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Autore: Dida77    03/02/2019    6 recensioni
"Doveva portare il corpo di Bucky via di lì. Si era ripromesso di portarlo a casa con sé e lo avrebbe fatto."
Post Captain America: The Winter Soldier
Personaggi: Steve, Bucky, Natasha, un po' tutti.
La storia è stata scritta come regalo di compleanno per Rossella, splendida l'amministratrice del gruppo "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart".
Un grazie infinito a Enid che ha betato questa storia rendendola mooooolto migliore. Se vi piace, è sicuramente anche merito suo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La squadra di salvataggio arrivò con circa dieci minuti di anticipo rispetto all’ora prevista. Steve era già pronto da ore. Aveva raccolto le sue cose nello zaino e aveva lasciato i soldi sul tavolo. Non era il caso di scendere alla reception. Gli uomini dell’Hydra potevano essere ovunque ed era inutile rischiare.

Aveva anche aiutato Bucky a vestirsi. L’impresa non era stata semplice, visto che l’amico non era ancora in grado di stare in piedi da solo. Aveva solo un paio di pantaloni della tuta e una felpa nel suo zaino, ma erano puliti e caldi, sempre meglio di niente.

Aveva capito che per Bucky era importante non essere troppo esposto nel momento in cui avrebbe conosciuto la squadra, essere praticamente nudi non avrebbe aiutato. Lo poteva capire benissimo… Dover esser trasportato in barella era già di per sé abbastanza umiliante, soprattutto per uno come Bucky, ma per quell’aspetto non poteva farci niente. Lui non era ancora in grado di alzarsi in piedi da solo, figuriamoci salire le scale fino al tetto o correre, nel malaugurato caso in cui ce ne fosse stato bisogno.

Non appena udirono il rumore del quinjet in avvicinamento sul tetto, una morsa di ansia attanagliò le viscere di Bucky. Ad un tratto il vedere gli amici si Steve lo metteva tremendamente in ansia. Non sapeva cosa aspettarsi. Non sapeva se gli sarebbero piaciuti. Soprattutto non sapeva se lui sarebbe piaciuto a loro. Ad un tratto si sentiva come un corpo estraneo nella vita di Steve e dei suoi amici. Un corpo estraneo che, arrivando all’improvviso, scompaginava tutti gli equilibri stabiliti fino a quel momento.

Il biondo sembrò leggergli nel pensiero ancora una volta. Si avvicinò e appoggiandogli una mano sul braccio disse semplicemente. “Vedrai, andrà tutto bene. Cerca non agitarti, ok? Non stai ancora bene. Vedrai che ti piaceranno e che te piacerai a loro. Ne sono sicuro.”

Non fecero in tempo a bussare che Steve aveva già aperto la porta. Nat, Sam e Tony in armatura si affollavano davanti alla porta. Entrarono rapidamente nella stanza e si chiusero la porta alle spalle.

“Ragazzi! È un piacere vedervi!”

“Ciao Steve. Al momento via libera. La barella aspetta sul tetto. Portarla giù per le scale ci avrebbe rallentato in caso di fuga. Tony si occuperà del trasporto del Sergente Barnes.” Udire il solito tono professionale di Nat fece sentire Steve subito a casa. Adesso avevano davvero la squadra con loro.

“Non c’è bisogno Nat, lo porto io sul tetto.”

“Ecco qua una coperta Sergente.” Disse Sam rivolgendosi direttamente a Bucky. “Fa un freddo micidiale là fuori. È meglio se la mette addosso prima di uscire.”

Quelle premure provenienti da qualcuno che non fosse Steve commossero Bucky fin quasi alle lacrime. Era la prima persona che gli si rivolgeva direttamente con modi gentili in non sapeva più quanto tempo. Decise che Sam gli sarebbe piaciuto. Era solo questione di fidarsi di nuovo delle persone… come se fosse semplice.

“Grazie.” Rispose. Per le presentazioni ci sarebbe stato tempo più tardi.

Steve aiutò Bucky a mettersi seduto e gli drappeggiò la coperta sulle spalle in modo che potesse proteggersi un po’ dal freddo nel tratto che avrebbero fatto all’aperto sul tetto.
“Sei pronto?” Chiese mettendogli un braccio dietro le spalle e uno dietro le ginocchia.

“Sono nervoso, Steve.” Sussurrò in modo che solo lui potesse sentire. In quel momento piacere agli amici di Steve sembrava essere un problema più pressante che scampare agli attacchi dell'Hydra.

“È normale che tu sia nervoso, ma andrà tutto bene. Tu fidati. Attaccati a me e chiudi gli occhi. Al resto ci pensiamo noi. Nel giro di cinque minuti saremo al sicuro, in volo.” Poi, capendo il vero motivo per cui Bucky era nervoso continuò sottovoce. “E non preoccuparti, piacerai anche a loro. Non sarai certo l'unico del gruppo con enormi problemi alle spalle. Capiranno. Non ti preoccupare.”

Bucky annuì, cercando di convincersi che Steve avesse ragione, e fece come gli aveva detto. Chiuse gli occhi e si aggrappò a lui. Salirono in fretta le scale. Nat e Sam davanti a controllare che la via fosse libera. Tony dietro a coprire le spalle, stranamente silenzioso. Clint li aspettava sul quinjet i motori accesi e il riscaldamento alzato.
Non appena saliti a bordo, Steve depositò Bucky sulla barella, già pronta nella coda del velivolo. La squadra di paramedici si avvicinò subito per prendersi cura di lui.

“Niente cinghie.” Disse Steve rivolgendosi al capo squadra.

“Ma… in caso di turbolenze come…”

“Ho detto niente cinghie. In caso di turbolenze ci penso io.” Il tono perentorio nella voce di Steve costrinse il paramedico a non ribattere.

“Come vuole Capitano. Niente cinghie.”

Bucky sorrise, riconoscente. Già l'idea di esser toccato da qualcuno che non fosse Steve lo metteva a disagio, ma essere assicurato alla barella con le cinghie era, per il momento, oltre la sua capacità di sopportazione.

Prima di allontanarsi, Steve si avvicinò in ginocchio alla barella e gli sussurrò nell'orecchio. “Adesso mi sposto in modo che possano lavorare. Mi metto seduto lì, sono solo due metri. Chiamami per qualsiasi cosa. Ok? Anche se ti prendesse solo il panico, tu chiamami. Non appena hanno fatto mi rimetto qui accanto a te.”

Bucky fece un cenno di assenso e un sorriso tirato, ma non ci si poteva aspettare niente di più. L'idea di esser toccato da estranei riportava a galla settanta anni di ricordi terribili.
I paramedici erano stati già avvertiti da Sam su cosa Bucky avesse dovuto subire in quegli anni e furono molto gentili, attenti a non spaventarlo, sempre sotto lo sguardo vigile e attento di Steve. Gli spiegarono ogni loro singola mossa prima di compierla, in modo che fosse preparato e fosse sempre informato su cosa stessero facendo. E dopo aver spiegato ciò che stavano per fare, aspettavano sempre un cenno di assenso da parte sua, in modo che fosse lui a dettare i tempi e ad avere, in qualche modo, il controllo della situazione.
Si occuparono subito della ferita cambiando la medicazione e, dopo aver messo sotto monitoraggio i suoi parametri vitali, avviarono una flebo di fisiologica e antibiotici.

Dato che Bucky sembrava relativamente tranquillo, Steve si voltò un attimo verso Natasha, che aveva preso posto accanto a lui, dall'altra parte rispetto alla barella.

“Grazie Nat.” Con Natasha non servivano tante parole. Era uno degli aspetti migliori della loro amicizia.

“Sei felice Steve.”

Lui si grattò la nuca con fare imbarazzato. “Sì. Credo di sì.”

“Non era una domanda Steve, era una semplice osservazione. Sei felice. Ti si legge negli occhi.” Dopo alcuni istanti continuò, come a pesare le parole che stava per dire. “Sono contenta, nessuno se lo meritava più di te. E sono onorata di esser stata di aiuto.” Poi per smorzare la tensione si rivolse direttamente a Bucky, che ora riposava tranquillo attaccato alla flebo, dopo che i paramedici avevano finito il loro lavoro.  “Mi devi un ballo, Sergente Barnes, non appena ti sarai rimesso in sesto. Nessuno in questa squadra sa ballare come si deve.”

Bucky sfoderò un sorriso divertito, uno di quei sorrisi sghembi che piacevano tanto alle ragazze prima della guerra. “Con piacere. Credo di essere un po’ arrugginito, ma pagherò pegno con piacere. Però credo che Steve debba fare delle presentazioni prima.”

“Da quando in qua sei così formale Bucky? Ad ogni modo, la signora qui presente è Natasha Romanov, Nat per gli amici, e ti consiglio vivamente di non farla arrabbiare.”

Nat si alzò, andò verso di lui e gli strinse la mano, sorridendo. Una bella stretta, forte e decisa. Bucky sorrise di rimando.

“Continuando con le presentazioni, abbiamo Sam Wilson.” Disse Steve indicando l’amico seduto davanti a lui. “Lavora con i veterani. Mi sa che potrà essere utile in futuro…”

“Credo anche io. Piacere di conoscerti.” Rispose Bucky allungando la mano destra e stringendo quella di Sam in una stressa calorosa.

“Quando volete ragazzi. Lo sapete che sono sempre a disposizione.” Rispose Sam tranquillamente, facendo già sentire Bucky un po’ più parte della squadra.

Steve continuò il suo giro. “Alla guida abbiamo Clint Burton. Esperto nel tiro con l’arco. Fa cose da rimanere a bocca aperta.”

“Piacere di conoscerti amico.” Urlò Clint dal posto di guida. “Appena posso passo dietro e ti stringo la mano come si deve.”

“Nessun problema! Piacere di conoscerti.” Urlò Bucky per farsi sentire fino al posto di guida.

Non rimaneva che il passo più difficile. Francamente Steve non sapeva cosa aspettarsi. Tony non aveva aperto bocca da quando si erano visti, nemmeno per sparare quelle frecciatine che gli piacevano tanto.

Il fatto che fosse venuto non poteva essere un brutto segno, ma stava seduto dietro Steve, con l’armatura ancora addosso a parte il casco, guardando Bucky la faccia scura. Meglio togliersi subito il pensiero e arrivare dritti al nocciolo del problema… “Infine lui è Tony Stark, figlio di Howard.” Disse Steve tutto d’un fiato. Non serviva dire altro, per il momento.

Per Bucky fu come ricevere un pugno nello stomaco. Trattenne il respiro e chinò immediatamente il capo sommerso dalla vergogna.

Il bip bip dei macchinari diventò un po’ troppo veloce e uno dei paramedici si avvicinò subito per monitorare la situazione da vicino, la siringa di calmante già pronta in mano da utilizzare nel caso in cui la situazione fosse peggiorata.

Steve si alzò e si inginocchiò subito accanto a Bucky. La mano sulla sua spalla, sia per calmarlo, sia per far capire subito a tutti da che parte sarebbe stato in caso di scontro. Poi gli disse in un sussurro. “Scusa, se non te l’ho detto. Credevo di avere più tempo.”

Tony si era alzato e si era avvicinato alla barella, dritto come una trave all’interno della sua armatura, guardandolo dall'alto in basso, come se fosse la peggior feccia della terra. Un silenzio di tomba era sceso all'interno del quinjet. Anche Clint si era voltato per capire cosa stesse succedendo.

Fu Tony ad interrompere quel silenzio di tomba. “Perché anche la mamma. Posso capire mio padre, ma perché anche la mamma?” Meglio andare dritti al punto.

Bucky alzò la testa e lo guardò negli occhi. “Perché avevo ordine di uccidere tutti e due.”

Bucky decise di non chiedere scusa. Non avrebbe avuto senso chiedere scusa. Aveva ucciso entrambi i suoi genitori, che senso poteva avere chiedere scusa. Ma lo guardò negli occhi quando gli rispose, in modo da sostenere tutto il disprezzo che si aspettava di vedere nel suo sguardo. Questo glielo doveva. Ma non fu disprezzo ciò che vi vide, solo angoscia.

“Vorrei tanto odiarti. Vorrei tanto vendicarmi uccidendoti. Ma uccidendo te ucciderei la persona sbagliata. Ho letto il tuo fascicolo, pagina per pagina. Lo so a memoria ormai, e non posso incolpare te per ciò che è successo, anche se sarebbe tremendamente più facile. Loro adesso sono i miei nemici, coloro contro cui rivolgere la mia vendetta. E credo che siano anche i tuoi…” Lo disse tutto di un fiato, come se avesse paura di bloccarsi e non di non riuscire a terminare il discoro. Come se dire quelle parole fosse stato una delle cose più difficili che avesse mai fatto in tutta la sua vita. Ma una volta dette quelle parole ad alta voce, una volta uscite fuori, la sua espressione si rilassò.

Bucky annuì serio. Tony fece ritirare completamente la sua armatura e continuò con aria un po’ più leggera. “E visto che i nemici dei miei nemici sono miei amici, direi che possiamo almeno provare ad esserlo. Cosa ne dici?” Allungando la mano verso Bucky e facendo tirare a Steve un enorme sospiro di sollievo.

“Dico che sarebbe un’idea fantastica.” Una stretta di mano a suggellare l’inizio di quella nuova, strana, amicizia.

Una volta rotto il ghiaccio e tranquillizzati tutti sull’atteggiamento di Tony, mano a mano che le ore di viaggio scorrevano l’atmosfera diventò sempre più rilassata e ciarliera. Bucky sdraiato sulla barella, con il braccio sinistro piegato dietro la testa a mo’ di cuscino e la mano sinistra stretta nella mano di Steve. Gli altri seduti sui sedili ruotati in modo da trovarsi praticamente in cerchio.

Ormai facevano a gara a raccontare a Bucky gli aneddoti più strani sulla vita di Steve dopo il risveglio e lui contraccambiava con aneddoti sulla vita di Steve durante la guerra e addirittura prima che diventasse Capitan America. Spesso dovevano fermarsi per le troppe risate e più volte Bucky si ritrovò a reggersi la ferita con le lacrime agli occhi dal dolore e dalle risate.
Steve rideva con loro. Felice di essere oggetto di quelle prese in giro bonarie. Felice di avere Bucky di nuovo al proprio fianco. Felice di far parte di quella grande strana famiglia allargata. Felice e basta.

“Ehi ragazzi, non appena Barnes si sarà ripreso, pizza e film tutti insieme in sala comune? Ok? Io porto il vino.” Propose Tony.

Bucky capì che una nuova vita aveva avuto inizio. Steve aveva trasformato quella che doveva essere la fine di tutto, la fine della linea, in uno splendido nuovo inizio. Steve era sempre stato il suo uomo dei miracoli e anche stavolta aveva trovato il modo e la forza di farne uno. Gli aveva regalato un nuovo inizio, una nuova vita all’interno di una grande strana famiglia allargata, una nuova vita insieme.

Steve e Bucky si guardarono negli occhi e un sorriso spuntò all’unisono sui loro volti.
   
 
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