avrebbe ritenuti egoisti o menefreghisti se avessimo detto loro di non avere intenzione di guardare l’ultima cassetta. Penso che piuttosto ci avrebbero chiesto di lasciar perdere e viverci la nostra vita. Motivo per cui questa storia, per quanto mi riguarda, si è chiusa assieme alle loro bare.»
Cala nuovamente il silenzio su questo vagone occupato solo da noi. Rimaniamo entrambi soli con noi stessi e con il nostro dolore, così uguale, mentre cerchiamo di superarlo in modi completamente diversi. Lascio che almeno lui si consumi, che si lasci offuscare la mente dalla rabbia e dalla voglia di vendetta: passeranno. Per quanto mi riguarda non mi interessa altro che trovarmi un nuovo, piccolo e accogliente appartamento in un condominio dove non esistano soffitte.





Nota dell'autrice.
Eccoci qua, arrivati alla fine di questa strana cosa che ho iniziato a scrivere tanto tempo fa un po' per caso, un po' per colpa del NaNoWriMo. Beh, vi sarei grata se, arrivati fino a questo punto, voleste lasciare una recensione o comunque contattarmi per farmi sapere cosa vi è piaciuto e cosa invece poteva essere migliorato.
A presto!
   
 
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