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Autore: Snehvide    08/02/2019    4 recensioni
“Non mi sento molto bene-“ di questo se ne era accorto da solo, ma sentirlo da Sam fa un altro effetto.
È il suono della sconfitta, della disfatta più totale.
Sam non può ‘non stare bene’. Non è fatto per ‘non stare bene’. Non davanti ai suoi occhi.
Dean stira gli angoli delle labbra in una linea sbilenca, prende un respiro con entrambe le narici.
Il bizzarro ingranaggio che lo porta ad attribuirsi qualunque responsabilità dei ‘non stare bene’ di Sam è già attivo da un pezzo (e questa volta, ha anche ragione).
.
[Ambientata subito dopo la 2x11] [Sick!Sam/Caring!Dean]
WARNING: TRIPUDIO di Hurt/Comfort e Angst, Cure mediche IMBARAZZANTI.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Seconda stagione
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He swore by grass, he swore by corn
(that his true love had never been born)

– SESTO CAPITOLO –

 

Dean non può dire di aver dormito, ma può almeno consolarsi dicendo di aver riposato un po’.
Sam è rimasto nella stessa posizione per tutta la notte, le braccia pigramente distese di fronte al volto, le gambe intrecciate tra loro, abbandonate a un materasso così morbido da ingoiarle in una sorta di solco.
Questa immobilità, per Dean, è stata insopportabile. Si è ripromesso di non disturbarlo, di permettere al paracetamolo di fare il suo lavoro, lasciarlo sfebbrare in santa pace. Non ha saputo resistere alla tentazione di tastargli di tanto in tanto il viso e il collo, però. Ha controllato ad intervalli casuali che Sam non stesse vegetando nel suo stesso sudore, e quando questo ha cominciato ad apparire sul serio, sotto forma di una patina vischiosa sulla sua fronte, Dean si è sentito realizzato, soddisfatto, sollevato. Rannicchiato su se stesso, Sam batteva i denti dal freddo, e Dean sorrideva. Asciugava il volto ancora più pallido e smunto di prima, bisbigliava incoraggiamenti come fossero frasi d’amore, e sorrideva. Come un deficiente.

Sì, non può dire di aver dormito; forse non può neanche dire di essersi riposato, in realtà. Ma alle prime luci dell’alba, quando la fronte di Sam è apparsa quasi fin troppo fresca al tatto, Dean si è sentito come non avesse perso un solo minuto di sonno, quella notte.
Volge lo sguardo fuori dalla finestra. Sono le sette di un luminoso mattino di inizio settembre e di fronte al motel, una piccola tavola calda senza insegne sta riaprendo i battenti.
Lo stomaco di Dean avanza delle proteste: non mangia da almeno ventiquattro ore; gli viene in mente solo adesso. Ha tutte le ragioni del mondo per essere incazzato.

Il suo sguardo scivola istintivamente verso il vero responsabile – seppur involontario – del suo digiuno: Sam sta ancora dormendo, pacifico come la Biancaneve di una illustrazione antica. Dal suo labbro inferiore, un filo di bava si è allungato lungo la sua gota sinistra sino a raggiungere federa celeste del cuscino, tingendola di una tonalità più scura. Già da un po’, il sole ha preso a farlo risplendere come fosse un piccolo rivolo ghiacciato, e Dean pensa che, se non è stato in grado di infastidirlo quel bagliore, probabilmente non sarebbero stati in grado di infastidirlo neanche i suoi cinque-sei minuti di assenza. Si alza dalla poltrona, asciuga la guancia di Sam, infila la giacca: sì - si dice ancora - Sam non oserà certo svegliarsi nei pochi istanti in cui sarà a prendere del cibo, dopotutto.
Non dopo tutto quello che ha fatto per lui, dopotutto.

-

“Sto bene,” dice Sam, eppure il pallore che Dean ritrova sul suo volto gli racconta tutt’altro.

Quando ha riaperto la porta, il maggiore dei Winchester si è ritrovato di fronte ad uno spettacolo che la sua mente aveva già formulato in due-tre versioni differenti; nessuna di essa prevedeva di ritrovare Sam ancora addormentato (quella sì che sarebbe stata una autentica sorpresa), per cui, non può dire di essere stato colto impreparato. Sam non era mai stato un tipo riconoscente.

È seduto sul bordo del letto, come in preghiera. Ha gli occhi chiusi, il mento chino sul petto, entrambi i piedi fissi sulle assi di legno del pavimento.
Tiene le mani serrate al bordo del materasso quasi a cercare un equilibrio che la vertigine sembra non voler restituire, non solleva neanche la testa quando Dean è di ritorno.

Per effetto della controluce (perché deve essere sicuramente un artificio di essa), Sam appare infinitamente più magro di quel che è; nel suo corpo seminudo, Dean ha quasi l’impressione di poter vedere la silhouette di una creatura non umana; nel tempo che la sua mente impiega ad accostare un “creatura” a un “non umana”, Dean è già piombato nell’orrore e nella negazione di ogni cosa.

Poggia il sacchetto di bagels sul tavolinetto accanto alla porta, si inginocchia di fronte a suo fratello. Gli prende il viso tra le mani. Lo stringe forte, quasi tema che qualcosa possa strapparglielo via.

“Hey,”

È da un po’ che i suoi occhi non si incontrano con quelli di Sam così da vicino; sono lucidi, umidicci e assonnati. Ma anche limpidi come quelli di un Sam di sei anni di una fotografia conservata da qualche parte nell’Impala.
“Ti sei svegliato,” dice, mentre un sorriso si allarga sulla sua bocca, e il palmo della sua mano scorre sul volto consunto di suo fratello; è certo di avere un’espressione terribilmente stupida mentre lo fa, perché riesce a leggere quasi compassione negli occhi di Sam, ma non gli importa. “Stai meglio?”

Questo annuisce prima ancora possa commentare, libera le tempie dalla sua stretta, scansa le braccia con un gesto lieve del gomito; dal modo in cui rovescia la testa all’indietro e ingoia saliva, Dean capisce che Sam deve stare di nuovo male; deve avere di nuovo la nausea. Le labbra sono talmente pallide da non sembrare neanche labbra; specie quando le stira in una linea sottile verso l’interno.

“Torna a letto, dai-“ Una pacca alla spalla, poi Dean si piega a raccogliere le gambe nude da terra e issarle sul letto; Sam non è dello stesso avviso, però. Scuote la testa, si distanzia dalla presa.


“Devo andare in bagno-”annuncia; l’idea di sollevarsi sulle proprie gambe non l’ha ancora abbandonato, e Dean è abbastanza intelligente da capire da quel tono che forse, non è davvero il caso di ostacolarlo.
La dimostrazione della sua debolezza però, arriva da sé. Barcolla non appena muove i primi passi, le ginocchia si piegano come prive di ossa; Dean lo recupera prima che possa davvero fare un incontro ravvicinato con il pavimento.

“Vacci piano!” rimprovera; L’incavo del fianco di Sam su cui si cinge il suo braccio, sembra non avere altra funzione che essere cinto dal suo braccio in situazioni simili. È perfetto.  Passa anche un braccio intorno alla spalla, attende che Sam riprenda fiato.

“Ti ci porto io-” afferma, mentre con la punta delle dita recupera una camicia da una sedia e gli copre le spalle nude (nella sua lunga notte insonne, ha avuto tutto il tempo per impilare un cambio pulito di Sam su una sedia, in previsione di un suo risveglio).

Sam volta la testa, gli lancia uno sguardo indispettito, ma non protesta. Il bagno è, grazie a Dio, a meno di due metri dal letto. Accende la luce, abbandona Sam al suo interno, socchiude la porta. Il ‘chiamami se hai bisogno’ scivola nell’inascoltato, insieme a tutti gli altri chiamami se hai bisogno del passato.

Sam esce dal bagno cinque minuti dopo; Dean non ha tempo di domandargli se ha bisogno di una mano, perché è talmente chiaro che ne abbia che un’ulteriore domanda al riguardo sembrerebbe una presa per il culo.
Lo recupera sullo stipite della porta, talmente esausto da fargli credere essere ad un passo dal perdere i sensi.

“Quella è la mia maglietta preferita,” indica Sam con un cenno del mento fintamente sarcastico. Ha dovuto trovare una distrazione che dissimulasse il piacere dell’essere riadagiato sotto le coperte.

“Sempre detto che hai dei gusti di merda,” afferma Dean dando un’occhiata veloce alla maglietta color prugna che ha indosso. “Qualcuno ha pensato bene di imitare Regan MacNeil sui miei ultimi indumenti decenti, dunque mi sono dovuto arrangiare. Te la tratterò bene, non preoccuparti.”

Poco convinto, Sam soffia dalle narici; non fa storie neanche quando Dean fa scivolare la sua mano sulla sua fronte alla ricerca di un calore sinistro, tramutando poi il gesto in un qualcosa fin troppo simile ad una carezza. “Non è stato un bello spettacolo, vero?”

“Bah, nulla che non abbiamo già visto durante una caccia. Avrò visto una ventina di mostri esplodere più o meno in quel modo, tranquillo. Ricordi quel chupacabra di Milwaukee? Puah...”

Sam solleva un sopracciglio, finge di richiamare un ricordo seppellito da tempo, mentre fa aderire pigramente le vertebre ai cuscini che Dean ha sistemato sullo schienale del letto.

“Papà aveva finito la benzina, così lo abbiamo riempito di petardi e fatto esplodere...”

“Sognava da una vita di farlo, non vedeva l’ora.”

“Già...” Sorride Sam; rimane fin troppo tempo a navigare tra i pensieri, e questo a Dean non piace, perché ha come l’impressione di poter vedere la sua espressione mutare, e non fatica a immaginare quale oscuro pensiero sia tornato a rispolverare. Il sacco di bagels che raccatta dal tavolino e lancia sul suo grembo è quanto di meglio riesce a inventarsi per scostarlo da tale voragine.
Un giorno, ne è certo, lo racconterà ai posteri (leggasi: a Sam) e ne riderà.

“Colazione!” esclama, e il silente sguardo incredulo che riceve ha un che di offeso. Dean fruga sul grembo di Sam, trova una ciambella al bacon, ne scarta l’involucro macchiato di olio mentre la camera si riempie di nuovi odori. Misto a quello di sudore e a quello acre di tabacco scadente di cui erano impregnate le vecchie carte da parati, il puzzo di frittura divampa quasi all’istante, caldo e penetrante.

“Non ce la farò mai a mangiare una roba simile, Dean.” Sam distanzia il volto, disgustato.

Prevedibile.

“Guarda bene.” Vorace, Dean stacca un morso. Il pane scrocchia sotto i suoi denti, fragrante e saporito. Si affretta a masticare e ingoiare con la fretta di chi sta per giocare il suo asso nella manica. “Il tuo è alla marmellata. Non ho neanche fatto mettere il burro. Non c’è di che.” Si lecca le labbra.

Sconfitto, Sam storce il naso; ha un mezzo sorriso di compassione, quando afferra senza voglia il bagel incartato nell’involucro meno oleoso (e suppone sia quello, il suo) e lo rigira tra le mani quasi a sperare in un singolare gioco di prestigio che possa farlo sparire.
Tira un sospiro, reclina la testa all’indietro, chiude gli occhi quando la nuca tocca il capezzale del letto.

“Dean, non ho voglia di mangiare... “

Seduto all’indiana sulla poltrona, Dean beve un sorso dal suo caffè; è ancora caldo, si ustiona un po’ la lingua. Solleva un dito con supponenza.

“Risposta sbagliata. Devi mettere qualcosa nel tuo stomaco, Sammy, avanti. Fai un paio di bocconi.”

“Non mi va davvero.”

“Solo un paio di bocconi. So che puoi farlo.” insiste, ruota il bacino verso il tavolino alle sue spalle. “Tieni, ti ho preso anche una camomilla.” La tazza di carta non brucia più come prima, si sporge lentamente verso Sam, la poggia con cautela tra le sue mani. “Penso farà piacere anche al tuo pancino delicato.” ironizza.  “Adesso forza, fa’ colazione.”

Con la nuca ancora sul bordo del capezzale e la camomilla in bilico tra le sue mani, Sam sospira ancora – il suo sospiro è quasi un gemito.
Guarda in avanti.

“Non morirà nessuno se per un giorno non mangio.”

“Un giorno?” Dean dispiega le gambe, non può rispondere a una simile insinuazione senza sentire la solidità del pavimento sotto i calcagni. “Sam, non fai un pasto decente da settimane!”
Quattro giorni, con l’esattezza. Ma era una specifica di cui nessuno dei due ha bisogno. Restare sul vago è l’unico modo per sviare l’argomento senza realmente sviarlo. Forse.

“Non è vero.” Le parole lasciano le labbra di Sam senza alcuna forza; probabilmente, non si è accorto neanche lui di averle fatte scivolare fuori, erano partite in automatico, come di riflesso.
Il minore dei Winchester solleva la nuca, distoglie lo sguardo. Dean può già vedere il respiro affannoso di una collera montante muovergli il petto, come se avesse bisogno di riempirsi, espandersi, trasformarsi in qualcos’altro prima di poterlo affrontare.

“Ho visto il modo in cui ti stai distruggendo, Sam. Non credere io sia così stupido da non accorgermene.”

Dean sente che basta una frase; una sola, semplice frase da parte di Sam – anche solo un cenno, non importa di che tipo, o di che natura, gli basterebbe anche solo un respiro, in verità - per esplodere. Per tirare fuori tutto quello che non ha tirato fuori in quattro giorni (e forse anche di più, anzi – sicuramente di più) e scaraventarli lì, su Sam – che non c’entra proprio niente con la situazione, tutt’altro. È Sam che dovrebbe essere lì, al suo posto, incazzato come una belva per averlo reso partecipe di un ordine che non avrebbe mai dovuto conoscere. Per aver mandato a puttane il suo compito (proteggerlo, sempre e per sempre) in un singolo istante e diavolo! Adesso è lì pronto a sacrificarlo come un agnello in nome della sua idiozia, ma questo ragionamento mentale è troppo complesso per trovare spazio tra l’assenza di sonno e la sua disperazione, per cui sì, gli basta anche solo una frase, una sola – e, signore e signori, il disastro è servito.


Ma non arriva. Non arriva nulla.

Detentore di una saggezza che forse non sa neanche di avere, Sam fa esattamente ciò che dovrebbe fare per disinnescare l’ordigno. Non ha parole per rispondere alle sue accuse: ha gesti.
Poggia la camomilla sul comodino al lato del letto, si china sulla ciambella. La scarta piano, in punta di dita. Sotto lo sguardo confuso di Dean, lo avvicina alle labbra e ne mangia un pezzo. Poi ancora un altro. Piccoli bocconi senza sapore. Più una tortura che altro, e cazzo se Dean ne è infastidito. In barba a qualsiasi logica reazione, sente tutta la calma ostilità di Sam risalirgli come un formicolio dai talloni sino al petto, e non saprebbe dire neanche il perché. In fondo, Sam sta mangiando, ed è quel che basta, si dice. Come e in che stato d’animo lo faccia, ha poca importanza.
Ciò non toglie che sia uno spettacolo difficile da sopportare alla sua vista, quindi, per il bene di tutti, Dean decide che è tempo di prendere una boccata d’aria, restare un po’ da solo, magari andare a ripulire l’Impala dal vomito di ieri, ha davvero l’imbarazzo della scelta; ma alla fine, di fronte al modo in cui Sam regge quel bagel tra le mani, al modo in cui ingoia, in cui deforma le gote mentre mastica automaticamente e dolorosamente quel pasto, tutte le opzioni si annullano di colpo, e la fiancata libera del letto di suo fratello, è l’unico posto in cui Dean sente di dover stare.

“Vieni qui,” sussurra, mentre preme il viso bagnato di Sam contro il proprio petto, e i capelli annodati si impigliano alle sue dita spalancate, i loro fianchi si toccano. “Andrà tutto bene, fratellino.”

Dritto di fronte ai suoi occhi, può vedere dalla finestra dei bambini in attesa dello scuolabus fare acrobazie su una staccionata. Ha l’impressione che le loro risa vadano di pari passo ai singhiozzi che Sam soffoca sul suo petto, riscaldando con il suo fiato la maglietta che dovrà sicuramente lavare a parte se non vorrà ritrovarsi tutte le mutande di un tenue color lavanda; ma andrebbe bene lo stesso, Sam ha dei gusti di merda anche nello scegliere la biancheria, ed è certo che non gli dispiacerebbe poi così tanto, pensa mentre passa una mano dietro la sua nuca e rafforza la presa intorno alle spalle, e cazzo, dovrebbe davvero costringerlo a finirlo quel bagel (e altri dieci di questi, tipo), non ricorda davvero delle ossa così sporgenti in suo fratello, sono appuntite e disperatamente simili a quelle delle ragazze che abbraccia per una sola notte, e non è così che le ricordava; non è così che dovrebbe sentirle.
Poggia il mento su quell’ammasso annodato e arruffato che ha per capelli, trattiene il fiato mentre continua a sentirlo sussultare. “Risolverò tutto, Sammy.” Come no. Vorrebbe davvero vedersi mentre trova un modo per farlo. Lascia cadere un bacio impercettibile al centro della testa quando è certo che Sam sia troppo impegnato a riprendere fiato per percepirlo; ha bisogno di qualcosa altrettanto patetico su cui deviare l’attenzione.
Rimane così per almeno un quarto d’ora. Quando Sam allenta la presa delle dita sulla non-proprio-sua maglietta e sfiata, il suo volto è un disastro che non tiene a far vedere (né Dean ha intenzione di vederlo, per carità–). Lo stringe ancora – pure più forte di prima, se proprio vogliamo dirlo – mentre distende le spalle contro il cuscino. Piega un gomito dietro la propria nuca, fissa un angolo ammuffito del soffitto, e la testa di Sam preme calda e umida sul suo costato, quasi volesse essere certo di avergli lasciato ancora qualcosa a battere lì sotto.

“Un giorno dovrai farlo.” Viene fuori davvero malissimo. Tira su con il naso, ci riprova. “Me lo hai promesso.”

Vorrebbe dirgli che se proprio ci tiene, allora quel giorno dovrà arrangiarsi da solo, ma in quel momento non è certo di riuscire a spiegarlo. Non è certo neanche di poter pronunciare il suo nome, in realtà. Quindi lascia perdere.

Nella penombra, in silenzio, Dean ricerca ancora le ciocche sulla fronte di Sam, le sposta in alto per tastarne la fronte.

“Ti salirà di nuovo la febbre se non ti darai una calmata.” Può sentirlo già più caldo di prima, ma non ne è sorpreso. Intravede la punta dell’orecchia paonazza, e non è difficile immaginare di che colore possa essere il resto del viso.

“Me lo hai promesso, Dean.” Indurisce il tono. Crede di fargli paura (e in effetti, gliene fa).

“Ti ho anche promesso di darti tutte le mie cassette del gameboy, o che avrei convinto papà a prenderti un cucciolo ogni qualvolta cambiavamo città, o di dire a Lizzy Lee che mi è dispiaciuto darle buca al ballo di fine anno – ti ho fatto tante promesse...”

Sam rimane tanto immobile da sembrar smettere di respirare; Dean non vuole davvero credere che il suo rifiuto non sia qualcosa che non abbia preventivato.

“E poi, voglio dire – come faccio a capire quando dovrei farti fuori? Mi darai un segnale, non so – ti si accenderà una spia, emetterai un segnale acustico, qualcosa?” ironizza, spezzando l’aria satura di parole. “Magari passerai la giornata a vomitare, friggere e imprecare come ieri, e io potrei ricevere segnali fraintendibili. Poi scoprirò che mio fratello è posseduto da un virus, e non da un demone, o mostro, o qualunque...cosa sia! -  e così avrò fatto fuori il mio unico fratello quando avrei potuto semplicemente chiedere aiuto a dei trafficanti di metanfetamine, infilargli un paio di supposte su per il culo, e tenermi il mio rompicoglioni preferito.”

Sam inspira, lascia che le parole riposino nel silenzio sino alla loro giusta lievitazione; poi, con una spinta dei gomiti si solleva, torna seduto. Ha gli occhi gonfi e il viso con delle chiazze rossastre e Dio, sono secoli che Dean non vede il viso di Sam in quello stato. Probabilmente, Sam può anticipare i suoi pensieri ma fa del suo meglio per dissimulare ogni sospetto. Lo trafigge con lo sguardo. Il cono d’ombra che proietta lo fa risplendere come una creatura a cui Dean non vuole paragonarlo.

“Il culo mi brucia ancora, sappilo.”

Ed è finita. È il segnale, e non quello che temeva.

Dean può sgonfiare il petto, rilassare i muscoli del viso, rilasciare la tensione in un ampio sorriso mentre osserva Sam distorcere le labbra pur di non emularlo.
Allarga le braccia, fa spallucce. “Certo che ti brucia il culo. Mi stupirei del contrario, voglio dire – che razza di culo pensi di avere?”

Il maggiore dei Winchester allunga un braccio verso il comodino. “E sappi che brucerà ancora se non finisci la tua colazione e non ti spalmi su quel letto. Come vedi, ne ho una scatola piena di questi cosi infernali.”

La scatola di supposte sventolata da Dean tra le dita è l’unica cosa in grado di portare lo sguardo di Sam altrove. “Dio...” bofonchia incredulo, il volto adesso uniformemente scarlatto.

“Non credere che io mi sia divertito, ma insomma – non potevo venir meno al mio lavoro” sorride Dean, il sarcasmo ci mette un attimo a scivolare inevitabilmente nell’imbarazzo.

Sam recupera il bagel dalle coperte, lascia che Dean sistemi il copriletto sulle sue gambe.

“Il tuo lavoro comporta dei doveri.”

“Solo uno,” sussurra distrattamente mentre porge nuovamente a Sam la sua camomilla (adesso appena tiepida). “Ne ha sempre e solo uno, Sammy.”

Sam solleva lo sguardo, incontra i suoi occhi senza parlare. Dean può vederlo ingoiare qualcosa, stirare le labbra nel più amaro dei sorrisi.

Fine

 

-

Note:

-          E siamo giunti al finale di questa inutilissima porcheria –che dire, spero vi sia piaciuta! XD Io non ne sono particolarmente soddisfatta; sento che poteva venir fuori qualcosa di migliore, ma pace. Ormai è andata. Spero di poter fare un lavoro migliore in futuro. Ad ogni modo, grazie di cuore per aver letto e commentato. Inizialmente era pensata come oneshot, ma successivamente, vista l’eccessiva lunghezza, è stata divisa. Penso sia stata una scelta saggia farlo. XD Immaginatevi che pippone estremo sarebbe stata!

-          Pensavo di creare un piccolo sequel un po’ kinky con Sam che –ahem – ha una breve ricaduta. Vi lascio immaginare perché (in fondo, dopo un po’, le medicine scadono *ahem* *ahem* e Dean di supposte ne ha ancora tante...*ahem*). Devo un po’ decidere se continuare a gettare il mio tempo scrivendo certe boiate o finire finalmente quei progetti “seri” che attendono da un’enormità.

-          Un grazie infinite a Nattini1 per aver betato questo capitolo ed essere sempre stata così supportive! <3 Grazie mille!

   
 
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