Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: ShadeOfCool    15/02/2019    2 recensioni
Era sempre un giorno di primavera, quando mio padre prese l’ultima camicia dall’armadio. Mi diede un bacio sulla testa, mi disse “devo andare, ma ricorda: non ci lasceremo mai e poi mai” e chiuse il cancello di casa dietro le sue spalle.
Il testo è un monologo teatrale.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi chiamo Barbara.
Quando ero piccola, nei pomeriggi di primavera, mia nonna preparava il tè alle rose per tutta la famiglia, fatto rigorosamente con le rose dell’orto dietro casa sua. Una tazza di coccio grigio per papà e una tazza di vetro soffiato per mamma. Mentre a me lo faceva trovare in una grossa tazza di porcellana azzurra, sempre la stessa, tanto pesante che bevevo con il cucchiaino per paura di non riuscire a tenerla. (Ci stavo un po’) Accanto, sul piattino, lasciava sempre qualche petalo, come biglietto da visita. Quel tè era caldo più del vento del mezzogiorno… ma non era importante, perché lei mi aveva insegnato che i viaggiatori a dorso di cammello, nei deserti bollenti del sud, portano con loro grossi recipienti pieni di tè caldo, perché il freddo del loro corpo non litighi con le temperature là fuori. Una sorta di equilibrio.
Così, seduta al tavolo con mamma e papà, la primavera era fuori e dentro di me. Non ho più ritrovato quella grazia.
 
Quando ti troverai in mano
Quei fiori appassiti al sole
Di un aprile ormai lontano…
 
Era sempre un giorno di primavera, quando mio padre prese l’ultima camicia dall’armadio. Mi diede un bacio sulla testa, mi disse “devo andare, ma ricorda: non ci lasceremo mai e poi mai” e chiuse il cancello di casa dietro le sue spalle.
“Mamma? Ma va a lavoro? A quest’ora? Non aveva nemmeno la sua borsa con sé”
In qualche modo e per qualche motivo lui non c’era più. Eppure c’erano ancora tutte le nostre foto, attaccate al muro della loro stanza. Foto in cui nessuno di noi sapeva di essere stato fotografato, foto davvero buffe – brutte, a dire il vero – foto di noi tre da tutte le angolazioni. Stavano lì e mi guardavano, me lo chiedevano anche loro quando sarebbe tornato.
È che questo lavoro durava davvero tanto: prima una settimana, poi un mese, poi un anno. La scuola era finita e non c’era papà per andare in vacanza al lago: cose dell’altro mondo!
E secondo me nemmeno mamma se lo sapeva spiegare. Cioè… non che lei ci fosse poi così tanto. C’era o non c’era era la stessa cosa. Tornava a casa dal lavoro e non mi parlava, si sedeva a scrivere delle cose a macchina per delle ore, poi si alzava, le strappava e andava a dormire. Io stavo sempre con la nonna, ma lei mi diceva cose che io non riuscivo a capire e allora quasi quasi era meglio il silenzio. Diceva tipo…
 
Ma sarà la prima che incontri per strada che
Tu coprirai d’oro per un bacio mai dato…
 
Poi fissava un punto nel muro, faceva una faccia arrabbiata e andava via senza dire niente.
 
 
Erano passate tre primavere e come se niente fosse mai stato, papà era tornato da qualche mese. Certo, viveva in un’altra casa adesso, un piccolo monolocale in periferia. Ci andavo ogni tanto, non dormivo mai lì: c’era poco spazio. Le uniche sere che ci vedevamo le passavamo in silenzio, a mangiare liofilizzati su un tavolo di plastica, senza nemmeno guardarci negli occhi. Quando non riusciva più a trattenere le lacrime si chiudeva in bagno e io restavo a contare le mattonelle. Una, due, tre, quattro… ogni tanto tirava lo sciacquone per fare capire che era vivo. Trenta, trentuno, trentadue… quando non usciva per più di un’ora, prendevo il cappotto e me ne andavo. Camminavo per tutta la città, guardavo le luci accese nelle case degli altri, alle volte compravo un gelato ma non lo mangiavo mai.
Almeno mamma sembrava felice, finalmente. Aveva smesso di strappare i fogli ma anche di scriverli, anzi aveva proprio buttato la macchina da scrivere. E pensare che era sempre stata la sua più grande passione – dopo me e papà, si intende. Ora veniva ogni tanto a pranzo da noi un uomo che alla mamma non sembrava dispiacere: grassoccio, con delle orribili occhiaie e un pessimo senso dell’umorismo. Tirava su come un’aspirapolvere tutto ciò che gli mettevamo davanti, a tavola. Poi, senza ringraziare, si alzava in piedi e diceva con disgusto “poi ci sentiamo”. Quantomeno veniva solo a pranzo.
Di sera invece eravamo io e mamma. Si guardava un film, ci si pitturava le unghie, si cucinavano i nostri piatti preferiti. La sera era il mio momento preferito: mentre eravamo sul divano, certe volte lei si addormentava con la testa sulle mie gambe e mi sembrava di essere io la madre: le accarezzavo la testa, le coprivo bene le spalle per non farle sentire freddo e quando si faceva troppo tardi spegnevo la tv.
Una di quelle sere mi chiese se volevo restare a dormire nel lettone con lei, come ai vecchi tempi. Mentre si cambiava la guardavo: mi sembrava diversa, più piccola, più fragile. I suoi capelli, le sue spalle, le sue mani… le sue mani.
“La fede la togli solo per dormire, no?”
 
L’amore che strappa i capelli è perduto ormai
Non resta che qualche svogliata carezza
E un po’ di tenerezza
 
Sono passate quindici lunghe primavere e ancora non ci credo che una voce mi chiama… “mamma”. Ora il sole entra sempre in casa mia, anche quando è sera. E quando torno dal lavoro qualcuno mi fa trovare del tè caldo alle rose, in una nuova tazza di porcellana azzurra che adesso sono abbastanza forte da sorreggere.
Mio marito mi ha regalato una macchina da scrivere, è così pesante che deve stare sempre sul suo apposito tavolino, all’angolo della camera da letto. Mi siedo lì ogni pomeriggio, scrivo qualche riga o qualche pagina e la metto da parte, anche quelle che non mi piacciono. Ho imparato che gli errori non si buttano via, si incorniciano come promemoria.
 
Sopra il tavolino c’è una foto di noi tre. Chissà se era primavera.
Ricordi, sbocciavan le viole
Con le nostre parole
“non ci lasceremo mai, mai, e poi mai”
Vorrei dirti ora le stesse cose
Ma come fan presto, amore,
ad appassir le rose
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: ShadeOfCool