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Autore: Sylphs    14/02/2019    1 recensioni
Narcissa Malfoy, a pochi giorni da Natale, torna a Spinner's End, da Severus Piton, colui che tre mesi prima ha giurato di proteggere suo figlio Draco con il Voto Infrangibile, per discutere gli ultimi eventi e sfogare le sue angosce. Il tutto si evolverà in maniera inaspettata, profonda... scomoda.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Narcissa Malfoy, Peter Minus, Severus Piton | Coppie: Severus/Narcissa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Oblivion
1

 


La neve veniva giù fitta e implacabile, ammantando il sudiciume e il grigiore di Spinner’s End di una patina falsamente candida e brillante, e frustava senza pietà il viso di Narcissa sotto al cappuccio del mantello, ma la donna non faceva il minimo caso al freddo mentre risaliva quasi di corsa l’argine del fiume e si dirigeva alla staccionata pericolante che l’avrebbe immersa nel dedalo di vicoli e stradine sormontato dalla ciminiera gigante. Quando era stata lì l’ultima volta, a settembre, il nastro d’acqua scorreva placido e sporco, intasato dai rifiuti. Questi ultimi c’erano ancora, cumuli maleodoranti che attiravano famelici animali selvatici, ma il fiume era stato inghiottito da uno strato di ghiaccio.
Il ghiaccio, insieme alla neve e al vento pungente, erano gli unici indizi del dicembre inoltrato che avvolgeva il quartiere periferico. Solcando vie semibuie, illuminate fiocamente da pochi lampioni, Narcissa non scorse alcuna decorazione natalizia ammiccare dalle finestre mezze rotte, né le arrivò alle narici il profumo dell’arrosto e dei dolci appena sfornati, ma soltanto il puzzo fetido dell’incuria e della fatiscenza. I suoi piedi gracchiavano funerei sul manto bianco che nessuno si era preso il disturbo di spalare ai lati dell’asfalto e l’orlo della cappa la seguiva fluttuando, il cupo verde del rivestimento esterno spolverato da un candore come di zucchero a velo. Respirava rapida, con affanno, e il suo fiato si condensava in spesse nuvolette di vapore. Pur sapendo di non avere alcunché da temere da quel lurido letamaio babbano, le sue dita stringevano impulsivamente il manico liscio e rassicurante della bacchetta.
Bellatrix non l’avrebbe seguita, stavolta. Era riuscita ad eludere la sua sorveglianza molesta.
Giunta di fronte alla palazzina di mattoni scrostati cui aveva fatto visita tre mesi prima, bussò energicamente, il sibilo monocorde della tramontana che veniva trafitto dal cigolio della porta che ruotava sui cardini poco oliati.
Si era aspettata che fosse Piton ad aprire, come la volta precedente, ma la sua espressione angosciata morì in una smorfia di disgusto quando, al posto dell’uomo alto e pallido, si stagliò sulla soglia una sagoma bassa, tozza e grottesca, che le puntò contro i suoi stolidi occhi acquosi.
“Chi è?” chiese sospettoso Codaliscia, non riconoscendola per via del cappuccio. La voce, laida, lamentosa, era repellente quanto il suo aspetto, e Narcissa si trovava in un tale stato che il pensiero di dover rivolgere la parola a quell’essere le risultò particolarmente insopportabile.
“Piton” disse pertanto con urgenza. “Devo vedere Piton”.
L’ometto grasso esitò, gettando una furtiva occhiata alle proprie spalle per poi tornare a far strisciare sul suo corpo gli occhietti poco espressivi. I suoi indugi destarono in Narcissa, complice anche l’agitazione che le scorreva sottopelle, l’impulso incontrollabile di schiantarlo e passargli sopra, sfuggendo al freddo e rifugiandosi nell’appartamento male illuminato dove sperava di trovare un po’ di conforto.
“È in casa?” insistette, brusca, con il tono autoritario che un tempo usava con Dobby, l’elfo domestico di famiglia. Una delle tante cose che Harry Potter aveva portato loro via.
La bocca molle di Codaliscia si schiuse: “Sta riposando. Dica pure a me, signora Malfoy… c’è forse qualche problema? Come mai è uscita con questa nevicata, a pochi giorni da Natale?”
La malcelata, viscida curiosità che intrideva le sue parole fintamente servili acuì il disgusto di Narcissa. Non capiva perché il Signore Oscuro si ostinasse a tenere in vita quella ripugnante parodia d’uomo guidata solo e unicamente dalla paura – e la paura era la morte della lealtà, lo sapeva ora che ne era infettata a sua volta, costantemente – ma c’erano tanti aspetti delle decisioni del Signore Oscuro che non capiva. Non riusciva a fare propria la fedeltà cieca che gli tributavano Bella, Rodolphus, Yaxley e tutti gli altri.
Per fortuna, una familiare voce annoiata e monocorde si levò da dentro l’abitazione, alle spalle della silhouette ingobbita di Minus, risparmiandole l’onere di rispondere: “Chi è alla porta, Codaliscia?”
Un’espressione refrattaria e rancorosa si dipinse sul volto dell’Animagus, la curiosità invadente spazzata via dal palese timore che nutriva per il padrone di casa, ma Narcissa non gli diede modo di parlare e lo oltrepassò direttamente, costringendolo a farsi di lato con un balzo, battendo in un gesto automatico la bacchetta sulle proprie vesti zuppe per asciugarle e non sgocciolare neve sciolta sul pavimento.
Una premura inutile, dettata da pura abitudine, giacché l’appartamento di Piton era malmesso e decadente adesso come a settembre, e certo un po’ d’acqua non avrebbe stonato in mezzo alla polvere e alla sporcizia da cui era invaso.
“Severus” pronunciò in un sussurro febbrile, impaziente, gli occhi azzurri che dardeggiavano nel salotto in penombra prendendo nota delle tende stinte che velavano le finestre, degli scaffali gonfi di libri consunti appoggiati alla parete dall’intonaco cadente, del tavolino che si reggeva a stento sulle gambe traballanti e del divano opaco su cui s’era accasciata in passato, priva di autocontrollo. “Severus?”
L’uomo era seduto in poltrona, con un grosso volume dalla copertina di cuoio liso e crepato lungo i bordi in equilibrio sulle ginocchia e accanto a sé, sul bracciolo, una tazza di tè ormai tiepido. Abbigliato di nero dalla testa ai piedi come suo solito, i capelli unticci che gli spiombavano sulle spalle, aveva alzato dalle pagine ingiallite i freddi occhi scuri e la guardava con aria indecifrabile.
“Narcissa” una nota di educato, enfatico stupore tingeva appena la voce altrimenti inespressiva. “Quale gradevole sorpresa. Perdona i modi scortesi di Codaliscia” lanciò un’unica, perforante occhiata all’ometto, e questi si insaccò ancor più in se stesso rivolgendo al pavimento rigato una smorfia di sottomessa umiliazione. “A vestire i panni di un animale per dodici anni, ci si disabitua alle regole civili”.
Narcissa aveva asciugato i propri abiti, ma il gelo le era rimasto nelle ossa, e tremava vistosamente a pochi passi dall’uscio: “Severus, io… chiedo scusa per essere arrivata senza preavviso… di nuovo. Ma non sapevo a chi altri… dopo tutto quello che…”
“Non dirlo nemmeno per scherzo” lui poggiò il libro che stava leggendo sul tavolino con insolita delicatezza e si alzò per andarle incontro; benché il suo atteggiamento trasudasse educazione, gli occhi neri continuavano a scandagliarla senza il minimo calore. “Solo mi rincresce che tu sia dovuta venire fin qui sotto la neve. Mi rendo conto che non è il genere di casa in cui è confortevole approdare dopo aver affrontato una bufera invernale. Niente caminetti accesi con fuochi scoppiettanti… o mobili di velluto in cui sprofondare le membra stanche e intirizzite”.
In un’altra circostanza, Narcissa avrebbe cercato di intuire quanto beffardo e aspro fosse stato il discorso, ma lo liquidò con un gesto: “La temperatura non è un problema, Severus”.
Un sorrisetto smorto, indefinibile, arcuò le labbra sottili di lui: “Ne sono sollevato. Codaliscia, prendi il soprabito della signora e portale una tazza di tè. Ha bisogno di scaldarsi”.
Le guance cascanti e mal rasate di Minus si coprirono di chiazze rosse, ma stavolta non protestò per l’ordine ricevuto e balzellò incontro a Narcissa, facendo il gesto di aiutarla a sfilare il mantello. C’erano insieme un timore reverenziale e una certa, sotterranea e sudicia lussuria nelle sue dita che le strapparono un brivido di ribrezzo, e rifiutò il suo aiuto seccamente, togliendosi la cappa da sola e porgendogliela senza guardarlo. Codaliscia scomparve incespicando goffamente nel tessuto lussuoso che trasportava, probabilmente diretto a fare altro tè.
“Aspetto con ansia che provi ad avvelenarmi” commentò asciutto Piton. “Ero convinto che avrebbe ceduto molto prima, ma forse è meno sottodotato di quel che credevo, e intuisce che avvelenare un ex professore di Pozioni sarebbe…”
“Severus” lo interruppe con foga Narcissa, muovendo un passo in avanti fino ad essergli proprio di fronte, incapace di ascoltare qualsiasi cosa che non fosse il battito irregolare del proprio cuore. “Sono sicura che sai perché sono qui”.
L’uomo non protestò per l’interruzione, si limitò ad abbassare il gelido sguardo su di lei. Per qualche istante si studiarono a vicenda, Narcissa fremente, con i lunghi capelli che la avvolgevano come un secondo mantello, Piton impassibile. Le era sempre stato impossibile decifrare cosa l’insegnante pensasse o provasse, ma stranamente la maschera piatta del suo volto giallastro agiva su di lei come un calmante, laddove al contrario l’esaltazione di sua sorella e il fervore avido degli altri Mangiamorte la logoravano. Quantomeno negli ultimi mesi.
Ignorando la sua affermazione, Piton le indicò il divano: “Accomodati pure”.
Narcissa non era sicura d’essere in grado di sedersi, un’energia malsana, generata dall’angoscia e dall’apprensione che la divoravano viva, le imponeva di restare in piedi, di indulgere in una serie di tic nervosi che Lucius avrebbe senz’altro trovato volgari e ineleganti da parte di una strega purosangue del suo lignaggio, ma le iridi d’inchiostro di Piton le chiedevano di fidarsi, e non poteva dimenticare che lui s’era prestato a stringere un Voto Infrangibile, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Era pronta a concedergli il beneficio del dubbio, fosse anche solo per il bene di suo figlio.
Si lasciò cadere sull’imbottitura polverosa mentre il suo ospite estraeva la bacchetta di tasca e dava vita a tutte le candele sparse nel salone, per aumentare la tenue luminosità e offrirle un minimo di calore in più. Narcissa non vide alberi di Natale, regali impacchettati e ghirlande d’agrifoglio, nessun lampo di colore in quella disadorna, spoglia uniformità che ben si sposava con il pallido, sbiadito padrone di casa. D’altra parte, con chi avrebbe potuto festeggiare la ricorrenza? Non aveva amici intimi tra i Mangiamorte, non s’era mai sposato, e la famiglia d’origine a malapena era stata nominata.
Sull’onda di quei pensieri, disse istintivamente: “Draco tornerà a casa tra due giorni. Potresti passare il Natale con noi, Severus, a Malfoy Manor. Diamo un banchetto”.
Piton inarcò un affilato sopracciglio scuro: “Temo che la cara Bellatrix non sarebbe lieta di avermi alla sua tavola”.
“Mia sorella non ha voce in capitolo” replicò Narcissa bruscamente. “La dimora è mia, decido io chi invitare. E tu, ora, sei di nuovo uno di noi”.
Voleva bene a Bella, nella misura in cui si poteva voler bene ad una come lei, ma non riusciva a perdonarle l’assoluta insensibilità nei confronti di Draco, l’insistenza con la quale riempiva la testa di suo figlio di sogni di gloria e di lodi al Signore Oscuro, incalzandolo a portare a termine la missione affidatagli per “ripristinare l’onore della famiglia”. Scaricava addosso al ragazzo tali responsabilità e aspettative che, a volte, Narcissa aveva solo voglia di prenderla per i capelli e sbatterla fuori. 
“Credimi, Narcissa, sono toccato dal tuo invito” fece Piton senza emozione, tornando ad occupare la poltrona. “Ma non penso sia il caso di stuzzicare chi ancora non mi vede di buon occhio. I tuoi parenti vorranno certamente trascorrere un Natale sereno, senza intrusi indesiderati”.
Narcissa si lasciò sfuggire una risata singhiozzante, scevra di qualsiasi allegria: “Sereno… come se potesse esserlo in ogni caso, con Lucius in prigione, e Draco…” una morsa le artigliò il petto. “Draco…”
Piton intervenne in fretta: “Hai notizie di Lucius?”
Narcissa rise ancora, una risata che sapeva di fango e cenere, e tentennò il capo: “Mi è stato concesso di fargli visita a novembre. Era ridotto all’ombra di se stesso. Non l’ho mai visto così spezzato, è sempre stato un uomo fiero. Naturalmente ha detto di stare bene, ma i suoi occhi… i suoi occhi…” li ricordava nitidamente, come se il marito fosse stato tuttora dinnanzi a lei, smagrito e con la barba incolta, grigi, guizzanti, da animale braccato. “… i suoi occhi erano colmi di paura. Era spaventato, spaventato a morte. Non che questo dovrebbe sorprendermi, coi Dissennatori, ma… cogliere quel terrore in lui mi ha scioccata. Perciò non ho voluto che Draco lo incontrasse. Lui lo ha sempre considerato un modello da seguire, privarlo di un’ennesima certezza in un momento già pesante…”
Bellatrix l’avrebbe disprezzata per quello sfogo, le avrebbe sibilato di ricomporsi e di non mostrare il fianco a quello che era, a tutti gli effetti, un Mezzosangue, appena un gradino sopra ai Nati Babbani. Ma Bellatrix non c’era, e nel silenzio privo di comprensione, ma anche di compatimento, di Piton, Narcissa ravvisava un senso di conforto. Era un po’ come parlare con sé stessa. Lui non aveva cambiato espressione, la scrutava e basta con quei suoi occhi indecifrabili.
La donna sollevò sull’interlocutore lo sguardo palpitante: “So che anche Draco è terrorizzato. Non è vero, Severus? Non vedo l’ora che torni da me, ho contato i giorni… e se potessi, gli impedirei di rimettere piede in quella maledetta scuola”.
“Lui non accetterebbe mai” fu la replica asciutta.
“Sì, perché è stato plagiato!” proruppe Narcissa con impeto. “Tutti, tutti lo hanno plagiato! Un bambino di sedici anni! Severus, tu devi venire a Natale”.
“Narcissa…”
“No” gli afferrò una mano nodosa, stringendola convulsamente. “No, ascoltami. Ha bisogno che qualcuno faccia da contraltare alle farneticazioni di mia sorella e alle lusinghe degli altri. Loro lo gonfiano d’orgoglio, decantano di invidiare la sua fortuna, ma è tutta una farsa. Lo leggo nei loro occhi, che si augurano che fallisca. Che desiderano vederlo cadere come è caduto Lucius. Non è altro che un pezzo di carne con cui si divertono e nutrono la loro sete di sangue. Li… li ucciderei, se potessi! Nessuno pensa al suo bene, nessuno tranne te. Per favore, Severus, vieni a Natale”.
L’uomo non aveva sottratto la mano alla sua presa, ma nemmeno aveva ricambiato la stretta. La guardava senza sbattere le palpebre.
“Con rammarico devo informarti, Narcissa” disse piattamente. “Che questi primi tre mesi a Hogwarts hanno confermato ciò che ipotizzai durante la tua precedente, gradita visita: la tua fiducia nell’influenza che esercito su Draco è, ahimè, malriposta”.
Narcissa sbatté le palpebre: “Perché mai?”
Piton emise un sospiro in cui le parve di individuare una blanda traccia di fastidio: “Tuo figlio è restio ad accogliere i miei consigli. In effetti, è restio ad accogliere qualsiasi parola provenga dalla mia bocca”.
“Per la questione di Lucius? Ma se è davvero così, posso persuaderlo della tua buona fede… posso fare in modo che…”
Con un cenno garbato, la indusse a tacere: “Non si tratta solo di Lucius. Credo che il ragazzo si sia chiuso completamente in se stesso. Che non si fidi più di nessuno, e che anzi reagisca con rabbia ai suggerimenti e ai tentativi di aiutarlo. Non ne sono rimasto sorpreso, è una tecnica di autodifesa scontata da parte di un ragazzo della sua età, alle prese con un compito come quello che il Signore Oscuro gli ha affidato”.
“Ma allora cosa si può fare?” la voce di Narcissa era salita in un lamento stridulo. “Come possiamo salvarlo? Hai promesso che lo avresti aiutato, Severus!”
“E lo farò” dichiarò lui seccamente.
“Ma come? Quella ragazza, Severus, Katie Bell, la… la collana…”
Piton spostò la testa unticcia con un fluido movimento verso la porticina seminascosta tra gli scaffali della libreria e Narcissa ammutolì di colpo, girandosi a sua volta e inquadrando la sordida figura di Codaliscia che esitava con un vassoio tra le mani. L’ometto trasalì vistosamente sentendosi fissato dai gelidi occhi neri del professore e da quelli azzurri e luccicanti della donna, e per poco non fece cadere il proprio fardello.
“Che fai, Codaliscia?” lo redarguì Piton con malevolenza. “Aspetti che il tè si freddi? È così che a te piace berlo, ghiacciato?”
Minus borbottò qualcosa di incomprensibile, evitando accuratamente lo sguardo affilato dell’altro uomo.
“Credo che la signora lo preferisca caldo” proseguì quest’ultimo in tono soave. “Daglielo e poi va’ a spalare il vialetto”.
Codaliscia rialzò di scatto il capo arruffato, la sua voce echeggiò lagnosa e squittente in tutto il salotto: “Sta nevicando!” 
Piton non batté ciglio: “Per questo serve che qualcuno spali il vialetto”.
“Ma verrebbe ricoperto di nuovo, praticamente subito!”
“Dici? Immagino dunque che ti ci vorrà del tempo. Puoi cominciare immediatamente”.
Minus aprì la bocca nell’ovvio intento di protestare ancora, paonazzo, gli occhi acquosi e sfuggenti fissi in quelli impenetrabili di Piton. Piton alzò un sopracciglio, sfidandolo con volto annoiato, ma duro come la pietra, e fu proprio quella durezza aspra, aguzza, che spense il poco coraggio di Codaliscia. Narcissa lo vide affogare nella consueta, risentita vigliaccheria, e tendere i lineamenti molli in una smorfia d’odio impotente.
L’ometto trottò nel salone, cacciò il vassoio del tè sul tavolino in mezzo a loro e si diresse alla porta, facendosi inghiottire dalla neve e dal vento.
“Eccone un altro a cui non dispiacerebbe veder cadere qualcuno” commentò distrattamente Piton, lo sguardo perso nel vuoto. “Non temere, non verrà più a disturbarci. Anche mio padre mi mandava a spalare il vialetto sotto la neve, quando desiderava avere mia madre a sua completa disposizione. L’ululato del vento impediva che sentissi qualsiasi cosa”.
Narcissa tacque, non sapendo bene cosa ribattere, tormentandosi in grembo le mani affusolate. Era troppo prostrata per concentrarsi su questioni che esulavano da Draco, e Piton, comunque, non sembrava affatto desideroso di continuare sull’argomento, poiché le versò del tè ambrato e fumante in una tazza di coccio dai bordi un po’ sbeccati.
“Zucchero?”
Narcissa annuì con aria assente e bevve un sorso non appena ricevette la tazza, senza quasi avvertire il sapore del tè caldo: “Katie Bell, Severus. È stato Draco”.
“Sì” confermò l’uomo, neutro. “Lo so”.
“Poteva finire in maniera drammatica. La ragazza poteva parlare, dire che era stato lui a…” venne squassata da un brivido doloroso. “Potrebbe ancora parlare”.
“Improbabile. La Maledizione Imperius annebbia la mente, e ad essa bisogna aggiungere l’effetto… drastico della collana maledetta. Quasi sicuramente, la ragazza non ricorda nulla”.
Narcissa non si tranquillizzò minimamente: “Ma se invece ricordasse, o se la memoria tornasse con il tempo, per Draco sarebbe una catastrofe. È illegale scagliare Maledizioni Senza Perdono. Per non parlare del fatto che è saltato fuori che la collana fosse diretta al Preside. Non posso permettere che la verità venga a galla, Severus. La mia famiglia ha delle conoscenze al San Mungo, ho pensato che la Bell potrebbe morire per un effetto tardivo del gioiello stregato…”
“Non credo sarebbe saggio assassinarla” la stroncò Piton con indifferenza. “Anche se apprezzo che tu cerchi di scongiurare qualsiasi rischio per Draco”.
“Perché non sarebbe saggio?” sbottò Narcissa. “La famiglia di quella ragazza è del tutto comune, nessuna antica stirpe Purosangue riceverebbe un affronto. Scomparirà insieme alla sua storia e Draco sarà al sicuro”.
“Ti dimentichi di Silente, Narcissa. Ha la stucchevole abitudine di prendere a cuore il destino di tutti i suoi studenti, anche di quelli più insignificanti. Nel caso della morte improvvisa della signorina Bell, indagherebbe, e tu sai quanto sia accurato quando indaga. Se venisse a scoprire, proprio lui, delle macchinazioni per toglierlo di mezzo… se risalisse a tuo figlio…”
“Quindi che proponi di fare?” gemette la donna, stringendo la tazza tanto da ustionarsi i polpastrelli. “Ignorare la faccenda? Lasciare che Draco si rovini con le sue stesse mani?”
“Dopo il fallimento con la collana, dovrebbe essersi fatto più cauto. Forse può essere indirizzato sulla strada giusta, ora che ha toccato con mano cosa significa architettare un piano avventato e fallace. Se poi la Bell ricordasse qualcosa – e, ripeto, è un’ipotesi alquanto remota – interverremo”.
“Interverremo come? Uccidendola? Obliviandola?”
Piton guardò il suo volto pallidissimo e contratto senza che un solo muscolo tradisse il minimo sentimento: “Facendo ciò che è necessario” puntualizzò, criptico.
“Dici che non si fida di te” sussurrò Narcissa; il sapore del tè era dolciastro e nauseante sulla sua lingua. “Che non si fida di nessuno. Vuol dire che è solo. Solo, con un fardello terribile da gestire”.
“È meglio che sia diffidente. Se si confidasse con uno dei suoi amici, o mostrasse loro il Marchio, la voce potrebbe diffondersi. I ragazzini parlano. Amano fare pettegolezzo. Draco manifesta discernimento, tacendo loro i suoi segreti. Ma” Piton storse appena il naso adunco. “È un problema che li taccia a me. Che mi consideri un nemico”. 
“A questo penserò io” rispose impetuosa Narcissa. “Tornerà per le vacanze e metterò una buona parola su di te, Severus. Ma, per favore, frenalo da qualche progetto suicida come quello che ha coinvolto Katie Bell. L’ha scampata per il rotto della cuffia”.
“Tenterò” disse Piton lapidario.
La donna abbassò la voce: “E Harry Potter?”
Gli occhi neri incontrarono i suoi: “Harry Potter?”
“Era presente, quando la Bell ha subìto gli effetti della collana. Lui, il ragazzo Weasley e la Sanguemarcio. Io e Draco abbiamo avuto il dispiacere di incrociarlo a Diagon Alley, da Madama McClan. È stato maleducato, insolente”.
Piton produsse un ghigno sprezzante: “Non mi sorprende. È tutto suo padre”.
“Provocava” insistette Narcissa. “Pensi che sospetti di Draco, Severus?”
L’uomo si reclinò contro lo schienale logoro della poltrona e incrociò sul ventre le pallide mani ossute: “Potter sospetta Draco di presunte azioni criminali dal primo anno, Narcissa. Ha un complesso di inferiorità più che sensato nei confronti di tuo figlio che lo spinge a cercare ogni scusa per screditarlo e metterlo in cattiva luce, finanche le più ridicole e meschine. Il padre faceva altrettanto con coloro che temeva potessero oscurare la sua fama. Durante il secondo anno, ha persino accusato Draco di essere l’Erede di Serpeverde”.
Narcissa fremette di oltraggio: “Ma allora…”
“Tuttavia” soggiunse Piton con enfasi. “Ha un talento mediocre, un acume altrettanto mediocre e, senza il sostegno degli amici più capaci, avrebbe difficoltà anche a schiacciare un Doxy. Si dà il caso che i suddetti amici più capaci non condividano i suoi sospetti su Draco”.
“Ne sei sicuro?”
“Assolutamente. Di fatto, Potter se la canta e se la suona da solo, e non riuscirebbe a cavar fuori una prova contro tuo figlio neppure se sforzasse al massimo il poco cervello di cui dispone. Non devi preoccuparti di lui”.
“E Silente? Silente ha subodorato qualcosa?”
Lo sguardo di Piton divenne impercettibilmente più elusivo: “Silente ha altro a cui pensare”.
Cadde il silenzio, un silenzio denso, soffocante, intervallato dal gemito del vento all’esterno, dalle imprecazioni ovattate di Codaliscia e dal tremolio delle fiammelle delle candele. Piton carezzava distrattamente la copertina di cuoio del suo libro e Narcissa fremeva sul divano, incapace di ingerire anche solo un altro sorso di tè. La fredda sicurezza del Mangiamorte aveva smorzato un poco le sue paure, ma non le aveva eliminate. Percepiva ogni ora come se potesse essere l’ultima di Draco.
“Non so cosa sperare” confessò pianissimo. “Se augurarmi che Draco riesca, come Bellatrix e Lucius, o che tu lo sgravi dal suo fardello. A volte penso… che sia troppo sensibile per uccidere. Lucius non se ne rende conto, ma io sono la madre, io le sento certe cose. Draco non è un assassino”.
Piton non parlò, né la guardò. Qualsiasi idea si fosse fatto a riguardo, era celata dietro i suoi lineamenti spigolosi.
“Tu gli vuoi bene, Severus?” lo incalzò Narcissa. “Gli sei affezionato?”
L’uomo pronunciò un “Sì” monocorde, poco convincente, e continuò a fissare una macchia di umidità sulla parete.
“Come mai non hai avuto figli?” arrischiò la donna. “Come mai non ti sei creato una famiglia?”
Colse il moto di irritazione che lo pervadeva, la sua riluttanza, ma Piton si espresse nel solito tono: “Immagino che non fosse destino”.
Narcissa aveva sentito le voci, naturalmente, voci che non osava mettere in campo. Voci sul presunto desiderio che Piton avrebbe provato per Lily Evans ai tempi della scuola, voci della richiesta che aveva fatto al Signore Oscuro quindici anni prima, di risparmiarle la vita, richiesta che il Signore Oscuro aveva ignorato. Non comprendeva come si potesse desiderare un Sanguemarcio, inferiore per natura, ma da quando la madre di Harry Potter era morta, Piton non aveva più nemmeno pronunciato il suo nome. Sembrava essere passato oltre con naturalezza, ed essersi adagiato nella sua solitudine.
“Per i figli si fa qualsiasi cosa” mormorò Narcissa, pensando a Draco e alla precaria situazione in cui si trovava e pensando anche a Lily Potter che si sacrificava per la sua progenie. Se fosse stato necessario, si sarebbe sacrificata anche lei, e con gioia. “Tutto, pur di tenerli al sicuro”.
“Credo che dovresti rincasare, Narcissa” fece Piton. “Si sta facendo sera”.
La donna represse a fatica un brivido di rifiuto: “Oh, no. No. Odio quel maniero così grande e freddo. Odio l’assenza di Draco e di Lucius che riempie le camere e i corridoi. Odio chiedere alla nuova elfa domestica di apparecchiare per tre e poi ricordarmi che mio marito è ad Azkaban, e il mio unico figlio… si destreggia con un incarico impossibile, affibbiatogli con il preciso intento di vederlo fallire. Lo odio! Impazzisco in quella casa, senza di loro”.
Si volse di scatto verso Piton, che l’aveva ascoltata con la sua aria indecifrabile, e si sporse sollecita nella sua direzione.
“Posso rimanere qui, stanotte?” proruppe. “Solo stanotte. Domani dovrò preparare tutto per il ritorno di Draco, ma oggi… ho bisogno di stare lontana da Malfoy Manor”.
Non rifletté sui pro e sui contro. Non badò alla disapprovazione che Bella le avrebbe senz’altro scaricato contro, o al fatto che una Black non avrebbe mai trascorso la notte nel lurido tugurio babbano di un Mezzosangue, non importava quanto fidato. Desiderava semplicemente tenersi alla larga da una dimora troppo gigantesca e sontuosa per lei sola, che le parlava insistente del marito e del figlio. Trovare i loro effetti personali, carezzarli e sistemarli come se fossero feticci, come se loro fossero morti, essere assalita dai ricordi, vagare come un’anima in pena, scarmigliata, in camicia da notte, finché Bellatrix non accorreva a scrollarla e a gridarle di tornare in sé, di riprendere un contegno… tutto questo le dava la nausea.
Piton non parve reagire in alcun modo alla proposta inattesa, si limitò ad un sibillino: “Temo non sarebbe appropriato, Narcissa. Lucius…”
“Lucius è ad Azkaban” lo interruppe, sentendosi montar dentro un’ondata di rabbia. “È ad Azkaban e non può aiutare né me né Draco. Ci ha lasciati soli. Ci ha… ci ha abbandonati! Non parlarmi di Lucius”.
“Dubito semplicemente che sia contento dello stato attuale delle cose” osservò Piton con lieve sarcasmo. “O che approverebbe la tua permanenza qui. Sei certa di volerti esporre? Non è saggio”.
“Non è saggio, non è saggio…” ripeté febbrile, quasi insana, Narcissa. All’improvviso aveva voglia di ridere, ridere istericamente, e piangere, e graffiarsi a sangue, e schiantare qualcosa, qualsiasi. Forse sé stessa, forse l’uomo ermetico e sgradevole che le sedeva accanto e che la giudicava da dietro i suoi vuoti, malevoli occhi neri. “Nessuno di noi fa cose sagge. Bellatrix non conosce neppure il significato della parola, sempre che sia conscia della sua esistenza. Andromeda ci ha disonorati per l’ebbrezza trasgressiva di accoppiarsi con un Babbano. Lucius si è sopravvalutato e ci ha fatti finire tutti in una situazione tragica, che potrebbe costare la vita di Draco. Draco…” eccola ancora, quella stretta tremenda alle viscere e al cuore, quella pena mista ad amore disperato che la privava di ogni raziocinio e le faceva salire agli occhi lacrime bollenti. “Draco è troppo piccolo per avere appreso la saggezza, e il tentativo con la collana ne è stato la prova. Cosa vuoi che sia una notte qui, Severus? Cosa vuoi che importi? E a chi? A me no”.
Il pianto le rigava le guance smagrite, ma non c’erano pietà e compatimento sul viso affilato del suo interlocutore. Non c’era nemmeno malevolenza, o godimento del suo dolore. Quella faccia somigliava ad una maschera dietro cui non era rimasto più nulla di vivo, e proprio per questo Narcissa continuava a sentirsi rinfrancata. Qualcuno era con lei, qualcuno la ascoltava e le offriva appoggio, ma quel qualcuno non giudicava, non scherniva, non porgeva rassicurazioni inconsistenti.
Le porse invece un fazzoletto che tirò fuori dalla veste e che giustificò con un aspro: “Perdonami, non è pulitissimo”.
Lei lo afferrò con le mani che tremavano vistosamente e si soffiò il naso, poi si tamponò la pelle umida, tutto quanto in preda a deboli singhiozzi. Piton aveva distolto lo sguardo dalle sue lacrime come aveva fatto a settembre, la cortina di capelli neri che gli ricadeva come una tenda sul volto. Non capiva se il suo pianto lo infastidisse o se lo lasciasse indifferente.
“In fondo” mormorò rauca. “È quasi Natale. Nessuno passa il Natale da solo”.
“Buffo” sottolineò enfatico, sardonico, il professore. “A me è successo la maggior parte degli anni”.
“Non questo, Severus. Non questo. Ti chiedo molto, ma se hai a cuore la nostra famiglia, se è vero che non hai mai avuto intenzione di usurpare la posizione di Lucius… permettimi di rimanere. Lui è sempre stato gentile, con te”. Adesso, illogicamente, la collera sorda e incoerente che aveva nutrito per il marito era sfumata nella consueta devozione, e nella sofferenza di saperlo tra le mura di Azkaban, in balia dei Dissennatori. “Ricordi? Ricordi la tua prima sera ad Hogwarts?” Piton si adombrò, come se quella reminiscenza in particolare si fosse conservata amara, spiacevole, nella sua memoria, ma Narcissa, incurante, andò avanti. “Ti accolse subito come un fratello, ti fece sedere vicino a lui e ti diede una pacca sulla spalla”.
Omise il resto per cortesia, che Piton all’epoca era un ragazzino strano e ombroso, con le sue umili origini e la sua propensione al fallimento stampate chiare in fronte, simile alla caricatura di un pipistrello e ostinato nell’accompagnarsi ad una sudicia Sanguemarcio che squadrava tutti dall’alto in basso, e che dunque Lucius Malfoy, dall’alto del suo rango di Purosangue e di Prefetto, aveva dimostrato incredibile larghezza di vedute trattandolo come un suo pari. Eppure, benché non lo avesse precisato, era certa che lo sapessero entrambi molto bene.
Non a caso, accigliato, Piton si volse a scoccarle uno sguardo penetrante: “Se è ciò che desideri, Narcissa” disse lentamente, vellutatamente. “E se le eventuali ripercussioni non ti preoccupano, sarò onorato di ospitarti nella mia umile dimora. Temo però che una strega della tua levatura non ci si troverà a suo agio”.
Narcissa non riuscì a reprimere un sorriso di esausta gratitudine: “Oramai non mi trovo a mio agio neanche a Malfoy Manor. E la compagnia di mia sorella… mi serve una pausa. Lei può essere così… faticosa”.
Specie da quando s’era fissata che doveva convincerla del grande onore che era stato reso a Draco e del giubilo che avrebbe dovuto mostrare per la lieta notizia.
“Bene, allora” tagliò corto Piton. “Sei la benvenuta”.

Angolo autrice: Mi sembra doveroso precisare che shippai Severus/Narcissa nel capitolo “Spinner’s End” de “Harry Potter e il Principe Mezzosangue”. Forse perché lei era una madre in pena per il figlio minacciato dal Signore Oscuro, come Lily, che chiedeva aiuto guardacaso a Severus Piton, forse per il fatto che Piton, pur col suo atteggiamento sarcastico, mi sia parso tutto sommato rispettoso di lei e del suo dolore. Comunque… da quel mio shipparli nasce questa two shot (o al massimo three, dipende dalla mia vena prolissa XD). Non è niente di speciale e priva di qualsivoglia pretesa. L’ho ambientata a Natale perché a Natale è ambientato un altro mio componimento su Piton, e sono una a cui piace trovare fili conduttori XD critiche, impressioni, sarebbero davvero preziose, perché questi personaggi, come tutti quelli del Potterverse, sono mostri sacri per me e mi ci approccio con un misto di terrore e reverenza.
Un saluto a tutti, e ci vediamo al prossimo capitolo se siete ancora vivi,
Sylphs

  
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