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Autore: Ghen    07/02/2019    6 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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38. Prendere le distanze


Il vento aveva sbattuto violentemente contro le finestre, quel pomeriggio. Era una giornata scura, fuori. Tutti avevano preso posto intorno a un lungo tavolo.
Rhea Gand si era messa in piedi e aveva alzato la voce, sbattendo i pugni davanti a sé. «Non possiamo permettercelo», aveva sottolineato con voce dura. «Se lasciamo che la giudice El lo condanni, sarà l'inizio della nostra fine», aveva guardato una per una più facce possibili, ritrovando volti spaventati e altri perplessi. Suo marito Lar era seduto alla sua sinistra e aveva la schiena contro lo schienale e una mano sulla fronte, come amareggiato e pensieroso. Non avrebbe osato aggiungere nulla.
«Tu sei matta da legare», si era levata alta un'altra voce.
«Astra», l'aveva chiamata Rhea, «La tua opinione non dovrebbe contare come quella di chiunque altro in questa stanza. Non oggi».
«Sì, certo», aveva detto freneticamente lei, alzandosi in piedi. Quasi aveva tremato, ma probabilmente dalla rabbia. «Perché è di mia sorella, che state parlando. Le cose tra me e Alura non vanno bene da anni, ma è pur sempre mia sorella».
«E allora cosa proponi?», l'aveva guardata con sfida. «Vorresti lasciarla fare?». Si erano alzate più voci del dovuto, creando brusio; nessuno sarebbe stato felice di quella scelta.
«No», si era difesa lei, guardando gli altri, cercando di farli smettere. «No! Ma voglio parlarle. Forse-», si era azzardata a dire, «riesco a farle cambiare idea». Aveva visto Rhea Gand ridere e altri seguire il suo esempio. «Forse riesco a metterla dalla nostra parte, abbiamo uno spiraglio-».
Rhea l'aveva interrotta, ribattendo con la voce sulla sua: «Tu vivi in un mondo di fiabe». Aveva sorriso guardando altri, cercando appoggio. «Non permetterò che una giudice mini il nostro lavoro lungo anni. Michaels sa troppe cose», aveva ringhiato, riferendosi al commercialista, «E potremmo davvero essere certi che non parli, una volta in tribunale?».
«Lascia che corrompi la giuria».
«La giuria sì, va bene, ma non è abbastanza», aveva urlato, «La giudice El ci sta dichiarando guerra e io non intendo perderla», si era portata una mano contro il petto, ricercando negli altri consenso. «Preferite dare ascolto a me, una beta, o a una delta che ha per famiglia il nemico?», la indicò e molti avevano applaudito, mentre altri erano rimasti in silenzio e nell'ombra, più incerti su come muoversi.
A un certo punto, la porta si era aperta con uno scatto fulmineo e un Dru Zod in divisa da sergente era entrato quasi senza guardarli negli occhi, palesemente infuriato. «I Luthor stanno arrivando», aveva dichiarato, camminando fino a una sedia vuota, alla sinistra di quella vuota del capotavola. Ma non si era seduto. Era rimasto in piedi a fissarli, lanciando uno sguardo indispettito a Rhea. «Hai deliberatamente indetto una riunione senza avvertire i presidenti».
Lei aveva sorriso, preferendo non rispondere.

Nel presente, Lillian Luthor non chiuse occhio per tutta la notte. Era rimasta in biblioteca, a camminare. Poi si era rimessa a letto solo per non far preoccupare Eliza. Ora più che mai sapeva di aver sbagliato in passato a non punire Rhea come avrebbe dovuto. Era una questione di classe: avevano giurato di proteggerli, allora, ma quella donna stava diventando un problema enorme e in fondo lo era sempre stata. Avrebbe dovuto occuparsene undici anni prima, pur dovendo infrangere quella promessa. A un certo punto allungò un braccio e, arrivando al comodino, afferrò il suo cellulare.
Te ne devi occupare.
Inviò. Di certo non si aspettava una risposta alle quattro e mezza del mattino:
Ho giurato.
Lillian strinse le labbra e ingurgitò saliva, cercando di non agitarsi. Dunque Zod non avrebbe fatto niente? Se fosse, avrebbe commesso il suo stesso errore del passato.
Era troppo nervosa per provare ad addormentarsi, ma a un certo punto gli occhi le si chiusero per inerzia. Rivide Lena e Kara suonare al piano e cantare, scambiarsi un bacio, dire a Eliza che avevano intenzione di sposarsi. Oh, no, non lo avrebbe mai accettato. Si sarebbe opposta con tutte le sue forze a quell'unione.
«È perché sono una Luthor?», sentì chiederle Lena.
«È perché sono una El?», sentì rincarare Kara.
Sì. Sì, era così. Non potevano stare insieme perché i Luthor non avevano salvato gli El. Perché Rhea Gand li aveva fatti uccidere e loro non avevano mosso un dito per aiutarli. Perché non era colpa di Lena, ma era la sua eredità. Levi, Lionel, lei. Sicuramente Lex. Lena ce lo aveva nel sangue. Lena non era colpevole, ma lo sarebbe stata di qualcosa, prima o poi. Gli El erano morti e Lillian non aveva fatto niente. Rhea Gand avrebbe ucciso Kara e Lena non avrebbe mosso un dito. Era colpevole. Colpevole come lei.
«Lillian». La voce era distante. «Lillian. Svegliati, ti stai agitando».
Aprì gli occhi pian piano, mettendo a fuoco il volto di Eliza.
«Un brutto sogno, non è vero?!», le sorrise con amarezza e le sfiorò il viso in una carezza, prima di portarsi una mano sulla fronte e rigettare la testa sul cuscino. «Anche io avevo il sonno agitato», confessò la donna, «Non riesco a fare a meno di pensare a ciò che ha rischiato Kara… e a ciò che Alex ha fatto. Capisco volesse proteggerla, ma…», ansimò. «Quando l'abbiamo adottata, pensavamo che non avrebbe mai dovuto correre rischi del genere, capisci?».
Lillian le prese una mano sotto le coperte e gliela strinse forte, cercando di trasmetterle come poteva il suo conforto. «Kara è una ragazza forte».
«Sì, questo è vero… Sono entrambe molto forti. Ma saprai anche tu, come madre, quanto ci si senta impotenti di fronte a tutto questo». Lillian non rispose. «Fortunatamente si hanno a vicenda», si sforzò per sorridere. «Alex e Kara. Kara e Lena. Ieri si sono tenute per mano di fronte a noi, ci hai fatto caso?», a quel punto rise un poco, scuotendo la testa. «Ce lo diranno e potremo godere della loro faccetta sconvolta quando diremo loro che già sapevamo che stavano insieme».
Lillian deglutì e, lentamente, abbassò gli occhi. «È a proposito di questo che… credo che dovremo parlare». Prese coraggio e non si sarebbe più tirata indietro, ritrovando quando chiudeva gli occhi le immagini apparse nel suo sogno.
Eliza si accigliò, voltandosi di nuovo verso di lei. «Di cosa?».
«Anche a luce di ciò che sta succedendo… non penso che debbano stare insieme».
«Ma-», Eliza trattenne il fiato, «Dici sul serio? Proprio alla luce di ciò che succedendo, penso che sia un bene che stiano vicine».
«Oh, Eliza…», Lillian alzò lo sguardo. «Comprendo bene il tuo punto di vista, mia cara, ma sono sorellastre e sono ancora così giovani».
«L'amore non dipende dall'età», ribatté, «Potrebbero anche stare insieme per tutta la vita. A quante coppie-».
«Non a noi», la interruppe l'altra. «Ho sposato Lionel a diciott'anni, tu stavi con Jeremiah dall'università, e guarda dove queste relazioni ci hanno portato. Hanno ancora tutta la vita davanti e vogliono legarsi adesso? Noi per prime dovremmo sapere a cosa vanno incontro».
Eliza scosse la testa, arricciando le labbra. «Le nostre relazioni con Jeremiah e Lionel ci hanno portato ad avere i nostri figli! Non penso che sia stato un errore legare la mia vita a lui».
«Io forse sì», ammise con durezza. «Avrei voluto conoscerti molto prima».
«Questo lo capisco, ma… è diverso, Lillian. È diverso», replicò, stringendo forte la mano che aveva unita alla sua. «A loro potrebbe non succedere. Non possiamo lasciarci oscurare dalla nostra esperienza personale. Kara e Lena hanno diritto a crescere e sbagliare, e ad amare, come tutti. Devono fare le loro esperienze».
«Ma sono le nostre figlie».
«Lo so, è strano, ma-».
«Ma non sono adatte per stare insieme», ribadì Lillian, chiudendo la questione. «Non potrò mai accettare che Kara possa avere una relazione con Lena».
Eliza si zittì. Riascoltando quelle parole nella sua testa, intuì che ci fosse un motivo ben preciso perché non accettava il rapporto delle loro figlie e che fino a quel momento aveva solo cercato di trovare una scusa. «Non pensi che Kara possa essere alla sua altezza?».
«Come?».
Eliza le lasciò la mano, tirandosi indietro. «Non è all'altezza di una Luthor?».
«No», rispose prontamente e si scoperchiò, vedendo la moglie che si alzava e copriva con una vestaglia. «No, non intendevo di certo questo! Stai… Stai totalmente fraintendendo». Alzò la voce quando la vide sulla soglia della porta, infilando le ciabatte ai piedi.
«Allora ti lascio il tempo di pensarci», chiosò Eliza, aprendo e chiudendo la porta alle sue spalle.
Intanto a qualche porta più avanti, in camera di Lena, quest'ultima era seduta sul letto con il portatile sulle gambe e una mano contro il labbro inferiore, pensando. Riguardò Kara al suo fianco che dormiva, la sua mano destra appoggiata sul proprio bacino, ricercando contatto. Le sfiorò il taglio sopra l'occhio destro, ancora visibile. Sapeva che Kara aveva la pellaccia dura, lo aveva dimostrato più volte, ma… i suoi occhi chiari planarono di nuovo sullo schermo del laptop, guardando con attenzione e rabbia il video con protagonista Rhea Gand che veniva scarcerata, pubblicato su un blog di divulgazione. Quella donna aveva mandato qualcuno a uccidere Kara e non poteva provarlo. Non le restava altra scelta…
Z: Volevi che avessi bisogno di te? Ne ho bisogno ora. Davvero bisogno.
Inviò il testo sulla chat con sfondo nero e tenne d'occhio la barra a intermittenza che anticipava il prossimo messaggio, ma non c'era riscontro.
Z: Se stai tenendo d'occhio le news, sai che Rhea Gand era agli arresti ma è già stata rilasciata. Ho bisogno di prove concrete che sia stata lei a uccidere suo marito. Devi sapere come posso trovarle. Contattami al più presto.
Inviò di nuovo e abbassò lo schermo del laptop, prendendo un gran respiro. Era abituata a vedere il profilo misterioso, o meglio ancora quella Indigo, rispondere subito, ma ora non aveva neppure visualizzato. Proprio ora che aveva più bisogno di lei. Lasciò il portatile sul comodino e si stese di nuovo, sollevando la mano che Kara aveva sul suo bacino, rimettendogliela accanto. La vide mentre apriva le dita e la cercava, borbottando qualcosa, corrucciando lo sguardo. Si domandò cosa stesse sognando e, piano, intrecciò le dita con le sue, chiudendo gli occhi.

Non erano state le uniche a passare una notte agitata. Dopo aver lasciato Kara in villa, Alex si era ritrovata in ospedale per accertarsi delle condizioni di Faora Hui, scoprendo che era stata operata d'urgenza e che non era in pericolo di vita, ma era entrata in coma. Non si era più svegliata. John Jonzz l'aveva chiamata per farle sapere che poteva tornare a casa a riposarsi, ma che gli affari interni erano già stati avvertiti e che le avrebbero parlato l'indomani. Aveva sbuffato e si era tenuta la fronte al sol pensiero di dover dare spiegazioni sul perché aveva sparato a una poliziotta per proteggere sua sorella. Non vedeva l'ora. Inoltre, da quel momento, la sua copertura era ufficialmente saltata e, con lei, la loro operazione contro l'organizzazione non era più nascosta. Maggie le aveva inviato un messaggio per sapere come mai non fosse ancora tornata e, accidenti, aveva sospirato al pensiero di dover raccontare tutto anche a lei. Così aveva abbandonato la cuccetta di Faora Hui, incrociando il medico che se ne occupava:
«Voglio essere chiamata all'istante se la paziente si risveglia o se cambiano le sue condizioni. Mi ha capito bene?», gli aveva puntato un dito, «Ho lasciato il mio numero». Lo aveva visto annuire ed era uscita.
Prima di tornare a casa, però, era passata di nuovo in villa: voleva accertarsi che Kara stesse bene ma Eliza l'aveva attaccata, come aveva immaginato. Sia sua madre che sua sorella si erano comportate con lei come se, a conti fatti, si fosse in un qualche modo divertita a tenere nascosta una parte così importante della sua vita come il suo reale lavoro. O a mentire a entrambe. Alla fine non aveva visto Kara, aveva pensato che stesse con Lena in quel momento, così era andata via, lasciando Eliza ancora arrabbiata.
Presentarsi a casa di Maggie e abbracciarla tanto forte come se fosse appena tornata da un lungo viaggio, non aveva prezzo. Aveva sentito il forte bisogno della sua presenza, del suo calore. La piccola Jamie era già a letto da tanto e così avevano aperto due birre e si erano sedute su un divanetto, parlando di ciò che era successo. Maggie era rimasta a bocca aperta e, al momento in cui le aveva raccontato di Faora Hui, si era portata una mano per coprirsela. Era una sua collega, non poteva crederci che aveva tentato di uccidere Kara. Tuttavia, aveva preso molto peggio un'altra notizia: grazie alle registrazioni che Lena e Winn erano riusciti a salvare dalla microspia, ora avevano le prove che Zod fosse coinvolto. Non che a quel punto aveva continuato a negare, ma era rimasta molto sorpresa e infastidita, quasi tradita.
«Io… credo di averlo sempre saputo, ma non volevo accettarlo», aveva confessato con amarezza. «Zod sembra un brav'uomo, mi ha aiutato per cercare di integrarmi in questi mesi, e a volte fa certi discorsi motivazionali che… non ci volevo credere», aveva scosso la testa e poi appoggiata sul divanetto, chiudendo gli occhi. «È così dedito al suo lavoro. Voi non lo conoscete, ma è davvero l'ultima persona che mi sarei sognata di pensare coinvolta in tutto questo».
«A volte non conosciamo mai bene a fondo qualcuno», le aveva risposto Alex, avvicinandosi.
Allora Maggie aveva rialzato la testa e sorriso mentre la abbassava da un lato. «Ascoltami: voglio dargli il beneficio del dubbio. Non che lui ne faccia parte, ormai lo sappiamo, ma se è vero che non conosciamo mai bene a fondo qualcuno, è anche vero che le persone possono cambiare, col tempo. So che sembra sciocco», aveva stretto le labbra, «Ma voglio davvero pensare che ci sia dell'altro e sentire la sua campana».
Aveva detto che se lo meritava e Alex di tenerlo d'occhio. Non potevano far altro. Allora si erano coricate, vicine, stanche e pensierose, nessuna delle due aveva dormito bene né a lungo.

La notizia della scarcerazione di Rhea Gand arrivò quasi in diretta: Alex controllava le news da cellulare e Maggie ricevette un messaggio da un collega: il capitano Zod stesso ne aveva ordinato la scarcerazione.
«Non ci posso credere», sibilò, portandosi una mano contro la bocca.
«Credici», rispose Alex di fretta mentre, già in piedi sulla soglia del letto, si infilava i jeans. «L'avrà aiutata».
«In ogni caso, non abbiamo ancora prove concrete contro di lei», sospirò e si resse le braccia scoperte come se avesse sentito un'improvvisa ventata di freddo. «Si è comportato da poliziotto».
Alex alzò gli occhi al soffitto e udì dei veloci piccoli passi urtare contro la porta. «Mamma!». Scalza e in mutandine, Jamie saltò sul letto e girò su se stessa fino a che non cadde di schiena sul materasso per poi cercare di rimettersi su come una tartaruga. «Voglio i cereali buoni! Quelli buoni, hai capito quali? Quelli rosshi che shembrano shangue come-come si mettono collatte», disse tutto d'un fiato, guardando una e poi l'altra con occhi sgranati. «Una mia amica non ci crede che diventa rossho il latte, devi fare la foto così li vede. Hai capito? Non ci crede che-».
Alex finì di infilarsi un maglioncino e tese la mano alla bambina, per poi interromperla, prima che ripetesse tutto per almeno altre tre volte: «Dai, la faccio io la foto col telefono; andiamo a mangiare i cereali rossi».
«Sì». Lei annuì e, prendendole la mano, balzò dal materasso, tirandola dietro di lei fino a uscire dalla camera. Appena le due furono fuori, Maggie sospirò, riguardando il messaggio del suo collega sul cellulare.
Le cose avevano iniziato a diventare parecchio strane, dopotutto. Faora Hui era in coma e gli agenti non erano gli stessi da un giorno all'altro. Una buona parte di loro la guardò male da appena si presentò a lavoro, erano tutti più tesi del normale e Maggie era certa di aver sentito qualcuno parlare male alle sue spalle.
«Perché fanno così?», chiese a una collega, Grace, entrambe con una tazzina di caffè bollente in mano, appoggiate contro una scrivania. «Siamo tutti turbati da ciò che voleva fare Faora, ma è come se…».
L'altra la guardò, increspando le labbra. Voleva provare a prendere tempo bevendo il caffè, ma le prese fuoco la lingua e cercò di spegnere l'incendio boccheggiando come un pesce e sventolando una mano. «Emh… L'agente del D.A.O. che ha sparato… emh».
Maggie aggrottò la fronte, guardando con attenzione l'altra poliziotta che cercava di non fissarla negli occhi. «È la mia ragazza, Grace, lo so, ma-».
«Appunto», scrollò le spalle. «Ho sentito alcune voci stamattina: pensano che tu possa essere una spia del D.A.O.».
«Cosa?», alzò le sopracciglia.
«È una specie di noi contro loro. Una di loro ha sparato a una dei nostri e tu non fraternizzi semplicemente col nemico… ci vai a letto».
«È una cosa terribilmente infantile», sentenziò, lanciando un'occhiata all'ufficio di Zod con le tapparelle abbassate. «E siamo due corpi differenti, non nemici».
Grace increspò le labbra. «Sappiamo che avremo gli Affari Interni, questa mattina. Devono parlare col capitano per Faora», le fece sapere. «Quell'uomo è già abbastanza nervoso, non vorrei essere in loro».
Intanto, gli Affari Interni erano impegnati alla base nascosta del D.A.O. a National City, in quel preciso momento. Si trovavano all'interno di una luminosa saletta per le conferenze. Erano in due, da un lato del tavolo ovale, dall'altro Alex, seduta davanti a loro, e John Jonzz in piedi, poggiato con le spalle al muro, vicino alla sua agente.
«Da quanto tempo fa pedinare Kara Danvers, sua sorella?».
«I-Io non faccio sempre pedinare Kara, ma-».
«Risponda alla domanda».
«Da qualche mese».
John alzò gli occhi, infastidito, rimettendo le braccia a conserte. «È tutto parte della nostra indagine», borbottò, «Come documentato». Il suo sguardo indicò le scartoffie che avevano sottomano, ma loro riguardarono Alex con insistenza, di fatto ignorandolo.
«Ha visto la poliziotta alzare la pistola contro sua sorella e non ha provato, prima di sparare a sua volta, a identificarsi?».
«Non c'era tempo, l'ho già spiegato», alzò le spalle, guardando entrambi.
«Ha sparato per uccidere, agente Danvers?», le domandò uno dei due. «Solo perché c'era sua sorella, là sotto?».
«No», aggrottò la fronte. «Ho sparato perché non avevo altra scelta».
«Poteva mirare alle gambe», rispose saccente lo stesso uomo, annuendo allo sguardo del collega al suo fianco. «È sicura che sua sorella non fosse armata? Che l'agente Hui abbia provato a intimidirla e poi a spararle perché le avesse dato un'impressione sbagliata, qualcosa che la facesse temere per le persone in stazione? È stato segnalato un allarme bomba», spiegò, leggiucchiando alcuni dei fogli con loro.
«Non c'era nessuna bomba, era un diversivo: quella poliziotta era lì per uccidere Kara», strinse a pugno le mani sul bancone e John le passò una mano sulla spalla sinistra, probabilmente per cercare di calmarla.
«Ha una prova, per dire questo?», la guardò torvo l'altro collega. «È un'accusa piuttosto pesante, agente Danvers: l'agente Hui si è diplomata col massimo dei voti, ha dato prove eccellenti e si è sempre comportata da poliziotta responsabile. E non devo ricordarle che ora è in coma perché lei le ha sparato. Anche lei è la sorella di qualcuno, agente Danvers».
Alex strinse le labbra e John intervenne per lei. «Kara Danvers era pedinata per una ragione ben precisa, signori, è tutto scritto lì. La nostra operazione-».
«Non ha portato ad alcun frutto», scrollò le spalle uno dei due. «Ad anni che ci state dietro, ancora nessun risultato. State rincorrendo un fantasma, signor Jonzz. State solo sperperando i soldi dei contribuenti. Per quanto ne sappiamo, l'organizzazione è stata smantellata anni fa e Kara Danvers avrebbe potuto apparire minacciosa agli occhi di un'agente che cercava di salvare delle vite, là sotto, nel caos scoppiato a seguito dell'allarme bomba».
Alex deglutì e fermò il suo sguardo altrove, emotivamente sconfitta. L'interrogatorio durò qualche altro minuto. L'agente Danvers non sarebbe stata punita, accettarono che avesse sparato a Faora Hui perché non c'era altro modo di intervenire, ma avrebbe dovuto compilare parecchie documentazioni e, non di meno, avevano scartato a priori che la poliziotta si fosse trovata lì per compiere un omicidio. Lei e John Jonzz si erano fermati fuori dalla saletta, in corridoio, per chiacchierare a bassa voce e lontano da orecchie indiscrete. Entrambi concordavano nel pensare che, dopo questo, avrebbero avuto i giorni contati prima che qualcuno ai piani alti si sarebbe interessato alla loro indagine che non portava risultati.
«Adesso pensa a tua sorella: portala qui; magari avremo modo di velocizzare il nostro lavoro prima che ci impongano di chiudere baracca e burattini». Le ordinò e Alex annuì.

Alex e Maggie non erano le uniche cui quella giornata era iniziata col piede sbagliato: Kara restò agghiacciata davanti alla televisione quando scoprì del rilascio di Rhea Gand. La polizia non concesse dichiarazioni e Maggie, per telefono, le scrisse che il capitano Zod voleva concentrarsi sulla scomparsa di Mike. Anche Alex le inviò un messaggio, ma Kara lo ignorò. Sapeva che non le avrebbe tenuto il broncio a lungo, ma in fondo era ancora molto arrabbiata con lei. Come aveva potuto? Non le aveva solo nascosto cosa faceva per lei, ma le aveva anche privato di una parte importante della sua vita. L'aveva perfino consolata quando il D.A.O. aveva rifiutato la sua domanda, e invece… Non poteva non esserne arrabbiata.
Intanto, suo cugino Kal aveva mantenuto la parola data. Durante le prime ore del mattino, si videro arrivare in villa Kal, Lois e anche James. Avevano viaggiato durante la notte per essere lì il prima possibile e poi si erano persi, ma arrivarono giusto una mezzora prima che tornasse Alex accompagnata da due agenti del D.A.O. per portare Kara alla base. Kal andò con lei, naturalmente. Lois e James, invece, restarono vicini.
«Gran bella casa, davvero», sorrise lei, acchiappando il ragazzo per una manica, in modo che si abbassasse alla sua altezza: «Guardala bene, Jimmy», lanciò un'occhiata a Lillian, che andava verso la cucina con sdegno.
«Mi sembra normale».
«Sì… È proprio questo il punto», strinse gli occhi.
I tre, in compagnia dei due agenti, entrarono in banca e poi presero l'ascensore.
«Kara…», Alex la guardò con la coda dell'occhio come cercava di ignorarla, girando altrove lo sguardo.
«Lo senti anche tu questo brusio?», si rivolse a Clark, al suo fianco. Il ragazzo lanciò uno sguardo ad Alex e riguardò di nuovo lei, provando a sorridere.
«Kara-».
«È fastidioso».
«Dovrai rivolgermi-».
«Proprio fastidioso».
«La parola-».
«Accidenti, non smette».
«Prima o poi», riuscì a dire, in uno sbuffo. Per un attimo si zittirono entrambe, mentre i due agenti del D.A.O. dietro di loro facevano finta di nulla. «Devi parlare-».
«Oh, no: rieccolo», Kara gesticolò, gonfiando le guance.
«Con me». Allora anche Alex gonfiò le sue, intanto che le porte si aprivano.
Alex e gli agenti li guidarono lungo il corridoio fino al salone, dove ad attenderli c'era una figura in piedi. Il passo di Kara si bloccò appena lo vide; le si irrigidirono i muscoli e si inarcarono le narici. Quello era decisamente troppo.
«Oh, ma fantastico», sbottò, avvicinandosi a John Jonzz, spalancando le braccia. «Qualcun altro deve svelarmi il suo reale lavoro? Per caso, anche Megan è un'agente sotto copertura?».
Lui sospirò appena, guardandosi intorno. «No, e ti sarei pregato se non le dicessi niente».
«Anche Eliza lavora qui?», proseguì indispettita. «Jeremiah non lavora al D.A.O. a Metropolis ma in realtà porta le pizze a domicilio?».
«Hai diritto a essere arrabbiata, ma-».
«Oh, ho diritto a essere arrabbiata? Davvero?», scrollò le spalle ed entrò nella sala prima che lui o chiunque altro la guidasse, portando in alto il mento, spalancando gli occhi: c'erano agenti operativi e grandi schermi ovunque si posasse il suo sguardo, il soffitto era molto alto, dietro una porta a vetri lontana si intravedevano delle armi appese al muro. Sua sorella aveva a che fare con quello. E anche il suo coach. Era impensabile.
Fecero fare ai ragazzi un breve giro e li fecero strada fino a un tavolo, ma Kara né Clark avevano voglia di sedersi.
«Quindi voi avevate il caso aperto da tutto questo tempo?», domandò il ragazzo, accigliandosi. Braccia incrociate poggiato contro una sedia, occhi fissi su John. «Noi pensavamo che la cosa fosse finita con gli arresti di undici anni fa, di essere soli in tutto questo, e invece voi…», scosse un poco la testa e Kara annuì, concorde. «Siamo i sopravvissuti alla nostra famiglia, dovevamo essere informati per primi! Abbiamo finito per cercare risposte per conto nostro-».
«È pericoloso», per poco John non gli parlò sopra. «Proprio per questo non potevamo dirvi come stavano le cose: siete troppo coinvolti».
«Certo che lo siamo! Invece ci avete fatto spiare», borbottò Kara, inacidita.
«Per il vostro bene», annuì.
«Potevamo esservi d'aiuto», continuò Clark.
«Siete dei civili, non addestrati per-».
«Ma adesso siamo qui», lo interruppe glaciale. «No?».
John scosse la testa, ma a quel punto non ebbe da ribattere. Fu Alex, che fino a quel momento era rimasta in disparte, ad avvicinarsi e a parlare per lui: «Abbiamo fatto del nostro meglio per tenervi al sicuro finché abbiamo potuto-».
Clark si gettò in avanti. «Hanno cercato di uccidere Kara».
Lei non disse niente, ma guardò entrambi, per un momento. Vide Alex chiudere gli occhi e prendere fiato, guardarla e allontanare lo sguardo subito dopo. Fino a ora, Kara aveva tentanto così a lungo di ignorarla da non aver minimamente fatto caso alla stanchezza del suo volto o alle occhiaie.
«Beh… Per fortuna sono arrivata in tempo».
«Ma com'è potuto succedere?», chiese lui, «Non era per quello che alcuni agenti la seguivano?».
«C'era un allarme bomba e-».
«L'hanno lasciata sola», chiosò e Alex strinse le labbra.
John poggiò una mano su una spalla della ragazza e si scambiarono uno sguardo d'intesa. «Abbiamo sottovalutato la minaccia», ammise e non con cuore leggero. «Rhea Gand era in prigione e-».
«E adesso cosa pensate di fare? Quella donna è di nuovo libera».
«Pensiamo che non riproverà a minacciare la vita di Kara, adesso. Ha gli occhi della polizia puntati addosso, non oserà fare qualcosa di sbagliato».
Lui scrollò le spalle. «Come pensavate che non avrebbe tentato alla sua vita perché era in prigione?».
John, Alex e Clark stavano per aprire bocca di nuovo, ma Kara ne aveva abbastanza: sbatté le mani contro il tavolo e tutti la fissarono, sorpresi. «Adesso basta! Da tutte e due le parti! Parlate di me come se non fossi presente e, accidenti», aggrottò la fronte, guardando John e Alex, «finora non avete fatto altro che tenermi all'oscuro di tutto ciò che riguardava la mia vita, mi avete fatta spiare, mi avete nascosto chi eravate, avete lasciato che credessi che era Rhea a tenermi d'occhio. Io cercavo risposte a ciò che era successo e voi lo sapevate ma, invece di includermi, mi guardavate come dall'esterno di una bolla di vetro che voi chiamate protezione. Dovete capire una cosa, tutti quanti», prese fiato, guardandoli uno per uno. «Io non sono una vittima», scandì per bene. «Non mi sento una vittima e non voglio essere trattata da tale. Ho avuto la sfortuna di aver perso la mia famiglia e attirato le ire di una donna che, probabilmente, si sente minacciata da me in qualche modo, ma non per questo sono una vittima. Voglio solo fare giustizia e combattere affinché sia fatta. Voglio collaborare! Non mi interessa altro».
Nessuno si azzardò a dire qualcosa, a quel punto. Kara scambiò un'occhiata con Alex e, dopo, John la accompagnò in una stanza in modo che potesse dirgli in privato tutto ciò che sapeva su Rhea Gand, il senatore e chiaramente Mike. Nel frattempo, Alex scambiò due parole con Clark, accennandogli di Dru Zod. Sapevano che lasciar fare alla polizia sarebbe stato rischioso, ma la microspia in quella casa non era una missione del D.A.O., era illegale, e non potevano far nulla se non tenere d'occhio la situazione e fingere di non sapere su quell'uomo.
Non si stupirono di certo quando Clark Kent ebbe l'idea di passare per la centrale di polizia prima di tornare in villa, lasciando che andassero senza di lui. Ciò che non si aspettavano era che conoscesse Zod.
«Lois mi aveva detto che lo teneva d'occhio da quando ancora lavorava a Metropolis», si lasciò sfuggire Kara, in macchina. Aveva chiesto a suo cugino di accompagnarlo, ma era voluto andare da solo.
«Comunque, alla centrale c'è Maggie. Nel caso avesse bisogno di appoggio: l'ho avvertita», rispose Alex, riguardando sua sorella di sbieco. Era ancora arrabbiata, ma se non altro le rivolgeva la parola.
«Maggie crede ancora nella sua innocenza?».
«Maggie sa delle registrazioni, ma vuole ancora dargli una chance», scosse la testa. «Lo tiene d'occhio: poco fa mi ha scritto di aver saputo che Faora Hui era una sua allieva e che lo aveva seguito da Matropolis con il trasferimento. E anche che…», scosse la testa di nuovo, formando un piccolo sorriso incerto, «I colleghi la trattano diversamente ora che ho sparato a quella poliziotta».
Kara guardò fuori dal finestrino e riabbassò gli occhi lentamente, dando una nuova occhiata a sua sorella. «Faora Hui è collegata a Zod, Rhea spinge Faora Hui a uccidermi, i Gand e Zod facevano parte dell'organizzazione… Lui doveva esserne al corrente». Alex non rispose e Kara si accigliò. «E accidenti! Perché prendersela con Maggie se Faora Hui è in coma? Ha tentato di uccidermi, è responsabile delle sue azioni».
Alex formò un sorriso, annuendo. «Kara, per quello che hai detto alla base…», si guardarono, «Pensavo di fare la cosa giusta. Non credevo che…».
«Lo so», sibilò Kara con un sospiro, rivolgendo gli occhi all'altro lato del finestrino. Doveva tenersi calma. Sapeva perché Alex lo aveva fatto, e anche John, per quanto la cosa le desse fastidio. Doveva solo tenersi calma, concentrata, non lasciarsi prendere dalla rabbia proprio ora che Rhea Gand era di nuovo libera dopo aver tentato di farla uccidere. Non poteva permettersi di perdere di vista l'obiettivo. Doveva solo mandare giù tutto il resto. Ingoiarlo e digerirlo. E smetterla di pensare alla pillola che le aveva dato Roulette al locale. Poteva farne a meno: dopotutto, era riuscita a salvarsi da Faora. Deglutì. No, forse c'era riuscita solo perché era intervenuta Alex. Forse, senza di lei, ora non si farebbe questi pensieri.
Nel frattempo, Dru Zod era chiuso nel suo ufficio; tapparelle abbassate, finestre chiuse. Anche lui non aveva dormito quella notte, tormentato dal pensiero di aver dovuto rilasciare Rhea Gand. Oltre al giuramento, era vero che non avevano ancora prove concrete che la incastrassero e sapere che era stata lei per certo non lo aiutavano, se non voleva che la donna lo trascinasse giù con sé.
«Hai mandato Faora», si era trattenuto dal non urlare, furioso, davanti alle sbarre che la dividevano da lui, quella notte. «Hai mandato Faora a uccidere la ragazza e ora in ospedale che lotta tra la vita e la morte».
«Avrebbe dovuto indossare il giubbotto», aveva replicato lei, con sufficienza. «Quale poliziotta va in missione senza giubbotto antiproiettile? E l'avresti addestrata tu?».
«Non è questo il punto, Rhea», aveva stretto i denti, formando un pugno, gesticolando. «Quella non era una missione, ma una spedizione punitiva personale».
«È sempre personale».
«Le avevi promesso di salire classe. Lo so», aveva stretto una sbarra, digrignando i denti, «Non spetta a te. Non sei al comando, Rhea. Non sei la presidente».
«Non ancora», aveva alzato il mento, fiera. «È solo questione di tempo, Dru. Sono stufi dei tuoi tempi: avevi promesso un'ascesa, un ritorno alle origini, ma siamo ancora confinati come topi da troppi anni. Qualcuno, come quello sfortunato di mio marito, pensa davvero che abbiamo chiuso, che ognuno sia per sé. Ecco cosa succede quando al comando c'è un inetto come te. Tanto valeva che continuassimo a stare sotto la guida dei Luthor», si era presa una pausa, «Se non si fossero tarpati le ali da soli, s'intende». Allora aveva sorriso, soddisfatta.
Zod deglutì e strinse i pugni con rabbia, sulla scrivania del suo ufficio. Li nascose quando sentì bussare e sgranò gli occhi quando vide entrare Clark Kent. Si sarebbe aspettato tutto, ma non lui.
«Si era fatto vivo quando Clark era tornato a Metropolis dopo un periodo a National City, in cerca della sua memoria», spiegò Lois, sul divano di villa Luthor-Danvers. Sia Lillian che Eliza erano uscite per andare alla Luthor Corp, Lex era fuori, e mentre Lena teneva d'occhio il cellulare in attesa di una notifica da parte di Indigo, lei, Kara, James e Alex, che era rimasta dopo averla riaccompagnata, si erano seduti insieme in salone. «Si era presentato in università per dirgli che conosceva suo padre». Le ragazze la guardarono aggrottando la fronte, mentre James annuiva, conoscendo anche lui i fatti. «Si era offerto di raccontargli cose su di lui e Clark gli era stato a sentire. Era vero. Abbiamo controllato il passato di quell'uomo e, prima di entrare nelle forze dell'ordine, è stato un insegnante: era professore di inglese al liceo e uno dei suoi studenti era Jor El».
«Il padre di Clark», aggiunse James, abbassandosi e intrecciando le dita delle mani. «Ma credetemi se vi dico che quel tipo era strano: Clark pendeva dalle sue labbra, ma come lo guardava… C'era qualcosa che non andava».
«Abbiamo provato a metterlo in guardia su quell'uomo, ma lui… Beh, fortunatamente dopo un po' mi ha dato ascolto, Zod lo stava trascinando in un tunnel di angosce ed era sempre di malumore e aveva…», si bloccò, deglutì, e proseguì a raccontare. «Dopo averlo allontanato, ha cominciato a frequentare un corso per chi riportava amnesie come la sua a seguito di incidenti ed è migliorato, è potuto andare avanti con la sua vita. Ma di certo non è stato questo a mettermi in guardia su quell'uomo: sapete cos'è stato?».
Kara annuì. «Il tempismo».
Lois la indicò, annuendo a sua volta. «Il tempismo. Dru Zod abitava a Metropolis e non si era mai interessato a Clark. Cosa gli costava andarlo a trovare una volta? Lo ha cercato solo dopo essere tornato da National City, dopo aver tentato di fare chiarezza sul suo passato ed essere stato in prigione a trovare Astra. Coda di paglia?», scrollò le spalle. «Voleva assicurarsi di qualcosa?».

Casa Gand non era più transennata. Il corpo senza vita del senatore si trovava ancora sotto custodia del coroner in attesa che la polizia scientifica desse il via per restituirlo alla famiglia. Rhea Gand si era assicurata di passare a trovarli prima di tornare a casa e continuare la preparazione della cerimonia di commemorazione per il suo amato marito. In televisione, ora si parlava molto meno del matrimonio tra Luthor e Danvers, tutti affranti per la perdita del senatore, piangendo il politico e l'uomo. Rhea chiamò suo figlio più volte per sapere che fine avesse fatto, lasciandogli messaggi in segreteria per spingerlo a tornare a casa prima che lo trovasse la polizia, ma lui non rispondeva. Da quando era andato al campus per sistemare quella faccenda per quella stupida ragazzina e alcuni suoi amici, non aveva più fatto ritorno e a quel punto temette potesse sapere qualcosa ed essere scappato di proposito. Aveva telefonato al campus, ma lui non era rimasto per la notte. Non averlo al suo fianco in quel momento tanto delicato era controproducente. E, per di più, Faora Hui non era riuscita a uccidere Kara. Aveva perso un'occasione e ora doveva stare attenta a come muoversi, sapendo che Dru era contrario. Se la voleva morta, doveva farlo bene. Dopo lei, sarebbe toccato a quella sfrontata della Smythe, che sapeva della sua pistola, e poi l'altro ragazzino El, Lena Luthor sarebbe stata subito la prossima. Si sarebbe lasciata Leslie Willis per ultima, invece. Per lei, doveva fare qualcosa di speciale. Una volta presidente, sarebbe stato più semplice.
E lo sarebbe stata presto.
Gridò a Joyce di muoversi, mentre con altri addetti ultimava il lavoro, disponendo mazzi di fiori intorno alle foto di Lar su un tavolino. Presto quel posto si sarebbe riempito di gente e tutto doveva essere perfetto.

Quando Kal tornò in villa, Lois si premunì di chiedergli come stesse e, se Kara non fosse stata troppo presa da altri pensieri, avrebbe notato come temesse che il ragazzo cadesse in una qualche ricaduta.
«Non ti ha risposto?».
Lena scosse la testa. «Non capisco… Non si sarebbe lasciata scappare un'occasione come questa». Ricontrollò la chat con sfondo nero dal portatile, ma Indigo non aveva ancora visualizzato il messaggio. «È come se fosse scomparsa».
Kara sbuffò. «Preoccupiamoci di una persona scomparsa per volta, okay?», la indicò. Lanciò uno sguardo a suo cugino mentre parlava di Zod con Lois e James, prima di rivolgersi di nuovo a lei: «Senti, voglio…», si morse un labbro, «Voglio andare alla commemorazione del senatore, adesso».
Lena spalancò gli occhi. «Ti serve compagnia?». Chiuse lo schermo del laptop ma Kara la fermò.
«No, ho mandato un messaggio a Megan, mi farà compagnia lei», la guardò negli occhi e Lena annuì lentamente, soprappensiero. «Voglio guardare in faccia Rhea. Voglio che capisca che non ho paura di lei. Tu mi faresti», riguardò di nuovo i tre, «un favore?». Lena planò lo sguardo nella sua stessa direzione e Kara le sorrise. «Voglio solo assicurarmi che stia bene. E forse parlerà del Generale, quindi…».
«Non lo mollerò un attimo».
Pranzarono con qualcosa di veloce e Kara le sorrise ancora, prima di andare via. Le cose tra loro erano ancora strane, eppure sentiva di non esserle mai stata tanto vicina. Pensò che avrebbe dovuto avere paura di Rhea a un certo punto, ma si risparmiò dal dirlo. Gli agenti del D.A.O. le stavano ancora dietro e non avevano bisogno di nascondersi: era protetta e doveva esserlo davvero, stavolta. Dalla finestra, la vide entrare direttamente nella volante degli agenti, probabilmente per rubare loro un passaggio, considerando che dovevano andare nella stessa direzione.
«Perché non ha voluto che l'accompagnassi?», si chiese Clark.
Alex sospirò. «Non ha voluto nemmeno me, se è per questo. Vuole dimostrarci che non è una vittima».
Lena si avvicinò, chiedendo a tutti se favorivano da bere qualcosa. Nessuno, nemmeno Alex. Scorse James guardarsi intorno in cagnesco, Lois cercava dettagli e il suo sguardo si fermava spesso, Clark teneva a freno un crescente disagio e la sua sorellastra era persa nei suoi pensieri, in un angolo del divano. Lena prese fiato. «Tu non l'hai voluta quando sei andato a parlare con Zod», lo guardò e Clark si sforzò per sorridere.
«No, ma… Era una cosa diversa».
«Diversa perché eri tu?», domandò glaciale. «Non so se lo hai notato, ma Kara non è solo più la tua cuginetta: è una donna adulta che sa badare a se stessa e prendere le sue decisioni. Proprio come Zod non avrebbe fatto del male a te perché in una centrale piena di poliziotti, Gand non ne farà a lei durante la funzione di suo marito».
«Fai la voce grossa, eh?», borbottò James a un certo punto.
«Come, prego?».
«Fai la voce grossa», ribadì, guardandola negli occhi. «Come Luthor, proprio tu dovresti startene in silenzio e chinare la testa».
Alex guardò lui e poi Lena, aggrottando la fronte. «Di cosa sta parlando?».
Lena prese fiato e non mosse il suo sguardo nemmeno per un attimo, intanto che Lois guardò torva James e Clark gli poggiò la mano su una spalla, per fermarlo o, forse, appoggiarlo. «James Olsen si riferisce alla convinzione che lui, Clark Kent e Lois Lane hanno sulla famiglia Luthor come membri dell'organizzazione quanto Zod e i Gand. Qualcuno ha detto loro che erano coinvolti, dopotutto».
Alex non trattenne un sorriso, trovando la cosa per un attimo divertente: «Ma è assurdo! Se Lillian ne avesse fatto parte, non avrebbe sposato mia madre». Ricercò consensi, ma Lena fissava ancora James.
Alex non percepì il sussulto che ebbe provato a quelle parole. «Quello che James Olsen e i suoi amici non vogliono capire è che se anche questo dovrebbe rivelarsi vero, perché non metto in dubbio che la mia famiglia, in passato, possa aver fatto qualcosa di sconveniente, non è un cognome a definire qualcuno e che, come Luthor, posso essere una brava persona quanto loro. Inutile che vi giriate attorno in cerca di qualcosa che lo confermi: non troverete un singolo quadretto con su scritto I Luthor sono criminali», alzò il mento, mentre Lois le sorrideva con sfida. «Ora. Volete ancora restare per le vostre e fingere che non parliate della mia famiglia alle mie spalle o provare a ricominciare daccapo e bere qualcosa?».
Lois Lane alzò una mano e si portò in piedi. «Vediamo cosa offri, Lena Luthor», la seguì in cucina e così fece Alex, scuotendo la testa e sbuffando: avrebbe dovuto bere parecchio, se voleva sopravvivere anche a quella giornata. Rimasti soli in soggiorno, sia Clark che James si scambiarono uno sguardo, rimuginando.
Nel frattempo, la volante degli agenti del D.A.O. restò parcheggiata davanti a casa Gand. Avevano dovuto fare il giro tre volte per trovare un punto libero dove farlo, considerando quante automobili avevano circondato la struttura e quante persone, anche a piedi, andavano e venivano dall'interno della casa. La porta era aperta e Rhea accoglieva tutti con modi di fare garbati. Vestita con un completo nero, singhiozzava e si stringeva a chiunque le portasse le sue condoglianze: politici, commercianti, vecchi colleghi del marito e amici, vicini di casa, sconosciuti che erano rimasti colpiti dalla sua improvvisa scomparsa, elettori. Di tanto in tanto, la si poteva scorgere a fare una smorfia con le labbra e asciugarsi delle lacrime fantasma con un fazzoletto che si portava dietro; prima che si fermasse a fissare in malo modo gli agenti di polizia che giravano per le stanze, per lo meno. Le avevano detto che erano lì nel caso si fosse ripresentato suo figlio, ma non riusciva a fare a meno di pensare che fossero spie di Dru Zod inviate per controllarla e non aveva tempo, né l'occasione, per parlare a quattrocchi con almeno uno solo di loro.
Si riavvicinò al tavolino con le foto del defunto marito e i fiori, toccandone una e singhiozzando, facendosi consolare dalle persone intorno. Tutto stava procedendo bene. O così credeva: spalancò gli occhi e il corpo non riuscì a muoversi quando scorse Kara Danvers camminare in mezzo alla gente, sul suo salone. Cosa faceva lì? Come osava? Si mosse spedita verso di lei e, trovandola davanti, improvvisamente la abbracciò. Kara e Megan spalancarono gli occhi e si guardarono, mentre la donna la stringeva tra i singhiozzi. «Kara, non credevo che ti avrei trovato qui. Sono così dispiaciuta di aver fatto il tuo nome, quando è successo. Sono stata un'imprudente, ma devi capire il mio stato d'animo… Volevo solo trovare un responsabile, qualcuno da incolpare per avermelo portato via».
Kara manteneva gli occhi spalancati, ferma come una scultura di pietra. Invece, Megan iniziò a trovare la cosa divertente e a sorridere in silenzio, indicando la donna agli occhi spiritati dell'amica: «Dopo fatti una doccia», ridacchiò e smise subito quando il suo sguardo incrociò quello di una vecchina in lacrime. «No, io… emh. Scusi». Si era completamente dimenticata di dove si trovasse e che non era il caso di ridere.
«Qualcuno da incolpare è piuttosto facile da trovare», emise Kara a bassa voce, mentre la donna prendeva le distanze. «Basterà guardarsi allo specchio».
«Tu stai davvero suggerendo che possa essere stata io? Per quale mostro mi dipingi», sorrise anche solo per un attimo, «… stupida ragazzina?».
«Lo ha ucciso perché voleva confessare?».
«Era diventato un ostacolo. Tu me lo hai messo contro», ringhiò, singhiozzando di nuovo e portandosi il fazzoletto sul naso, incontrando gli sguardi di altre persone e quello di un poliziotto, che salutò con un movimento del capo.
Kara guardò lo strano gesto con sospetto. «Oh, dà a me la colpa? Crede che ogni cosa che non le piaccia sia colpa mia? Dovrebbe andare in psicoanalisi», scrollò le spalle, «Dopo la galera, chiaramente. Suo marito era una persona molto diversa da lei».
«Sì», annuì, «E tra i due, è lui a essere morto», sibilò a denti stretti. «Non paga di avermi messo contro mio marito, ti sei presa anche mio figlio?», la guardò di sbieco.
Megan scambiò lo sguardo con l'amica, accigliandosi. «Non sa dov'è?».
Lei la guardò di malo modo, come se si fosse azzardata a parlare senza averne diritto. «Se lo sapessi, non avrei posto la domanda».
«Non l'ha digerita, non è vero?», riprese parola Kara e la donna la fissò. «Non le piace come sia riuscita a sfuggire a quella poliziotta. Aveva organizzato tutto in ogni dettaglio, fingendosi un mio amico al cellulare. Ma le è andata male. Sono ancora qui». Vide Rhea Gand serrare con forza le labbra e Kara annuì. «Sì, non l'ha proprio digerita. Sappia che sarò pronta! Per qualsiasi cosa, io ci sarò».
Rhea sorrise, passandosi il fazzoletto appallottolato sul naso un'altra volta. «Sono felice che tu sia passata per portarmi le condoglianze, non lo dimenticherò».
Kara annuì e lei e Megan si girarono per andarsene. Si fermarono solo un'ultima volta per guardare Lar Gand in foto e ricordare la sua voce.

Lillian era di cattivo umore. Il suo sogno, o meglio ancora incubo, poi la sua discussione con Eliza, ora sua moglie non era passata nel suo ufficio per pranzare insieme e, quando era andata a trovarla, le aveva rivolto la parola appena. Eliza non conosceva le sue ragioni, non poteva capire il motivo del suo rifiuto, e quel che era peggio, era che non poteva fargliene parola. Era sua moglie, adesso, ma avrebbe dovuto mantenere per sé quel segreto. Lo avrebbe portato nella tomba. Per di più, invece di essere alla Luthor Corp, in quel momento sarebbe stata in viaggio di nozze in costume da bagno e a bere champagne se non fosse stato per quella donna. Era incredibile come Rhea Gand riuscisse sempre a rovinare tutto. Ma non le avrebbe toccato di nuovo la sua famiglia: quella era una certezza e si sarebbe assicurata che lo capisse.
Per questo aveva lasciato detto alla sua nuova segretaria di recapitare per lei un messaggio a Eliza e, verso sera, era uscita dalla Luthor Corp con tutta l'intenzione di fare una sosta prima di tornare in villa. Casa Gand era ancora piena di persone: non avrebbe chiuso quello sciocco teatrino che aveva allestito per almeno un'altra mezzora. Povera Rhea, pensò Lillian, così stanca da tutto quel via vai. Quanti sacrifici per apparire agli occhi della gente come se avesse dei sentimenti. La vide che scuoteva la testa, in un angolo del soggiorno, parlando con alcuni uomini in giacca e cravatta. Quante persone che volevano farle sentire il suo appoggio, a lei, che era il male. A un certo punto pensò di cominciare ad applaudire, piano, godendo della sua espressione sorpresa. Le alzò gli occhi e li spalancò; le labbra le si irrigidirono. Era il momento di calare il sipario. Lillian sorrise, abbassando le mani. «Congratulazioni, Rhea», le disse, mentre molti si girarono per guardarla allibiti. «Sei sempre un passo avanti».
«Come osi?!», starnazzò con odio, mostrando il suo vero volto per pochi, fugaci istanti. Riportò il fazzoletto sul viso e con sguardo intristito si voltò verso gli uomini intorno a lei, stringendo il braccio di uno e sorpassandolo. Le riservò un'occhiataccia, prima di mettersi al centro del salone, accanto alle foto di suo marito, e richiamare i presenti. «Sono molto stanca e ringrazio tutti per essere venuti a salutare accanto a me quel grand'uomo che era mio marito, Larson Gand. Vi sono davvero grata per la compagnia, non lo dimenticherò mai».
«Oh», borbottò Lillian, intanto che le persone si riunivano intorno alla donna per darle un ultimo, compianto saluto prima di uscire. «Non vorrei essere io la causa della chiusura. Mi sarebbe piaciuto esprimere cordoglio di fronte a tutti». Alcuni si avvicinarono anche per salutare lei e si assicurò di essere gentile.
«Bastava una letterina con un fiore, Luthor», le brontolò di rimando a denti stretti, «Senza il bisogno di precipitarti fin qui».
«Giusto. Perché tu sei qualcuno che ama fare le cose con basso profilo, dimenticavo. Per questo quando hai mandato qualcuno a uccidere la mia figliastra, hai creato il panico in una stazione».
Rhea deglutì e sbiancò. Con la paura che qualcuno l'avesse potuta sentire e perché si spingesse oltre, accelerò l'uscita degli ospiti, tirandoli verso il portone e ringraziando tutti, dicendo di avere fretta. Lillian le sorrise compiaciuta, era impossibile non notarlo. Appena la donna riuscì a far uscire tutti, perfino l'ultima vecchina che ancora stringeva in lacrime una foto di Lar che alla fine le regalò, chiuse e si precipitò da lei indicandola con il dito indice destro, furiosa. Davvero furiosa. «Come osi venire qui con quella faccia tosta a rovinare la commemorazione per mio marito?! Come osi accusarmi di fronte a tutte le persone che lui amava?! Con che coraggio ti presenti qui e-».
«Toglimi quel dito dalla faccia, Rhea», esclamò con calma, interrompendola, iniziando a fare un giro per il salone e guardando con dovizia i fiori e le foto, prendendone una in mano: Lar Gand stringeva la mano al sindaco, entrambi con un gran sorriso. «Era un uomo d'un pezzo. Ho sempre pensato che avesse dei ferrei principi, in fondo. Ma con moglie te che riuscivi sempre a mettergli il bastone tra le ruote, non è potuto emergere».
«Che cosa vuoi, Lillian?». Prese fiato, fissandola con occhi iniettati di sangue.
«Siamo entrambe vedove, adesso. Beh, io ho trovato la mia metà, se non altro», rimise la foto sul suo posto, senza degnarla di sguardo. Sentì i passi di qualcuno e poi Rhea Gand girarsi velocemente verso la porta e gridare:
«Esci velocemente da qui, Joyce! Non ti ho chiesto di entrare, sparisci, ti voglio fuori. Fuori». La ragazza scattò e sentirono i passi correre per il corridoio, sbandare, forse urtare qualcosa, ma correre fino a sparire. Così si voltò di nuovo a lei: «Ti avevo detto che non eri capace di pensare alla tua famiglia».
Allora anche Lillian si girò, passando le dita su alcuni fiori e gettando uno dei vasetti a terra, su un tappeto. Sapeva che avrebbe mandato Rhea su tutte le furie e non per niente la fissò in cagnesco, ma senza aprire bocca. «Ricorderai… Quando Lionel morì, ti presentasti a casa mia. Lex era a Metropolis e Lena fuori con il suo fidanzato o chissà con chi altro. Io ero da sola, con Marielle. Ti presentasti per sequestrare i computer, per controllare i documenti, per mettere naso in ogni buco della mia casa. I tuoi uomini erano ovunque». Diede un calcio al vasetto a terra, camminando sul tappeto, facendolo rotolare gocciolante d'acqua fino al pavimento di parquet.
«Tuo marito voleva incastrarci tutti», si difese, ringhiando.
«Non hai trovato nulla», sibilò stringendo i denti, guardandola con odio. «Ti chiesi se eri stata tu a ucciderlo».
«Non ho ucciso io il tuo stupido marito», gracchiò, stringendo i pugni e, per un attimo, indicarla di nuovo. «Lo ribadisco. Se le voci che avrebbe fatto il traditore mi sarebbero arrivate prima, non ci avrei pensato due volte a toglierlo di mezzo io stessa. Ma così non è stato. Si tratta solo di proteggere i propri interessi, lo sai, lo hai fatto tu stessa. Ora ti ergi su un piedistallo come se fossi superiore, ma non sei diversa da me, Lillian. Ti sei occupata dell'autopsia, d'altronde. Perché sai che dev'essere stato uno di noi e hai dovuto proteggere te stessa di riflesso. Siamo due facce della stessa medaglia».
Lillian abbassò una mano e capovolse il tavolino, gettando a terra fiori, acqua, vetri rotti e foto. Ne calpestò una e Rhea la guardò immobile, forse troppo a lungo. «Non mi paragonare a te, vigliacca: hai ucciso l'unica persona sulla faccia della Terra che probabilmente ti amava davvero. Per questo resterai sola con te stessa, Rhea». Si avvicinò a lei e la guardò negli occhi. «Ti chiesi se eri stata tu a ucciderlo, mi dicesti che non sapevi chi fosse stato e che saresti stata felice di ucciderlo tu stessa se fosse stato un traditore, sì. Mi dicesti che non godevamo più della protezione dell'organizzazione. Perché ci eravamo tirati fuori. Non eravamo più i presidenti, ma estranei. Ora ti dico una cosa, Rhea». La prese per il colletto e la donna alzò le mani, ma non provò a sfiorarla. «Avevi ragione: sono fuori dall'organizzazione, non sono più la presidente e non devo prendermi cura della classe beta. Avvicinati anche solo di pochi metri di nuovo alla mia figliastra e ti ucciderò. Invia qualcuno a farlo per te e ti ucciderò. Tocca o manda qualcuno a farlo per te un membro qualsiasi della mia famiglia e ti ucciderò. Dovunque tu sia, ti troverò e dovranno raccoglierti con un cucchiaino». La lasciò e prese passo per uscire.
Rhea trattenne il fiato per un po' e, quando riuscì a respirare di nuovo, la fermò. Non gridò né alzò affatto la voce, in effetti, ma si fece sentire piuttosto chiaramente: «Kara Zor El era riuscita a convincere mio marito a rilasciare un'intervista in cui si prendeva carico della morte dei suoi genitori biologici».
«Non sarebbe la verità?», la guardò di nuovo. «Anche se di certo l'idea non era stata sua…».
«La tua dolce figliastra sta scavando, Lillian. Se arriva a me, arriva a te. Salteranno fuori i nomi di tutti e finirai in prigione. Dalle spazio e un giorno, forse, condivideremo la stessa cella a Fort Rozz».
Lillian non rispose. Preferì andarsene e lasciarla alle sue farneticazioni. Ferdinand l'autista le aprì la portiera dell'auto scura e si accomodò, accavallando le gambe. Farneticazioni, già. Ma i Luthor non erano riusciti a salvare gli El, né forse ci avevano provato abbastanza. Erano colpevoli. Se Kara era arrivata a loro, presto sarebbe arrivata a lei e al suo segreto, e così la sua famiglia, la sua vita… tutto sarebbe stato distrutto.

Era stata una lunga giornata. Clark Kent aveva raccontato di come Zod riuscisse a catturare il suo interesse quando parlava di suo padre, di come lo dipingeva un ragazzo in gamba, intelligente e forte. Di come lui glielo ricordasse, per certi aspetti. Kara volle sapere di cos'era andato a parlare con lui in centrale e Kal scrollò le spalle, dicendogli che lo aveva accolto come un vecchio amico, che lo aveva fatto accomodare e che, alla sua domanda se faceva parte dell'organizzazione che aveva assassinato i suoi genitori, aveva risposto in un modo che forse avrebbe dovuto aspettarsi: Non avrei mai fatto del male a Jor e a suo fratello.
«Quindi è colpevole come i Gand», disse Kara, a quel punto.
«No. O meglio, non ne possiamo essere sicuri», controbatté Lois. «Ha implicitamente detto che ne faceva parte, che ne fa parte tuttora e questo già lo sapevamo, ma che lui non lo avrebbe fatto. Mettiamo che dica la verità e che tutte le storielle strappalacrime che ha raccontato a Clark siano reali: voleva bene al suo studente, allora forse i Gand, i nostri maggiori sospettati-».
Lena deglutì, a quelle parole, abbassando lo sguardo. Lei sapeva per certo che erano stati i Gand: suo padre lo aveva detto a Lex. Però non poteva dirlo o avrebbero voluto sapere come aveva avuto quell'informazione e non era il momento, pensò, lanciando un veloce sguardo a Kara. Era già abbastanza grata che nessuno dei tre avesse detto a voce alta che Lex aveva rivelato il coinvolgimento sicuro della sua famiglia, lasciando il dubbio.
«Li hanno uccisi per lui», continuò Lois, «perché non poteva farlo di persona oppure, come meglio lascia intendere, non lo sapeva», li guardò uno per uno e Lena annuì, mentre Alex sospirò e poi prese parola:
«Non conosciamo che tipo di ordine abbiano o avessero allora le persone che ne facevano e ne fanno tuttora parte. Zod poteva essere un pesce piccolo a cui non dicevano tutto, o lo avevano scavalcato».
«Giusto», annuì a sua volta Lois e Kara aggrottò la fronte.
«Faora Hui parlava di salire classe», disse, ricordando il breve dialogo con lei prima degli spari. «Se mi avesse ucciso, qualcuno l'avrebbe fatta salire di classe. Come un premio. Era lì solo per quello».
«Dunque la loro organizzazione si basa su classi?!», domandò Alex.
«È stata Rhea», rispose e Clark la guardò, prendendole una mano. «Rhea le aveva promesso questa cosa. Dobbiamo incastrarla».


***


Verso tardi, Alex tornò da Maggie che non vedeva l'ora di sfogarsi sulla sua giornata in centrale, mentre Lena e Kara accompagnarono Kal, Lois e James in albergo. Lena aveva provato a invitarli a stare in villa, ma loro avevano già prenotato per quella notte e l'indomani sarebbero partiti presto per Metropolis; dovevano tornare al lavoro.
«Per qualsiasi cosa, Kara. Qualsiasi», Kal l'aveva stretta a sé, «Mi devi chiamare».
«Anche se scopro come sbattere in prigione Rhea Gand?», gli sorrise. «Pensavo volessi restarne fuori».
«Lo volevo», confessò, guardando Lois al suo fianco. «Volevo andare avanti con la mia vita, poi ho conosciuto Zod… Quell'uomo mi era entrato nella testa e-», la scosse, «Ed ero ancora più sicuro di voler andare avanti e lasciami tutto alle spalle. Ma questo riguarda anche te, Kara. Non voglio interessarmi per Zod o per i miei genitori che ricordo appena, ma per te. Voglio esserci per te».
Kara lo strinse più forte e dopo abbracciò anche Lois.
Vicino a loro, nel frattempo, James protese una mano verso Lena che aspettava l'altra vicino alla porta della camera. Lei guardò la mano e dopo lui, così sciolse la posizione rigida e gliela strinse, intanto che il ragazzo sorrideva. «Volevo chiedetti scusa».
«Uh», sforzò un sorriso, «Immagino non sia facile, per te».
«No, non lo è», ridacchiò. «Mi sono comportato da scemo. Non penso che tu sia solo il tuo cognome, voglio che tu lo sappia».
«Lieta di sentirtelo dire».
Clark li raggiunse per salutare Lena e così, rimaste sole, Kara iniziò a ridacchiare e si dondolò sui talloni solo un attimo, guardando Lois di straforo. «A-A proposito di Zod… Mi chiedevo, giusto per curiosità, se potessi dare-».
«No», rispose glaciale e Kara si corrucciò.
«Oh, eddai, non avevo neanche finito».
«Non ti lascerò dare uno sguardo alla mia lista sui possibili membri dell'organizzazione. Kara, potrebbe essere sbagliata e fare dei danni. Non voglio influenzarti e…», prese fiato, bloccandosi, «Onestamente è giusto che tu segua una tua pista, non la mia».
Uscirono dall'hotel con Kara che continuava a sbuffare, in direzione del parcheggio. Il profilo misterioso o Indigo che fosse non aveva ancora visualizzato il messaggio, scoprì Lena dal cellulare, così stava per sospirare che un altro pesante sbuffo di Kara glielo soffocò sul nascere. «Non ha lasciato che vedessi la sua lista, vero?».
«Devo riuscire a convincerla», brontolò, guardandosi intorno in cerca dell'auto. «Ha ragione quando dice che dovrei trovare una pista mia, ma potrei… beh, potrei iniziare a creane una dalla sua. Dopotutto, aveva ragione su Zod».
Lena la guardò furtivamente, poco avanti a lei. «Non ti lascerà mai vedere quella lista», sibilò nel silenzio del parcheggio, avvicinandosi alla macchina.
Kara scrollò le spalle. «E perché mai? Ho capito, non vuole influenzarmi eccetera, però-».
Lena la interruppe, fermandosi, diventando di colpo molto seria. «Perché sopra ci troveresti il nome dei Luthor».
Kara si fermò a sua volta e, in un primo momento seria, poi formò un incerto sorriso. «Che vuoi dire? Lois sospetta dei Luthor?». Il suo sguardo era così fermo, notò. Non stava scherzando? La vide tremare, per un secondo. Diceva sul serio?
Lena deglutì. «Perché è vero, Kara», la guardò negli occhi. «I Luthor ne facevano parte».





























***

E così… uno dei momenti più attesi di questa storia è arrivato… e io ve lo taglio tra un capitolo e l'altro :D Aemh, perdonatemi, ma era d'obbligo!
Questo è un capitolo pieno, tanti avvenimenti e anche qualche chiarezza. Per prima cosa: il rilascio di Rhea. Davvero Zod non aveva altra scelta? Maggie vuole ancora credere in quell'uomo, nonostante ora sappiano per certo che è parte dell'organizzazione. Abbiamo scoperto che Clark lo conosce: gli parlava di suo padre tempo fa perché era stato un suo insegnante e, per questa ragione, era entrato nel “libro nero” di Lois. Nel flashback d'inizio, vediamo Rhea scaldare gli animi nel gruppo e Astra attaccarla, convinta che potesse davvero parlare con la sorella e farle cambiare idea, mentre Zod entra per ultimo, arrabbiato, e fa notare alla prima di non aver avvertito i presidenti della riunione. I presidenti erano nientepopodimeno che i Luthor! Ve l'aspettavate? A confermarlo le stesse Rhea e Lillian nel loro confronto. Le loro discussioni sempre sul filo del rasoio, eh XD Anche grazie a loro abbiamo qualche informazione importante sulle classi citate nel flashback e da Faora nel capitolo prima. Vi siete fatti un'idea?
Intanto, con la scoperta del lavoro di Alex, salta anche la copertura di John. Kara è arrabbiata, ma se non altro ha ripreso a parlare con la sorella. Nel frattempo, gli Affari Interni hanno parlato con Alex e John di Faora Hui e pare che ora siano preoccupati che li costringano a chiudere la loro indagine contro l'organizzazione. Sta passando dei guai anche Maggie perché la sua ragazza ha sparato a un'agente!
E non dimentichiamo della discussione tra Lillian ed Eliza: c'è stato un piccolo fraintendimento, ma dopotutto, Lillian non può spiegarsi meglio di così. Quella donna non accetta davvero che le loro figlie possano stare insieme!
E ora… sì, finalmente Lena sta vuotando il sacco con Kara. Se solo Clark, Lois o James avessero detto, a voce alta, quando tutti erano presenti, che era stato Lex a dire al primo dei Luthor che al tempo erano coinvolti, sarebbe stata la fine. Lena ci ha provato e avrebbe potuto insistere che era ancora tutto da dimostrare, ma era davvero sollevata che non avessero continuato perché, a quel punto, la discussione sarebbe degenerata e non sarebbe finita bene. Ora ha il tempo di dire tutto a Kara, da sole. Ma come la prenderà la ragazza?

*yumm*

Con questo capitolo, festeggiamo il compleanno di questa storia su EFP!! Esattamente un anno fa, pubblicai il prologo e, senza dubbi, non mi aspettavo che a distanza di un anno sarei stata ancora appresso a questa fan fiction (ma quanto sono lenta D:)!
Piccole curiosità ~

- Quanto è cambiata questa storia da quando l'avevo in mente un anno fa ad oggi? Tantissimo. Avevo in mente delle linee base, dei punti “focali” per orientarmi, un'idea di alcuni personaggi da inserire e quando, ma la verità è che la cosa si sta trasformando tantissimo intanto che vado avanti nella scrittura e nello sviluppo mentale. Mi sono più chiare alcune cose che prima avevo solo abbozzato e altre si spiegano, ho dovuto aggiungere personaggi che all'inizio non mi aspettavo (perfino Zod che ha ricoperto un vuoto, diventando importante ai fini della trama), e mi sono resa conto, da sola, di quanto sia grande, in un certo senso, l'intreccio all'interno della storia e quanto curioso il rapporto causa/effetto degli eventi che mi portano ad altri eventi. Che poi l'idea di base è banalissima XD

- Ebbene, lo confesso: quando ho iniziato a scrivere questa storia c'erano due possibili svolgimenti e tutto partiva dalla morte di Lionel Luthor. La sua morte è il centro della fan fiction. Da quello, c'erano due strade:
  • non investigare sulla sua morte, percorrere i punti focali comuni (uno dei quali, era la separazione di Kara e Lena), qualche grattacapo (Rhea, ad esempio) e andare dritti all'obiettivo sul finale
  • investigare sulla sua morte, percorrere i punti focali in comune e avere problemi grossi, scoprire l'assassino, dare potere all'organizzazione (che, nella prima strada, sarebbe stata solo di sfondo e non trattata) e andare dritti verso l'obiettivo sul finale
Indovinate quale ho scelto? XD I primi capitoli erano in comune a entrambi, dall'ottavo avevo già scelto la mia strada (se ricordate, a un certo punto nelle note vi avevo chiesto cosa ne avreste pensato del cambio di rating da giallo ad arancio: ora non ricordo quando esattamente l'avevo chiesto, ma lì avevo già scelto quale strada percorrere), contando sulla morte dei genitori di Kara che, nella prima strada, non sarebbe stata quasi affrontata. Cosa mi ha fatto scegliere? Una serie di elementi: i vostri commenti a proposito sulla morte di Lionel, il fatto che la seconda strada sarebbe stata una sfida personale più ampia e la mia ispirazione, senza dubbio, mi ha portato lì. Sapete il sesto senso? Quello. Come se i personaggi nella mia testa avessero voluto approfondire e percorrere per bene ogni passo di questa storia. Ho capito di aver preso la strada giusta quando la mia mente ha cominciato ad aprirsi a tantissimi scenari in cui sarei arrivata. L'assassino di Lionel Luthor solo nella seconda strada sarebbe saltato fuori: merita di essere scoperto e di poter raccontare la sua versione, perché è successo.
C'è solo una “piccolissima”, anzi tre, cosette che mi fanno temere ogni volta per aver scelto questa strada. Non che comunque me ne penta, sia chiaro, sono felice di poter esplorare meglio e nel dettaglio ciò che avevo in mente, perché nella prima strada questo mi sarebbe stato impossibile, però… La prima è la paura di essere meno seguita: se è pur vero che scrivo per me stessa, ricevere i vostri pareri è importantissimo che non ne avete idea e pensare che possa annoiarvi, beh, mi mette un po' “paura”. La seconda è la paura di non riuscire a realizzare per bene ciò che ho nella testa. E la terza è… ma porca miseria quanto sto scrivendo; è OVVIO che, con la prima strada, avrei concluso molto prima, ahah! La lunghezza di questa fan fiction mi preoccupa.

- Giusto, per l'appunto, quante pagine di LibreOffice ho scritto finora? Dopo un po' che il file dei capitoli diventa troppo pesante, ne devo aprire uno nuovo. Due settimane fa ho iniziato il terzo file. Per ora, sommando quelle scritte nei tre file, sono 542 pagine… Ed è in corso!

- Quanti capitoli saranno in tutto? Non ne ho idea! Che meraviglia (a-i-u-t-o).

- Dall'inizio, scrivo in un foglio di Blocco Note sul pc le linee base per i capitoli a seguire fino a un certo punto. Man mano che vado avanti nella scrittura, mi tocca rifare quella sul Blocco Note perché non va già più bene, diventa obsoleta in poco tempo. Quindi potete immaginare quanto tutto cambi durante la stesura da capitolo a capitolo.

- Una cosa curiosa che sarebbe dovuta accadere e che invece non accadrà mai: Lena avrebbe dovuto avere una mezza storia con James Olsen. Non accadrà mai perché Lena a un certo punto si è scoperta gay (grazie, Leslie) e no, non era una cosa programmata ma è successa e basta. E sta bene così.

- Un'altra cosa curiosa che non avevo programmato dall'inizio ma che, alla fine, si è rivelato necessario perché mi aiuta tantissimo ad approfondire e fare il punto della questione sulla trama sono i capitoli stand alone. L'unico che avevo seriamente programmato dall'inizio è stato il capitolo quattro, quello di Lillian ed Eliza, perché mi sembrava doveroso far capire ai lettori come le due erano finite assieme o ci sarebbe stato un buco. E da lì ho iniziato a programmare gli altri, come ad esempio quello su Kara e Alex che diventano sorelle, che è stato uno dei primi a venirmi in mente.
Ancora adesso non so bene quali saranno i prossimi stand alone, lo capirò dallo svolgimento della trama quale personaggio, o rapporto, merita di essere approfondito in quel preciso momento.
 

- Una piccola curiosità che riguarda me e il mio legame con la fan fiction (e lo so, non ve ne frega una cipolla): sono dislessica. Amo scrivere e non è stato così da sempre, anzi, un giorno ho semplicemente iniziato e non ho più smesso, nonostante tutto. Ho scoperto di esserlo circa due anni fa, quando volevo diventare scrittrice e provai a pubblicare. Ricevetti una recensione così brutta che mi buttò giù per diverso tempo. È grazie a quella brutta recensione, dopo una vita di non fai abbastanza, non ci sei ancora, sei bravina ma, potresti fare di più e via discorrendo, che cercai risposte sulla mia incapacità di emergere. È stato “bello” scoprire di esserlo, perché aveva tutto senso, compresi alcuni comportamenti, ma “brutto” perché dovevo accettare che non sarei mai stata davvero brava. Questo mi aveva portato a non scrivere più, e così è stato per quasi un anno. Sapete qual è stato il mio nuovo inizio? Esatto, questa fan fiction. Ho ripreso a scrivere da qui; era un esperimento, una sfida contro me stessa.

*yumm*

Dopo tutta questa marea di informazioni non richieste, vi propongo, se vi va, di rispondere a una mia domanda, ora che siamo arrivati fin qui: secondo te, chi ha ucciso Lionel Luthor? Domanda di riserva se non vi piace l'altra o non sapete che dire: secondo te, chi si nasconde dietro l'identità di X?
Sono giusto curiosa di leggere le vostre idee, se ve le siete fatte! Non abbiate paura di dire "castronerie", tanto non risponderò a nessuno con sì, è giusto, o no, è sbagliato XD E anche perché, ora come ora, potete solo formulare ipotesi. Se, al contrario, avete voi una domanda da fare a me, sono a vostra disposizione ;)  

Bene. E dopo aver scritto tante note quasi quanto è lungo il capitolo, vi lascio! L'appuntamento è per sabato 16 con il capitolo 39, Smettere di scappare. Avete idea di cosa accadrà?



   
 
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