Storie originali > Epico
Segui la storia  |       
Autore: CHAOSevangeline    06/02/2019    3 recensioni
{ Mito di Apollo e Giacinto | Modern!AU }
Eccola, la sua condanna: era un fiore che non poteva crescere.
Di fronte a quel giovane, il volto illuminato da un sorriso fiero sulle labbra cesellate, Giacinto si era sciolto e aveva perso tutte le parole, ogni facoltà di pensiero. Cosa poteva dire? Cos’era giusto dire? Cos’era il caso di dire proprio a lui, per far sì che restasse ancora un minuto, dieci, anche per sempre se lo desiderava?
I suoi occhi celesti, quei capelli di grano ondulato raccolti forse in una coda, forse in uno chignon che non vedeva. La pelle ambrata coperta da una camicia chiara e dei jeans che fasciavano i muscoli delle gambe. Pareva una statua.
E Dio, era bellissimo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Apollo e Giacinto'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Epilogo




A Giacinto,

mio unico, vero, grande amore.
Sono passati due anni da quando te ne sei andato, da quando ho potuto stringere il tuo corpo fra le braccia un’ultima volta. Due lunghi anni in cui ho temporeggiato, mi sono seduto alla scrivania prendendo la penna. Quando la poggiavo sulla carta non sapevo cosa dire. Non sapevo cosa scrivere. Non sapevo più che cosa pensavo.
In realtà, non ho più saputo che cosa stessi pensando da dopo la tua scomparsa.
Sono impazzito dal dolore, Giacinto. Non sai quanto. E quando il dolore non lo sentivo, ero pazzo e basta; tutti si aspettavano che sparissi dalla circolazione per un po’, che sfogassi tutto ciò che provavo. Si aspettavano di vedermi in lacrime in ogni angolo della casa, i miei genitori sono addirittura tornati per un mese dai loro lavori fuori città per occuparsi di me. E io non facevo una piega. Ero una statua.
Sono tornato a lezione tre giorni dopo.
Tutti sapevano cos’era successo, solo io non sapevo che tutti ne erano al corrente.
Sentivo i loro sguardi di compassione e per la prima volta nella mia vita quasi nessuno ha osato parlarmi. Ero al centro dell’attenzione, ma speravano che diventassi invisibile, che qualcuno con cui era così difficile trattare, a cui non sapevano che cosa dire, sparisse.
Perché quando incarni il male che gli altri non vogliono provare, Giacinto, non vogliono nemmeno vederti.
Ho continuato a far finta che andasse tutto bene.
Sai perché ho creduto di essere impazzito?
Perché un giorno mentre andavo a lezione ti ho visto sulla panchina.
Tu c’eri, anche se sapevo che non poteva essere vero. Però sono rimasto calmo. E non ti ho immaginato. Eri proprio lì, a disegnare. Avevi le labbra rosse dopo averle serrate per concentrarti, le briciole della gomma sul blocco da disegno.
C’era tutto, Giacinto.
C’eri tu.
Quando mi sono avvicinato ho capito che non mi sbagliavo, che eri tu, perché stavi disegnando me e per quanto ti abbia visto farlo milioni di volte, quel ritratto aveva qualcosa di nuovo, di diverso.
Avevo gettato un’ombra fastidiosa sul foglio, così hai alzato il viso e mi hai guardato.
Hai sorriso.
Niente di più, niente di meno. E poi sei scomparso, sotto il mio sguardo stralunato e sconvolto.
Mi sono convinto che fosse un segno, che fossi tu. Che volessi dirmi che andava tutto bene.
Non ne ho mai fatto parola con nessuno. Sai perché? Perché ho pensato che l’unica persona che mi avrebbe creduto, che mi avrebbe capito, saresti stato tu.
E tu non ci sei, Giacinto.
Maledizione, non ci sei.
E me lo ricordo ogni giorno, ogni mattina quando apro gli occhi.
Sento la sveglia, sollevo le palpebre. Fisso il soffitto e tante volte si annebbia. Si annebbia di tutte le lacrime che ho pianto la notte e che ho tenuto nascoste.
Perché saranno passati due anni, ma io ti piango ancora, anche se di nascosto.
Perché questo faccio io: mi nascondo. Sorrido anche quando non dovrei. Grazie al cielo Artemide capisce, alle volte ha addirittura dormito con me. Era una cosa che non facevamo da quando eravamo bambini e io non so, non so se sia stato questo pensiero, che mi ha fatto credere che se fossi stato piccolo il nostro amore fosse tutto da vivere e ti avrei potuto incontrare ancora, o se sia stato sentire un corpo caldo sul letto accanto a me di nuovo.
Ricordo che la prima volta che Artemide ha dormito con me, ed è successo dopo mesi da… quello, ho pianto. Mi sono rannicchiato contro di lei e ho pianto come un bambino, ho pianto tutte le lacrime che avevo in corpo e la cosa che ha fatto davvero paura è che quando lei mi diceva di calmarmi, che sarebbe tutto passato, non la sentivo. Non la sentivo perché non ci credevo, perché non sarebbe mai passato.
E a distanza di mesi, anni, questo lo posso dire: avevo ragione. Non è passato, non passerà mai. Posso solo conviverci, sperare che con il tempo faccia meno male.
Ti vedo ancora su quella panchina, alle volte. Entro in camera mia con i pancake che ti preparavo e che tanto ti piacevano e ti immagino a gambe incrociate sotto il lenzuolo, per coprire il tuo corpo nudo.
E mi sorridi.
Mi manca il tuo profumo, mi manca ogni cosa.
Mi manca la tua risata.
Perché anche se non dimenticherò mai, non la posso sentire.
Alle volte mi convinco anche che in casa manchi qualcuno che deve tornare. Ed è vero, che qualcuno manca. Ma non tornerai.
È un inganno del mio cervello, questo. Ho sperato che ogni cosa fosse un suo inganno, che un bel mattino mi sarei svegliato credendo fosse tutto un brutto sogno. Ed è successo, una volta: ho sceso le scale pensando di chiamarti per darti il buongiorno.
Poi ho ricordato.
Così come ho ricordato dopo essere passato davanti al locale del nostro primo appuntamento. Mentre rientravo, la macchina mi ha portato davanti a casa tua. Ha fatto tutto da sola, io neanche me ne rendevo conto.
Sono sceso e ho ripercorso i nostri passi, mi sono fermato dove ho sperato di rubarti il primo bacio e poi ho guardato la porta, oltre la quale eri sparito.
Ho suonato il campanello e ho passato tutta la sera insieme ai tuoi fratelli.
Ci teniamo in contatto, sai? Alle volte li vado a trovare io, alle volte vengono loro da me.
Hanno lasciato la stanza in disordine perché gli ricorda te.
Il giorno del tuo funerale hanno anche accettato la mia idea di lasciarti vicino un blocco da disegno e una matita. Bianco, nuovo di zecca, la matita con la punta appena fatta.
È uno di quelli che ti ho regalato io e che ancora non eri riuscito a cominciare.
Ho pensato che potesse farti piacere e, a conti fatti, è un segreto fra noi quattro: me, te e i tuoi fratelli.
Faccio visita alla tua tomba ogni mese, il giorno del nostro mesiversario. Prima ero qui ogni settimana, poi ho capito: tu non sei qui. Sei ovunque, in ogni cosa. Ogni persona che ti ha conosciuto ha un pezzo di te e ne sono felice, non voglio essere egoista.
Anche Atena.
L’ho incontrata in biblioteca e su due piedi ho provato il cinico bisogno di dirle «ehi, non farò alcun rumore questa volta, ne sei felice?»
Poi però sono rimasto zitto, ho pensato a te che mi dicevi che non sarei stato cortese nel farlo. Mi ha rivolto uno sguardo, poi è tornata a studiare.
È stata lei a parlare per prima.
Stavo cercando di liberarmi di quell’esame maledetto… quello per cui mi hai aiutato a studiare, ricordi? Con te che non mi leggi più i bigliettini con le domande è diventato meno facile studiare e anche molto meno divertente, ma ho trovato un modo per farcela. Ecco, proprio mentre ripetevo una di quelle parole che non ricordavo mai, Atena ha alzato lo sguardo.
Mi manca sentirvi parlare.
Ha detto solo questo.
E non lo so, sai, avrei potuto arrabbiarmi. Avrei potuto dirle che anche a me mancava, che quella che aveva detto era una sciocchezza. Però mi è servito per realizzare che segno profondo hai lasciato nelle persone, non solo in me. Ho visto con i miei occhi quanto per entrambi fossimo uniti e non lo so, mi ha reso felice. Il nostro amore è ovunque.
Questo è successo prima che sapessi di lui.
Se non avessi avuto il tuo corpo da stringere mentre arrivava la polizia, quella notte, lo avrei ucciso.
Giuro, Giacinto, che lo volevo uccidere.
Ho anche pensato di farlo poi, a mente lucida. Credevo di non avere più uno scopo e ho pensato che potesse diventare quello.
Lo hanno arrestato, processato. Ergastolo.
E forse sono più felice così, sempre che possa esserlo, senza essermi fatto giustizia da solo. Odiarlo non mi farà riavere te, l’unica cosa di cui ho bisogno. Odiare me stesso come ho fatto all’inizio, quando mi incolpavo di averti ucciso tentando di proteggerti non salverà nessuno. Ti renderebbe triste e ho lasciato andare tutto questo, tutto ciò che potrebbe farlo. Ho scelto di restare una persona di cui tu potresti essere fiero. Non crescerò mai come sarei cresciuto con te accanto, avevamo tante idee e tanti progetti, ma farò del mio meglio. Ne porterò a termine alcuni – ho ridipinto la mia stanza, del bel verde che mi avevi consigliato tu e hai ragione: mi mette di buon umore – e altri rimarranno dei sogni. Ma che male c’è, in fin dei conti, a sognare?
Ti aspetterò, così le altre nostre idee le realizzeremo insieme.
Mi sono preso il mio tempo per scrivere questa lettera, già te l’ho detto.
Mi è venuta in mente quella volta in cui con il mento sulla mia spalla mi hai intimato di non forzarmi, mentre tentavo di scrivere. Hai detto che le parole sarebbero venute quando sarebbe stato il momento. Premevo per farle uscire, mi obbligavo a trovare una voce che non avevo. E poi sono arrivate, spontanee, proprio come avevi detto tu.
E riesco solo a dirti quanto ti amo, ora. Quanto ti ho amato e quanto ti amerò sempre.
Con il tempo le persone hanno smesso di volermi lontano, qualche vero amico si è palesato. Ricordi il ragazzo buffo della caffetteria dove ci piaceva andare? Quello che ti ha domandato un disegno della sua ragazza e in cambio ci ha offerto il caffè per una settimana? Un giorno mi ha chiesto che fine avessi fatto e quando gli ho detto la verità è stato così triste che il giorno dopo ha appeso il tuo disegno dietro il bancone.
Adesso siamo amici. Ti piacerebbe, ne sono sicuro. Gli parlo spesso di te.
E anche se ho incontrato nuove persone, non credo l’amore faccia più per me, Giacinto. Sono giovane, è vero, ho tutta la vita davanti. Ma sai quando senti che qualcosa è una forzatura? Ecco. Ecco cosa sento. Sento che l’amore per me è come le parole che non vogliono uscire, perché ho già avuto il mio meglio.
Forse è solo per adesso, forse sarà per sempre. Forse verrà da sé quando sarà il momento, potresti avere ragione.
Quello che posso prometterti, Giacinto, è che proverò a non perdere la mia luce. Tu non avresti voluto. Avresti voluto vedermi sorridere. No, so che tu vuoi vedermi sorridere, dovunque tu sia. Troppo lontano.
Dopotutto è quella luce che devo ringraziare, se ti sei innamorato di me.
Ricordo quando ti ho letto la mano, al nostro primo appuntamento.
Ti ho detto che sembrava avessi vissuto molteplici vite, prima di questa. E io lo spero, sai? Spero che sia vero. Spero che esista un mondo, da qualche parte, dove siamo insieme e siamo felici. Spero ci sia un mondo dove sei riuscito a insegnarmi a disegnare qualcosa che non sia un omino stilizzato, dove mi sgridi ancora per l’anatomia che so bene a memoria ma non so riprodurre. “Come puoi ricordarti dove sono i muscoli e non saperli disegnare, dico io!” Me lo ricordo ancora, il tuo viso imbronciato e quel tono. Maledizione, quel tono che voleva rimproverarmi ma che in fondo aveva questa punta di fiducia anche per me, il tuo caso artistico più disperato.
Spero in un mondo dove viviamo in una villetta in cui tu dipingi i quadri per le tue mostre e a cui io faccio ritorno, scoprendoti sempre pronto ad aspettarmi.
Spero in un mondo dove dipingi un nostro ritratto, aspettato con impazienza, per vedere attraverso i tuoi occhi quanto ti senti felice, perché io lo sarei tantissimo.
Ecco cosa devo fare, ora: aspettare.
E aspetterò.
So che forse mi avresti detto di andare avanti e a modo mio lo sto facendo. Ma so che non troverò mai nessuno come te. Nessuno potrà mai competere e il mio cuore, ormai, è tuo.
Ho incorniciato sulla scrivania il ritratto che mi hai fatto, quello che ti piaceva di più perché nei miei occhi leggevi tutto l’amore che provavo per te. Me lo hai detto con le guance rosse e un piccolo sorriso sulle labbra.
Sul comodino invece c’è la nostra foto, quella bella, dove sorridiamo entrambi perché eravamo nel nostro angolo di paradiso. Non ricordo dove fossimo, forse il parco. Ogni posto era un paradiso, con te.
Quel posto non ce l’ho più, ma sto tentando di conviverci.
Tra pochi mesi mi laureerò, sarò dottore.
Avrei voluto sentirtelo usare con cognizione di causa, dottore, e non per prendermi bonariamente in giro.
Guardami, Giacinto.
Sto facendo del mio meglio.
Sto affrontando ogni cosa, sto andando avanti.
Sto cercando di rendere questa vita immensamente vuota in qualche modo sensata.
E ti voglio ringraziare, per tutto.
Ti voglio ringraziare per avermi amato, per essere stato con me. Ti ringrazio per ogni sorriso, per ogni risata che ancora mi strappa il ricordo dei nostri sabati sera stretti sul divano a commentare qualche sciocco programma televisivo.
Grazie per ogni cosa, amore mio.
Sarai l’ispirazione delle mie poesie, di ogni mio giorno. Sarai il mio unico pensiero mentre guardo gli album da disegno che ho portato a casa mia e che ho riposto sullo scaffale sopra la scrivania.
Sarai sempre con me.
Ho fatto avverare uno dei nostri propositi: ho imparato a fare giardinaggio. Ora sul davanzale della mia camera c’è un vaso, uno di quelli rettangolari. Ho piantato dei bulbi di giacinto di vari colori, per ricordarmi che ha vari significati.
Dopo quella notte mi ero convinto che uno predominasse sugli altri e volevo smetterla di pensarla così.
Perché tu non sei stato solo dolore, mi ucciderei se pensassi solo questo di te.
Questa lettera è in una busta, in camera mia, come se fosse pronta ad essere spedita. Voglio tenerla per i momenti difficili, voglio tenerla perché non ti ho lasciato andare.
Penso che ti scriverò ancora, sai? Perché non so se quando ti parlo nella mia testa, se quando ti chiedo consiglio in un momento difficile puoi sentirmi. Perciò scrivo tutto, perché ricordo che quando tu avevi bisogno di un consiglio, di un appoggio, appuntavi tutto ciò che ti confondeva e poi me lo ripetevi a voce, magari tra le lacrime, magari inciampando nelle parole perché qualcosa ti agitava. E io ero lì per stringerti.
Voglio fare lo stesso.
Voglio sentire il tuo abbraccio, anche solo immaginarlo.
Questo non è un addio, Giacinto. È un arrivederci.
Perché in cuor mio so, lo sento, che ci rivedremo.
Magari ti darò queste lettere di persona.
E non aspetto altro che scoprirti di nuovo a disegnare il mio volto, con la tua espressione concentrata. Non aspetto altro che innamorarmi di nuovo di te al primo sguardo.
Non aspetto altro che te, la nostra vita insieme.
Perché ti amo, amore mio. Ti amerò sempre.

Tuo, in eterno
Apollo




----
E dunque eccoci qui, alla fine di un viaggio cominciato ormai a luglio 2018 e conclusosi ora, a febbraio.
Volevo pubblicare il capitolo lasciandolo intonso, poi alla fine ho limato dei punti perché non riesco a star ferma e perché concentrarmi sul sistemare era l'unico modo per non scoppiare in lacrime. Non dovrei dirlo da sola, lascio a voi il giudizio di quanto commuovente sia il finale, ma mi sono immedesimata molto in questa lettera di Apollo e leggerla anche solo per sistemarla è un pugno in faccia, per me.
E così si spiega anche il titolo, "A Giacinto". La loro storia d'amore e poi questa lettera, che contiene tutte le fragilità e le paure di Apollo, rivelate solo al suo amore.
Come dicevo qualche riga sopra, mi sono molto immedesimata ed è stato forse questo a rendermi tanto insicura sulla conclusione del racconto. Ringrazio ancora Rika, sempre pronta a supportarmi in ogni mio progetto. Mi ha motivata quando dovevo iniziare a stendere quest'idea, mi ha motivata a pubblicare questi ultimi capitoli e continua a farlo tutt'ora. Quindi grazie <3
E ringrazio anche chiunque abbia letto, silenziosamente, o lasciandomi un parere. Spero che questa storia vi abbia dato qualcosa e non solo sofferenza: ma anche amore. È per questo che Apollo non ha pensato troppo al sentirsi in colpa, in questa lettera. Perché Giacinto per lui è solo cose belle e così va ricordato.
Tornerò a scrivere su di loro. Qualche stralcio che non è apparso nei capitoli, una what if, non lo so. Ho il bisogno fisico di scrivere ancora su di loro, perché mi sono affezionata e sull'amore c'è sempre qualcosa di nuovo da dire!
Per la verità, ora posso dire di avere un bel progetto in serbo per loro, perciò restate sintonizzati!
Spero davvero che questo breve racconto vi sia piaciuto, che lo abbiate seguito in corso d'opera o che lo leggiate tra mesi, forse anni.
E per spiegare la filosofia con cui ho scritto il finale e molte altre scene, vi lascio con questa citazione del libro Cloud Atlas: "Credo che esista un altro mondo che ci attende, un mondo migliore, e io ti attenderò lì."

Vi invito a seguirmi sulla mia pagina o su twitter per rimanere aggiornati sulle mie future storie e su un futuro ritorno di Giacinto e Apollo!
Vado a mettere la dolorosissima spunta su completa, ora.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: CHAOSevangeline