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Autore: SherlokidAddicted    04/02/2019    4 recensioni
|| AU Destiel ||
John Winchester è morto, e Sam non riesce a superare il lutto.
Dean non ce la fa a vedere suo fratello in quelle condizioni, in più l'assenza del padre lo carica di un peso insopportabile all'altezza del petto. Non vuole piangere davanti a Sammy, vuole dimostrarsi forte e vuole soprattutto che il minore elabori la perdita con il suo aiuto.
Ma Dean non sta bene come crede, ha bisogno di un luogo tutto suo dove rilassarsi e magari anche piangere, quindi inventa uno spazio aperto tutto suo, lo immagina, lo sogna e lo visita ogni volta che chiude gli occhi la sera. Lì è tutto tranquillo, nessuno può dargli fastidio, nessuno può dirgli cosa fare, nessuno può stressarlo perché quella è solo la sua immaginazione e niente può intaccarla. Ma il suo inconscio gli gioca un brutto scherzo, e ben presto si rende conto che quel posto dovrà condividerlo con uno strambo tizio con un lungo trench che la sua mente ha creato per diventare la sua valvola di sfogo.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The silence'
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Dannato inconscio



Il silenzio non era mai stato il miglior amico di Dean Winchester. Odiava nel profondo quando si rendeva conto che oltre al suo respiro e al ticchettio dell'orologio appeso sulla parete del soggiorno non c'era altro. Detestava sentire il rumore del frigorifero, lo scricchiolio delle bottiglie di plastica, lo sfarfallio delle lampadine accese, il rumore dei grilli all'esterno. Erano piccole cose che emergevano solo se c'era quel silenzio assoluto che lo soffocava, quello insopportabile per cui, se faceva anche solo un singolo movimento dell'indice, riusciva a sentirne il suono impercettibile.

No, Dean amava il rumore, le serate ai pub, nei locali per adulti dove poter rimorchiare qualche bella ragazza, amava le risate dopo la sbornia, le luci intermittenti sulla pista da ballo, la vera musica rock, non quella commerciale che ascoltavano tutti, ma quella che ti scorre nelle vene e ti accende come un fiammifero, amava i sospiri pesanti e i gemiti racchiusi in una notte di fuoco, e perfino il continuo blaterare e lamentarsi di Sammy.

Il silenzio era per quelli depressi.

Il silenzio era per quelli che odiavano tutto quello che lui amava.

Il silenzio era per quelli che avevano già sentito abbastanza.

Eppure eccolo lì, seduto su quella poltrona con una bottiglia di birra ghiacciata in mano a fissare il vuoto e completamente circondato dal tanto temuto e assordante silenzio.

Sam era chiuso in camera sua, nessun suono usciva da lì, nemmeno un singhiozzo o un gemito sommesso di dolore.

Bobby era uscito.

"Che palle, mi serve un po' d'aria!"

Aveva detto a un certo punto, mentre guardava quello che lui considerava come un figlio senza la solita scintilla negli occhi che lo caratterizzava. A nulla erano servite le sue consolazioni, a nulla era servita la sua presenza, ma Dean sapeva che anche Bobby voleva il momento tutto suo che negli ultimi due giorni non si era dedicato.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma amava i Winchester così tanto che preferiva pensare prima a loro che a se stesso.

Dean, però, voleva farsi inghiottire ancora da quel silenzio angosciante, ancora e ancora, voleva seppellircisi dentro, affogarci e non uscirne più. Di tutto pur di non sentire quel dolore e pur di non sapere che anche Sam stava passando l'inferno.

Si alzò da quella poltroncina con fatica, come se avesse il triplo dei suoi trentacinque anni, sentendo acciacchi e scricchiolii lungo tutto il corpo, infine raggiunse lentamente la finestra e scostò la tenda. La sua Impala era parcheggiata davanti al vialetto. Aveva sempre amato quella macchina, suo padre la teneva come fosse oro. Insieme a Bobby la riparava ogni volta che qualcosa non andava, e Dean era sempre lì, pronto ad aiutare e a imparare qualcosa di nuovo. La passione per le auto era nata così in fondo, grazie a John Winchester, Bobby Singer e l'officina che con grande passione gestivano insieme.

Ora quell'auto era lì, come lo era sempre stata i giorni precedenti, ma guardarla dopo gli ultimi avvenimenti era deprimente, era come se anche "lei" sapesse.

Le chiavi erano state abbandonate dentro un posacenere all'ingresso, e dall'ultima volta che John le aveva toccate, Dean non si era azzardato mai a prenderle.

Lasciò andare la tendina e bevve lunghi sorsi abbondanti, tutti d'un fiato, tanto che la temperatura troppo bassa della bibita gli provocò un forte mal di testa, gli si era proprio "congelato" il cervello, e ciò gli procurò una smorfia infastidita per la quale Sam sicuramente avrebbe riso. 

Ma Sam non era lì.

Si avvicinò al corridoio e accostò un orecchio alla porta della stanza di quello spilungone di suo fratello. Singhiozzi sommessi arrivarono forti e chiari all'apparato uditivo di Dean, e quella consapevolezza gli strinse il cuore come in una pressa.

Papà non c'era mai stato molto per entrambi, soprattutto per Sam, ma era proprio per questo che il minore ne piangeva la scomparsa.

Era morto troppo presto e troppo all'improvviso, John Winchester. Un dannato infarto se l'era portato via, e Sam era arrabbiato. Lo era perché lo aveva da sempre considerato un cattivo padre, quello che non accettava le sue scelte, che era troppo severo e duro con lui, che non si congratulava mai con Sammy quando prendeva un buon voto a Stanford, che non gli rivolgeva mai una parola affettuosa, e che gli aveva detto "Vuoi fare l'avvocato? Bene, allora esci da qui e non farti più vedere."

Dean sapeva cosa gli passava per la testa in quel momento, anche se Sam continuava a dirgli che no, non poteva capire. Ma conosceva fino in fondo il suo fratellino, lo aveva cresciuto, reso l'uomo che era diventato, e sapeva che odiava il fatto che il loro vecchio fosse morto senza prima affrontare un chiarimento. Ci aveva provato tante volte Sam, a chiarire con lui, ma quello sbottava sempre che i loro affari riguardavano l'officina, che era una cosa di famiglia. Sammy avrebbe dovuto lavorare solo lì, proprio come John voleva, ma testardo com'era si era ribellato. Dean non capiva perché avesse scelto quella strada, ma con titubanza la accettò, perché Sam era suo fratello e se era felice allora tutto poteva essere perdonato.

Cosa che invece John non riuscì a mandare giù. I litigi erano quotidiani, nonostante Dean e Sam vivessero in un'altra casa rispetto al padre, succedeva perfino al telefono, anche quando le conversazioni partivano con le migliori intenzioni.

I singhiozzi si fecero per un momento più forti, e Dean percepì anche dei leggeri lamenti che non riuscì a decifrare ma che riuscì perfettamente a intuire.

"Perché non potevi essere diverso, papà?"

"Perché sei andato via prima che mi spiegassi cosa non andasse bene in me?"

"Perché sei stato così freddo con me, papà?"

Dean non giustificava il comportamento di suo padre nei confronti di Sammy, ma capiva anche perché John fosse così in conflitto con se stesso e con gli altri, perfino con i suoi figli.

Il motivo era la mamma, morta dando alla luce il piccolo Sam. La perdita di sua moglie lo aveva scioccato e distrutto, la amava come se non ci fosse nessun'altra donna sulla faccia del pianeta, e dopo quella perdita, il povero John voleva tenere accanto a sé i suoi due figli, tenerli sotto d'occhio il più tempo possibile. Anche se questo avrebbe significato tenerli sotto pressione.

Non voleva perdere anche loro.

E l'allontanamento di Sam lo aveva deluso per questo. La lontananza non era ammessa, non avrebbe potuto badare a lui.

Per Dean fu un po' diverso. Seguiva le sue orme solo per renderlo fiero e per distrarlo dal suo tormento, ma suo fratello non sapeva che anche lui litigava col padre quasi tutti i giorni.

- Sammy! - Lo chiamò Dean mentre si allentava la cravatta ormai diventata insopportabile. Dalla porta si udì un sospiro e poi la voce tremante del fratello.

- Sì? - Dean deglutì, nella sua mente era impressa la sua espressione distrutta durante il funerale.

- Sto ordinando qualcosa, tu hai fame? -

- No, grazie Dean. - La sua voce ovattata arrivò forte e chiara, e sicuramente Dean non avrebbe voluto insistere e poi litigare, anche se voleva davvero che il fratello mettesse qualcosa sotto i denti.

- Sei sicuro? -

- Sicuro. - Dean si sfilò la giacca, poi si allontanò dalla porta senza dire nulla, indeciso se utilizzare o no qualche frase di conforto. Ma tanto, si disse, non sarebbe servito a nulla.

Bobby tornò sul tardi, quando Dean aveva già mangiato e si era chiuso nella sua camera senza riuscire a dormire. Aveva sentito il rumore della porta e poi i suoi passi pesanti fino al corridoio. Si era accostato alle porte delle loro stanze ma non era entrato, poi era tornato in salotto. Probabilmente per accasciarsi sul divano e dormire, senza nemmeno togliersi quel completo nero elegante che mai Dean gli aveva visto addosso. Aveva deciso di rimanere a casa con loro in quel momento difficile.

Dal giorno dopo, Dean sapeva che la loro vita sarebbe tornata come prima per lui, avrebbe raggiunto Bobby in officina e lo avrebbe aiutato con il lavoro, come sempre, e Sam si sarebbe asciugato le lacrime con le sue grandi mani da gigante e avrebbe raggiunto il suo ufficio.

Dean questo non lo sopportava. Voleva allontanarsi da quel posto, voleva trovarne uno tutto suo dove lasciarsi andare in pace, senza che nessuno lo vedesse, perché no, non poteva farsi sfuggire lacrime in pubblico, Dean Winchester non doveva mostrarsi debole.

Chiuse gli occhi e pregò a bassa voce, non sapeva nemmeno lui a cosa stesse pregando, né perché lo stesse facendo, ma dopo l'ennesimo "ti prego", la sua mente viaggiò abbastanza finché non creò il luogo perfetto. Era un lago, tranquillo e pacato, e lui era seduto su un ponticello, fra le mani aveva una canna da pesca e accanto a lui c'era un grande cassa di birra. L'aria fresca gli scompigliava i capelli biondi e gli accarezzava il viso con delicatezza, e perfino nella sua immaginazione chiuse gli occhi per godersi il momento. Gli ricordava un po' uno di quei momenti felici trascorsi con il padre quando lui era più piccolo e lo portava a pescare.

Dean si lasciò sfuggire una risata amara, perché persino nei sogni non riusciva ad allontanarsi dai pensieri che riguardavano John.

Ma lì non c'era il silenzio che lui tanto odiava. C'era il frusciare del vento fra l'erba e gli alberi, il cinguettio degli uccellini, l'acqua del lago che pigramente si infrangeva alla riva e... poi era la sua testa, no? Gli bastava immaginarsi anche che nell'aria si librasse la sua canzone preferita, così che potesse sentirsi finalmente in pace con sé stesso. Forse per un momento non voleva piangere, forse voleva solo rilassarsi.

- Tu chi sei? - Una voce lo distrasse ed aprì gli occhi confuso. Il lago era ancora lì, la canna da pesca era ancora nelle sue mani. Si chiese come diavolo fosse possibile che qualcuno avesse parlato, dato che lui stesso non lo aveva immaginato. Forse era solo stata la sua impressione, forse era troppo scosso per pensare in modo lucido. - Chi sei e che ci fai qui? - Di nuovo, una voce che mai aveva udito in vita sua, non era familiare, sapeva non fosse di Sam, di Bobby o di chiunque altro lui conoscesse, e istintivamente si voltò verso destra. Accanto alla riva, poco lontano da lui, c'era un uomo che lo guardava sorpreso e anche un po' terrorizzato. Dean si alzò dalla sedia come spinto da una forza invisibile.

Come diavolo era possibile avesse creato quel qualcuno dal nulla?

- Da dove diavolo sei spuntato? - Gli chiese allora mentre metteva giù la canna da pesca sul legno fradicio del ponticello.

- Sono sempre stato qui. - Gli disse l'uomo, piegando appena la testa da un lato e scrutandolo come se fosse un miraggio. Lo osservò meglio. Portava un completo scuro, abbinato a una cravatta blu, poi un trench color sabbia, lungo fin sotto le ginocchia. Un completo abbastanza serioso ma che andava del tutto in contrasto con la sua espressione che Dean ritenne abbastanza buffa.

- Sei sempre stato in questa fantasia? - Quello annuì deciso, poi Dean ridacchiò nervosamente e tornò a sedersi scuotendo la testa. Il suo inconscio gli stava apertamente dicendo che nemmeno in un momento come quello gli era concesso rimanere da solo. Gli stava anzi urlando che avere qualcuno accanto era forse la cosa migliore e aveva creato quello strambo tizio. Dean voleva solo stare in pace. - Beh, credo tu debba sparire invece, non voglio nessuno qui. -

- Non posso. - Dean sospirò pesantemente e anche leggermente irritato da quelle parole. Che voleva dire che non poteva? Cosa diavolo stava succedendo alla sua dannata testa?

- Non puoi? -

- Io appartengo a questo posto. - Il biondo lo guardò in silenzio, distratto dai capelli scuri dell'altro che si muovevano con il vento. Quella buffa espressione confusa non era sparita e nemmeno la sensazione di fastidio nel vedergliela dipinta costantemente in faccia.

Stava per dire qualcosa, ma una terza voce li distrasse, ma questa volta era familiare. Lo sconosciuto si guardò intorno ancora più confuso, ma quella fu l'ultima cosa che vide prima di svegliarsi nella sua stanza per colpa dei pugni di Bobby sulla porta e del suo vocione che lo chiamava.

- Alzati, idiota! O ti lascio qui e vieni a piedi. - Si stropicciò pigramente gli occhi, poi si girò a guardare la sveglia sul comodino e si rese conto che erano le sei. Il suo turno in officina doveva iniziare fra un'ora, ma Dean non si era reso conto di aver dormito così tanto. Si mise a sedere sbattendo ripetutamente gli occhi per la stanchezza e sbadigliando sonoramente. - Dean! -

- Arrivo Bobby, arrivo! - Disse esasperato prima di alzarsi in piedi.

Si preparò in un batter d'occhio. Non ci impiegava molto di solito, quello a essere lento era suo fratello, che doveva tenere a bada la sua chioma fluente. Quando uscì dalla sua stanza e cercò Sam non lo trovò da nessuna parte, e fu allora che Bobby gli disse che aveva preferito andare via prima e poi dirigersi con calma nel suo ufficio.

In officina andò tutto come al solito. A Dean piaceva sporcarsi le mani con quella roba, lo aiutava a non pensare, ed era ciò che più desiderava per sé ultimamente, anche se avrebbe preferito lo stesso anche per suo fratello. Gli avrebbe parlato, si disse, non appena avrebbe potuto, anche subito.

Pranzo insieme, ci vediamo al solito posto.
Ti prego non mancare, voglio passare un po' di tempo con il mio Sammy.

Premette il tasto invio, sperando vivamente che suo fratello capisse che voleva solo stargli accanto. Non gli avrebbe fatto domande, non lo avrebbe stressato, voleva solo passare del tempo con lui, voleva vederlo in faccia e non parlare più alla porta chiusa della sua camera.

La risposta non tardò ad arrivare.

Va bene, ci vediamo dopo.

Una semplice frase, solo cinque parole, ma fu abbastanza per Dean, era felice.

Arrivò alla tavola calda con un po' di anticipo. Bobby lo aveva visto nervoso e gli aveva concesso di staccare prima e prendere un po' d'aria. Aveva in effetti paura che Sam non sarebbe arrivato, e invece era lì, seduto da solo a un tavolino, rigirandosi il portatovaglioli fra le mani, in attesa di Dean. Il maggiore sorrise sulla porta d'ingresso, poi si avvicinò e prese posto davanti a lui, che si era accorto solo dopo della sua presenza e aveva alzato lo sguardo.

- Ciao! - Gli disse Sam con un sorriso forzato e tremante.

- Ciao, Sammy. - Rispose Dean. Gli occhi del fratello sembravano supplicargli di non fargli domande sulla tragedia avvenuta, né su come si sentisse. Dean sapeva che volesse elaborare il lutto da solo, e da bravo fratello maggiore gli avrebbe lasciato i suoi spazi senza esitare. - Com'è andata in ufficio? - Gli occhi di Sam ebbero un sussulto positivo, era come se lo stesse ringraziando per aver deciso di evitare l'argomento.

- Direi bene, sì. In officina? -

- Tutto ok. - Sam annuì e prima ancora che potesse aprire bocca, una voce accanto a loro li distrasse.

- Cosa vi porto, ragazzacci? - Gabriel era in piedi con il taccuino in mano e la penna a mezz'aria, in attesa di istruzioni. Lavorava lì da quando ne avevano memoria, ed era l'anima del locale. Simpatico, sarcastico, insopportabile e con quella finta aria da innocente che nessuno si beveva. Con i clienti era spigliato e amichevole, amava trattare tutti come se li conoscesse da una vita e ciò non escludeva di certo i Winchester che frequentavano la tavola calda da fin troppo tempo, a volte anche con il padre al seguito. Gliene avevano viste fare di tutti i colori, tipo litigare scherzosamente con il titolare, sbraitare contro un cliente maleducato, flirtare spudoratamente con qualunque cosa respirasse nei dintorni, ed essere semplicemente il Gabe che tutti adoravano.

- Per me un hamburger con bacon e patatine. - Disse Dean, e Gabriel appuntò annuendo, poi portò lo sguardo sul minore in attesa.

- Ehm... lo stesso per me. - Gabe appuntò nuovamente.

- Due birre? - Entrambi annuirono e il cameriere scrisse anche quello, poi ripose il taccuino nella tasca del grembiule. - Arriveranno prima che Dean possa inveire sulla lentezza del nostro cuoco. - Annunciò infine, ricevendo un'occhiataccia da quest'ultimo, al quale lui rispose con un occhiolino insopportabile e un sorriso che faceva venire voglia di prenderlo a schiaffi. Poi però l'espressione di Gabe mutò e tornò seria, lo sguardo era perfino diventato gentile e premuroso e quel cambiamento non passò inosservato ai due seduti al tavolo, anche perché non era proprio da lui. - Per quello che vale, ragazzi... se avete bisogno di qualsiasi cosa in particolare, non esitate a chiedere. - Detto ciò, dopo una pacca comprensiva sulla spalla di entrambi, Gabriel si allontanò urlando l'ordinazione alle cucine e sparendo dietro al bancone.

Lui sapeva.

Tutta la città sapeva della dipartita di John.

Sam deglutì rumorosamente e scostò lo sguardo verso la vetrata che dava sulla strada e per un momento Dean maledì la gentilezza di Gabriel.

- Torni in ufficio, dopo? - Il fratello tornò a guardarlo e scosse la testa.

- No, per oggi ho finito. -

- Oh capisco, in realtà speravo lo dicessi! - Sam corrugò la fronte confuso e Dean ridacchiò. - Che ne dici di andare al poligono di tiro? È tanto che non ci andiamo. - Era una cosa solo loro. Andare a sparare contro il bersaglio, il loro modo per sentirsi liberi di scaricare la rabbia e la frustrazione.

- Non lo so... - Esitò il minore.

- Cosa c'è, hai paura di perdere? - Sam sollevò entrambe le sopracciglia e per la prima volta dopo tanto tempo lo vide sorridere, seppure quello fosse solo un sorriso di sfida.

- Ti piacerebbe! -

- Allora? -

- Va bene, va bene, verrò. - Dean sorrise trionfante.

Mangiarono i loro hamburger, parlando del più e del meno, senza risparmiarsi di quei momenti di silenzio che sembravano infiniti, perché in quel contesto era concesso, in quella situazione di merda non parlare era consentito.

Subito dopo andarono al poligono di tiro, e Sam era così determinato che alla fine sconfisse il fratello con un punteggio strabiliante. Dean aveva finto che la cosa gli dispiacesse, ma in realtà era felice che Sam pensasse ad altro invece che al suo dolore, anche perché sapeva che era stato proprio quel dolore ad aiutarlo a vincere, lo stava scaricando attraverso i proiettili, e Dean semplicemente lo aveva lasciato fare.

Quella sera, però, Sam mangiò in camera sua, lasciando Dean da solo in cucina. Si era di nuovo chiuso in camera sua e non aveva la minima intenzione di uscire fino al giorno dopo. Bobby era già tornato a casa sua, voleva dare un po' di spazio ai ragazzi.

Era troppo presto, pensò Dean.

Era successo solo da qualche giorno, Sam doveva digerirlo, e Dean doveva essere forte per lui.

Quella sera andò a letto con un enorme peso sul petto, con l'immagine degli occhi tesi e arrabbiati di Sam mentre sparava contro il bersaglio.

Poi era di nuovo lì, il lago splendente davanti a lui che emanava una brezza umida e rilassante, il sole che lo riscaldava e il venticello primaverile che gli carezzava la pelle tesa del viso. Prese uno, due, tre respiri profondi a occhi chiusi e il nodo allo stomaco si sciolse pian piano. Stava bene in quel posto, con la sua canna da pesca fra le mani e la cassa di birra al suo fianco, comodo su quella sedia adagiata sul ponticello. Ci avrebbe passato eoni in quel luogo.

- Non sembri il tipo a cui piace pescare. - Dean aprì gli occhi. Seduto accanto a lui con le gambe a penzoloni verso l'acqua del lago c'era l'uomo della notte prima. Adesso erano più vicini e Dean poté scoprire con piacere che i suoi occhi erano blu, un blu più intenso di quello del lago che aveva davanti, un blu più puro, più angelico. Sospirò rassegnato, maledicendo il suo inconscio che segretamente gli stava dicendo di sfogarsi con qualcuno, che no, lui non stava affatto bene, che aveva bisogno di parlarne. Ma Dean non lo avrebbe fatto, era tanto chiedere un po' di solitudine?

- Fantastico... - Mormorò a denti stretti.

 

Note autrice:

Hola gente! 
Come per chi mi conosce sa, scrivere non sarà mai una cosa che abbandonerò. 
Stavolta ho cambiato fandom, anche perché le mie otp sono varie e i Destiel sono sicuramente nella top 3. Questa storia nasce da un sogno che ho fatto e da quella scena in cui Castiel entra nel sogno di Dean, diciamo che ho mixato le due cose.
È una AU per il semplice motivo che Dean e Sam non sono cacciatori, il mondo sovrannaturale della serie non esiste e Castiel non è un angelo, come avrete letto.
Spero che questo mio progettino sia di vostro gradimento, io ci tengo molto perché è la prima Destiel che scrivo e la storia in sé mi piace particolarmente.
Come ultima cosa, volevo avvertire i nuovi lettori che i miei tempi nel postare dipendono molto dal mio tempo libero, quindi se non sarò velocissima vi chiedo di avere pazienza. Chi mi conosce e ha letto le mie storie sa che non lascio MAI una storia in sospeso, che prima o tardi la concluderò.
Vi sbaciucchio tutti e a presto per il prossimo capitolo!

  
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