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Autore: Miryel    09/02/2019    33 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 3588 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





•  •  •
«I don't know why you say goodbye,
I say hello»
•  •  •



 

Capitolo I. Don't Let Me Down

 

 

«Hai sentito? Parker se ne va.»

Quanto facevano male, le parole. Specie quando non avevano alcuna intenzione di ferire; e fu quasi incapace – per la prima volta da quando era venuto al mondo – di celare il suo sgomento. Avrebbe voluto fare tante di quelle domande in proposito, e ricevere le risposte che cercava, solo per non doversi abbassare a dover porgere quei quesiti proprio a Peter. Non avrebbe mai avuto il coraggio di mostrarsi anche solo un minimo colpito da quella notizia. Troppo orgoglio, ogni minuto più forte. Si stava rovinando la vita e il carattere e l'esistenza. Eppure non riusciva nemmeno a provarci, a cambiare. Nemmeno per qualcosa che, un tempo – e forse ancora – aveva significato il mondo, per lui.

«Parker?», sbuffò divertito, «E dove se ne andrebbe? Per quel che mi importa, poi…»

Steve alzò le spalle. «Che vuoi che ne sappia? Cambia scuola, ha detto. Stamattina non è venuto a lezione. Credo abbia consegnato il nulla osta in segreteria.» Certo che non si era presentato a lezione! Come se Tony non lo avesse notato, che quella mattina non c'era davanti al cancello d'ingresso. Come se Tony non lo osservasse abbastanza ogni giorno, da lontano, in attesa del momento giusto per avvicinarlo e chiedergli scusa per quello che era stato capace di fare. Ben sapendo poi, che se Peter stava cambiando scuola, la colpa era anche sua.

«Perciò addio Olimpiadi della matematica. Senza Parker sono perse in partenza», commentò, e negli occhi di Steve scese un velo di delusione. Palese.

«Davvero? Questo è tutto ciò che hai da dire? Non dovresti tipo andare da lui e chiedergli perché ha preso questa decisione così all’improvviso?» All’improvviso? No, non era successo all’improvviso...

Tony scrollò le spalle. Incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo. Cercò di evitare di esporsi ancora, rivolgendo la sua attenzione al di fuori del finestrino dell'autobus, che ora si era fermato ad un semaforo. Gli occhi di Steve continuavano giudiziosi a colpirgli l’anima e la coscienza. Facevano male, ed erano sempre più pregni di accuse.

«Lo sai. Io e Peter non ci parliamo più… da un secolo, tipo», mormorò, poi sospirò.

«Magari è il momento giusto per ricominciare a farlo. Chiedendogli perché ha deciso di punto in bianco di cambiare aria.»

«Beh, sai cosa c’è, Rogers? Non mi interessa», sbottò Tony, in risposta, e continuò solo a guardare fuori. Il braccio appoggiato al finestrino e la mano a sostenere il mento, come se dopotutto non gli interessasse davvero.

«Bugiardo», gli rispose Steve, in tono aspro. E fu la stessa accusa che si autoinflisse poco dopo, quando aprì la porta di casa e lo accolse il silenzio della solita solitudine di cui ancora non riusciva ad abituarsi totalmente, perché aveva perso i suoi genitori, aveva perso la voglia di fingere che stesse andando tutto bene e aveva perso Peter. C'era riuscito, a perderlo, infine. Non era stato capace di tenerselo stretto, malgrado l'altro avesse sempre dato segno di non volersene andare… e lui era riuscito a dargli modo di farlo.

Erano passati quasi quattro mesi dall’incidente, e Tony passava per lo più le sue solitarie giornate a cercare di elaborare il lutto di quella perdita, convinto di non aver fatto nemmeno un passo verso la realizzazione di quell’obiettivo. La solitudine era stata una scelta, ma sapeva di non averne bisogno in modo costante. Voleva trovare il coraggio di combattere quella sofferenza, e ogni volta che provava anche solo ad uscire un po’, finiva per liquidare quei pochi amici che gli erano rimasti e se ne tornava a casa con la sola voglia di spaccare tutto. La verità era che non si sentiva capito. Non si sentiva capito perché nessuno era in grado di farlo. Ci provavano, Steve più di tutti, ma non era lo stesso. Un dolore del genere, si doveva conoscere, per poter tentare anche solo di poterlo alleviare in qualcun altro; e l’unica persona che aveva vissuto quella stessa situazione, non faceva più parte della sua vita.

Peter Parker.

Peter era un pensiero fisso. Un ricordo infilato tra i filamenti più intrecciati della sua mente; incastonato come una pietra preziosa al centro della sua fronte. Un diadema che si era fuso alla carne e che, anche avesse voluto strapparselo via, avrebbe lasciato un vuoto troppo difficile da colmare. Forse impossibile da rimpiazzare. Aveva passato quel pomeriggio a studiare o, per meglio dire, a tentare di farlo, mentre ricordi troppo vividi gli bagnavano la mente di malinconia, e inzuppavano fino al più marcio e profondo punto, la sua anima. Lasciò cadere la penna in mezzo al libro, e lo chiuse. Non aveva senso tentare di dare un significato a tutte quelle parole, se non aveva la testa per provarci nemmeno. Si passò una mano tra i capelli e recuperò il cellulare. Quella foto dei suoi genitori, era un colpo al cuore, ogni volta che la vedeva comparire sul salvaschermo; ancora si chiedeva per quale accidenti di motivo l’avesse messa e ancora si chiedeva perché non trovasse la forza di toglierla. Sembrava un’azione così semplice, ma di fatto non lo era per niente, pur avendola nascosta sempre agli occhi di tutti per non risultare un debole.

Fece scorrere distrattamente le dita tra i contatti e, alla lettera esse, salvato come speciale, c’era il numero di Peter, sotto al nome di Spider-Man. Ti segno con quel nome. Tanto nessuno crederà mai che sei quello vero. Con quella faccia, Peter…, gli aveva detto, ridendo, mentre lo salvava dopo che glielo aveva chiesto in un’occasione che non ricordava nemmeno più quale fosse. Per quello la mia copertura è credibile!, aveva risposto lui, e aveva sorriso come sempre ignaro del male che gli faceva al cuore, ogni volta che spalancava le labbra e illuminava il mondo. Gli fece male il cuore anche in quel momento, mentre l’ennesimo impulso di chiamarlo era forte, ma la codardia lo era molto di più.

Digrignò i denti. Gli fece male la mascella. Col pollice tremante bloccò di nuovo il telefono, poggiandolo sulla scrivania e sospirando carico di una fastidiosa frustrazione.

Perché te ne vai?, avrebbe voluto dirgli, semmai avesse risposto a quella telefonate che non gli stava facendo. Non lo avrebbe nemmeno saluto, sarebbe arrivato subito al sodo, come sempre. Come era abitudine tra di loro. Perché vuoi farmi questo? Perché vuoi allontanarti definitivamente? Perché non vuoi darmi ancora tempo di trovare il coraggio di chiederti scusa?

«Perché sei un codardo e non lo troverai mai, quel cazzo di coraggio», si disse, a voce bassa, mentre incrociava le braccia sul tomo di fisica e vi infilava la testa, per nascondersi persino da se stesso. Si odiava. Si odiava perché avrebbe potuto semplicemente accantonare l’orgoglio, quella volta di tanto tempo prima, e avrebbe evitato di perdere l’unica persona per la quale provava qualcosa di così forte, da non riuscire nemmeno a descriverlo.

«Te lo meriti. Meriti questo. È il karma, Tony…», si punì, ancora e ancora, poi si alzò in piedi. Cominciò a vagare come un’anima in pena per la stanza, alla ricerca solo di una distrazione che avrebbe potuto portare via dalla sua testa quell’unico pensiero fisso. Peter, Peter, e ancora Peter. Era sempre lì, che se ne stava immobile in mezzo ai suoi sensi di colpa, che lo guardava con disprezzo e rabbia; che gli rivolgeva gli occhi castani, privi della solita luce viva e brillante, solo perché lui era stato capace di estrapolargliela via con solo quella frase che gli aveva rivolto. Le parole ferivano, le sue lo facevano di continuo ed era quasi fiero che con Peter non fosse ancora mai successo, fino a quel giorno. Quel giorno in cui era stato in grado, senza alcuna difficoltà, di tirare fuori il suo mostro interiore, quello che non risparmiava niente e nessuno. Odiava se stesso ed odiava i suoi demoni. Odiava il suo carattere di merda, la sua arroganza, il suo orgoglio e la sua paura di fallire, che non serviva a niente, perché tanto lui era un fallimento. Odiava però soprattutto la sua codardia, e poi odiava Peter. Per averlo ammaliato senza fare chissà che per riuscirci, forse ne era stato pure inconsapevole. Lo odiava per la sua infinita dolcezza, per la sua timidezza, per la sua capacità di vedere del buono in qualunque cosa.

Persino in lui. Che errore…

 


 

 

Il mattino seguente fu solo l'ennesima ricerca dello sguardo dell'altro e quando lo vide sorridere timidamente e con un velo di tristezza, verso il suo amico Ned, non riuscì a far altro che osservarlo e basta. Da lontano, da dietro centinaia di studenti ignari del male, e della rabbia, che tra lui e Peter scorreva in mezzo a quell'atrio. Tagliava in due l'aria, e li inondava, e loro non si incontravano mai. O almeno Peter cercava in continuazione di non trovarlo tra la folla, cosa che invece Tony faceva senza nemmeno accorgersene. Alzò il collo, per osservarlo entrare nell'edificio; la tipa con i capelli ricci, MJ, pareva arrabbiata con lui. Forse per il fatto che se ne stesse andando così, di punto in bianco, senza aver detto nulla a nessuno. Così gli aveva detto Steve: Peter aveva preso quella decisione in silenzio, tra sé e sé, senza coinvolgere nemmeno i professori, che avevano preso la cosa con un melodrammatico stupore. Aveva chiesto di poter parlare alla classe, e aveva solo sostenuto di aver preso la decisione di cambiare scuola, e il perché era stato un'enorme e stupida scusa. La lontananza da casa, i problemi economici, la difficoltà ad integrarsi. Tutte cazzate. Tutte bugie. Tony lo sapeva. Gli faceva una rabbia il fatto che avesse avuto bisogno di mentire per non dover dire qual era il vero motivo. Ed era lui. Era lui il problema, per forza, e il fatto che avesse tenuto per sé quella verità gli faceva ancora più rabbia.

Arrabbiati e ammettilo! Per una cazzo di volta, non giustificarmi e dì la verità al mondo. Ti ho rovinato la vita e sto continuando a rovinartela.

«Tony?»

Si voltò esasperato, verso Bruce, che lo aveva appena chiamato da dietro, nel momento meno opportuno. La palese insofferenza di un viso privo di riposo dovuto alle nottate insonni che era condannato a vivere da quattro mesi, troppo visibile. Nessuno doveva saperlo. Nessuno doveva sapere che Tony Stark era un debole e non dormiva perché gli mancava la mamma. E il papà. E Peter.

«Che c'è?», chiese, brusco, mentre Banner gli si affiancava scrollando le spalle e alzando le sopracciglia, scettico.

«Darti il buongiorno. Stai bene?»

«Non proprio», ammise Tony e poi sospirò mentre varcava la soglia della scuola e la campana iniziava a suonare, lasciandolo stordito per qualche secondo. Maledì la propria insofferenza riguardo ogni cosa; a ogni suono che superava la sua soglia di sopportazione.

«Steve ti ha detto di Parker, vero?», osservò Banner e fu solo l'ennesimo colpo al cuore.

«Ovvio che mi ha detto di Parker… e comunque, se vuoi sapere la verità, non mi importa un granché. Che se ne vada pure», mentì, e girò l'angolo.

«No?», domandò Bruce, retorico. «Da quando in qua lo chiami per cognome, poi?», sbuffò poi, divertito da quella situazione a quanto pareva assurda.

«Da quando ci siamo lasciati. Mi dà fastidio solo nominarlo, figurati.»

«Quello perché ti senti in colpa.»

Era vero. Dannatamente vero, e l’unica persona a cui non poteva negare quella verità, era solo se stesso. Ed era difficile anche in quel caso. Faceva rabbia apprendere di non avere più tempo per agire, ben sapendo che probabilmente, se Peter fosse rimasto, non sarebbe comunque mai andato da lui per parlare e chiarire, sebbene avrebbe tanto voluto farlo.

Avrebbe potuto prendere seriamente in considerazione quella possibilità. Avrebbe potuto parlarci sul serio e, anche fosse stata l'ultima volta, avrebbe potuto provare a chiedergli scusa. Avrebbe potuto, se solo la paura di essere respinto non fosse stata così forte. No, non poteva. E se anche l'avesse perdonato? Ormai era fatta. Sapeva che avrebbe dovuto fare quel passo molto tempo prima. Sapeva che adesso era tardi, come sempre.

Una vita di rimpianti, ecco cosa stava vivendo. Una vita fatta solo di stupide occasioni perse.

 

 

L'uscita da scuola fu l'ennesima occasione persa. Peter se ne stava lì, tra i suoi due amici, Ned e MJ. O, come li definiva sempre Tony: le sue guardie del corpo. Inavvicinabile persino dagli altri, racchiuso in una bolla di premure troppo forti di cui Tony era sempre stato fortemente geloso. Li odiava, quei due. Li odiava come non mai, ma era estremamente consapevole che non avevano fatto niente di male. Lo avevano solo e sempre tutelato, perché dopotutto quando lo si conosceva bene, si iniziava a provare quella soffocante necessità di proteggerlo. Chissà da cosa, poi...

Lo vide salutarli e salire sull'autobus che lo avrebbe portato a casa e, maledicendosi per la decisione presa all'improvviso, corse verso la fermata e salì anche lui. Il mezzo partì e c'era talmente tanta gente che sperò potesse mimetizzarsi tra i pendolari. Peter era lì, in piedi, silenzioso e assorto. Una mano serrata al palo di sostegno, impegnato a far passare il tempo controllando il cellulare. Le ciglia abbassate ad apostrofare quella tristezza che lo velava e che cercava di smorzare ascoltando la musica a tutto volume con le cuffiette. Così da Peter, quel fatto… La musica era sempre stato un elemento presente, e per quel periodo in cui erano stati insieme, era stata una compagna piacevole. Assurdo come ora, entrambi, usassero quell'arte per dimenticarsi a vicenda.

Qualche fermata più tardi Peter scese. Erano arrivati nel suo quartiere, a qualche miglio da casa sua. Scendeva sempre qualche fermata prima per farsi una camminata. Tony si infilò tra la gente per poter scendere e seguirlo. Fu un miracolo riuscire a farlo senza farsi schiacciare dalle porte. Peter era già a qualche metro di distanza, e quando si fermò ad un semaforo rosso per i pedoni, Tony deglutì un groppone e prese coraggio.

«Peter?», lo chiamò e lui non lo sentì, per via della musica troppo alta.

Esitò qualche secondo prima di posargli una mano sulla spalle e lui sobbalzò. Quando si girò a guardarlo, il suo viso si indurì e Tony sentì una stilettata al cuore; un dolore all'anima talmente grande da non poterlo sopportare. Peter si tirò via le cuffie con un gesto secco, impreparato a quell’incontro.

«Tony? Che… che ci fai qui?», balbettò.

«Sono venuto a sapere delle cose… nei tuoi riguardi. Come potrai immaginare, vorrei delle spiegazioni da te», sintetizzò Tony, tenendo ancora ferma la mano sulla sua spalla, che Peter guardò con la speranza negli occhi di vederla sparire, prima di riservargli un’occhiata sbieca.

«Da me? No, io non credo di doverti dare alcuna spiegazione; di alcun tipo», rispose, alzando un sopracciglio, incerto. La bugia di una noncuranza che non era nemmeno capace di fingere. Già pronto a divincolarsi e fuggire via.

«Ah, no? Nemmeno a proposito delle tue strampalate decisioni prese così, senza riflettere?», domandò lui, retorico, e Peter alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Stufo già della sua insofferente ironia, pungente e fastidiosa, di cui Tony era immensamente consapevole. Si incamminò verso la parte opposta della strada, siccome era scattato il verde, per dileguarsi. Tony lo rincorse e lo fermò quando arrivarono sull'altro marciapiede, prendendolo per lo zaino e facendolo quasi cadere.

«Ehi, aspetta! Aspetta un attimo! Dammi solo… un attimo.» 

Peter si fermò e, dopo un interminabile minuto di silenzio, sospirò voltandosi a guardarlo. «Immagino tu abbia saputo che me ne vado. Sei qui per questo?», gli chiese, e Tony annuì dopo un attimo di esitazione. Ammettere quel fatto fu difficile come lo sarebbe stato accettare la morte, eppure si sentì improvvisamente privo di un peso, malgrado tutto. «Ormai è fatta. Qualunque cosa tu voglia dirmi, non ha più importanza. Finita la settimana mi trasferirò», spiegò. Dispiaciuto? Arrabbiato? Rassegnato? C’erano troppi sentimenti in quegli occhi abbassati e tristi, rivolti troppo spesso all’asfalto e non ai suoi.

«Si può sapere che accidenti ti è saltato in testa di fare?», sbottò Tony, poi grugnì e si batté spazientito una mano sulla coscia. «Guarda che scappare dai problemi non è la soluzione.»

«Oh, certo!», esordì Peter, «Proprio tu mi parli di scappare dai problemi», gli fece notare, facendo le virgolette con le dita per enfatizzare quell’accusa. Un tremolio nella voce, per l’inesistente abitudine nell’utilizzare quei toni ostili. Qualcosa che Tony avrebbe trovato adorabile, in un altro contesto. Si sentì infinitamente triste, e si ammutolì quando Peter distolse lo sguardo, chiaramente desideroso di andare via, solo per non soffrire maggiormente; eppure ancora era lì. Perché lui, a differenza sua, non scappava mai. Per quello tornò ad essere, lapidario, il solito Peter. Quello incapace di gettargli addosso crudelmente un’ironia tagliente. Quello che, malgrado tutto, il dialogo non lo negava a nessuno. Persino a lui.

«Senti, io… ci ho provato a darti delle chances. Ci ho provato ad aspettare il tempo necessario perché tu mettessi da parte l’orgoglio e venissi a parlarmi. Tony, sono passati quattro mesi. Cosa vorresti mai dirmi, dopo tutto questo tempo? Non ho più la forza di aspettarti, e tu...», si interruppe. Prese un grosso respiro, e abbassò di nuovo la testa, affranto. Rotto. Spaccato. Tony vide la luce innamorata nei suoi occhi – quella che ancora tradiva la durezza di ogni sua parola, tentare di spegnersi inutilmente, riservando lo sguardo a qualcosa di inanimato, che non sprigionasse lo stesso sentimento, come invece gli occhi di Tony facevano.

Ecco, questo faceva male. Un male cane. Avesse avuto la certezza che Peter non lo amava più, avrebbe potuto farsene una ragione, ma così… così era peggio che strapparsi via il cuore con le dita e gettarlo via.

«E io sono uno stronzo,» finì per lui, sospirando. Una sottile e cupa nota nella voce, «e se tu te ne vai, che cosa risolvi?»

Peter scosse la testa. «Non sei l’unico motivo per cui me ne vado, Tony. Però… ammetto che sei stato quello scatenante. Non risolverò niente, certo ma almeno non dovrò convivere ancora con dei problemi che non posso né affrontare né risolvere. E il nostro problema...»

«Peter…»

«Anzi, i nostri problemi… Io non… non ce la faccio più. E nemmeno tu, lo so…»

«Peter.»

«Perciò anche se tu avessi davvero qualcosa da dire… e trovassi il coraggio di farlo… ed io dubito fortemente che accadrà… credi davvero che possa cambiare le cose?»  

«Peter!»

«...è tardi. Troppo tardi, Tony…», concluse, ignorando di proposito il suo aver urlato il suo nome nel solo ed unico tentativo di fermarlo. Nella speranza che potesse tacere, chiudere quell’accidenti di bocca e smetterla di dire la verità senza alcun riguardo. Candido e puro come un angelo, diceva certe cose con una calma che era più affilata di un rasoio. Più corrosiva di un acido. Più fatale di un veleno dal dolce sapore mandorlato. Peter arricciò le labbra. Tony seppe che quello era solo un tentativo di trattenere tante di quelle cose – di quelle accuse che voleva rivolgergli. Continuava ad essere gentile, malgrado tutto ed era questo a rendere le cose ancora più tristi e spezzate. Lo osservò sistemarsi meglio la spallina dello zaino sulla spalla, poi arrivò quel sospiro stanco che annullò tutto, come un interruttore della luce che viene spento e che non può essere più riacceso. Non più.

«Dì qualcosa… per favore.»

Non voglio che tu vada via.

Avrebbe tanto voluto avere il coraggio di dirglielo… avrebbe tanto voluto aprire quella bocca senza uno straccio di paura e di orgoglio; frenare quella verità. Anche solo una volta. Una soltanto. Non chiedeva altro. Gli stava dando la possibilità di rimediare a quell'errore; gli stava dando la possibilità di riscattarsi, di redimersi, di accantonare quello che era successo e provare, forse, a ricominciare. Tony riuscì solo a corrugare la fronte. Le labbra incollate tra loro, incapaci di aprirsi.

«Qualunque cosa, Tony…», lo supplicò Peter, e glielo aveva sussurrato. La voce rotta dalla disperazione, ma velata di una piccola speranza. Perché ne aveva sempre riposta, in lui e Tony non aveva mai fatto niente per meritarla. Anzi.

Ci stai dividendo e non voglio. Resta. Per Dio, resta! Perché mi fai questo?

Strinse i pugni nelle tasche; riuscì ad aprire la bocca, e annaspò solo aria. Nulla più di quella. Gli occhi di Peter si illuminarono per un secondo, colmi improvvisamente di troppe aspettative di fronte a quel balbettio sconnesso che Tony gli sbatté davanti, per poi zittirsi di nuovo e distogliere lo sguardo altrove. Era la sua ultima possibilità, e non gli uscì niente. Un cazzo di niente.

«Lo immaginavo», mormorò ancora Peter, «Buona vita, Tony», gli augurò e si voltò, allontanandosi poi, scrollando le spalle e la testa, deluso. Ancora delusione, ancora rancore, ancora rabbia. Quella chiacchierata aveva solo peggiorato le cose, e non era servita a nient’altro che logorare e crepare ancora le loro anime. Tony lo guardò andare via, finché non divenne un puntino lontano nascosto tra la folla, col cuore vuoto e la testa piena. I polsi legati dalle catene di una prigionia fatta di ricordi e baci rubati senza preavviso. Un chiodo fisso, incapace di abbandonare la sua mente in nessuna occasione.

Avrebbe solo dovuto girarsi e tornare a casa; cercare in tutti i modi di dimenticarlo e di dimenticare ciò che erano stati. Non ci riuscì. Rimase fermo, immobile, col suono tamburellante dell’avviso di un semaforo che gli riempiva la testa di spine taglienti. Si sentì inerme, sconfitto. Perso.

Dannatamente solo. 

Buona vita? Quale vita?
 

Fine Capitolo I



 

«I'm in love for the first time. Don't you know it's gonna last
It's a love that lasts forever. It's a love that had no past»
Don't Let Me Down – The Beatles
 

 
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Angolo angoloso delle angolate rotonde (non ve lo aspettavate, eh!) di Miryel:
Buonasera a tutti!
Complimenti per essere arrivati fin qui, sani e salvi! Cos'è questa storia? Una Starker, sì... ma Young! Lo so, i più vecchi avranno già immaginato il signor Burns che, in un noto episodio dei Simpson, si finge giovane, ma no... Tony qui è giovane per davvero e non si finge tale.
Era tantissimo che avevo in testa questa storia e se ha visto la luce solo ora è tutta colpa di Tony e dello studio estenuante e maniacale che ho svolto sul suo personaggio per un tempo che mi è parso quasi infinito, dove ho tentato faticosamente di renderlo adolescente ma credibile (Un lavoro che me lo fa sentire gelosamente mio, ve lo confesso XD). Spero vivamente di essere riuscita in questo intento!
Ringraziandovi anticipatamente per l'attenzione, vi chiedo di lasciarmi una vostra impressione, se vi va. Mi farebbe tantissimo piacere ♥
Al prossimo capitolo, se vi andrà di essere qui in mia compagnia!
A presto!
E scusate per l'angst, no non è vero.
Miry 
 
 

 
   
 
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