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Autore: Kim WinterNight    21/01/2019    6 recensioni
Avete mai notato che quando salite sui mezzi pubblici finite per incontrare le peggiori specie di umanità senza raziocinio?
Non serve che lo neghiate, capita a tutti!
Ebbene, ho deciso di raccontarvi cosa capita a me quando salgo a bordo di simpatici autobus o sfreccianti treni, per non parlare di quei meravigliosi aerei...
Insomma, tutto ciò che leggerete in questa raccolta di scempiaggini mi è capitato davvero; questa è la dimostrazione del fatto che la realtà è sempre peggio di ciò che è frutto della nostra fantasia o immaginazione!
Genere: Commedia, Demenziale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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ReggaeFamily

Alzheimer




Autobus extraurbano, primo pomeriggio


Ultimamente non prendo più tanto spesso il bus, così spero che almeno stavolta le cose vadano lisce e che io non faccia incontri raccapriccianti come al solito.

Io e la mia amica, inoltre, siamo pure in ritardo, perché questo dannato pullman fa orari strani, gli autisti se la prendono con calma.

Noi siamo sedute sul terzo sedile alla destra dell'autista e stiamo in silenzio, godendoci il calore confortante all'interno del mezzo.

Trascorre circa un minuto e, quando il bus sta per raggiungere la prossima fermata, un tizio emerge dal sedile dietro a quello del conducente e comincia a balbettare qualcosa che inizialmente fatico a comprendere.

«Scusi, eh, si ferma... oh, deve...»

Mentre parla, rischia di ruzzolare lungo disteso sul corridoio che divide le due file di sedili, facendo un baccano incredibile.

L'autista chiede perplesso: «Come?».

«Si ferma nei pressi dell'ospedale, vero?» continua a biascicare il tizio, ancorandosi all'obliteratrice per non cadere.

«Sì, proprio di fronte» lo rassicura l'autista, cominciando a rallentare e frenare.

Io e la mia amica ci scambiamo un'occhiata confusa e io non so come faccio a non scoppiare a ridere.

Se le cose cominciano così, temo già da ora per la mia vita e la mia sanità mentale.

Sembra quasi un miracolo che il viaggio scorra tranquillo, ma forse è troppo presto per cantare vittoria.



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio


Io e la mia amica arriviamo giusto in tempo alla stazione dei pullman. Saliamo a bordo del bus e ci sistemiamo negli stessi posti che avevamo occupato all'andata.

Cominciamo a chiacchierare sommessamente, contente di essere sedute comode e al caldo.

Ma quell'idillio viene bruscamente interrotto da un essere femminile alquanto immondo che sale a bordo e si piazza rumorosamente nel posto dietro a quello dell'autista.

Ancora prima che il mezzo parta, la tizia – che deve avere all'incirca cinquant'anni a giudicare dal timbro vocale – comincia subito a parlare al telefono.

O forse dovrei dire urlare al telefono, dal momento che la sua voce è talmente acuta e squillante che si diffonde fastidiosamente per tutto l'ampio ambiente.

A bordo sale anche il conducente, seguito poi da qualche altro passeggero, e il viaggio finalmente ha inizio.

«Mamma? Sì, stavo dicendo... ero da una mia utente, sai... praticamente è la madre di Teo, il vicesindaco... no, guarda, non ti dico! Questa signora sembra una bambina, ha l'alzheimer, sembra nonno Antonio, mi ha ricordato troppo lui...» blatera la tizia, mettendo tutti noi al corrente dei cavoli suoi e, cosa ancora più importante, di quelli altrui.

Io sono sconvolta, vorrei non ascoltarla, ma è praticamente impossibile.

«Sì, mi ha ricordato nonno! Poi ha i capelli bianchi come nonna... sì, però è come una bambina, ci credi? Gioca con le bambole! Ma la figlia è fuori di testa, disperata proprio... sì, praticamente non sa dove mettere le mani, poverina... eh, mamma, è la sorella di Teo, il vicesindaco! La figlia di signora Amelia! Cosa? La seguiamo noi perché Teo è sempre stato molto disponibile, quindi sua madre è un'utenza molto importante e ci teniamo particolarmente» prosegue, incurante.

La cosa più grave è che l'autista, come se non bastasse, ha pure la radio accesa e all'interno del bus c'è un caos apocalittico, reso ancora più intenso dall'ingresso di altri passeggeri nelle due fermate successive.

La mia amica mi dà di gomito. «Povero autista» commenta, per poi sospirare.

Annuisco. «Non lo invidio» dico.

«Sì, capito? Ah e poi ci ha contattato la figlia di quella tua amica... com'è che si chiama? Anna Maria, te la ricordi? Non sa come fare per l'assistenza della madre, è disperata! Ora le abbiamo consigliato come muoversi per ricevere i giusti aiuti, ma non ti dico... perché non la chiami? Magari la rincuori un po', era veramente disperata! Cioè, io mi chiedo, come fa questa gente a non sapere nulla?»

«Che peccato non averla tutto il giorno in casa» fa la mia amica.

Ridacchio. «Quanto è logorroica questa...»

«Sì, dai, chiamala! Okay, dai mamma, sì... va bene, a domani, ciao ciao!»

Forse questa è la volta buona che stia finalmente zitta, mi ha fatto venire la nausea. Ha detto così tante parole che mi viene difficile credere che qualcosa del genere sia possibile.

Per un attimo cala un rassicurante silenzio, interrotto solo dal basso chiacchiericcio proveniente dall'autoradio.

«Ale? Sì, ciao, sono io! No, tranquilla, sono in pullman, quindi sono in relax, possiamo parlare di tutto quello che vuoi» ricomincia a blaterare la tizia.

Alzo gli occhi al cielo e la mia amica sbuffa.

«Non ci credo» bofonchio.

«Lei è in relax, peccato che non sia così per noi» ironizza lei.

«Sì, sì, sto tornando dal lavoro, ero da un utente... ah, sì? Guarda, non lo so che cosa sia successo a Ornella...»

Per fortuna il viaggio sta per finire, e io riesco miracolosamente a smettere di ascoltarla. Questa telefonata dura meno della precedente, ma ciò non significa che la tizia non parli a raffica.

«Adesso avrà finito?» sussurro, quando sento che l'essere immondo saluta anche la sua seconda vittima.

«Speriamo» commenta la mia amica.

Ma quando tutto sembrava finito, la cretina comincia a mandare in play diversi messaggi vocali e si adopera pure per rispondere, mettendoci molta enfasi e facendo rimbombare la sua voce fastidiosa e irritante per tutto l'autobus.

Miracolosamente arriviamo alla nostra fermata e ci precipitiamo in tutta fretta giù dai gradini.

Per la prima volta sono felice dell'aria fredda che mi schiaffeggia il viso, almeno mi può risvegliare da quest'incubo.

Ora è tutto finito, me lo sento, sono evasa dal manicomio e posso tornare alla civiltà.



Nei pressi della fermata, poco dopo...


Io e la mia amica ci incamminiamo verso casa mia, allontanandoci dalla fermata del bus.

Siamo stremate da quell'ultimo viaggio traumatico e non vediamo l'ora di stare al caldo e riprenderci da quel momento di sconforto.

Attraversiamo la strada e subito dopo ci accorgiamo che qualcosa non va.

Un fischio fastidioso e ripetitivo si espande alle nostre spalle, facendoci sussultare un po'.

Poco dopo mi rendo conto che a produrlo è qualcuno che cammina alle nostre spalle. Per un istante mi sento inquietata, ma subito comincio a ridacchiare senza riuscire a smettere.

Il tizio continua a fischiare, il motivetto pare familiare, ma non riesco ad associarlo a un brano preciso.

Un secondo dopo ci rendiamo conto che il tizio non è solo, più precisamente nell'istante in cui l'essere smette di fischiettare e prende a cantare sguaiatamente la sua canzoncina, senza però articolare le parole. Qualcuno, accanto a lui, comincia a dargli contro e gli intima di smettere.

«Hai rotto i coglioni» lo sento rivoltarsi.

«Ecco, bravo» fa la mia amica, mentre io continuo a ridacchiare.

I miei poveri neuroni chiedono pietà, eppure pare che nessuno sia disposto a concedergliela.

«Ma è ubriaco?»

Scuoto appena il capo. «Probabile.»

Dopo circa cinque minuti i tizi finalmente cambiano strada, ma li sentiamo starnazzare ancora per un po'.

Io scoppio finalmente a ridere. «Ma cosa stava cantando? Tu l'hai capito?»

La mia amica ci riflette. «Mi è sembrata quella canzone che dice bambola...»

«A posto!» esclamo.

Per oggi abbiamo fatto il pienone di mentecatti, voglio solo rifugiarmi a casa e non pensarci più.

Il mondo del disagio mi ha accolto nuovamente a braccia aperte, a quanto pare...



- - - -


Ehilààààà!!!!

Quanto tempo è che non ci sentiamo?

Mi scuso per la mia assenza, ma come ben sapete, per me è sempre un po' complicato riportare queste testimonianze di vita vissuta e – ahimè – reale.

Questo racconto è fresco fresco, accaduto proprio da poco, ed è stato capace di risvegliare in me l'ispirazione per tornare a condividere con voi tanto disagio!

Siete felici? ^^”

Per chi si stesse chiedendo che razza di canzone stesse intonando il folle che passeggiava dietro di noi, be', era questa roba, per intenderci il tizio stava “eseguendo” a ripetizione la melodia iniziale:

Betta Lemme – Bambola

Spero di non trascorrere più tanto tempo lontana da voi, anche perché leggere le vostre spassose recensioni mi rende estremamente felice e gioiosa *___*

Detto questo, attendo i vostri commenti e vi do appuntamento alla mia prossima disavventura!

Grazie a tutti coloro che hanno letto finora e che continueranno a farlo, e a presto (spero) ♥

  
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