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Autore: clepp    27/01/2019    1 recensioni
“Scusami, scusami – riprese fiato mentre si costringeva a rimanere serio – conosco un solo Harold che vive qui”
Gli occhi di Nadine si illuminarono di speranza, avrebbe potuto conoscere l’uomo che aveva fatto innamorare per la prima volta sua nonna, avrebbe potuto parlarci, chiedergli quant’era bella Jane a diciassette anni e fargli tante altre domande.
“Grandioso! – esclamò, tirandosi su frettolosamente dalla macchina – e puoi dirmi chi è?”
Il ragazzo si sporse in avanti, arrivandole a qualche centimetro dal viso.
“Per tua fortuna – sorrise, ammiccando – ci stai parlando proprio adesso”
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Picture of me

 

“Fuori servizio”

 

Nadine non riuscì a trattenere uno sbuffo seccato.

La pioggia, l’ascensore rotto e l’idea di poter rincontrare quell’Harry erano tre motivi per i quali non uscire quel giorno e continuare la sua disperata – e folle – ricerca.

Era colpa di Niall; quell’irlandese biondo con due occhi grandi quanto due biglie continuava ad incoraggiarla nel mandare avanti quella farsa a cui lei non riusciva a dire di no.

Nadine sospirò pesantemente e, raccattato un po’ di coraggio, salì i primi gradini del condominio.

L’appartamento 12, quello segnato sulla mappa, era al terzo piano.

Nadine si era scervellata per capire cosa diamine potesse indicare quell’indirizzo, ma dopo varie chiacchierate con Niall e numerosi caffè aveva capito che la cosa migliore da fare era controllare di persona. 

Così, dopo aver messo in conto vari inconvenienti, tra i quali pessime figure e incontri non graditi, era uscita dal lavoro e aveva guidato fino a lì.

Dopo aver superato anche la seconda scalinata, sperò soltanto di non imbattersi di nuovo in quel ragazzo dai capelli ricci e il sorriso arrogante.

Quando di fronte a lei lesse il numero dodici, non seppe esattamente cosa fare.

Si aspettava davvero di incontrare qualcuno che conoscesse nonna Jane? O Harold in persona, forse?

Si morse il labbro, alzò l’indice e pigiò sul campanello.

Attese con impazienza, mentre cercava di distrarsi con i rumori che arrivavano dagli altri appartamenti. La voce di una bambina, quella di un televisore e dei passi frettolosi.

Dieci secondi dopo, la porta le si aprì davanti.

Un ragazzo alto, ben piazzato e con due grandi occhi marroni le rivolse un sorriso gentile.

Sicuramente, quello non era un ottantenne di nome Harold.

“Ciao – le disse – cerchi qualcosa?” 

Nadine evitò di riempirsi di insulti e, mordendosi il labbro, si aprì in un sorriso di circostanza.

“Credo di aver sbagliato numero – replicò – scusami” 

Il ragazzo alzò le spalle: “Non preoccuparti” 

Lei fece per andarsene e lo sconosciuto per chiudere la porta quando, una voce che conosceva anche troppo bene, le arrivò un po’ ovattata.

“Aspetta”

Nadine si fermò con le dita chiuse attorno alla cinghia della sua borsa.

Lanciò un’occhiata dentro l’appartamento, alle spalle del ragazzo muscoloso, e, con i capelli tirati indietro da una fascia bianca e i piedi scalzi, vide Harry raggiungere l’entrata in due lunghe falcate.

Il secondo tizio si fece da parte senza che nessuno gli dicesse nulla, scomparendo in un’altra stanza dell’appartamento. 

Nadine aveva gli occhi lievemente socchiusi e i muscoli delle braccia contratti.

“Entra” 

Harry si fece da parte, lasciandole un po’ di spazio per farla passare. Lei rimase ferma, un po’ incredula e un po’ restia ad entrare in casa di uno sconosciuto.

“Come?”

Harry alzò gli occhi verdi al cielo, abbozzando un sorriso: “Vuoi un invito formale?”

“Una motivazione, magari”

Lui sbuffò, facendole di nuovo segno di entrare in casa. Lei non si mosse.

“Ho una cosa da dirti”

“Puoi dirmela qui”

Sbuffò ancora e ancora.

“Devo farti vedere una cosa”

Nadine strinse i denti e, sempre più indecisa, fece un passo avanti.

“Ho la borsa che pesa tre chili, non ho paura di sbattertela in faccia” lo avvertì, facendolo ridacchiare.

Mentre lui richiudeva la porta, Nadine lanciò una rapida occhiata di perlustrazione al salotto se mai sarebbe dovuta scappare.

Era piccolo e accogliente, un po’ disordinato forse, ma nessun appartamento dove vivevano due – o più – ragazzi sarebbe stato ordinato.

“Di qua” Harry la oltrepassò, facendole strada verso un breve corridoio su cui si affacciavano tre porte in legno. Si fermarono davanti all’ultima già aperta e Nadine roteò gli occhi.

“Nella camera da letto? - domandò, retorica – davvero?” 

Harry scosse la testa mentre oltrepassava il letto sfatto ad una piazza e mezza e apriva il cassetto della scrivania in legno, posta sotto la finestra. Prese qualcosa che Nadine non vide finché non le fu di nuovo davanti.

Quando le porse una piccola fotografia in bianco e nero, rovinata ai bordi e vecchia di parecchi anni, le incominciò a battere forte il cuore.

In quella foto c’era sua nonna Jane alla sua età.

Sua nonna Jane con i capelli lunghi, la pelle perfetta, il fisico slanciato e il sorriso entusiasta la stava fissando con quei sue occhi dolci e grandi che l’avevano fatta sempre sentire a casa.

Sentì un sorriso spontaneo affiorarle sul viso: non aveva mentito, erano davvero due gocce d’acqua.

“Credo sia lui l’ottantenne che cercavi – mormorò Harry, appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate – è mio nonno e si chiama Harold”

Nadine spostò l’attenzione sulla figura che sedeva accanto a nonna Jane.

Era un ragazzo troppo giovane per essere un militare e troppo innamorato per averla potuta lasciare. Gli occhi neri fissavano la diciassettenne al suo fianco con così tanta intensità che Nadine capì che cosa intendeva sua nonna con “trova l’amore e troverai la felicità”.

Il contrasto tra lei, con la pelle pallida, gli occhi chiari, i capelli biondi e un vestito a fiori, e lui, con gli occhi quasi neri, i capelli castani e una divisa da militare, faceva quasi male al cuore.

Erano belli e innamorati e Nadine in quel momento sentì il bisogno, il dovere, di approfondire quella ricerca.

“E’ bello quanto il nipote?” la voce di Harry interruppe il flusso continuo dei suoi pensieri, facendola tornare alla realtà. Sorrise appena, stringendo la foto tra le dita.

“Siete completamente diversi” 

“Lo so – fece un passo in avanti, osservando anche lui la vecchia foto sbiadita – gli occhi chiari e i capelli ricci li ho presi dalla famiglia di mio padre”

Nadine fissò prima la foto, poi il viso contratto di Harry.

“Avete lo stesso sorriso e le stesse fossette – gli fece notare –e la stessa forma del naso”

“Forma del naso?” ridacchiò.

“Si! Avete due narici enormi”

Automaticamente, Harry si tastò il naso per controllare se avesse ragione. 

“Quando lo vedrò allora gli dirò che abbiamo lo stesso naso enorme”

Nadine sentì il cuore fermarsi e cominciare a pompare sangue alla velocità della luce. Si voltò verso di lui con un rapido scatto della testa.

“Vuoi dirmi che...-“

“E’ ancora vivo? – la interruppe lui – certo che lo è”

*

Nadine si sistemò il cappello di lana sui capelli biondi, allungò le gambe sotto al tavolino e spiegò sul tavolo la mappa stropicciata di Londra.

Harry, intanto, la osservava da dietro il bancone con uno sguardo attento e curioso e le mani immerse in uno strofinaccio.

Avevano passato più di un’ora insieme e lui ancora non capiva per quale motivo lei fosse così interessata a suo nonno e alla sua storia. Aveva capito che centrava qualcosa quella ragazza in foto che aveva scoperto si chiamasse Jane, ma il vero motivo per il quale lei era sbiancata quando aveva scoperto che suo nonno era vivo e per il quale continuava a fargli domande riguardo a lui, non lo sapeva ancora.

Louis sbatté la tazza di tè sul bancone, facendolo sussultare.

“Hai un po’ di bava ai lati della bocca” ironizzò, indicandogli il viso e ridacchiando soddisfatto assieme a Liam.

Harry odiava i pomeriggi in cui quei due non avevano nulla di meglio da fare che andare a rompergli le palle al lavoro. Quel pomeriggio, soprattutto, dove lui aveva bisogno di riflettere e riflettere, la loro presenza era davvero insostenibile. 

“Il veleno ci metterò nei prossimi caffè che berrete” sibilò, lanciando ad entrambi un’occhiata raggelante.

“Possiamo sapere almeno dove l’hai conosciuta? Chi è? E perché stamattina ha suonato alla nostra porta?” domandò Liam, girando di novanta gradi lo sgabello e poggiando il gomito destro sul bancone. Nadine era troppo concentrata su quel pezzo di carta per potersi accorgere che due paia d’occhi erano fissi su di lei.

“L’unica cosa che vi dirò è di farvi i fatti vostri – disse, allungando un braccio verso il pulsante della lavastoviglie – e di andarvene” 

“Sono due”

“Pagate e andatevene” mormorò prima di afferrare la tazza di cioccolata fumante e scendere dal bancone.

Nadine sussultò sul posto quando sentì la presenza di qualcuno accanto a lei. Alzò lo sguardo e vide Harry leggermente chino sul suo tavolino nell’intento di poggiare una tazza di cioccolata sulla tovaglietta in carta. Le sorrise ammiccante mentre lei lo ringraziava.

“Prego dolcezza”

Nadine fece finta di non aver sentito quel nomignolo e le successive risate provenienti dai due ragazzi al bancone, ma tornò alla sua mappa, al suo blocchetto e alla sua storia d’amore. Aveva voglia di fare tutto subito, di sapere tutto subito, di interrogare ancora Harry, di chiedergli altre cose su suo nonno.

In quell’ora passata assieme a lui - prima nell’appartamento poi per le strade di Londra fino al bar in cui lavorava – aveva scoperto che suo nonno aveva vissuto in quel condominio e che l’aveva dato poi a suo nipote quando i medici lo avevano affidato ad una casa di riposo nella periferia di Londra. Due anni prima, infatti, gli era stata diagnosticato l’Alzheimer, ma Harry non le disse molto a riguardo. Le aveva rivelato soltanto che andava a trovarlo ogni sabato mattina per portargli le sue riviste di calcio preferite e assicurarsi che stesse bene.

Nadine gli aveva chiesto anche qualcosa riguardo la sua adolescenza ma, per sua sfortuna, non aveva scoperto molto. Harry sapeva solo che suo nonno aveva partecipato alla seconda guerra mondiale e che aveva sposato sua nonna nel 1959, cinque anni prima di avere la loro prima figlia, sua madre.

Lei, non gli aveva parlato di sua nonna, della sua lettera e della mappa; lui comunque non le aveva chiesto nulla. 

Nadine ricontrollò ogni meta, ogni descrizione, ogni cerchietto.

L’occhio le cadde sul bar, la prima destinazione dove sua nonna l’aveva indirettamente mandata. Automaticamente, si chiese come Harry fosse finito a lavorare lì, nel bar dove lavorava sua nonna più di sessant’anni fa. Si chiese anche altre mille domande che non riusciva più a tenere per se.

“Harry” 

Il ragazzo dai capelli scuri e gli occhi nocciola s’interruppe di colpo, voltandosi lievemente verso Nadine.

Lei si morse l’interno della guancia, imbarazzata: “Posso parlarti?” 

Harry nascose l’espressione perplessa dietro ad un sorriso sghembo e ad un’occhiata eloquente ai due compagni che, lasciatogli una banconota da 5 sterline sul bancone, raccattarono le loro giacche e uscirono dal locale.

Nadine si tirò su in piedi, prendendo il blocchetto e la tazza di cioccolata e dirigendosi verso lo sgabello in legno davanti al bancone. 

Il locale era vuoto a quell’ora del pomeriggio, erano soli.

“Potevano rimanere” mormorò lei, giocherellando nervosamente con l’orlo del foglio scarabocchiato. Harry alzò le spalle e, tranquillo come sempre, riprese a sistemare i bicchieri in vetro sugli scaffali più alti.

“Ti ascolto” le disse, incitandola a parlare.

Nadine sospirò: “C’è un motivo se sto cercando tuo nonno” proruppe, nervosa.

Harry mantenne la presa salda sul calice che aveva appena preso dallo scatolone semivuoto ai suoi piedi e continuò imperterrito nel suo compito. Aveva aspettato con pazienza senza chiederle nulla perché sapeva che se avesse voluto, gliel’avrebbe detto lei autonomamente, senza pressione.

“Vai pure avanti”

Nadine si schiarì la voce, cercando di non pensare a quanto potesse risultare ridicola dopo quella confessione.

“Il fatto è che qualche settimana fa mia nonna, la ragazza che hai visto in foto, è venuta a mancare”

Harry si fermò per un secondo, si voltò verso di lei e con un sorriso gentile e controllato, smise di sistemare e le diede piena attenzione.

“Mi dispiace” disse soltanto con il tono di chi sente per davvero quel dispiacere.

Nadine bevve un sorso di cioccolata per prendere tempo. Continuava a pensare che non fosse una buona idea parlargli di quella lettera ma se non l’avesse fatto, lui probabilmente non l’avrebbe aiutata e la ricerca sarebbe stata più difficile del previsto.

“Il giorno del suo funerale, ho ricevuto questa lettera lunga tre pagine circa – appoggiò la tazza sul piattino con un gesto lento – parlava di me, di lei, della mia famiglia e di Harold, tuo nonno”

“Che cosa diceva di mio nonno?”

Nadine si sistemò il berretto.

“Raccontava di questa giovane ragazza che si era innamorata di questo soldato in licenza – rispose – raccontava dell’amore che li univa, raccontava del cuore che le batteva forte quasi a uscirle dal petto e raccontava di quanto la loro storia d’amore l’avesse cambiata” 

Harry aveva uno sguardo che a Nadine fece rabbrividire la pelle e le ossa più del freddo di Londra. Era tanto intenso da farla barcollare sullo sgabello e perdere la sensibilità alle mani, tanto intenso da farle girare la testa.

“Mia nonna mi ha lasciato questa mappa di Londra – riprese dopo qualche istante di silenzio – sulla quale sono segnati i posti dove hanno passato i momenti più significativi della loro storia d’amore”

Aprì la mano, indicando il locale intorno a sé.

“Questo bar, per esempio – disse – o l’appartamento in cui vivi tu adesso” 

Harry capiva perché qualche giorno prima si era ritrovata una ragazza bella, un po’ infreddolita e spaesata sotto casa e perché l’aveva rivista poi in quel bar a parlare con la vecchia Elise.

“Ora capisco un sacco di cose” replicò ironico e un po’ sollevato.

Nadine sorrise e le sue gote divennero più rosee: “Ora sai che non sono pazza” 

“Non pensavo fossi pazza – replicò – un po’ anomala magari, e acida, ma non pazza”

“Acida?”

“Solo un po’”

Nadine alzò gli occhi blu al cielo, appoggiando i gomiti sul bancone e la testa sul palmo della mano.

“Non c’è una qualche foto vecchia di mia nonna qui dentro? O dei vecchi titolari? – domandò, cambiando argomento – o di qualcuno che avesse vissuto nel 1943?” 

Harry riflettè un momento, ripensando alle mille volte in cui Elise gli aveva chiesto di pulire le cornici nel piccolo retrobottega.

“Forse – si tirò su meglio – vieni”

La guidò verso una piccola stanzetta dove erano stipati due alti scaffali in ferro sui quali posavano scatoloni, pacchi di caffè, bottiglie di alcolici e un vecchio registratore impolverato.

Nadine si sentì mancare il fiato quando la pelle nuda della grande mano di Harry le sfiorò a malapena le dita contratte, mentre l’alzava per afferrare un paio di scatoloni.

Con le spalle tese e le braccia piegate, Harry appoggiò a terra la scatola, pulendosi le mani sui jeans neri.

Nadine fece un passo avanti.

I suoi occhi incontrarono quelli di sua nonna di sessant’anni in meno in una cornice in bianco e nero assieme ad altre tre persone. Nadine riconobbe il fratello di Jane, il loro zio che aveva visto un paio di volte in foto e la piccola Elise.

Harry si avvicinò: “Ti ho accontentata?”

Nadine annuì: “Grazie”

 

 

Leonard aveva due grandi occhi azzurri e un sorriso che toglieva il fiato, un naso perfetto e i capelli corti e spettinati.

Quel giorno aveva il pomeriggio libero dai suoi impegni come maggiore dell’esercito inglese e non poteva fare a meno di andare a salutare la sua sorella più piccola. 

Con il berretto tra le mani, il sorriso dipinto in volto e la divisa troppo stretta, aprì la porta del bar in periferia e la prima cosa che vide fu il vestito rosa di sua sorella svolazzare qua e là in mezzo ai tavoli.

“Jane!” la chiamò, alzando una mano verso di lei per attirare la sua attenzione.

Gli occhi già brillanti di Jane si riempirono di gioia quando incontrarono quelli complementari del fratello maggiore. Sentì i suoi tacchi bianchi muoversi automaticamente verso di lui e, due secondi dopo, le sue braccia forti avvolgerle la vita stretta.

“Leo!”

Lui la strinse a sé come se quella potesse essere l’ultima volta – e forse era vero - in cui i suoi occhi potevano bearsi della bellezza di Jane.

Le sorrise, abbagliandola.

“Ciao sorellina” 

Le lasciò un bacio sulla guancia rosa e morbida dandole poi un pizzicotto.

Jane aveva due labbra rosse, i capelli mossi e un vestito vellutato quel giorno d’estate e lui non fece altro che pensare a quanto fosse cambiata in tutto quel tempo. Era bella da togliere il fiato e lui era geloso come se fosse  sua moglie.

“Cosa ci fai qui?”

Jane lo fece accomodare ad un tavolo, dimenticandosi per un attimo dei clienti e accomodandosi davanti a lui.

“Ho un pomeriggio libero dopo mesi di servizio” spiegò pratico.

“Quanto sei diventato muscoloso! Questi mesi come soldato ti hanno cambiato moltissimo!”

Leonard le sorrise: “Sei cambiata più tu, Jane” 

Le sue guance già rosse si fecero ancora più accese mentre lui scoppiava a ridere di fronte alla timidezza di sua sorella.

“Non ti ricordavo così bella”

“E io non ti ricordavo così gentile”

“Sono sempre stato gentile”

“Non proprio”

Leonard salutò suo zio e sua zia, bevve qualche caffè, chiacchierò con qualche cliente sulla guerra e sui nuovi avvenimenti e tenne d’occhio sua sorella. 

Vedeva come i giovani e soprattutto gli uomini la fissavano avidi di lei, e ciò gli recava un fastidio quasi insopportabile. Era cresciuto con lei, l’aveva vista da bambina, da ragazza e ora da donna, e l’unica cosa che aveva fatto in quegli anni era quella di proteggerla come se il solo pensiero di vederla soffrire lo facesse impazzire.

Era sua sorella.

“Quant’è cresciuta Jane” commentò lo zio, appoggiandosi coi gomiti al bancone.

Leonard annuì: “E’ meravigliosa”

“Hai ragione”

“Non l’ho mai vista tanto radiosa”

“E il perché non è difficile da immaginare!” esclamò zia Mardge, ridacchiando da sola mentre era impegnata a strofinare una tazza sporca.

Leonard sentì già ritorcersi lo stomaco.

“Cosa mi sono perso?”

“L’adolescenza, caro mio”

Leonard sbuffò: “Cos’è successo, zia?”

Fu zio Tom a rispondere.

“La nostra Jane ha incontrato un ragazzo qualche giorno fa, un soldato, un ragazzino – spiegò – e ne è rimasta talmente tanto affascinata che da quel giorno si spruzza sempre qualche goccia di profumo in più nell’eventualità che lui ritorni”

Leonard scosse la testa, irritato e infastidito.

“E’ una bambina! E io so come sono i soldati! Non fanno per lei, affatto! Merita molto di più, merita il meglio!” esclamò, stringendo i pugni.

“Oh finiscila Leo, sai come sono a questa età! Al cuor non si comanda! -Mardge rise di nuovo, lanciandogli un’occhiata eloquente – guarda quanto è bella!”

Leonard non poteva di certo negarlo.

I suoi occhi, il suo viso, i suoi movimenti emanavano felicità e gioia e in quel periodo di guerra e miseria chi era lui per togliere quello sprazzo di luce dalla fredda Londra?

“Come si chiama?”

“Non lo sappiamo – rispose Mardge – so solo che è in licenza e che è molto bello” 

Leo alzò gli occhi al cielo, zittendosi, improvvisamente taciturno.

Dalla vetrata a qualche metro da lui, vide due ragazzi in pantaloni mimetici e canotta bianca, e la preoccupazione che uno dei due fosse il ragazzo di cui stavano parlando, lo fece quasi alzare di scatto.

“E’ proprio lui – intervenne Mardge – quello con i capelli scuri e l’andatura fiera!”

Quell’andatura così arrogante la conosceva così bene che si trattenne faticosamente dal fronteggiare quel ragazzo e insegnargli un po’ di umiltà. Essendo maggiore dell’esercito, Leonard aveva incontrato molti cadetti che si divertivano a farsi beffe degli ufficiali e a bere fino a stramazzare. Aveva dovuto castigarli tante di quelle volte che ormai aveva perso il conto e la pazienza per sopportare un comportamento del genere anche fuori dal lavoro.

Jane con quello, non ci sarebbe stata.

“Mantieni la calma, Leo – lo riprese Tom – o tua sorella non te lo perdonerà mai”

La sua attenzione si spostò su di lei che, con le guance improvvisamente rosse e i gesti più frettolosi e goffi, lanciava occhiate continue ai due giovani fuori dal locale.

Leo strinse le dita.

“Non può davvero piacerle quello” mormorò, sfregando i denti per la collera.

Jane si adoperò del blocchetto, del vassoio e del suo miglior sorriso e spalancò la porta in vetro, dirigendosi verso i due soldati.

Leo si alzò in piedi.

“Vado a controllare”

E mentre usciva, sentiva i mormorii di disapprovazione dei suoi zii.

Si sedette su un tavolo poco più lontano dai tre, ignorando le occhiate imbarazzate della sorella.

Se quel tizio avesse fatto l’idiota, lui l’avrebbe messo al suo posto.

Leo osservò i movimenti e i continui sorrisi che il ragazzo dai capelli neri riusciva a tirare fuori a Jane e, con un certo fastidio, riuscì ad ammettere che vederla così era in qualche modo gratificante.

Jane era intelligente e fin troppo buona e anche se lui si fidava, sapeva che in campo sentimentale lei era ancora troppo ingenua.

“Scusa se non sono più venuto qui, ma io e i ragazzi abbiamo avuto da fare giù in stazione”

Jane sorrise: “Non preoccuparti – replicò – ora sei qui, no?”

“Sono qui e tu sei sempre bella da togliere il fiato”

“Grazie”

Leo già odiava quel ragazzo e quello sguardo così intenso su Jane ma su una cosa non poteva dargli torto: sua sorella era bella da togliere il fiato e lui l’amava tanto da rischiare di soffocare.

 
  
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