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Autore: Spoocky    25/01/2019    1 recensioni
Dopo lo scontro alla fine di "Winter Soldier" Bucky visita Steve in ospedale di nascosto e il breve incontro fa riaffiorare dei ricordi che lo portano a decidere di ritornare sui suoi passi, abbandonando l'Hydra.
Dedicata alla carissima Snehvide per il suo compleanno ^^
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: i personaggi appartengono agli aventi diritto e questo racconto non è a scopo di lucro.

Buona Lettura ^.^


Lo trascinò fuori dall’acqua passandogli un braccio intorno alla vita e lo depose sulla riva sassosa, reggendogli la nuca nel palmo della mano fino all’ultimo, come se lo stesse adagiando su un cuscino e non su dei ciottoli bagnati.
Usò il braccio meccanico per scostargli i capelli bagnati dalla fronte, dove l’acqua gelida li aveva incollati, e gli appoggiò le dita dell’altra sulle labbra pallide, per accertarsi che respirasse. Quel gesto era diventato per lui un automatismo da quando aveva iniziato a prendersi cura di Steve, quando ancora soffriva d’asma, quando erano ancora piccoli e innocenti, prima della guerra, prima del siero, prima di tutto.
Quello scricciolo biondo era diventato il centro del suo mondo.

Si ritrovò con le dita appoggiate alle sue labbra prima ancora di rendersene conto e si chiese come avesse potuto dimenticarlo.
Ma l’aveva davvero dimenticato? La sua mente lo aveva rimosso, ma il suo corpo ricordava ogni gesto e lo ripeteva senza bisogno di un comando diretto.

In quel momento calò la maschera del Soldato d’Inverno e tornò ad essere solo Bucky.
Il suo udito potenziato gli permise di sentire gli elicotteri a diversi chilometri di distanza.
Con un’ultima carezza sulla testa dell’amico si alzò e scomparve nella boscaglia.

Sarebbe stato più al sicuro con gli altri, chiunque fossero, che con lui.
 

Nascosto nella penombra del parcheggio attese pazientemente che anche l’ultima luce nella facciata dell’ospedale si spegnesse.
Solo allora si lasciò scivolare giù per la rampa che conduceva all’ingresso delle ambulanze. Scavalcò la sbarra senza difficoltà e attraversò le porte scorrevoli del Pronto Soccorso. Cercando di non farsi notare svicolò nella scala di servizio del personale, che conduceva ai reparti.
Non si pose il problema di evitare le telecamere di sorveglianza: il dispositivo che aveva in tasca ne alterava l’algoritmo o qualcosa del genere, producendo un’immagine residua che avrebbe coperto la sua. Almeno, così gli aveva detto il ragazzino brufoloso che glielo aveva consegnato e lui lo aveva preso in parola. Finora quell’affare si era dimostrato affidabile, comunque.
Per precauzione si era calcato in testa un berretto di lana e aveva inforcato un paio di occhiali da sole, mentre la giacca in pelle e i guanti da motociclista nascondevano il braccio artificiale.

Sapeva di non dover essere lì, ma qualcosa dentro di lui ce lo aveva trascinato.
Aveva obbedito a quell’impulso con la stessa naturalezza con cui eseguiva gli ordini dell’Hydra. Solo che questa volta aveva la consapevolezza di aver deciso di farlo.
Sarebbe potuta essere l’ultima volta che avrebbe visto Steve.



Non volendo attirare l’attenzione si nascose pazientemente nello sgabuzzino delle scope e attese che il poliziotto davanti alla porta si allontanasse per andare in bagno o qualcosa del genere. Non aveva voglia di alzare le mani, proprio non era in vena. Per l’autocontrollo che aveva in quel momento avrebbe anche potuto ucciderlo e non aveva bisogno di un altro innocente sulla coscienza.

Finalmente l’uomo sbadigliò, si stirò la pelle e se ne andò ciondolando versò il distributore del caffè in fondo al corridoio.
Le veneziane sulla finestra che dalla stanza dava al corridoio erano tirate, bastò chiudersi la porta alle spalle perché nessuno notasse la sua presenza.
Lentamente si avvicinò al letto e prese pian piano coscienza della figura che vi giaceva.

I neon sopra la sua testa, il camice e le lenzuola sterili accentuavano i lividi profondi che deturpavano il volto del suo amico e, non per la prima volta quel giorno, avvertì la morsa gelida del senso di colpa.
Steso così, immobile e ferito, Steve era del tutto indifeso. Erano anni che non lo vedeva tanto vulnerabile.
Sembrava così piccolo, tutto solo in quel lettino, e lui si era già praticamente ripreso dallo scontro.

Avrebbe potuto spezzargli il collo in un secondo, non se ne sarebbe nemmeno accorto. Non avrebbe sofferto.

Esorcizzò quel pensiero tirandosi un pugno sul ginocchio, dove sapeva di avere un livido, con il pugno metallico. Il dolore lo mandò in blackout per un momento.

Quando riaprì gli occhi si ritrovò davanti quelli azzurri di Steve, che lo aveva sentito entrare e agitarsi.
Le pupille erano dilatate e offuscate, sotto le palpebre gonfie, e uno sguardo repentino alle flebo confermò i suoi timori: stava talmente male che i medici avevano tirato fuori la roba buona.
Nella sua mentalità solo i moribondi avevano diritto alla morfina e ringraziò il poco buon senso che gli restava per avergli suggerito di mettere gli occhiali scuri.
Così Steve non avrebbe visto le lacrime che ci si affollavano dentro.

Si accasciò sulla sedia di plastica al capezzale dell’amico e si prese la testa tra le mani.
Era tanto sconvolto da non notare la mano dell’altro mentre gli sfilava il berretto ma non poté non accorgersene quando gli accarezzò i capelli.
Alzò la testa di scatto e gli occhiali scivolarono via, atterrando sul materasso accanto al ferito. Avrebbe voluto correre via, scappare come un coniglio e seppellirsi in un buco nella terra per non uscirne mai più.
Invece quello stesso qualcosa che lo aveva condotto in quella stanzetta ora lo teneva inchiodato a quella sedia, paralizzato con gli occhi fissi in quelli dell’altro e la sua mano bendata sulla guancia.

“Mi sei mancato, Bucky.”
Il sussurro di Steve lo riportò alla realtà: gli avevano messo una cannula per l’ossigeno sotto il naso ma, nonostante quella, respirava ancora a fatica e sembrava provare dolore.
Il groppo che gli ostruì la gola gli impedì di parlare ed era talmente sconvolto da non riuscire a formulare un pensiero coerente.
Il suo corpo, però, sapeva cosa fare: prese la mano dell’amico nella sua e gliela appoggiò sul petto. Poi si alzò, si asciugò le lacrime nella manica e si trascinò verso il bagno.
Sfilò un asciugamano dalla sbarra vicino al lavandino e lo inumidì sotto il rubinetto, evitando accuratamente di guardarsi nello specchio mentre lo faceva.
Scivolò di nuovo accanto al letto e si sedette sul materasso accanto all’amico, senza distogliere per un momento lo sguardo dal suo volto iniziò a passargli l’impacco sulla fronte, sul viso e sul collo: l’unica cosa che gli aveva sempre dato sollievo durante un attacco.

Con un sospiro, Steve si abbandonò sul cuscino e si lasciò confortare da quella premura.
Allungò la mano per stringere quella metallica di Bucky che, inaspettatamente, non si ritrasse. Anzi, ricambiò la stretta, accarezzando la garza che gli avvolgeva le nocche con il pollice.
Mentre l’impacco freddo alleviava il dolore e il tormento della febbriciattola che si era fatta strada nelle sue meningi.
Tra lo shock dello scontro, il dolore delle ferite, e gli antidolorifici non era nemmeno sicuro che l’altro fosse davvero lì. Ma quel gesto così famigliare, così intimo tra di loro, lo riportò con la mente a tanti anni prima, quando giaceva febbricitante su un materasso consunto.

Bucky non lo aveva mai lasciato solo, c’era sempre stato: gli aveva asciugato il sudore dalla fronte, lo aveva lavato e imboccato, quando non riusciva a respirare lo aveva tirato a sedere e lasciato dormire sul suo petto.
Allora era tutto più semplice: c’erano solo loro due.
Nessun altro si sarebbe preso la briga di aiutarli ma nessuno avrebbe cercato di ucciderli e soprattutto nessuno li avrebbe manipolati per costringerli a combattersi.
Ormai era tutto passato.
Quel mondo era lontano anni luce, perduto per sempre.
Eppure, Bucky era ancora lì. Quello non era cambiato: da qualche parte, sotto le torture ed il condizionamento mentale a cui lo avevano sottoposto, James Burnes era ancora vivo.
Un giorno, ne era sicuro, sarebbe tornato.

Ma non sarebbe stato quello, il giorno.

Lo capì quando Bucky si chinò su di lui, sfiorandogli la fronte con le labbra: “Cerca di dormire un po’, piccola peste. Starai meglio quando ti sveglierai. “
Malgrado i punti, i lividi e il labbro spaccato, quella buonanotte così famigliare gli strappò un sorriso mentre si riaddormentava, finalmente sereno.

Una volta sicuro che Steve si fosse riaddormentato, Bucky gli piegò l’asciugamano sulla fronte e recuperò il suo camuffamento.

Aprì la finestra e saltò fuori, scomparendo nella notte senza voltarsi indietro.
Se lo avesse fatto, lo sapeva, sarebbe rimasto.
Non poteva permettersi di farlo, non ancora, non con il Soldato d’Inverno in agguato nel suo subconscio. Non poteva permettere che succedesse di nuovo.
Mentre si allontanava, con il mento ben infossato nel colletto della giacca, giurò a se stesso che un giorno sarebbe tornato e si sarebbe ripreso il posto che gli spettava: accanto al suo migliore amico, spalla contro spalla, pronti a tutto.
Un giorno, lo sapeva, sarebbe tornato tutto a posto.

Un giorno.


Il visitatore notturno di Steve Rogers non era passato inosservato come pensava.

Nascosto sotto un albero nel cortile, un uomo con un lungo cappotto di pelle puntò il suo visore notturno verso la finestra dell’Avenger nel momento esatto in cui l’uomo che l’intelligenza artificiale identificò come James Barnes ne usciva, per arrampicarsi giù dall’edificio e scomparire nel buio.
“Quel figlio di puttana!” ringhiò il solo apparentemente defunto dirigente dello S.H.I.E.L.D.
Sebbene fosse certo che Rogers stesse bene in quel momento – a quel punto qualcuno avrebbe sicuramente dato l’allarme se fosse stato altrimenti – sapeva che un giorno quel piantagrane del suo amico avrebbe ricominciato a creare problemi.

Ne era sicuro.
- The End -

 
Ancora tantissimi auguri di Buon Compleanno, Snehvide! Questa storiella è tutta tua: te la meriti!

Come sempre grazie a tutti coloro che hanno letto, soprattutto ha chi ha voluto lasciare un parere. 
Alla prossima ^^ 


 
  
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