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Autore: SusanTheGentle    10/02/2019    8 recensioni
Certe volte si vorrebbe tornare indietro per vedere tutto ciò che non si è vissuto, per errore o per paura. Paura di amare, di essere amati, perché l'amore implica cambiamenti, sacrifici e coraggio.
Ci sono cose che vanno fatte, parole che vanno dette. La vita corre veloce, non c'è tempo per pensare. Le cose cambiano, la gente cambia, le occasioni si perdono.
Solo l'amore rimane. Solo l'amore.
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[Questa storia partecipa a “Garden in love” indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prompt: 1) Mi mancheresti anche se non ci fossimo conosciuti. (Anonimo)



Lui la chiamava sempre Blanca, perché suonava meglio e perché semplicemente lo preferiva. A lei piaceva, per cui non se n'era mai lamentata.
Il vero nome di lei non era quasi per nulla diverso: Bianca, ereditato dalla nonna materna. Un nome di origini italiane. 
La famiglia Arnova possedeva metà geni argentini da parte di padre, e metà italiani da parte di madre. Come i Di Alba, le cui radici affondavano tra Spagna ed est Europa.
Era passato tanto tempo ed erano accadute molte cose, ma Paulo non aveva mai smesso di pensarci: a tutto quello che era stato, a ciò che lei aveva rappresentato e ancora rappresentava. Soprattutto, a quel che non era mai successo e in cui lui sperava ancora.
C'era sempre stata lei, in un modo o nell'altro: la sua migliore amica, una sorella mancata, la sua confidente, il suo primo amore. All'epoca, lui era ancora un bambino insicuro ed esitante, mentre lei brillava già come una stella. 
Gli Arnova erano arrivati nella città di Ansenuza l'anno in cui era nato Paulo. Bianca aveva cinque anni, suo fratello Jesus dieci e la piccola Rosalia uno. I ragazzi di entrambe le famiglie avevano passato l'infanzia giocando insieme, e il fatto che fossero vicini di casa era stato d'aiuto per stringere un forte legame. Ma la crescita, i diversi interessi e altre questioni avevano inevitabilmente portato ognuno verso strade differenti.
Tranne Paulo e Bianca.
Appena imparato a camminare, lui aveva iniziato a seguirla dappertutto e lei non ne era mai stata infastidita. Erano amici per la pelle.
Bianca lo adorava. Passava a prenderlo a scuola quando Anita Di Alba non poteva; lo aiutava con i compiti, tiravano qualche calcio al pallone, e facevano lunghe passeggiate e giri in bici.
«Mi insegni ad andare sui pattini?» chiedeva un piccolo Paulo ogni volta che, con i grandi occhioni verdi, guardava la sua amica scivolare leggera come una piuma sulla pista del palaghiaccio di Cordoba, a cinquanta chilometri di distanza da Ansenuza.
Bianca prendeva l'autobus ogni giorno per raggiungerla. La scuola di pattinaggio a cui era iscritta non era delle più famose, ma era abbastanza per iniziare, diceva lei. Proprio come Paulo, che prima di un campo vero aveva usato quello dell’oratorio di San Sebastiàn, la prima scuola di calcio di tutti i bambini della piccola città. Poi, suo padre gli aveva regalato un pallone di cuoio da professionista e qualche anno dopo lo avrebbe iscritto all'Instituto di Cordoba, una scuola sportiva la cui squadra militava nella serie A argentina.
«Fidati di me, figliolo e sii forte. Non ti arrendere»
Alberto Di Alba aveva sognato un futuro nel mondo del calcio per tutti e tre i suoi figli. Non era andata molto bene con i più grandi, Mateo ed Hermàn, ma Paulo era tutta un'altra cosa.
Paulo e Bianca erano entrambi nati con un dono naturale, opposto ma simile. Lui sul campo da calcio, lei sulla pista da ghiaccio.
Giovanissimi, con la testa piena di sogni.
Spesso, lui si vantava perché l'Argentina aveva vinto due volte i campionati del mondo di calcio, mentre il pattinaggio su ghiaccio era uno sport praticamente sconosciuto nel loro paese. Bianca gli assetava uno schiaffetto giocoso, consapevole che la sua disciplina preferita veniva bistrattata in Sud America. Ma non per questo lei si demoralizzava.
«Vorrà dire che sarò la prima atleta argentina a vincere i mondiali di pattinaggio di figura»
E ci credeva veramente, tanto quanto Paulo credeva in sé stesso e nel suo futuro di calciatore professionista.
«Arriverò in Champions League, vedrai Blanca. E anche in nazionale!»
I due ragazzini erano molto affezionati l'uno all'altra, e la differenza d'età non aveva mai costituito un problema. Ma di lì a qualche anno, le cose iniziarono a cambiare...
Accadde un'estate, dopo che la famiglia Arnova rientrò dalle vacanze al mare.
Bianca tornò abbronzata e sorridente. E più grande.
Paulo non avrebbe mai pensato che in due soli mesi potesse cambiare tanto.
Quel giorno era ancora un bambino e lei nel pieno dell'adolescenza, con le belle forme appena accennate ma quanto bastava per scatenare nell'undicenne che era le prime ondate di desiderio. I capelli chiari risplendevano nel sole e lui si incantava a guardarli, a guardarla tutta.
Non ricordava come, era successo e basta. Ricordava solo la mano di Bianca prendere la sua e trascinarlo davanti a sé per vedere meglio i fuochi d'artificio sul lago, luogo in cui le due famiglie portavano i loro ragazzi ogni anno in marzo, alla fine dell'estate argentina. Ricordava uno strano sfarfallio alla bocca dello stomaco, il respiro di lei sulla guancia, le sue mani appoggiate alle spalle e quel calore nascere da dentro.
L'avrebbe superata in altezza qualche anno più tardi, ma quell'estate c'erano ancora dieci centimetri buoni a separarli.
Era iniziata così, con gli occhi azzurri di lei che d'un tratto gli sembravano i più belli al mondo, con quel profumo che mai le aveva sentito addosso. Sapeva di qualcosa di dolce, ma non avrebbe saputo dargli un nome.
Fino a qualche tempo prima starle vicino non aveva costituito un problema. Ora, invece, c'erano momenti in cui si aprivano grandi silenzi dove lui, zitto e imbarazzato, sedeva accanto a lei sul sedile dell'autobus per andare a scuola o agli allenamenti. Ci andavano sempre insieme - i genitori di Paulo si fidavano di Bianca e lo lasciavano volentieri con lei.
Ed era imbarazzante sorprendersi a sbirciarle nella maglietta, mentre fino a qualche anno prima facevano il bagno insieme senza vergogna - ma lei a quell'epoca non aveva seno e lui... beh, nemmeno lui aveva molto là sotto. Era imbarazzante tanto quanto apparire di fronte alle sue amiche, che ridacchiavano insinuando fosse il suo fidanzatino. Bianca sorrideva e scuoteva il capo, mandando al diavolo le altre e dicendogli di non badar loro.
Troppo spesso, qualche conoscente scherzava bonariamente sulla sua infatuazione per la giovane Arnova. Erano queste battutine ad infastidirlo maggiormente, senza un motivo preciso.
Bianca gli piaceva, e se da una parte era bello pensare a lei, dall'altra non voleva che gli altri lo sapessero.
Si vergognava. Non di lei, di se stesso.
Era patetico, assurdo. Il suo primo amore non doveva essere anche la sua migliore amica. Non era previsto. Non c'era logica in questo. O forse sì...
Forse aveva scambiato l'enorme affetto che nutriva nei confronti di Blanca per un diverso tipo d'interesse, più profondo, che gli faceva sudare le mani e lo faceva incespicare nelle parole; che gli suggeriva di fuggire tutte le volte in cui decideva di invitarla a giocare al campetto o che lei lo prendeva per mano sulla pista di pattinaggio.
Talvolta assumeva un atteggiamento sgarbato, ferendola. Poi si malediceva la notte, picchiettandosi sulla fronte, domandandosi se non fosse un completo imbecille.
Lei non sospettava nulla, almeno credeva. Se sì, non dava segno di essersene accorta. Bianca manteneva l'atteggiamento di sempre: carina, allegra, disponibile se lui avesse avuto bisogno di lei.
Tutto quel concentrato di dolcezza minacciava di farlo impazzire.
Si era sempre comportata così, Paulo non capiva proprio cosa fosse cambiato per fargliela apparire sotto una luce diversa, una luce più intensa, vera, più... bella. Ma era sempre stata bella.
Era davvero così che ci si innamorava? Da un momento all'altro senza capire come e perché? Senza poterci far nulla se non ossessionarti giorno e notte per cose illogiche e inesistenti?
Beh, era una bella fregatura.
Più di una volta era stato sul punto di chiedere consiglio ai suoi fratelli, ripensandoci immediatamente dopo aver scoperto che anche Mateo ed Hermàn sostenevano la teoria che si fosse preso una bella cotta per Bianca.
Ogni volta che qualcuno lo accennava solamente, Paulo si imbronciava. Sua madre sorrideva, lui arrossiva ma non parlava. E papà annuiva credendo che lui non vedesse.
Aveva la benedizione di suo padre? Oddio, forse stava correndo troppo. Più di troppo. E senza 'forse'. Aveva solo undici anni, per la miseria!
Dopotutto, però, fantasticare un poco non avrebbe fatto male a nessuno. Si trattava di un sentimento a senso unico, del quale non avrebbe mai parlato ad anima viva.
Qualcuno diceva che le prime cotte, spesso, passano nel giro di qualche tempo lasciandoti un bel ricordo per tutta la vita. Okay, era una cosa che poteva gestire. Tra un po' la sua infatuazione per Blanca sarebbe svanita. Tutto sarebbe tornato come prima e avrebbero ripreso ad essere amici come niente fosse; senza imbarazzi, senza silenzi, senza stramberie mentali. Forse glielo avrebbe anche confessato tra qualche anno, e ci avrebbero riso sopra. Magari quando entrambi sarebbero stati fidanzati.
Solo che lui non voleva pensare ad un'altra, non adesso. Probabilmente mai.
Se Paulo avesse potuto, avrebbe fermato il tempo durante quel periodo. Pur nascondendo i suoi sentimenti, era felice. Godeva della costante compagnia della sua Blanca e ciò gli bastava. Non importava che lei non sapesse, andava bene anche così, purché potesse averla sempre al suo fianco.
Lei diventava una piccola campionessa, vincendo la sua prima medaglia d'oro a tredici anni nel campionato nazionale juniores. In contemporanea, Paulo cresceva atleticamente all'Instituto, sbaragliando tutti gli avversari che gli si paravano di fronte.
Purtroppo, quello fu l'ultimo periodo completamente felice. L'ultima estate che i due ragazzi passarono insieme per molto tempo...
I genitori di Bianca divorziarono poco prima del suo sedicesimo compleanno. I coniugi Arnova preferirono non avvalersi del tribunale per l'affidamento dei figli, lasciandoli liberi di scegliere con chi vivere. Per via dell'università, e troppo affezionato agli amici di Ansenuza per poterli lasciare, Jesus decise di rimanere con il padre. Al contrario, Bianca e Rosalia accettarono di trasferirsi in Italia con la madre.
Quando udì i suoi genitori conversare in proposito, a Paulo sembrò impossibile. Poi seppe che era vero, che non avrebbe più visto Blanca, perché lei se ne andava lontano fregandosene altamente di tutto.
Si rifiutò di parlarle per giorni, rifugiandosi nella sua camera ogni volta che lei veniva a trovarlo.
«Sei proprio un bambino stupido! Tra pochi giorni io me ne vado e tu non mi vuoi nemmeno parlare!» gli urlò una volta, stanca di quell'atteggiamento insensato. Se solo lui l'avesse lasciata spiegarsi...
Paulo rimase ad ascoltare il silenzio. Lei era ancora dietro la porta ad aspettare che le aprisse. Lentamente, si trascinò verso di essa e girò la chiave.
Bianca era là, i suoi begli occhi azzurri adombrati dal risentimento.
Rimasero a fissarsi per qualche istante. Fu lei a parlare per prima.
«Non mi fai entrare?»
Paulo si spostò e la fece passare. Ma anche così, la situazione non cambiò di molto. Stettero muti, arrabbiati, in piedi uno di fronte all'altro.
«Dovevi dirmelo. Perché non l'hai fatto?» disse infine Paulo.
Bianca, le braccia conserte, le lasciò ricadere mollemente lungo i fianchi. «Sapevo che avresti reagito così»
«Ho reagito così perché mi sono sentito escluso» sbottò lui, alzando la voce. «Da quando hai smesso di dirmi le cose, Blanca? Era importante, dovevi parlarmene, non farmelo sapere attraverso qualcun altro! Me lo avresti detto l'ultimo giorno? Lasciandomi qui così come un'imbecille?»
Paulo era un fiume di parole, impetuoso come acqua fuori dagli argini.
«Ho sbagliato, mi dispiace» disse Bianca, piano. «Non vorrei andarmene, davvero, però...»
«Tuo fratello rimane. Lui ha a cuore i suoi amici»
«Cosa vorresti dire con questo? Che non mi importa dei miei?» ribatté lei, offesa.
«Sì!» rispose lui con inaspettata energia.
«Non è così!» La ragazza prese un respiro tentando di calmarsi. Non voleva che gli ultimi momenti con il suo migliore amico finissero in un litigio. «Paulo, senti...» Sembrava volergli dire qualcosa ma temesse la sua reazione.
«Basta che dici a tua madre che non vuoi partire» riprese lui. «Non è difficile, Blanca! Perché devi rendere tutto difficile?»
«Non ha deciso mia madre. Ho deciso io»
Lo sguardo verde-azzurro di Paulo si rabbuiò. La fissò senza capire. Bianca era la sorella maggiore che non aveva avuto, la prima ragazza che gli aveva fatto battere il cuore. Quando aveva saputo del divorzio dei suoi aveva tremato all'idea che l'insensibile egoismo degli adulti l'avesse strappata al suo affetto. Ma nulla l'aveva preparato a quell'eventualità.
«Ci vai di tua volontà?» Equivaleva a un tradimento. Paulo fece un passo indietro come per sfuggire alla realtà e alla delusione. «E io?» chiese stringendo i pugni, le braccia rigide lungo i fianchi. «Non hai pensato a me, vero?»
«Certo che ci ho pensato. Sei il primo a cui ho pensato» confessò lei, triste in viso. Un sorriso stentato vi fece capolino. «Hai un sacco di amici, Paulito». Non sarebbe rimasto solo; era certamente questo che lui stava pensando. Era così attaccato a lei...
Paulo scosse la testa. «Non è solo per quello»
Come faceva a dirle che non era un problema di amici? Lei non sapeva la verità. Ma se anche avesse saputo, a cosa sarebbe servito? A niente, perché Blanca non poteva ricambiare un undicenne cretino. Lei aveva ben altri ragazzi che le correvano intorno, ragazzi della sua età, più grandi e più carini di lui. Se si fosse azzardato a spiegarle come si sentiva davvero, forse lei avrebbe provato fastidio e, spinta dall'imbarazzo, avrebbe preso le distanze.
Questo no. Questo mai. Per quanto lontani fossero, doveva sapere che qualcosa c'era, anche solo un'amicizia.
«Tornerò per venire da mio padre e da mio fratello» provò Bianca, quando le lacrime bagnarono il viso del ragazzo.
Paulo teneva il capo abbassato il più possibile per nasconderle. Servì a poco.
«La scusa più banale del mondo» mormorò con voce soffocata. «Tornerò, mi dici. Va bene, torna, ma non sarà la stessa cosa». Non sarebbe più stata la stessa cosa.
«Lo so»
«Se lo sapessi veramente non te ne andresti così lontano. Sono undicimila chilometri, lo sai?» gridò rabbioso.
Bianca sospirò profondamente, parlando con calma. «Vuoi sapere perché lo faccio?»
Paulo rialzò subito la testa, incurante delle lacrime visibili sulle guance. C'era un motivo oltre al fatto che non volesse restare?
«Credi che me ne vada in Italia perché sono stufa di stare in questa città?»
Lui non rispose. Lei aveva centrato il punto dei suoi pensieri. Sì, era arrabbiato per questo: perché aveva pensato che Blanca fosse un'egoista insensibile.
«Paulo...» Lei pronunciò il suo nome con dolcezza. «Era veramente questo che pensavi?»
Lui tirò su col naso e mosse le spalle.
«C'è una cosa che non ho detto a nessuno, solo a mia madre, perché non so se avrà un esito positivo» Bianca prese un altro respiro. «Ho deciso di iscrivermi a una scuola di pattinaggio artistico a Milano. Se farò progresso, quest'anno potrei qualificarmi per il mio primo mondiale juniores».
Paulo non parlava. Lei si sentì libera di proseguire.
«L'anno prossimo avrò l'età giusta per entrare nelle competizioni senior e vincere anche quelle. Sarei la prima atleta argentina a riuscire nell'intento. La medaglia nazionale non mi basta, Paulito. Come a te non basterà per sempre giocare nell'Instituto»
Paulo si riscosse. Certo, lo sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare lo stesso: non necessariamente cambiare squadra, ma modo di giocare, per elevare le sue prestazioni a quelle di un professionista.
«Se rimango qui non riuscirò mai a progredire» riprese Bianca. «Non ci sono scuole abbastanza buone, capisci? E se non mi impegno sul serio non sarò mai una campionessa. Per esserlo, devo entrare nella miglior scuola possibile»
Paulo osservò la luce accesasi nell'azzurro dei suoi occhi. Lei era già una campionessa, era favolosa, un cigno sopra il ghiaccio. Nessuna era come la sua Blanca. Aveva sempre immaginato un futuro dorato per lei, e per vederla davvero spiccare il volo doveva lasciarla andare. Ora lo capiva. La carriera di una pattinatrice finiva prima di quella di un calciatore. Bianca doveva afferrare l'opportunità finché le era possibile.
«È il tuo sogno»
«E il calcio è il tuo» annuì lei. Gli si avvicinò e gli mise le mani sulle spalle, un velo di lacrime a offuscarle la vista. «Saremo sempre amici. Non abbiamo bisogno di vederci ogni giorno. Io ti vorrò bene sempre»
A quelle parole, Paulo si passò un braccio sugli occhi. Non voleva piangere ancora. Ma lo fece, quando lei lo abbracciò forte e sorrise, forse della sua stupidità, forse perché ai suoi occhi era ancora il bambino di tre anni che teneva in braccio e a cui leggeva le fiabe.

Il giorno della partenza di Bianca, Paulo faticò ad alzarsi dal letto. Eppure glielo aveva promesso: sarebbe andato a salutarla.
«Mi chiami appena arrivi?» le chiese lui, guardandola caricare la sua valigia in macchina. Non sarebbe andato all'aeroporto. Andava bene così.
«Certo che ti chiamo. Ehi» Bianca lo strizzò in un abbraccio giocoso. «Acchiappa anche tu quel telefono, ogni tanto, non farlo fare sempre a me»
Lui sgusciò dalle sue braccia, un sorriso appena accennato sulle labbra.
«Esistono le email, Paulito»
«Mh»
«E la chat»
«Mh»
«Mh-mh cosa?» gli fece il verso lei, trattenendo il magone con un'altra risata forzata.
«Sì, va bene» disse Paulo, prima che la madre di Bianca la chiamasse con un suono di clacson.
La ragazza si allontanò da Paulo. Andò a stringere in un abbraccio saldo il padre e il fratello, senza impedire alle lacrime di scendere. Poi andò a salutare anche la famiglia Di Alba al completo. Infine salì in auto accanto alla sorella e salutò un'ultima volta tutti quanti dal finestrino con un rapido gesto. A Paulo riserbò un bacio soffiato sul palmo della mano.
 
***
 
La vita ad Ansenuza senza Bianca non fu la stessa di prima, proprio come Paulo aveva immaginato.
Lei tornava durante le vacanze estive, quando in Italia cominciava la stagione calda mentre in Argentina iniziava l'inverno, e cercava di non mancare durante le festività. Bianca e i suoi fratelli avevano concordato di alternare il Natale e la Pasqua tra i due continenti. Paulo era riuscito ad andare a vederla gareggiare, qualche volta – le spese del viaggio le pagava lei, anche se i Di Alba protestavano – e Bianca non si perdeva un incontro di calcio quando veniva ad Ansenuza. Si telefonavano tutti i giorni – cercando di ricordarsi che Milano era quattro ore avanti rispetto ad Ansenuza, qualche volta dimenticandosene, aggiornandosi vicendevolmente sulle novità: Paulo giocava nell'Instituto adesso, in seconda squadra, e Bianca era assolutamente entusiasta della sua allenatrice.
«La scuola come va?» le chiese Paulo una delle tante sere che passavano chiacchierando.
«Abbastanza bene. La lingua non è più un problema, ma è tutto molto più stressante rispetto al nostro sistema. Lì che novità?»
Lui alzò le spalle anche se lei non poteva vederlo. «I tuoi sono in salute, ma già lo saprai, quindi non c'è bisogno che te lo dica. Ah, dopo le vacanze di Pasqua è arrivata una compagna nuova»
«Davvero? Ed è carina?»
«Piantala, Blanca...»
La risata di lei risuonò strana attraverso il telefono. Gli mancava la sua risata.
«L'età per innamorarti ce l'hai» scherzò la ragazza.
Paulo aveva quattordici anni adesso, frequentava la prima superiore. Erano già passati tre anni da quando se n'era andata.
«Come si chiama?» domandò ancora Bianca.
«Adriana qualcosa. Non mi ricordo»
«Come non ti ricordi?»
«Non mi ricordo, Blanca!» cantilenò lui, sentendola ridere di nuovo. «Smetti di scocciarmi con la storia dell'innamoramento e dimmi piuttosto delle tue gare. Poi ti racconto delle partite»
Bianca era riuscita nell'intento di vincere consecutivamente, un anno dopo l'altro, i mondiali di pattinaggio nelle categorie junior e senior, detenendo il record di atleta più giovane di sempre a trionfare in entrambe le competizioni. A sedici anni, quando il mondo ignorava la sua esistenza, aveva sbaragliato avversarie provenienti da Europa, Asia e Stati Uniti, portando a casa la medaglia d'oro al suo debutto nel Gran Prix ISU, scalzando dal primo gradino del podio la favorita atleta russa sotto lo sguardo compiaciuto e sconcertato del mondo del pattinaggio di figura. Ed ora, a diciannove anni, Bianca Arnova era l'imbattuta campionessa mondiale.
Nello stesso momento, Paulo si fregiava del soprannome di Joya, divenendo la punta di diamante dell'Instituto che vinse la serie B giovanile argentina. Centravanti della seconda squadra, impressionava il pubblico con le sue giocate, il senso del goal, la creatività. Il prossimo passo era entrare in prima squadra e giocare in serie A da titolare. La sua scalata era appena iniziata.
Qualcuno gli diceva che aveva piedi da pattinatore artistico: fini, precisi, aggraziati. Il paragone con lo sport di Blanca lo faceva sorridere.
Era l'orgoglio di suo padre, che lo accompagnava dappertutto appena il lavoro glielo concedeva. Alberto non mancava mai a una partita, era sempre pronto a dargli consigli e qualche sano rimprovero. Suo padre tesseva un futuro sfavillante di successi e palloni d'oro.
Ma Alberto non vide mai quel futuro.
Quando Paulo ebbe quindici anni, suo padre morì.
Cancro fulminante.
Non aveva detto niente a nessuno, solo sua moglie Anita sapeva. Né i figli maggiori né gli amici, né tanto meno Paulo sospettavano qualcosa.
Il mondo cadde a pezzi. Il ragazzo si aggrappò all'illusione di un incubo, ma gli bastò un battito di ciglia per rendersi conto dell'errore. La casa silenziosa, i sussurri garbati dei parenti in visita, il drappo nero fuori dalla porta. Tutto era terribilmente reale. Le lacrime della mamma, dei suoi fratelli. Le sue. Decise di non trattenerle. Non serviva a niente fare la persona forte davanti agli altri mentre il suo cuore si spezzava in brandelli che si perdevano nel nulla più completo. Pianse, senza vergogna, finché non si sentì completamente svuotato. Non c'erano più emozioni, nessuna sensazione. Niente. Solo il vuoto.
«Paulo...». Sua madre bussò una volta alla porta della camera, dove lui se ne stava disteso sul letto, un braccio a coprire gli occhi arrossati. Lentamente, Anita Di Alba aprì.
Paulo tolse il braccio dal viso e la guardò in silenzio.
«È arrivata Bianca»
Tre parole. Un nome. Bastarono per spazzare via lo stato di apatia in cui era precipitato.
Bianca apparve dietro Anita, la quale richiuse la porta dopo che la ragazza ebbe varcato la soglia della stanza.
Paulo balzò a sedere. Nuove lacrime gli rigavano il volto, le braccia spalancate che la chiamavano. Lei si precipitò ad avvolgerlo tra le sue.
Il bambino a cui Bianca aveva voluto un mondo di bene era cresciuto, ma in quel momento tornò ad essere una piccola creatura indifesa, desiderosa di cure e protezione.
«Sono venuta appena l'ho saputo. Non so che cosa dire»
E non dissero niente per molto tempo.
Paulo rimase stretto a lei, facendosi cullare dal suo corpo, dal calore e dal profumo che aveva amato da bambino e del quale si scopriva ancora innamorato. Quattro anni e mezzo non avevano smorzato quell'affetto. Più era cresciuto, più il sentimento era cresciuto con lui.
Bianca aveva ricevuto la notizia della morte di Alberto da sua madre. Elena Arnova aveva alzato la cornetta del telefono una mattina come tante altre, e la sua espressione era bastata per far comprendere a Bianca e Rosalia che qualcosa di terribile doveva essere successo.
Bianca se n'era infischiata totalmente degli allenamenti, delle gare, di tutto. Le tre Arnova avevano fatto le valigie in quell'istante e mezz'ora dopo si recavano all'aeroporto Malpensa. La ragazza aveva chiamato la sua coach davanti al gate, la quale era rimasta indignata dal suo comportamento poco professionale.
«Un caro amico di famiglia è venuto a mancare. Devo andare. Starò via qualche giorno»
Al diavolo le rimostranze. Quell'impegno era improrogabile. Non poteva mancare al funerale di Alberto. Lo ricordava con affetto, come un uomo buono e altruista, caparbio e sognatore. Il pensiero che non avrebbe mai visto Paulo diventare un calciatore professionista le stringeva il cuore.
«Ti guiderà dall'alto» erano state le parole che lei aveva sussurrato al suo migliore amico davanti alla chiesa nel giorno del funerale. «Sii forte. Lui te l'avrebbe detto»
Paulo aveva alzato gli occhi al cielo una volta. Un gesto che avrebbe sempre compiuto sul campo da quel momento in avanti, dopo ogni goal, per dedicarli ad Alberto. Sì, sarebbe diventato forte: per sé stesso, per suo padre, sua madre, per Blanca... per tutti.
Anita era entrata in chiesa scortata dal figlio maggiore, dietro di loro Paulo e l'altro suo fratello. Paulo aveva cercato la mano di Bianca, che si era arrestata sul portone non capendo cosa fare. Fu l'istinto a dirglielo: prese la mano di lui e la strinse, percorrendo la navata fino alle panche davanti, sedendogli vicino.
Da quel momento, tutto cambiò.
Una parte delle loro vite se n'era andata. 
«Quanto resti?» chiese Paulo dopo la funzione, la sera a casa. Gli Arnova e i Di Alba avevano cenato insieme, sbocconcellando il cibo giusto per mandar giù qualcosa.
«Qualche giorno ancora. Poi devo ripartire» rispose Bianca, guardando i suoi genitori lavare i piatti nella cucina dei Di Alba. Sembrava non avessero mai divorziato. La ragazza avrebbe tanto desiderato che il tempo tornasse indietro, che le loro famiglie fossero felici, amiche, come lo erano state durante la loro infanzia.
Bianca si fermò lunghi istanti a osservare Paulo sbriciolare un pezzo di pane con le dita. Dalle foto che le aveva mandato aveva già notato i cambiamenti, ma dal vivo si vedeva chiaramente che non era più un bambino. Era anche più alto.
Gli passò una mano tra i capelli. «Sei cresciuto tanto dall'ultima volta»
Lui la guardò di rimando, incurvando appena le labbra. Di ridere non aveva voglia, ma lei riusciva sempre a strappargli un sorriso.
«Puoi dormire qui, stanotte?» gli uscì detto. Sentì il viso andare in fiamme e sperò che lei non se ne accorgesse. Avevano dormito insieme molte volte, quando lui era molto piccolo e aveva il terrore dei tuoni, e l'unica a riuscire a calmarlo era proprio lei.
«Siamo diventati troppo grandi per dormire nello stesso letto» rispose Bianca, regalandogli uno sguardo dolce e amareggiato, reprimendo la voglia di proteggerlo. Socchiuse la coscienza, che la rese improvvisamente consapevole del fatto che il ragazzo che sembrava ancora un bambino non lo era più. Il suo Paulito era cresciuto. Troppo. Troppo presto.
Bianca non era stata così cieca di fronte ai sentimenti di lui, era semplicemente rimasta in silenzio nell'attesa che Paulo capisse l'impossibilità di quel legame. Lei sarebbe sempre stata troppo grande per lui. Aveva vent'anni, Paulo quindici.
Lui abbassò il capo e comprese. Provò vergogna per non aver intuito subito che lei sapesse cosa nascondeva dentro il cuore fin dall'età di undici anni.
«Dormirò con tua madre» gli disse Bianca, alzandosi dalla sedia. Sarebbe rimasta comunque, nel caso Anita e i suoi figli avessero avuto bisogno di qualcosa durante la notte. Gli baciò la fronte. «Riposa, tesoro. Ne hai bisogno».


***

La madre di Bianca ripartì un paio di giorni dopo, e la figlia minore andò con lei. Bianca rimase ad Ansenuza più del tempo previsto, saltando una gara importante e perdendo l'opportunità di qualificarsi per il Gran Prix di quell'anno. Paulo si sentì colpevole ma a lei non importò. I Di Alba erano come un'estensione della sua famiglia, Bianca si sentiva unita a loro come a nessun altro. Inoltre, desiderava restare con Paulo ancora per un po'.
Un tardo pomeriggio portarono nuovi fiori sulla tomba di Alberto. Bianca non chiese a Paulo se poteva accompagnarlo, si unì a lui e basta, sapendo che l'amico non le avrebbe negato la sua compagnia, soprattutto in un momento simile.
Sedettero sui gradini del sagrato della chiesa e guardarono la sera scendere sulla città. Da bambini sedevano spesso su quei gradini, quando aspettavano che le mamme venissero a prenderli dopo il catechismo della domenica. Parlarono della loro infanzia, di sport, e ovviamente del padre di Paulo.
«Sarà sempre con te, non ti abbandonerà solo perché ora non potete vedervi. Lo sai, vero?»
Il ragazzo annuì, gli occhi velati di lacrime. Lo sapeva, e ci credeva. Aveva sempre creduto.
«Lo renderò fiero di me, Blanca. Fiero come nessun padre è mai stato»
«Ce la farai, Paulito»
Un nomignolo tenero, che tra le labbra di lei suonava come il più dolce dei suoni.
Eppure, all'improvviso, negli occhi verdi di lui era comparsa una luce così adulta da non meritarsi più un soprannome affettuoso. 
Bianca l'aveva lasciato piangere in silenzio ancora un po'. Poi, quando si era calmato, erano tornati verso casa.


***

Paulo l'accompagnò all'aeroporto quando fu il momento per lei di tornare in Italia. La prima volta che se n'era andata non ne aveva avuto il coraggio. Immaginarla su quel bestione che la portava a undicimila chilometri di distanza sarebbe stato come dirle addio per sempre.
Ma ora era pronto. Ora sapeva che Blanca non sarebbe mai scomparsa del tutto dalla sua vita, per quanta distanza ci fosse tra loro.
«Verrò a vederti alle Olimpiadi» le promise.
«Ti aspetto». Bianca lo prese sottobraccio per avviarsi verso l'accettazione.
Le Olimpiadi invernali erano per lei come per Paulo sarebbero stati i Mondiali: il coronamento di un sogno. Era la prima volta che Bianca vi partecipava. Avrebbe messo tutto l'impegno possibile in quell'impresa. Voleva vincerle.
«Come pensi che sarà il mio futuro?» chiese Paulo all'improvviso.
«Brillante» rispose lei con sicurezza. «Diventerai un campione, sarai il numero dieci di una grande squadra e avrai una maglia con scritto il tuo nome che tutti i ragazzi vorranno indossare. Ti emuleranno e desidereranno essere Paulo Di Alba»
Lui annuì una volta, incurvando appena le labbra.
Bianca si fermò e gli si parò davanti portandogli le mani sulle guance per posarvi un bacio leggero. «È il tuo sogno. E il suo»
Paulo capì e annuì di nuovo. Alzò lo sguardo al cielo. «Avrei voluto che mi vedesse indossare i colori della nazionale. Che mi vedesse diventare un calciatore, un uomo; che vedesse il mio matrimonio e conoscesse i suoi nipoti, un giorno»
«Lo so, tesoro»
Paulo la guardò negli occhi azzurri. C'erano un milione di ragazze con gli occhi azzurri, ma quelli di Blanca erano della sfumatura più bella di sempre.
Le rimandò uno sguardo serio. Fu sul punto di dirle qualcosa ma rinunciò e riprese a camminarle a fianco.
Il suo segreto non era più al sicuro e la vicinanza di Blanca in quei giorni dolorosi non aveva fatto altro che esporlo maggiormente. Paulo le prendeva le mani giocandoci in modo inequivocabile. Cercava i suoi abbracci, non più infantili e teneri ma fatti di carezze sulla schiena, tra i capelli; affondava il viso nel suo collo per cercarne il profumo delizioso. Bianca poteva far finta di niente ma lui era ormai conscio che sapesse – forse da sempre – quello che provava per lei. Era divenuto inutile girarci intorno.
Non decise quando, accadde semplicemente al momento giusto. Ed era come se lei, posticipando la partenza, gli avesse dato la possibilità di trovare quel momento.
«Quando ti sposerai, tuo padre ci sarà» riprese la ragazza.
«Ci sarai anche tu»
«Certo che ci sarò! Non potrei mancare per niente al mondo al tuo matrimonio»
Paulo corrugò la fronte. «Non era questo che intendevo». Si fermò in mezzo alla fiumana di gente. Dapprima si fissò le scarpe e ci mise un po' per trovare il coraggio di rialzare lo sguardo su di lei.
Quando le avrebbe detto quelle parole, gli avrebbe riso in faccia?
«Che cosa c'è?» incalzò Bianca.
Paulo rialzò il capo e incontrò un viso gentile. Un leggero sorriso faceva capolino sulle labbra di lei. Lo fissava paziente, come se avesse avuto tutto il tempo per aspettare che parlasse.
«Un giorno di sposerò, Bianca Arnova. Non importa quanti chilometri ci separeranno. Passassero mille anni, verrò a prenderti e ti sposerò. È una promessa»
«Paulo...»
Non fu pronta a quelle parole. Aveva sottovalutato quella che credeva fosse una cotta. Una cotta prolungatasi negli anni, rafforzatasi col tempo e la distanza invece di affievolirsi. Ma Bianca non avrebbe mai immaginato che lui provasse un sentimento tanto forte. Non scherzava, lo capì, perché di lui capiva tutto. Fu commossa da quelle parole. Paulo avrebbe potuto amarla con l'incomparabile semplicità di cui era stato capace in tutti quegli anni di silenzio. Ne era certa. In un'altra vita avrebbero potuto provarci, ma non in questa. Se solo non li avessero divisi quei cinque anni che facevano tutta la differenza...
«Sposerai una bella ragazza bruna invece di me»
«È perché sono troppo piccolo, vero? Sono sempre stato troppo piccolo per te» disse lui, risentito. In fondo, era preparato a un rifiuto.
«Questo non mi impedisce di volerti un bene immenso»
Paulo tornò a fissarsi i piedi. Non era quello che voleva sentirsi dire, perché lui... l'amava. Dannazione se l'amava.
«Cinque anni di differenza non sono molti» disse invece.
«Sono abbastanza» ribadì Bianca in tono quasi triste. «Farai strage tra qualche anno, Paulo, te lo garantisco»
Lui la guardò. «Ma io sono innamorato di te»
«Lo so»
La risposta di Bianca lo spiazzò. Allora era vero. Lei aveva sempre saputo.
Lentamente, con cautela, lui le si avvicinò di un passo. Uno appena, ma bastò per azzerare quasi completamente la distanza. Abbassò gli occhi sul viso di Bianca, sulle guance appena rosate, i capelli luminosi, le labbra leggermente socchiuse nell'espressione di stupore.
Era alto quanto lei adesso.
Bianca rabbrividì involontariamente per la troppa vicinanza. Specchiandosi negli occhi di Paulo si era scoperta trasalire. Una sensazione scomparsa quasi subito, lasciando dietro di sé solo il ricordo di una vana stranezza.
«Devo andare, adesso» mormorò. La voce all'altoparlante annunciò il suo volo. Bianca si voltò lentamente, sentendosi strattonare all'indietro. Gentilmente ma con fermezza, Paulo l'aveva presa per un braccio e attirata a sé. Fu così sorpresa che rimase immobile per un secondo quando la bocca di lui si posò sulla sua. Gli occhi le si inumidirono, un nodo le serrò la gola impedendole di parlare quando si allontanarono.
Paulo la guardò, imbarazzato ma irremovibile. Questo era quello che sentiva. Non glielo avrebbe più nascosto, anche se significava allontanarsi, perdersi e non parlarsi più.
«Non avrei dovuto farlo, vero?» le chiese.
«No»
«No non avrei dovuto, o no non importa se l'ho fatto?»
Bianca emise una risata leggera. «La seconda»
«Quindi...»
«Quindi ti voglio bene, Paulo. Te ne vorrò per sempre. Sei la persona più importante della mia vita»
«Sì» Ma non lo amava.
Paulo fece un passo indietro. Che cosa si era aspettato, dopotutto? Che con un bacio rubato tutto sarebbe mutato?
«Scusa, Blanca»
«Non chiedermi scusa. Non voglio che le cose cambino tra noi solo perché mi hai baciata».
«Non cambierà mai niente» rispose lui con fermezza. Non avrebbe smesso di amarla, anche se il futuro aveva scelto diversamente per loro.
«Allora ci salutiamo qui» le disse poi, allungando una mano. Forse, le sarebbe piaciuto farlo così.
«Ciao, Paulito»
«Non Paulito. Sono grande per i nomignoli infantili»
«Va bene. Allora ciao... Di Alba». Bianca prese lentamente la sua mano, sentendola calda nella propria. Poi mise da parte tutta quella formalità che non apparteneva loro, gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte in un ultimo abbraccio.
«Ciao, Blanca»
Lui la chiamava sempre così, perché suonava meglio e semplicemente lo preferiva. A lei piaceva, per cui non se n'era mai lamentata.


***

Sai che giorno è oggi?
«Paulo, usciamo a fare un giro?». La voce di Adriana risuonò da qualche parte tra la cucina e l'anticamera. Era tornata dall'Argentina qualche giorno prima dopo un lungo periodo passato con la famiglia, mentre Paulo traslocava dal sud al nord Italia. Dopo due anni passati a giocare nella squadra del Palermo, si era trasferito a Torino quando aveva firmato il contratto per una famosissima squadra piemontese. Adriana era andata a vivere con lui.
Oggi è il giorno in cui ti dissi che ti amavo.
«Ha smesso di nevicare». La voce di lei si fece vicina. Una mano prese la sua e lo invitò ad alzarsi dal divano.
Paulo si lasciò convincere. Uscirono a passeggiare per le vie del centro. Era facile quando nessuno ti riconosceva. Non era abbastanza famoso, non ancora, anche se qualche volta doveva calarsi il cappello sugli occhi per non rischiare.
Ambientarsi in Italia non era stato facilissimo, soprattutto per lei: le stagioni invertite, la lingua, il freddo pungente del nord. Inizialmente anche Paulo si era sentito escluso, ma ormai masticava l'italiano piuttosto bene. Al contrario, Adriana per le lingue sembrava negata. Non era una grande fan della capitale piemontese, soprattutto della neve. Detestava uscire sotto la neve, nella parte di Argentina in cui vivevano loro non nevicava mai.
Ma Paulo aveva scoperto che poteva essere piacevole camminare sotto i fiocchi candidi. Per lui la neve era associata al ghiaccio, e il ghiaccio a due paia di pattini che scivolavano sopra una lastra bianca ai piedi di un cigno.
Avevi due ali troppo immense. Dovevi volare.
Quando aveva fatto sapere a Bianca del suo ingaggio in Italia, lei aveva gridato di gioia, certa che quel giorno sarebbe arrivato. Lo aveva sempre saputo.
Dopo la morte di suo padre, Paulo si era spostato a vivere nel campus dell'Instituto, per dedicarsi al calcio e nient'altro. Per realizzare il sogno suo e di suo padre. Bianca era tornata ogni estate a Ansenuza ed era sempre andata a trovarlo. Ma per una serie di ragioni non specificate, le cose tra loro non erano più come una volta. Il bacio all'aeroporto sembrava dimenticato, benché lui continuasse a pensarci di continuo. L'ultima volta che l'aveva vista gli era apparsa diversa, distaccata, impacciata. Forse perché non voleva dirgli di aver trovato un ragazzo. Sembrava si sentisse quasi in colpa, ma per cosa? Era stato lui l'illuso. Lei non lo aveva illuso mai. Era stata chiara, eppure... eppure gli occhi della ragazza gli avevano comunicato qualcosa che non aveva saputo comprendere.
Durante la loro ultima estate insieme ad Ansenuza, Bianca lo aveva guardato come se cercasse qualcosa o qualcuno: quel bimbo di undici anni che aveva salutato tanti anni prima, il quindicenne che le aveva detto di amarla, e il giovane uomo che stava diventando.
Non so se anche tu mi ami. Ma io ti amo Blanca. Solo che non potrò mai stare assieme a te.
Tanti anni di sentimenti taciuti, sperando che tutto divenisse vero. Lo era stato, per un brevissimo istante, quando Bianca lo aveva preso per mano nel tramonto seduti sotto il portico di casa Arnova.
«Pensi mai a se fosse stato diverso?»
Paulo non aveva trovato una risposta, solo un'altra domanda. «Che cosa vuoi dire?»
Bianca lo aveva guardato in modo strano, triste. «Niente»
Lui non aveva indagato oltre, le parole erano rimaste sospese tra il luccichio delle stelle e il sorriso di lei. Avrebbe voluto baciarla ancora, sollevare una mano e accarezzarle i capelli soffici mossi sulle spalle, solo per sentirsi meglio.
Non l'aveva fatto quell'ultima volta e non l'avrebbe fatto più chissà per quanto tempo.
Negli ultimi due anni, ogni qualvolta lei tornava in visita ad Ansenuza, Paulo non poteva andare. E se poteva lui, non c'era lei. Poi, tra loro era comparsa Adriana. Inizialmente era stata una semplice compagna di scuola, nel tempo era diventata la panacea alla mancanza di Bianca.
Sono qui con lei per questo? Perché in lei vedo te?
No. Adriana non somigliava per niente alla sua Blanca. Non aveva la sua vivacità, il suo sorriso, la sua tenacia, né i suoi occhi di quell'azzurro più bello di ogni sfumatura di mare e cielo messi insieme.
Eppure, Adriana era stata un appiglio proprio nel momento in cui aveva avuto più bisogno di amore.
Lo sai che non so cosa sto facendo?
«Ci sediamo a prendere qualcosa di caldo?» chiese la modella argentina, tirando fuori dalla borsa il portafoglio. «Oggi pago io»
Entrarono in un bar in piazza San Carlo e ordinarono due caffè. Poco dopo, qualcuno bussò forte contro la vetrina del locale: Gianni Belli, Claudio Marchesi, Peter Pascal e un altro paio di compagni di squadra li salutavano dalla strada. Quando entrarono furono leggermente assediati da una piccola folla di tifosi. Paulo fu inevitabilmente coinvolto nello scatto delle fotografie, ma non ci volle molto tempo. A Torino la gente era molto educata e non disturbava più del dovuto.
«Che fate in giro tutti insieme?» chiese Paulo, che non era stato avvertito della piccola riunione.
«Facciamo fare un tour della città ai nuovi arrivati» rispose Claudio. «Non ti abbiamo avvisato perché sapevamo avevi da fare con la tua ragazza»
Sedettero tutti attorno a un paio di tavolini vicini, iniziando a chiacchierare. Adriana non sapeva bene l'italiano e cercava di destreggiarsi come meglio poteva. Mentre gli altri tentavano di improvvisare un corso di lingua accelerato, Paulo si perse con lo sguardo fuori dalla vetrata del bar.
In giro per Torino erano stati esposti decine di cartelloni pubblicitari dedicati all'evento Star on Ice. La didascalia a caratteri cubitali diceva così:

"Pattinatori artistici di fama internazionale accompagneranno la musica di un grande spettacolo corale, emozionando e tenendo col fiato sospeso il pubblico con le loro straordinarie esibizioni."

E sul cartellone più grande, in mezzo alla piazza, c'era lei...
«Paolino, sei pensieroso» disse Gianni, occupando la sedia davanti a lui lasciata vuota da Adriana, che ora sedeva vicino a Peter ridendo alle sue battute.
«Non ho niente» mormorò Paulo a mezza voce. Una parte di lui avrebbe voluto parlarne, per avere qualcuno che ascoltasse, che sapesse cosa provava.
«Cosa guardi?»
Paulo distolse gli occhi dall'immagine di Blanca. Non riuscì a reggere un solo momento di ulteriore confronto.
«La vedi la ragazza raffigurata sul quel manifesto pubblicitario?»
Gianni si sporse un po' in avanti per guardare meglio. «Sì. È famosa. È la campionessa mondiale di pattinaggio sul ghiaccio. La Arnova»
«Bianca»
Il portiere lo fissò un istante, stupito dalla conoscenza di Paulo verso un'atleta di uno sport che non sapeva gli interessasse. «Segui il pattinaggio artistico?»
«No, non direi che lo seguo». Se Blanca non lo avesse praticato, dubitava si sarebbe mai anche solo affacciato a quella disciplina.
«La conosci, per caso?»
Paulo bevve l'ultimo sorso di caffè, annuendo piano.
«La conosci?!»
«Sì. Perché sei stupito?»
«No, è che...»
«Siamo cresciuti insieme. Quand'ero piccolo non mi staccavo mai da lei»
Ti lascerò andare un giorno, ma non ancora. 
«Non lo sapevo» esclamò Gianni. «Porca miseria, presentamela!»
Paulo rise. «Sei vecchio per lei, capitano»
«Quanti anni ha?»
«Ventisei»
«Per me sarà giovane ma anche per te non va bene»
Paulo scattò sull'attenti. Era così evidente? Non aveva detto nulla e Gianni aveva intuito che...
«Abbiamo solo cinque anni di differenza. E comunque non è come pensi. Ti ho detto che era una mia amica»
Il numero uno sbuffò. «Vallo a raccontare a un altro, pischello»
Mentre Paulo rideva di cuore, Gianni Belli si voltò ancora a guardare il cartellone, dove la gigantografia di una ragazza fasciata in un costume a lustrini, contornata da fiocchi di neve e una pista bianca sullo sfondo, sorrideva alla città.
«Era una tua vecchia fiamma?» indagò Gianni, sempre più curioso.
Paulo scosse la testa, gli occhi fissi sui fondi di caffè. «Ero io a...» Perché glielo stava dicendo? «... ad essere invaghito di lei»
Più che invaghito, ma doveva continuamente ripeterselo per credere che il suo primo amore era finito, consumato dal tempo e da occasioni perdute. 
«Vi vedete ancora?»
Paulo chinò maggiormente il capo per non incontrare lo sguardo del capitano neppure per sbaglio. Non era sicuro di riuscire a celare la verità ben scritta nel suo sguardo malinconico.
«Ci siamo un po' persi di vista, a dire il vero. Lei è partita dall'Argentina a quindici anni per diventare una campionessa. Ci sentivamo ogni giorno ma, da quando anch'io sono venuto in Italia per iniziare la carriera professionistica, è stato difficile mantenere i rapporti». Non era vero. Non era per quello. Neppure lui sapeva perché si erano allontanati.
Gianni finse di non badare alla tristezza nella voce del suo numero ventuno. Lo lasciò continuare. Capì che ne aveva bisogno.
«Sai, lei fu il mio punto di riferimento quando morì mio padre. So che c'erano mia mamma e i miei fratelli, e forse ti sembrerò un cattivo figlio e fratello pensando questo, però lei era...»
«Qualcosa di speciale» finì il capitano per lui.
Paulo lo fissò un istante. Annuì.
Pur non ricambiandolo come avrebbe desiderato, Blanca era sempre stata l'unica in grado di completarlo, l'unica a sapergli donare una tale quantità d'amore senza nemmeno sfiorarlo.
Ti prendevi cura di me quando mi sentivo solo. Sono stato mandato in un posto in cui si prendono cura di me. I ragazzi sono come dei fratelli. Non devi più preoccuparti, ora.
«Perché non la chiami?»
La domanda di Gianni lo scosse dai pensieri. «Ogni tanto ci scriviamo»
«Non ho detto di scriverle, ma di chiamarla. Parlarle»
Da quanto non sentiva la voce di Blanca? «Non credo che abbia tempo per me»
Sarebbe stato più facile attribuirle tutta la colpa, ma lui cosa aveva fatto per meritarsela? Niente. Non ci aveva mai neanche provato davvero. L'aveva lasciata partire senza lottare, perché in quel tempo aveva solo undici anni e lei era sempre più grande di lui, irraggiungibile. Finché non lo era diventata davvero. Ma era stato lui a permettere che accadesse.
Credevo non avessimo più niente da dirci.
Bianca gli aveva scritto lunghe mail durante quegli anni, mail a cui Paulo aveva risposto fino a due anni prima. Aveva smesso di aprirle dopo il trasferimento in Italia, quando la relazione con Adriana era diventata ufficiale. Era come se con l'arrivo di quest'ultima non ci fosse più stato posto per Blanca.
Ma era vero? No. La realtà era un'altra. Paulo aveva cercato in tutti i modi di non trovare il tempo per Bianca, provando a convincersi che l'unica cosa da fare fosse dare un taglio a quello stupido circolo vizioso di chiamate, e-mail, incontri, in cui lui otteneva soltanto di smarrirsi. Una volta l'anno non era sufficiente passare un po' di tempo insieme, per poi doverla salutare ancora e ancora, senza sapere per quanto non avrebbero respirato la stessa aria. Perché aveva bisogno di lei come dell'aria stessa, e se lei non c'era, lui non riusciva a respirare a pieni polmoni, solo a metà.
Ti avrei dimenticata in qualche modo. E poi... non lo so.
«C'è Adriana adesso» disse infine Paulo, come se quelle parole concludessero degnamente il discorso. Ma era solo un'altra scusa.
«Paulo, andiamo?» disse la modella argentina infilandosi il cappotto.
Usciti dal bar, dopo i saluti, Gianni gli prese un braccio per farlo girare. «Pensaci a quella cosa»
Paulo annuì di nuovo, sfoggiando un sorriso.
«Sei tu che devi decidere»
«Grazie, capitano».
Belli, Pascal e gli altri si incamminarono per la via dalla quale erano venuti. Paulo e Adriana continuarono il loro giro in centro. Scendeva la sera.
Adriana si mise a parlare di quanto fossero simpatici i suoi compagni di squadra, di come le sarebbe piaciuto presto assistere ad un allenamento a porte aperte. Paulo la guardò e cercò di rendersi partecipe del suo entusiasmo.
Cercherò di ridere con lei. Se tu starai bene, starò bene anch'io.
E me la caverò in un qualche modo.
'Sii forte', gli aveva detto tante volte suo padre, e Blanca glielo aveva ripetuto quando Alberto non c'era più stato a ricordarglielo. Paulo ne aveva fatto un motto. 
Tu ti prendevi cura di me. Questo non lo scorderò mai.
Gettò un'ultima occhiata all'immagine di Blanca sul cartellone pubblicitario, prima che la sua fidanzata lo costringesse a cambiare strada per infilarsi in una via più piccola.
Sii forte.
Forza e fierezza. Paulo Di Alba era questo.
Sii forte.
Lo sarò.

 




Questa one-shot nasce per essere una fanfction ispirata a Paulo Dybala, come forse alcuni di voi avranno intuito. Era da un paio d'anni che l’avevo in mente. Dato che su Efp non è possibile trattare di artisti italiani o personaggi famosi che lavorano in ambito italiano, di recente ho deciso di sistemarla e pubblicarla su Wattpad (sul banner c'è il nick che uso su Wattpad, infatti, e non quello che utilizzo solitamente). D’altra parte mi dispiaceva non poterla condividere con i lettori che mi seguono qui, così ho preso la palla al balzo quando sul gruppo Facebook è stata indetta questa challenge, apportando i cambiamenti necessari per tramutarla in una storia originale. Per adesso rimane una os, nel futuro si vedrà.
Il nome di Paulo l’ho mantenuto tale perché non mi andava proprio di cambiarlo, cosa che ho fatto invece con tutti gli altri personaggi esistenti: la famiglia Dybala che diventa Di Alba (l’assonanza quasi uguale è voluta), i nomi di alcuni giocatori famosi (Gianni Belli sarebbe Gigi Buffon ad esempio) e la città in Argentina che da Laguna Larga diventa Ansenuza, cittadina inventata da me. Il nome l’ho preso dal Mar Chiquita, altrimenti detto Lago Ansenuza.
Quanto al personaggio di Bianca – o Blanca, come preferite – è un OC, alla quale dà il volto la mia pattinatrice americana preferita, Ashley Wagner.
Chi mi segue, sa che non è la prima volta che intreccio il calcio con il pattinaggio artistico. Non so perché ma questi due sport mi piacciono molto se vanno a braccetto. Oramai è diventato un mio cliché, ahah! ^^
Ultimo punto (altrimenti le note diventano più lunghe della ff): il prompt della challenge è "Mi mancheresti anche se non ci fossimo mai conosciuti". Mi sembrava adattarsi benissimo ai pensieri di Paulo, lui che la sua Blanca la ama in silenzio fino quasi all'ultimo e che mai dimenticherà, anche se non potranno essere quelli che erano prima. Ecco, per come ho tratteggiato questa storia d'amore mi sembrava che una frase del genere possa essere perfettamente sottintesa. A Paulo, Bianca mancherebbe in ogni caso, perché lei è e sarà sempre l'unica al primo posto nel suo cuore.
Se avete domande potete chiedere nei commenti. Sarò felicissima di rispondere.
Spero veramente che vi sia piaciuta.
Un grazie a chi leggerà.
 
Susan <3

 
   
 
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