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Autore: FlameWarrior    25/01/2019    0 recensioni
Tratto dal prologo:
"Incrociò le braccia dietro la schiena, gli occhi acuti che notavano uno sfavillare lontano anni luce. Si concentrò, la propria forma spirituale che viaggiava tra gli astri e i buchi dimensionali. Espandendosi e rimpicciolendosi fino ad arrivare a destinazione.
Un mondo in eterno conflitto, dove le forze erano in un continuo sbilanciarsi e schiacciarsi. Una stella colma di dolore, speranza, decisione, sconforto. Un turbinio di abitanti, ognuno con Luce e Oscurità.
Un caos nell’ordine istituito dalla specie dominante, un pianto nella gioia di una risata.
Riflesso di uno specchio deformante che vive nel momento stesso in cui muore.
Particolare oltre ogni dire, così diverso dai suoi simili. Deserto, foresta, oceano, pianura. Neve, pioggia, vento. Calore, gelo. Un insieme di colori ed espressioni.
Si carezzò la lunga barba grigia, rimanendo in contemplazione. Sentiva che qualcosa stava accadendo, ma non riusciva a scorgere alcunché."
Volete sapere di più? Vi tocca leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Riku, Sora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Il viaggio si era da subito presentato lungo. Yen Sid aveva dato loro delle coordinate precise, ma senza il Warp ci avrebbero impiegato molti giorni. Si erano così attrezzati per passare il tempo. Ma, nonostante la premura, Sora tendeva ad annoiarsi facilmente. Interrompeva spesso l’attività iniziata per cominciarne un’altra. Così era passato da una lettura ad un puzzle, dal puzzle al contare le meteore che sfrecciavano vicino. Un continuo cambio. Riku era abituato all’irrequietudine dell’amico, eppure faticava a non sgridarlo. Si limitava ad alzare gli occhi al cielo o a prenderlo in giro.

D’altronde sapeva anche come farlo restare calmo e seduto sui sedili. Sfidarlo a giochi decisamente lunghi, come monopoli, era uno dei metodi che usava più volentieri. Certo, a lungo andare si annoiava pure lui, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per non dover sentire l’amico chiedere tra quanto sarebbero arrivati ogni dieci minuti.

Alla fine del primo si chiedeva come avrebbe fatto i giorni successivi.

 

La fine del mondo. Sora gli aveva detto di esserci stato una volta, ma che non credeva di tornarci. Avevano lentamente oltrepassato quel posto per procedere oltre. Chiedendosi cosa ci potesse mai essere oltre la fine.

La risposta gli si pose davanti gli occhi. Un buco nero. La navicella riusciva a stento a non esserne attratta, mentre le spirali continuavano a muoversi e divorare ciò che ne rimaneva del mondo.

Viaggiando nell’Universo erano già incappati in passaggi simili, eppure nessuno di loro esercitava una forza gravitazione pari a quella che avevano dinanzi.

Cip e Ciop salirono persino dalla sala motori per dar loro istruzioni. Dovevano passarci attraverso senza distruggere la navicella. Sembrava più facile a dirsi che a farsi.

Gli scudi, man mano che venivano trasportati verso il centro del buco nero, toccavano picchi di energia elevati, scheggiandosi e sfavillando. I passeggeri li osservavano preoccupati, se avessero ceduto non sarebbero di certo sopravvissuti.

La nave era ormai passata a metà e l’ansia diminuiva ad ogni secondo che passava. Poi, alzando lo sguardo dai dati della Gummyship rimasero incantati.

Oltre il vetro i loro occhi ammiravano l’infinito. Le stelle brillavano come mai le avevano visto fare. I mondi parevano essere circondati da scudi di luce, segno che l’oscurità non li aveva nemmeno intaccati. Yen Sid li aveva incentivati a scendere in ogni nuovo mondo e creare una carta con le varie indicazione a riguardo soprattutto sugli abitanti.

Con prudenza sfrecciarono fino a quello più vicino, girandosi intorno per trovare il punto di accesso. E finalmente eccolo, lasciando il compito di atterrare ai loro formidabili ingegneri si permisero di osservare quel mondo dall’alto.

La terra rigogliosa, i campi arati e case di pietra venivano sminuiti dall’enorme castello oltre il bosco e il lungo ponte. Girarono in tondo fino a che un allarme risuonò all’interno della navicella. Ciop comparve in quel momento, grattandosi la pelosa guancia dichiarando che il motore aveva smesso di andare e che stavano per precipitare.

La calma con cui lo disse fece inizialmente dubitare i due ragazzi dell’effettiva verità, ma appena iniziarono a prendere velocità si sedettero ai posti di comando, allacciando le cinture e cercando un punto dove atterrare senza fare danni e sopratutto dare nell'occhio.

Nonostante gli sforzi e l’indubbia bravura di Sora ai comandi, il contatto con il terreno distrusse l’ala sinistra, facendo scivolare tra rami e cortecce la gummyship, fermandosi esclusivamente dopo un colpo frontale contro un grande albero su un’imponente rupe.

 

 

Si era svegliata controvoglia, con il sole a scalfire la barriera di rami e foglie insediandosi fino a poggiarsi sul suo viso. Strizzo le palpebre, cercando di ignorare quel lieve calore che si stava formando sulla guancia come il bacio di una madre, si girò dalla parte opposta, borbottando tra sé e sé. Non voleva alzarsi ma stare in quel riparo, tra le braccia dell’albero a circondarla e nasconderla, sonnecchiando fino al Suo ritorno.

Tuttavia lo stomaco brontolava, chiedeva di essere riempito con qualsiasi cosa fosse commestibile, come anche il suo cuore.
Facendo sforzo sulle braccia si issò seduta, stiracchiandosi e beandosi della pace che la circondava. Aveva scelto un bel posto dove stare quando rimaneva da sola. Che alla fine non era mai completamente sola, lì, nella Brughiera, circondata da creature di ogni genere, forma e colore. 
Saltò giù dall’albero sentendo subito l’erba solleticarle i piedi, poi iniziò a correre, scendendo sempre di più fino ad arrivare al lago. Si dissetò accucciandosi e prendendo l’acqua con le mani a coppa, chiedendo a Baltasar qualcosa da mangiare che subito le andò a procacciare. 
Non mangiava molto, non ne sentiva il bisogno, ma spesso la Antica Creatura, che lei affettuosamente chiamava Sar, le imponeva di farlo. 
Non la costringeva con la forza, non era proprio il tipo, bensì le si metteva a fianco e nel silenzio che si creava le porgeva ciò che avrebbe dovuto mangiare. 
Spesso erano fiori, la loro linfa la saziava, gli Iris erano i più gustosi, altre era un composto fatte dalle fate che danzavano sull’acqua.
Ogni tanto le invidiava, così leggere, belle e piccole. Lei invece aveva la taglia e le fattezze di un umano, goffa rispetto alle altre fate e spesso con la testa fra le nuvole. 
Come anche in quel momento. 
Pensava a ciò che c’era in quel mondo, a come la vita degli umani scorresse rapida in confronto alle loro, e a come sua Madre guidasse le nuove vite. 
Era fiera di essere figlia di una Fata così potente e maestosa eppure nel contempo sentiva di non esserne neanche all’altezza. 
Questo suo ultimo pensiero era sempre più spesso dovuto a Baltasar, che la guardava da lontano, attendendo il ritorno della sua più vecchia amica, Malefica, che da anni ormai era partita e comparandola a lei.
Capiva il motivo per cui lo facesse, erano rare le fate con sembianze e, sopratutto, dimensioni umane, ed era ancora più raro che quelle fate decidessero di procreare in maniera umana. 
Era così che era nata, e da quei pochi racconti che era riuscita a strappare dalla Regina Aurora aveva scoperto che sua Madre aveva creato non pochi problemi durante la gravidanza. 
Però la Regina li raccontava ridendo, scostando le chiare ciocche dietro le orecchie e punzecchiando Malefica appena la vedeva. 
Anche Fosco rideva, appollaiato dalla finestra pronto ad una fuga strategica al primo segno di irritazione della propria Padrona. 
Tornò al presente quando Fiorina, Giuggiola e Verdelia  le sventolarono le piccole manine davanti al volto, agghindate nei loro vestitini blu, rossi e verdi. 
<< Bambina, qualcosa non va? Sembri essere triste. >>
Fece Verdelia, sovrastando le voci delle compagne. 
<< Tutto bene, mi chiedevo quando torneranno. >>
<< Baltasar non ti ha detto niente? >>
Ora confusa da quella domanda posta da Giuggiola scrollò il capo, mentre la fata dal vestito rosso si portava la mano alla bocca indecisa se continuare quel discorso o meno. 
Le tre fate si guardarono tra loro, iniziando successivamente a discutere su chi dovesse parlare.
<< Non glielo devi dire tu. Voglio dirglielo io. >> 
Esclamò indispettita Fiorina appena notò come Giuggiola avesse aperto la bocca per parlare. 
<< Ci sono delle regole Fiorina, io glielo dico questa volta, tu la prossima. >>
<< No, tu l’hai detto una volta, a me tocca questa e a Verdelia la prossima. >>
 Era abituata al loro modo di fare, e non le interruppe, tuttavia non riuscì a nascondere uno sguardo di rimprovero. 
<< Parlate. >>
Con uno sbuffo Giuggiola cedette la parola tanto agognata a Fiorina.
<< Hanno visto Malefica, al limitare delle Brughiera. Pare che qualcosa sia precipitato dal cielo. Ma ancora non lo hanno trovato! >>
Esclamò tuttavia Verdelia, accorgendosi successivamente di come le compagne la stessero guardando sdegnate, mormorando un leggero e risentito “Scusate”. 
Rimase qualche momento interdetta. Era raro che sua Madre non riuscisse a trovare qualcosa, ancora più raro il fatto che Sar sapesse e non glielo avesse detto. 
Si girò verso quella maestosa creatura che era il suo protettore, teneva tra le mani fatte di rami un mazzetto di Iris. 
Sbagliava. Le aveva già parlato, solo in una lingua che fino a quel momento non aveva voluto cogliere, quella dei fiori. 
Iris, il Messaggero. 
Si rimise in piedi, prendendo quel mazzo e assaggiandone i petali. 
Era ora di darsi da fare e spalancare le ali. 





 
   
 
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