And all I feel is this cruel waiting
«Kairi,
ricordi cosa hai detto prima? Anche io sarò sempre con te. Tornerò, te lo
prometto!»
«Lo
so!»
La sorte, il fato o chi per loro
avevano messo a dura prova Kairi e la sua pazienza.
Sora e Riku erano stati lontani
dalle Isole del Destino per tanto tempo – più di un anno, forse, non lo sa con
certezza, in un momento imprecisato ha smesso di contare i giorni perché in
questo modo avrebbe fatto meno male – ma Kairi ha sempre continuato ad
aspettarli, sicura che sarebbero tornati. Malconci, forse, ma sarebbero
tornati… E Riku le avrebbe scompigliato i capelli quando lei sarebbe corsa loro
incontro per abbracciarli, mentre Sora avrebbe sorriso. Sora avrebbe sorriso,
uno di quei suoi sorrisi che brillano più di una stella, con le braccia
incrociate dietro la testa, e Kairi avrebbe potuto smettere di preoccuparsi
almeno per un po’.
Ma alla fine anche la pazienza di
Kairi comincia a vacillare: stanca di restare indietro e aspettare con le mani
in mano, impugna un Keyblade e inizia ad allenarsi – perché lo sa, arriverà il
giorno in cui anche lei potrà fare la sua parte per fermare Xehanort, smetterà
di essere la principessa da difendere e inizierà a camminare da sola senza
dover sempre contare sugli altri. E allora potranno tornare a casa, lei e Riku
e Sora, tornare alle corse sulla spiaggia e alle stupide gare in cui Riku
vinceva e Sora aveva quel broncio adorabile che la faceva sorridere.
O, chissà, magari potrebbero
partire per i mondi solo loro tre, senza preoccuparsi di Heartless e Nobodies e
dell’Organizzazione che cerca di far piombare tutto nell’oscurità…
…è stato un timido sorriso, quasi
invisibile, a infrangere tutti i suoi sogni: perché nonostante tutto Sora le
aveva sorriso, seduto accanto a lei sul tronco curvo del paopu, le dita
intrecciate con le sue. Nonostante tutto aveva trovato la forza di restare e
sorriderle, come per chiederle scusa, prima di sparire insieme al sole che
tramonta. Le ha chiesto scusa per non essere riuscito a tornare.
Ma Kairi è paziente, continuerà ad
aspettarlo: lo ha fatto per mesi, può farlo ancora per tutta la vita. E a volte
le pare di sentirlo lì, accanto a lei, mentre disegna con Naminè o scrive una
lettera che mai spedirà – sente l’eco lontana della sua risata, una mano che le
sfiora dolcemente i capelli e il vento che trasporta il profumo di sole e mare
e libertà che è di Sora e Sora soltanto. Eppure tutte le volte che lo cerca con
lo sguardo si ritrova sola, a spiegare a Naminè perché sia così distratta
mentre cerca di non notare gli occhi blu di Aqua fissi su di lei, che sembra
comprendere il suo dolore. E le mani che le arruffano i capelli sono troppo
grandi, troppo sottili, troppo callose, troppo fredde – mentre anche il vento
pare aver smesso di avere il profumo di sole e mare e libertà che è di Sora e
Sora soltanto.
-Kairi?- la voce di Riku le arriva
alle orecchie distante, quasi ovattata, mentre il sole continua il suo lento
inabissarsi: il cielo muta dolcemente in un’immensa distesa di velluto blu,
mentre il mare diventa un placido specchio d’inchiostro. –Che ci fai ancora
qui?-
-Aspetto.- perché ha sempre fatto
solo questo.
-Aspetti cosa? La marea?- le
domanda ancora Riku, avvicinandosi fino ad appoggiarsi al tronco del paopu su
cui è seduta.
-Sora.- pronunciare il suo nome le
procura una fitta dolorosa al petto, proprio all’altezza del cuore. –Perché
tornerà, prima o poi, vero?-
Riku non la guarda, gli occhi
chiari fissi sulla luna che quella sera sembra fatta di glassa e le braccia
lungo i fianchi. Passano secondi, forse minuti, Kairi non lo sa, attendendo che
il ragazzo si decida a parlare. Che le dica che sì, Sora tornerà, ci vorrà del
tempo ma alla fine tornerà e lei potrà smettere di preoccuparsi.
Kairi ha sempre creduto di essere
abbastanza paziente da poter aspettare il ritorno di Sora anche per tutta la
vita, perché certa che sarebbe tornato sempre e comunque. Invece adesso, fissando
il profilo di Riku che nemmeno per un attimo ha distolto lo sguardo dalla luna e
non ha detto una sola parola, capisce che non c’è nulla di peggio
dell’aspettare invano.
Non sa bene quanti giorni, mesi o
anni siano passati, non ha voluto contarli per non soffrire ancora di più, ma
sta iniziando a dimenticare il suono della voce di Sora.
«…la
verità è che non so aspettare,
ma
alla fine aspetto sempre.»
D.D.V.D.L.:
Deliri Dalla Valle Di Lacrime
…che bello arrivare in un nuovo fandom piangendo come una disperata, mi sembra corretto.
Salve, sono la Maki e so che avreste fatto volentieri a meno di me, spero mi possiate perdonare. Non mangiatemi, sono vecchia, stoppacciosa e tutta ossa.
Allora, avevo iniziato questa oneshot quasi due mesi fa, quando avevo finito di rigiocare a tutti i giochi della serie per prepararmi al terzo capitolo: questa cosa è uscita non so nemmeno io bene come e perché, forse perché mi erano tornati potentissimi i feels sokai o per esorcizzare la paura di un probabile finale… Non lo so, fatto rimane che mi sono completamente dimenticata di averla scritta fino a ieri, quando cercando un documento per il lavoro mi sono imbattuta nelle poche righe che avevo scritto [tra l’altro a mano, quindi come ci sia finito un foglio di quaderno in mezzo alle copie del mio curriculum e altre scartoffie credo rimarrà un mistero]. L’ho ricopiata, finita e corretta praticamente piangendo.
Questo è stato un colpo veramente basso, Nomura, anche per te, e non mi sento di dover aggiungere altro. Solo, non farci aspettare altri tredici anni, grazie.
Anyway, se la cosa di cui sopra vi ha trasmesso qualcosa, che sia odio, amore, gioia, disgusto, tristezza o l’arteriosclerosi galoppante, non esitate a farmelo sapere! Mi interessano le vostre opinioni.
Maki