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Autore: shilyss    17/02/2019    13 recensioni
La prigione dove Odino ha rinchiuso Loki è una cella asfissiante priva di finestre. Costretto in una forzata inattività ma niente affatto piegato, il dio degli inganni affida i suoi pensieri più oscuri a delle lettere. Il destinatario? Thor, l’avversario di una vita, il compagno d’avventura prediletto, il fratello con cui ha condiviso ogni cosa. Carteggio estorto dal tonante cui Loki accetta di piegarsi solo per raggranellare qualche beneficio in più. Perché gli obiettivi del dio degli inganni potrebbero incrociarsi ancora con il destino di Asgard, e nessuna cosa è per sempre, neanche nelle prigioni sotterranee degli Aesir.
Dal cap. 1: Dimmi, Thor, dov’erano mentre il ferro nemico ti lacerava la cotta di maglia, penetrava nella tua carne, tagliava i tuoi muscoli? Dov’erano i tuoi fratelli di sangue, così nobili e valorosi, che siedono ai banchetti accanto a Odino, che chiamano le loro armi mai macchiate di sangue nemico con nomi inutili e altisonanti? Quante volte saresti morto, figlio di Odino, se non ci fossi stato io a gridare, parare, pensare?
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 12 - Invenzioni e nascondigli

 

Lettera 86

 

Goditi questo momento, fratello, perché dubito che ti ricapiterà tanto presto l’occasione di utilizzare contro di me le mie stesse battute. È ovvio che io e il guardone ficcanaso dobbiamo essere davvero disperati, per essere costretti a scambiarci le informazioni[1]. La cosa fa già ridere di per sé, oltretutto. Il dio bianco capace di vedere ogni cosa che deve chiedere aiuto a me. Non ti nascondo che ho provato un brivido di soddisfazione, quando è venuto nel mio grazioso studio sopraelevato. Mi sono crogiolato del suo disagio, ho fatto pesanti allusioni alla mai abbastanza maledetta ironia delle Norne. Lui, con tutta probabilità, deve averti raccontato che l’ho accolto al mio solito, tronfio, modo: stravaccato su una poltrona con un sorriso di scherno sulle labbra e l’aria strafottente di chi crede che tutto sia un gioco, uno scherzo. Così ha detto, vero?

Heimdall ha un cuore puro: troppo, per i miei gusti. La sua volontà è retta solamente dal desiderio che Asgard prosperi e che nulla possa turbarla, ma se dovesse scegliere tra te e il nostro vecchio e glorioso padre, chi pensi seguirebbe? I suoi occhi gialli, a mio modesto parere, oscillerebbero verso la speranza racchiusa nella giovinezza[2]. Mi detesta perché gli porgo queste domande schiette e crudeli e lui non sa cosa rispondermi, dilaniato tra il senso del dovere e la rettitudine che lo spingono a essere sincero in qualsiasi circostanza, anche con me. So di metterlo a disagio; è abituato a usare i suoi poteri per tenere d’occhio i Nove Regni tutti, ma io riesco a sfuggirgli, a nascondermi, a tessere magie tanto potenti da celarmi al suo sguardo impietoso. Lui non conosce le mie ombre o, perlomeno, non era riuscito a distinguerle quando avrebbe dovuto farlo e io questo lo so – lo sappiamo entrambi. Ha fallito.

Si muoveva a disagio, il guardiano. Non gli piaccio, non gli sono mai piaciuto; troppo mutevole, caotico, ingestibile, ma ieri sera tu non c’eri e lui aveva bisogno di ripristinare l’ordine e proteggere gli Asi. A chi rivolgersi, se il tonante è assente, lontano, alla ricerca di un potere che condannerà tutti a morte? Al secondo in comando, ovviamente. A colui che crea e, allo stesso tempo, risolve i problemi di Asgard. Al principe bugiardo e malfattore. Ho accolto Heimdall come se lo aspettassi perché, in effetti, ero certo che, prima o poi, sarebbe passato da me. Ha inghiottito il suo orgoglio in nome dell’Yggdrasill, si è convinto a darti retta. È il tuo primo ammiratore, temo. I convenevoli che ci sono stati tra noi sono serviti unicamente a studiarci l’un l’altro. Parole vuote, senza un reale significato. Mi ha chiesto come stessi e non ha mancato di ringraziarmi per aver sostenuto la sua innocenza quando il sospetto si era abbattuto persino su di lui. Il fatto che il corpo di una delle vittime fosse proprio a casa sua lo ha offeso e indignato: il dio bianco è troppo retto e giusto per commettere un crimine, non ti pare? Eppure, nei suoi occhi gialli, ho letto anche altro: l’ombra del sospetto che io sappia più di quanto non ammetta. Come facevo a essere così sicuro che lui era innocente? Perché lo avevo difeso con forza, io, che ero e sono il dio della menzogna e dell’inganno e che avrei potuto vendicarmi del suo disprezzo anche solo rimanendo neutrale?

Gli ho risposto che si trattava del potere. Potevo salvarlo e l’ho fatto. Sono un principe lungimirante e benevolo, gli ho detto col peggiore dei miei sorrisi. Lui mi ha guardato a lungo, con severità.

“Ti servo, Loki.” Questo mi ha detto.

Non è poi così sciocco il nostro caro guardiano, non trovi?

 

 

Lettera 87*

 

Non eri tenuta a farmi avere tue notizie.

 

 

 

Lettera 88

 

Moriremo, per quello che abbiamo fatto. La tua cieca speranza nella vittoria mi appare come nient’altro che l’illusione di un bambino. Ti stai crogiolando in un sogno che renderà solamente più doloroso il risveglio.

Moriremo, e io spero solo di farlo lontano da queste quattro, insopportabili mura. L’universo intero dipende dall’efficacia del nostro nascondiglio, dalla potenza d’un incantesimo che non dovrà essere rivelato nemmeno sotto tortura. Quello che mi hai chiesto di fare è proibito in così tanti modi e con tali e tante leggi che violarle tutte, lo ammetto, è stato quasi divertente. E poi, diciamolo: cosa c’è di più tremendamente ironico del nobile dio del tuono che chiede al fratello maledetto, al figlio ingannato, alla reliquia rubata, al traditore di Asgard, di collaborare come ai vecchi tempi in nome di un fine più alto? Siamo davvero in una condizione disperata, fratello. La nostra unica speranza è che non riesca a trovare un veicolo, un oggetto magico capace di contenere, canalizzare e gestire tutte le pietre. C’è un solo luogo, in tutto il cosmo, dove questo potrebbe essere costruito[3].

 

 

Lettera 89

 

Ti sbagli, Thor. Sei totalmente, disperatamente, tristemente fuori strada. Non guardare a me come la fida spalla che sono stato, come l’alleato che ti ha salvato da mille battaglie. Secoli di combattimento spalla a spalla non significano più niente. Soffoca la speranza che ti ha animato nell’ultima lettera. Ancora non lo comprendi? Di me non puoi fidarti e io ho sacrificato troppo alla causa di tuo padre per decidere di mettermi alla tua destra e aiutarti a riportare l’ordine nel caos. Sono il lupo che ringhiava e rifiutava il cibo, il trofeo, esibito ed esposto che testimonia l’ennesima, crudele, vittoria del dio delle forche, il grande Odino. Non confondere il mio aiuto come il segno di chissà che pentimento: prendi esempio dal buon vecchio Heimdall, che non si illude delle mie intenzioni e continua a essere cieco di fronte all’ombra che si è abbattuta su Asgard e ora, silenziosa, tace. Nessuno mette in dubbio che sia stato giustiziato un innocente e l’apparente tranquillità che regna ad Asgard fortifica questa patetica quanto miope considerazione. Padre Tutto, ovviamente, non è di questo avviso. Vedo le rughe che gli segnano il volto farsi ogni giorno più profonde.

 

 

Lettera 90

 

Bjorn è il solito idiota. Gli ho chiesto di portarmi il diciassettesimo volume di Storia della magia e dell’oreficeria nanica e lui, per ben due volte, ha sbagliato. Avrei dovuto prenderlo a calci, altro che[4]. Gli ho dato un solo compito – uno solo, per le Norne – e lui è stato capace di confondersi, di sbagliare, di scontentare il suo principe. Il diciottesimo volume o il diciannovesimo non sono il diciassettesimo; persino tu dovresti capirlo. Ovviamente, lei non si sarebbe sbagliata, mai. Qualora disgraziatamente il volume non fosse stato reperibile, si sarebbe adoperata per cercarlo in qualche collezione privata e mi avrebbe fatto avere prima che glieli chiedessi altri testi sull’argomento. Non offendere la mia intelligenza con altre domande sul perché non desidero più che venga qui. Il Cacciatore deve credere di essere al sicuro, ritenere di avermi sconfitto.

 

Lettera 91

 

Non ho la benché minima intenzione di giustificare con te le mie azioni. Non sei il mio re, Thor. Non avrai la mia eterna fedeltà, non ti presterò omaggio. Circondati dei saltimbanchi che ti accompagnano nelle tue avventure e che si beano del riflesso della tua gloria. Fatti aiutare da Fanfaral, da quell’ubriacone di Volstagg, dall’imperscrutabile Hogunn o dalla nostra cara Sif, che non disdegna l’idea di frequentare entrambi i nostri letti. Le tue accuse scivolano su di me come acqua piovana sui tetti, le tue minacce mi fanno ridere. Non impicciarti ulteriormente dei miei affari. Ciò che ho fatto per te con la Gemma non significa niente; non fare in modo che debba ripeterti questo concetto un’altra volta. È nel mio interesse che il Titano non diventi ancora più potente. L’ho deluso, ho intralciato i suoi piani smarrendo qualcosa che gli era caro, ho perduto un’intera armata. Tu credi che mi perdonerà, dopo questo? Cosa mi faresti, al suo posto? Quale punizione infliggeresti al servo incauto che ti ha provocato un danno? La clemenza non è nella mia natura e gli insegnamenti del nostro ipocrita padre forse hanno finito per attecchire persino nel tuo petto indomito.

Le mie azioni sono meschine e riprovevoli, dici? Allora girati, non guardare, torna a occuparti di questioni lontane e irrisolvibili, anziché mettere bocca negli affari della terra che ti spetta di diritto governare, ma che, in fondo, non ti interessa quanto dovrebbe. Come Midgard, del resto. La tua presenza su quel mondo esposto e delicato ha provocato una moltitudine pressoché infinita di problemi: come puoi definirti il protettore dei suoi abitanti? Con che faccia ne calpesti la terra ora fertile ora brulla, tu che hai portato, come me, come gli Asi tutti, guerra, distruzione e morte? Ciò che faccio di Sigyn e con Sigyn non ti deve importare.

 

 

Lettera 92

 

Mi pare ovvio che mi facciano ancora male la mano, la spalla e persino le costole, se proprio ci tieni a saperlo, motivo per cui non mi sento affatto in colpa per il tuo piccolo incidente. Del resto, era abbastanza scontato che prima o poi sarebbe successo, non credi? Bjorn, vedendoci litigare, ha spalancato la bocca tanto che ho creduto gli si sarebbe staccata la mascella, povero il mio sciocco carceriere che spesso si trasforma in tirapiedi.

Sono convinto del fatto che Padre Tutto e nostra madre non siano rimasti particolarmente colpiti dal nostro allegro diverbio. Piuttosto, immagino che l’avranno considerato un ritorno ai cari, vecchi tempi, quando ogni scusa era buona per azzuffarci. Quanti banchetti abbiamo rovinato con le nostre intemperanze? Per lo sguardo ambiguo di un’ancella o uno scherzo non gradito ci siamo presi a pugni infinite volte, in un’occasione persino nella stanza antistante il trono – anche se, a essere sinceri, quella avremmo proprio potuto risparmiarcela, considerato quanto si inferocì con noi Odino. Ecco perché non ho mai avuto paura di scontrarmi con te. Lo abbiamo sempre fatto, lo faremo sempre. Fa parte di noi stessi e della nostra natura. Non temo né la tua ira né il tuo martello perché li conosco, so cosa possono fare.

Tu, invece, guardi con sospetto alla mia magia. Te l’ho letto negli occhi e non solo ieri sera. La prima volta che ho mutato forma davanti a te, eravamo ancora bambini: mi hai rivolto un sorriso sdentato e hai battuto le mani, entusiasta, ma dopo, quando la mia abilità nel manipolare il seiðr si è accresciuta, nel momento in cui ha assunto tinte inquietanti, ho sentito sulla mia pelle il tuo sguardo severo, accigliato. Il seiðr è qualcosa di antico, di oscuro, di potente e difficilmente controllabile. Che non ti apparteneva né lo avrebbe fatto mai, sebbene, in fondo, anche reliquie come Mjollnir ne siano profondamente intrise. Quando la mia capacità di pronunciare le giuste rune e di evocare il potere che tanti ha spaventato si è manifestata in tutta la sua devastante potenza, qualcosa è cambiato, in te.  Di fronte ai miei incantesimi, a volte sei stato tentato di indietreggiare, dio del tuono. L’ho visto, come ieri notte ho scorto il tuo volto impallidire di fronte alla mia trovata. Ammettilo.

Passando a discorsi senz’altro più utili, sai bene che rivelare cosa abbiamo fatto non è nei miei piani. Sarebbe una mossa stupida, che peggiorerebbe notevolmente la mia già spiacevole e fastidiosa condizione. O credi che questa soffitta dalla vista incantevole mi faccia dimenticare che sono imprigionato per aver preteso ciò che mi spetta di diritto?

Ora devo lasciarti: nostra madre ha deciso di allietarmi donandomi un divertente gioco di strategia elfico, uno di quelli composto da un piano su cui si muovono le pedine colorate. L’altra sera abbiamo giocato insieme, io e lei, e devo dire che è stato piacevole. Ho tentato di insegnarlo a quella zucca vuota di Bjorn, ma con scarsi risultati, visto che per fare la mossa sbagliata che porterà me all’ovvia vittoria in sole tre mosse, ci sta mettendo più del tempo utilizzato da me per scriverti questa lettera. Cielo, forse ce l’ha fatta! Siano ringraziate le Norne, ha mosso!

 

Lettera 93

C’è ancora veleno nel mio cibo, fratello. Lo dice il guaritore di fiducia di nostra madre, lo dice il sangue che mi è rimasto sulla mano stamattina dopo un colpo di tosse particolarmente violento. Si tratta di un peggioramento leggero, lievissimo, ma che non ci sarebbe stato, se il Cacciatore fosse morto. Invece è vivo, da qualche parte. La mia improvvisa ricaduta ha limitato nuovamente la già precaria libertà di cui godevo, ma, soprattutto, ha avuto come conseguenza che quell’idiota di tuo fratello è venuto a tediarmi con la sua insopportabile presenza. Non c’è niente che il nobile Balder desideri di più che sentirmi affermare come il mio avvelenamento sia opera di un terzo soggetto che ha sfruttato la questione del Cacciatore per colpirmi. Del resto, Asgard pullula di gente che avrebbe più di un motivo per vendicarsi della mia persona, ti pare? Persino lei, la mia esca dai capelli d’oro.

 

Continua…

 

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori che siete arrivati fin qua,

Avevo promesso un aggiornamento in tempi umani, e invece… perdono! Davvero, amo questa long e non ho nessuna intenzione di abbandonarla o lasciarla incompleta. Come avrete avuto modo di notare, poi, l’ultima parte del capitolo ha un colpo di scena abbastanza succoso, eh eh eh.

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno recensito, preferito, ricordato e seguito questa storia. Grazie davvero, ogni riga è per voi ♥: vi invito, anzi, a utilizzare le liste di Efp. Per voi è solo un clic, per noi Autori una grande soddisfazione. **

La Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure per poter spandere i suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Che Loki si occupi di giustizia e sia conte è un mio headcanon.

 

Shilyss



[1] La battuta è presente in TDW, ovviamente.

[2] La storia è un TDW alternativo, quindi Loki non sa che Heimdall sarebbe in grado di seguire Thor anziché Odino, come il dio bianco in effetti fa.

[3] Loki si riferisce al fatto che, negli scorsi capitoli, Thor ha trovato una gemma e gli ha chiesto aiuto per nasconderla. Il riferimento al Guanto dell’Infinito credo vi sia noto, giusto?

[4] Non ha valenza di esclamazione affermativa, dunque va scritto così.

   
 
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