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Autore: ciabysan    19/07/2009    5 recensioni
Giappone. Urumi ha 17 anni e si è appena trasferita con la sua famiglia in una nuova casa. Quasi per caso, trova in soffitta una fotografia che ritrae una donna, sul cui retro c'è scritto che lo scatto risale a dieci anni prima. Con l'amica Yumi, Urumi tenterà di scoprire l'identità della donna, che si rivela essere la vittima di un assassinio, di cui non si è ancora trovato il colpevole. Le due ragazze sospettano dei due precedenti padroni di casa, ma la verità è un'altra
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Scendemmo dal treno che erano quasi le sei

Scendemmo dal treno che erano quasi le sei. Si sentiva già un’aurea da crepuscolo. Sul cielo affilate dita arancioni e rosa strappavano quelle nuvole candide che per tutta una giornata accompagnarono i miei terrori. Eravamo di nuovo a Tokyo.
Frotte di ragazzine in divisa scolastica invadevano il centro con borse e borsette: probabilmente si erano dedicate ad un po’ di shopping insieme dopo l’orario scolastico. Impiegati in giacca e cravatta tornavano a casa dalle loro mogliettine, che aspettano in ansia e preparano tempura e sushi. Il cane che scodinzola sull’uscio. Bambini delle elementari intenti a giocare con la fontana del parco pubblico.

Solo nel momento in cui scesi dal treno e vidi quelle scene capii quanto avrei voluto una vita normale, forse troppo banale, ma sicuramente più gradita. Mi accorsi di quanto si potesse nascondersi dietro la banalità delle cose. Di quanta bellezza ci potesse essere nel mondo.

Camminai fino a casa, con Shuya appresso. Tremavo, tremavo per quella cosa  che avrei visto in soffitta. La chiave schioccò nella serratura e il mio cuore cominciò a battere freneticamente, come una pompa. Mi domandavo se fossi ancora viva.

Entrammo, a passi lenti.
Senza mia madre e mio padre la mia casa serena sembrava quasi spettrale. La porta si chiuse dietro Shuya. Abbandonai lo zaino sull’ingresso e invitai Shuya a togliersi la giacca e ad appenderla sull’attaccapanni.

“Sei pronta?” mi chiese.
Lo guardai e non risposi. Non sapevo cosa dire. La paura non riusciva nemmeno a farmi parlare, mi ingoiava le parole che volevo espellere. Dopo essermi tolta le scarpe, corsi in cucina a versarmi un bicchiere di the freddo.

Shuya mi raggiunse dubbioso “Non vuoi?”.

Quella frase fece scoppiare in me una criptica ilarità. Appariva quasi come un doppiosenso erotico.

“Prima devo fare una cosa” dissi io. Ricordandomi di aver inserito la fotografia spiegazzata di quell’uomo nella tasca dei pantaloni. Mi riportava tremendamente qualcuno che avevo già visto nel mio album di famiglia. In una sola mossa, mi appropriai del the freddo al limone che avevo versato nell’alto e stretto bicchiere di vetro. Lo portai alla bocca e lo ingurgitai, deglutendo.

“Ne vuoi un po’ anche tu?” chiesi a Shuya “Serviti…” dissi, mentre mi stavo per dirigere verso il salotto, dov’erano conservati gli album di famiglia.

“Tu dove vai, ora?”
“A vedere una cosa… tu bevi del the…poi proviamo a salire in soffitta”

Annuì, mentre io mi nascondevo, accovacciata, dietro il divano bianco aprendo il primo album che mi capitò sottomano. Lo sfogliai ferocemente e con velocità, quasi come se fossi affetta da isterismo.

Pagina dopo pagina. Io sorridente da piccola, mia mamma che mi abbracciava, io alle elementari vestita in kimono colorato alla festa dei ciliegi, mia madre e mio padre che si baciano da giovani. Ricordi, ricordi, ricor…all’improvviso l’album mi cadde dalle mani e finì su una pagina ben definita, che mi sconvolse. Presi l’album e mi alzai in piedi, fissa su quella foto inquietante. Uno scatto identico a quello che avevo trovato in camera di Kayako. Questa volta però il viso era completo. Ancora sconvolta, lasciai cadere a terra l’album e iniziai ad annaspare dal terrore.

Sentii Shuya appoggiare il bicchiere sul tavolo della cucina, forse si stava versando del the. Cercai di pensare a lui, ma il pensiero di ciò che avevo appena visto mi formò un groppo in gola.

All’improvviso sentii qualcosa che gracchiava verso destra. Mi voltai, dunque, verso la finestra e vidi chiaramente una mano che dall’alto si appoggiava al vetro, strisciando le unghie sulla superficie trasparente. E fu in quel momento che qualcosa mi colpì alla testa, qualcosa di pesante come una mazza da baseball. E caddi inevitabilmente a terra.

  
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