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Autore: Fede_98    13/02/2019    1 recensioni
L sta cercando di capire chi sia Kira e per farlo deve capire che tipo di persona sia, ed è qui che entra in gioco Ingrid, una criminale italiana che ha una dolorosa storia alle spalle, il suo ruolo nello scoprire l'identità di Kira è quello di essere una cavia in uno degli esperimenti di L. Ma cosa succede se si inizia a provare affetto per una semplice cavia?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Good time for a change
See, the luck I've had
Can make a good man turn bad
So please, please, please
Let me, let me, let me
Let me get what I want this time
(The Smiths - Please, Please, Please, Let Me Get What I Want)
 
 
Aprii gli occhi e vidi la macchia di muffa che si stendeva per il soffitto. In lontananza sentivo i passi delle guardie e il tintinnio prodotto dalle chiavi che portavano appese alla cintura. Ed ecco i primi lamenti del mattino: chi diceva di non sentirsi troppo bene e di voler essere portato in infermeria, chi pregava una guardia di aiutarlo a fuggire e chi si asciugava le lacrime versate la notte prima, mentre cercava di sopprimere gli ultimi singhiozzi. Rimasi stesa sul letto per qualche minuto, avrei dovuto fare colazione ma la prospettiva di restare a letto sembrava decisamente più allettante di mangiare quella poltiglia che spacciavano per cibo. Dopo cinque minuti mi decisi a scendere dal letto e andai a lavarmi la faccia, non che potessi far altro comunque, dopo le 8 non ci era concesso dormire.
Improvvisamente tutto il carcere si riempì di un rumore metallico prodotto dalle cancellate che venivano aperte. “Giorno di visite” pensai mentre il cattivo umore cominciava a farsi strada in me: odiavo quelle giornate, quasi tutti ricevevano visite ma non io, mia madre era impossibilitata a venire e sebbene i miei fratelli talvolta venivano a trovarmi, sono sicura che ne avrebbero fatto a meno, mi disprezzavano dopo quello che avevo fatto, per questo le loro visite erano comunque molto rare.
Presi un libro e iniziai a sfogliarlo per ingannare il tempo e affievolire quella sensazione spiacevole che provavo ogni volta che era giorno di visita
La mia cancellata si aprì e, con un movimento pigro, girai la testa verso Anna, la guardia carceraria, la persona più vicina ad un’amica lì dentro, sebbene non lo fosse davvero, le regole non lo permettevano
«Ci sono visite» disse con voce chiara. Assunsi di proposito un’espressione interrogativa, nel tentativo di estorcerle un’informazione sul mio visitatore ma l’unica risposta che ottenni fu la sua stretta di spalle per indicare che non sapesse chi fosse venuto a trovarmi.
Uscii accompagnata da Anna e camminai per il lungo corridoio, fermandomi quando un’altra cancellata si aprì.
Entrai nella stanza, non era la normale stanza delle visite: c’era solo un tavolo e dietro di esso un signore anziano, con i capelli bianchi e i baffi dello stesso colore. Quando entrai i suoi occhi azzurri si rivolsero verso di me.
Mi accomodai all’altro capo del tavolo e aspettai che parlasse. Non avevo idea di chi diavolo fosse e cosa ci facesse qui, per cui aspettai,
«Ciao Ingrid» il suo tono era calmo e pacato, mi trasmetteva un senso di tranquillità «ti chiederai che cosa ci faccio qui» continuò «beh, ho una proposta da farti, non posso dirti i dettagli finché non avrai accettato ma ti posso dire questo: abbiamo bisogno di te per un’indagine molto importante, i rischi che correrai non saranno pochi, potresti morire, ma se sopravvivrai la tua… » s’interruppe per guardare le mura del carcere «… situazione potrebbe migliorare»
Una persona normale avrebbe aspettato, avrebbe valutato i pro e i contro, avrebbe avuto paura di morire… ma non mi sarei trovata qui dentro se fossi stata una persona normale. Risposi immediatamente «Dove devo firmare?» dissi citando una tipica frase da film. Il vecchio fece un sorriso soddisfatto quando si alzò io feci altrettanto. Allungò la mano verso di me gliela strinsi senza esitazioni «Io sono Watari, collaborerò con te e con altri d’ora in poi. Adesso devi andare nella tua cella e prendere le tue cose» quest’ultima frase produsse in me uno stato di euforia che non provavo da tempo, stavo per uscire, forse definitivamente, forse solo per qualche ora, ma stavo per uscire.
 
Nelle 3 ore successive accaddero più cose di quante me ne fossero accadute nell’ultimo mese: misi le mie cose in valigia e venni scortata fuori dal carcere, dove ad attendermi c’era una Rolls Royce nera. Accanto alla portiera aperta c’era Watari che con un gesto mi invitava ad entrare. All’interno dell’auto c’erano due uomini in giacca e cravatta, sembravano due bodyguards, probabilmente erano qui per proteggere Watari da me, non che ce ne fosse bisogno comunque, avevo commesso già un omicidio ed era stato per necessità, non ero una bestia. Immaginando comunque la loro prossima mossa, sbuffai e allungai le braccia mostrando i polsi. Ancora una volta, Watari sembrò divertito dal mio comportamento. «Non ce n’è bisogno signorina Ingrid, sebbene non credo che farà qualcosa di avventato, i due signori qui presenti saranno più che abbastanza per proteggermi». Beh, come dargli torto, uno di loro era comunque il doppio di me e, nonostante il fatto che fossi un’assassina, la mia unica vittima stava dormendo quando ho commesso l’omicidio.
Dopo mezz’ora la macchina si fermò e quando la portiera si aprì vidi un aereo che ci stava attendendo.
Appena salimmo sull’aereo constatai che non fosse uno di linea, era un aereo privato, voleva dire che l’indagine in cui ero coinvolta era bella grossa. Watari si accomodò di fronte a me e i due energumeni presero posto alla mia destra e alla mia sinistra. Feci uno sbadiglio, non avevo dormito abbastanza evidentemente. «Può dormire se vuole» mi disse con il suo tono pacato Watari ma io scossi la testa: ero venuta con loro senza esitazioni, e sebbene fossero stati abbastanza schietti sui rischi che avrei corso, ancora non sapevo i dettagli del piano che mi avrebbe riguardata, non sapevo neanche dove ci stava portando quell’aereo, l’unica cosa che potevo fare era restare vigile fino al chiarimento di tutta la faccenda.
«Che bei capelli rossi che ha signorina Ingrid» provò a fare conversazione Watari «ha origini Irlandesi?» . Posai il mio sguardo sui miei ricci prima di rispondere «No, sono italiana ed anche i miei genitori. Ma grazie per il complimento» dissi in modo apatico. Watari non disse un’altra parola, probabilmente il modo in cui gli avevo risposto gli aveva fatto intendere che non ero dell’umore per fare conversazione, per cui il viaggio proseguì nell’assoluto silenzio.
Quando l’aereo stava per atterrare, provai a scorgere dal finestrino la località in cui eravamo diretti ma nessuno degli edifici visti dall’alto mi sembrava familiare. «Siamo in Giappone» disse Watari intuendo cosa stessi cercando di fare «presumo che lo avrebbe capito dai tratti degli abitanti» aggiunse. «Capisco» mi limitai a dire.
Quando scendemmo dall’aereo, vidi che un’altra Rolls Royce, identica a quella che mi aveva prelevata dal carcere, ci stava aspettando per condurci chissà dove.
Ci fermammo proprio di fronte ad un hotel di lusso. “Prima le due Rolls Royce, poi l’aereo privato e adesso anche l’albergo di lusso… certo che non badano proprio a spese” pensai mentre mi apprestavo ad uscire dall’auto e ad entrare nell’albergo. Ovviamente, non entrai dall’ingresso principale ma da un’entrata secondaria, dove ad attendermi c’erano due uomini che avevano una pistola alla vita, supposi fossero agenti della polizia giapponese.
«Salve signorina, sono il sovrintendente Yagami» disse il più anziano dei due in un italiano stentato che mi diede non poco fastidio «Mi dispiace ma prima di poterle permettere di continuare, devo perquisirla». Sbuffai, «Faccia pure, è ormai risaputo che all’interno delle carceri siamo provvisti di tutti i tipi di armi, ce ne regalano anche una quando andiamo via» risposi ironica in giapponese, non volevo sentirli parlare ancora quell’italiano storpiato. Comunque, li lasciai perquisirmi e quando, ovviamente, non trovarono nulla, mi lasciarono passare. Entrammo nell’ascensore io, Watari e Yagami, mentre l’altro agente rimase all’entrata. Al 16º piano l’ascensore si fermò e le porte si aprirono. Watari e Yagami mi condussero in una stanza e di colpo una dozzina di occhi furono puntati su di me, provocandomi una sensazione sgradevole. Solo un ragazzo dai capelli neri che se ne stava seduto e che mi rivolgeva le spalle non si volto nemmeno per lanciarmi una curiosa occhiata fugace. Fu proprio lui a parlare «Benventa Ingrid. Vieni avanti e lascia che mi presenti, io sono L»
   
 
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