Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    20/02/2019    0 recensioni
Una raccolta su situazioni, più o meno imbarazzanti, che lo sfortunato protagonista si ritroverà a dover gestire. Fatti quotidiani, che capitano nella vita di chiunque, prima o poi... quindi, perché non in quella del soldato più forte dell'umanità? - Raccolta di One-shot indipendenti le une dalle altre.
Dal testo:
«Posso entrare nel carrello? Mi fanno male gli scarponcini» fece per sedersi su una scaletta, di quelle usate dai commessi, ma una mano callosa lo tirò bruscamente in piedi.
«No»
«Perché no?»
«Ci devo mettere la spesa nel carrello»

La raccolta comprenderà situazioni differenti (sia AU, che non, all'occorrenza)
[La One-shot n° 8 partecipa al concorso "Situazioni XY" indetto sul forum efp da Biancarcano e Harriet]
Genere: Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Levi, Ackerman
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La volta in cui Levi salvò la Terra di Tre/Quarti



Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 2, Missione 1
* Prompt: Fantasy
* Parole: 5007



***


Levi imprecò sonoramente quando i suoi stivali calpestarono dello sterco fresco. Sollevò gli occhi al cielo, maledicendo qualsiasi divinità governasse quel mondo vigliacco. Naturalmente, non aveva idea di come fosse finito in quel pasticcio, ma aveva persino smesso di chiederselo. Ultimamente succedevano troppe cose strane e forse non era il caso di cercare una reale spiegazione.

«Perché i draghi con la diarrea li trovo tutti io?» ringhiò, tentando di pulire la suola contro l’erba fresca della prateria «Comunque, non ho ancora capito cosa ci facciamo qui…»

«Beh, tecnicamente… siamo stati incaricati di buttare questo Canestrello del Potere nel Monte Fatto e salvare così il mondo dalle grinfie di… non ho capito come si chiama il nostro antagonista, ma poco male. Un Anonimo Antagonista, ecco.» spiegò Erwin, cavando di tasca un biscotto a forma di fiore, coperto da un doppio strato di zucchero a velo bianco.

«Si, ma… chi lo ha deciso?»

«Non ne ho idea. Perché non la smetti di lamentarti e non fai qualcosa di utile?»

«Tipo cosa?» sbottò, guardandosi rapidamente attorno. Nessuno in quella stupida compagnia stava facendo “qualcosa di utile”. Hanji stava annusando sistematicamente dei fiori, annotando su una pergamena sgualcita i loro profumi, mentre Nanaba prendeva il sole sdraiata accanto ad un fresco ruscello. Moblit era immobile al centro di uno spiazzo: era morto o si stava immedesimando in una banderuola segnavento? Non che avesse importanza. Mike, per finire, si era arrampicato su un voluminoso masso e, con la mancina alla fronte stava scrutando l’orizzonte.

«Mike!» la voce di Erwin tornò a farsi sentire nel silenzio di quel caldo pomeriggio «Cosa vedono i tuoi occhi da elfo?»

«Un cazzo.» fu la perentoria risposta «Ma se ti vuoi affidare al mio naso, sento che sta arrivando una minaccia da nord est. Che credo sia… da quella parte o giù di lì.» il caposquadra Zacharias stese una mano, indicando approssimativamente il limitare di un vicino bosco.
«Una minaccia? Tipo cosa?»

«I Nilegul.»

Levi aggrottò la fronte: i Nilegul difficilmente si facevano vedere di giorno; erano creature notturne, vestite con dei mantelli neri e dalle mani ossute; tutte indistintamente, possedevano le fattezze del comandante della Polizia Militare e, in quanto tali, mostravano un’innata propensione all’accudire la prole durante le ore diurne. Naturalmente, essere catturati da un Nilegul poteva rivelarsi una sorte peggiore della morte stessa: leggende narravano come questi esseri spietati costringessero le loro vittime a sedute interminabili di pesca sul ghiaccio, a ciaspolate mattutine ed a corsi di windsurf sui laghi dell’entroterra.

«Maledizione!» sbottò, indietreggiando istintivamente «Dobbiamo fuggire! Presto, prima che ci…»

Non riuscì a terminare la frase: dal limitare della radura, un pianto sfrenato di neonato annunciò l’arrivo dei Nilegul. Levi riuscì a contarne sei, in sella a delle biciclette fornite di seggiolini per bambini e di campanelli a forma di trombetta.

«I Nilegul!» gridò, voltandosi e mettendosi a correre. Non c’erano speranze contro quelle creature. Non sarebbero mai riusciti a sconfiggerle, men che meno senza uno straccio di arma. Ah, perché si erano ritrovati in quel mondo assurdo senza nemmeno avere uno scudo, una spada o un arco? Le uniche cosa che possedevano era quello stupido biscotto a fiore e Moblit. Uno più inutile dell’altro.
Levi scattò attraverso la pianura verdeggiante, ben attento a non pestare altre cacche di drago. Sentì i passi dei compagni accerchiarlo velocemente. Tutti stavano fuggendo, cercando di seminare gli oscuri cavalieri, il cui alito pestilenziale si faceva sempre più vicino.

«Non ce la faremo.» sbottò Erwin al suo fianco «Dobbiamo rallentarli in qualche modo. Nessuno ha un’idea?»

Ed ecco l’ennesima pessima notizia! Se persino il comandante era senza un piano, come poteva sperare che qualcun altro ne partorisse uno decente in tempi brevi?

«Mi prendi per il culo?» sibilò, ma le sue proteste vennero presto coperte dalla voce di Mike:

«Io ho un’idea! Lasciamo che catturino Levi. Tanto non ci serve a nulla…»

«Vaffanculo, Nasone!­»

«Sei talmente basso che ti scambieranno per un bambino bisognoso d’affetto. Li terrai impegnati mentre noi potremo filarcela e…»
Proprio in quel momento, si udì un tonfo poco lontano: Moblit era scivolato a terra e faticava a rialzarsi.

«Moblit!» esclamò Hanji, cercando di tornare indietro. Nanaba, tuttavia, la trattenne prontamente:

«Lascialo o non ce la faremo!­»

«Ma… è il mio assistente.»

«Non puoi farne a meno?»

«Beh…»

«Preferisci che ci catturino tutti?»

«No, certo che no! Ma forse dovremmo metterla ai voti… sai, per essere più democratici.» squittì la scienziata, sollevando prontamente la mancina «Chi è d’accordo con me nel salvare Moblit?» nessun altro braccio si mosse «D’accordo…» si arrese immediatamente «Proposta rigettata. Addio Moblit, ci mancherai!»

Le urla disperate dell’assistente vennero completamente ignorate. I cinque veterani continuarono a correre, abbandonando il compagno alla sua triste fine. Si dileguarono, sparendo in fretta nella vicina foresta.
 

***
 

Aver perso un elemento del gruppo, ovviamente, non aveva affatto intaccato il morale della piccola compagnia. La mancanza di Moblit si sentiva soltanto perché avevano dovuto depositare i mantelli su un classico appendiabiti in legno, anziché buttarli alla rinfusa sulle spalle dello sventurato soldato.

Erwin sedette al tavolo rotondo, situato giusto al centro della sala. La locanda “Al Titano Impennato” era parsa un buon posto dove poter riordinare le idee e passare la notte. Lì, quanto meno, sarebbero stati al sicuro dai Nilegul e da chiunque fosse l’antagonista di quell’assurdo posto.

«Ragazzi, dobbiamo fare il punto della situazione.» esordì il comandante, mentre Nanaba gli dava subito man forte:

«Sì, perché non si capisce niente! Chi siamo? Dove andiamo? Cosa dobbiamo fare?»

«E perché è stata creata la vita?» si intromise Hanji.

«A quello risponderemo poi.» sussurrò rapidamente il biondo, tornando a concentrare l’attenzione sui quattro superstiti «Mi sembra evidente che per risolvere questo pasticcio, dobbiamo portare a termine la missione: gettare il Canestrello nel Monte Fatto e salvare il mondo. Mi pare una cosa piuttosto facile da capire…»

«Sì, ma questo Monte Fatto dove si trova?»

«Non ne ho idea.»

«Ma non avevamo una mappa?»

«Mh…» Erwin si sforzò di ricordare dove potesse averla messa. Schioccò le dita non appena gli tornò a mente «Ah, sì! L’avevo data a Moblit, quindi ora siamo senza cartina. Beh, chiederemo informazioni al massimo…»

Levi si massaggiò le tempie, cercando di ricomporre i pezzi di quel complicato puzzle, che – se era già complesso per uno come Erwin – per lui era praticamente impossibile da capire:
«Qual è la prossima mossa, quindi?»

«Stabilire i ruoli e procurarci delle armi.» rispose immediatamente Erwin «Per ovvie ragioni, io sarò il comandante di questa spedizione.»

«Perché non posso farlo io?»

«Perché l’ultima volta hai perso un’intera squadra che ti aveva prestato Hanji… e l’hai persa perché sei stato così ingenuo da non pensare che tuo zio fosse un filo più intelligente e scaltro di te. Non che ci voglia molto, in effetti, però… beh, io ho comunque più esperienza.»

«E allora io chi faccio?» piagnucolò, mentre Mike – alla sua destra – scoppiava in una risata incontrollata:

«Te fai il nano.»

«Vaffanculo Nasone.»

«No, sul serio! Io faccio l’elfo gnocco e tu fai il nano brontolone che non sa fare un cazzo…»

«Perché non posso farlo io l’elfo gnocco?»

«Perché sei alto un metro e un tappo, hai una faccia da rospo e… perdonami, ma…» Mike si alzò di scatto, gonfiando i muscoli delle braccia e del petto «Vuoi mettere? Guarda quanto bendidio qui!»

«Io sarò una principessa, allora!» esclamò Hanji, ravvivandosi i capelli unti con le dita macchiate di marmellata «Sono così raffinata ed educata che… beh, è un ruolo che mi calza perfettamente. E tu?» chiese poi, rivolgendosi a Nanaba.

«Io voglio essere l’affascinante guerriera femminista, che si ribella alle convenzioni sociali per dimostrare che le donne sono meglio degli uomini anche sul campo di battaglia.»

«Bene!» Erwin batté le mani, riprendendo immediatamente la parola «Ora che abbiamo definito tutti i nostri ruoli…»

«Io non ho definito una mazza! Il nano non lo voglio fare.»

«…possiamo concentrarci sulle prossime cose da fare. Per esempio, andare dall’armaiolo e procuraci delle spade prima di rimetterci in viaggio.»

«Non voglio fare il nano!»

«Obiezioni?» ignorò la mano alta di Levi «Bene, direi che possiamo procedere. Cena e poi tutti a nanna, che domani ci aspetta una giornata impegnativa.»

 
***

 
Il fabbro altri non era che un uomo barbuto, le cui fattezze ricordavano vagamente quelle del comandante Zackley. A giudicare dall’insegna della fucina, anzi – un uomo appeso a testa in giù, con una lancia infilata dove non batteva il sole -  doveva essere un suo diretto parente.
«Cosa posso fare per voi?» chiese con voce acida, accogliendoli da dietro un bancone di legno consumato.

«Vorremmo delle armi.» rispose prontamente Levi, ricevendo un’occhiataccia dal bottegaio:

«Ovviamente, altrimenti non sareste venuti qui. Andreste mai da un fioraio a comprare uno stiletto, Messer Nano?»

«Non sono un nano!»

«Tanto peggio per voi, allora… credevo lo foste, vista la statura. Ma.. evidentemente mi ingannavo.» Zackley-bis scrollò le possenti spalle «Quindi cosa siete? Un bambino? Non vendiamo ai minorenni qui…»

«Ho trentacinque anni!»

«Sì, e io sono la principessa del regno delle fate.»

«Ma…»

Erwin gli posò una mano sulla spalla, scostandolo delicatamente:
«Lascia fare a me.» disse, sfoderando il più affabile dei suoi sorrisi «Buongiorno. Come stava dicendo il mio amico…»

«Ah, quindi per te sono solo un amico?!»

«… siamo qui per acquistare delle armi. Dobbiamo affrontare un lungo e periglioso viaggio e… son dell’idea che girare privi di protezioni non sia proprio furbo.»

«Infatti non lo è. Bene…» il fabbro cavò un pesante registro da sotto il bancone «Ditemi il vostro nome e la vostra specializzazione e vedrò in che posso servirvi.»

«Erwin Smith, comandante della spedizione.»

«A voi. Spada a doppio filo, con elsa in argento e diamanti. Posso personalizzarvela, se desiderate: posso incidere sulla lama il vostro nome… o gradireste una profezia? Vanno molto di moda ultimamente, le profezie. “Mi illumino d’immenso”… che ne dite?»

«Mh, no.»

«Oh, forse non è abbastanza incisiva? Preferireste “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.”?»

 «Uh, no, vi ringrazio. Va benissimo così.» Erwin afferrò la spada, appendendola al fianco e cedendo il posto al successivo.

«Mike Zacharias, elfo gnocco.» Mike storse il naso quando si vide recapitare un elegante arco, completo di faretra in morbido cuoio «Io questa roba non la voglio. È da femmine!»

«Scherzate? L’arco è l’arma degli elfi per eccellenza.»

«Io voglio una mazza chiodata.»

«Gli elfi non le usano.» ringhio l’uomo «Non pensate di entrare qui e insegnarmi il mio lavoro. O cambiate classe oppure vi accollate l’arco. Prendere o lasciare.»

«Ma non lo so usare!» protestò, mentre Levi lo spingeva rapidamente di lato:

«Non è difficile, zuccone. La freccia va dentro l’altra persona!» mormorò, picchiando i pugni sul tavolaccio di legno «Tocca a me! Io voglio…» Non finì neppure la frase. Il fabbro lasciò cadere davanti ai suoi occhi un’ascia bipenne. «Che me ne faccio di questa? Non riesco nemmeno a sollevarla! Ed è alta quanto me.» protestò, tentando inutilmente di smuovere l’arma dal bancone.

«Siete un nano o no? I nani usano le asce o i martelli da guerra! Siete come il vostro amico, che pretende di saperne più di me?»

«No, ma…»

«Se non volete la bipenne, ecco un’altra soluzione.» l’ascia venne sostituita da una fionda «Ecco qui. Omologata anche per i bambini…»

«Tuttavia…»

«Il prossimo!»

Fu il turno di Hanji:
«Io…» esordì la scienziata «Sono una splendida ed elegante principessa, che non ha alcuna voglia di sporcarsi le mani in un periglioso viaggio perché preferisce rimanere nel giardino di casa a studiare piante, insetti, uccellini.»

Il fabbro si sfregò il mento barbuto indeciso. Poco dopo, tirò fuori una coppia di maracas, che la donna accettò con estremo piacere.

Infine, l’unica a ricevere un’arma soddisfacente fu Nanaba. Le bastò parlare di femminismo e battaglie per la parità dei sessi nelle epopee fantasy per ottenere: una corazza in ferro completa di gambali ed elmo su misura; una coppia di daghe elfiche; una mazza chiodata portatile e persino un nobile destriero con cui cavalcare vittoriosa verso il tramonto.

Soddisfatti degli acquisti e con molto meno denaro nelle loro tasche, i cinque ripresero poi il cammino.
 

***
 

Erwin si grattò furiosamente una tempia, in preda all’indecisione: la mappa, acquistata presso un ambulante per pochi spiccioli, segnava a nord il cammino per il Monte Fatto; i cartelli posizionati al bivio, invece, indicavano l’est.

«E ora?» chiese, mentre Levi, al suo fianco, scrollava mestamente le spalle.

«Sei tu quello intelligente qui.»

«Già…»

«Potremmo dividerci. E spezzare il Canestrello a metà. Ognuno dei due gruppi porterà Mezzo Canestrello al Monte Fatto.»

«Umh… per una volta, un’idea sensata. Stai migliorando.» Erwin prese il biscotto, facendo per romperlo a metà. Ne consegnò una parte a Mike:

«Tieni. Te lo affido. Ora… formiamo le squadre.»

Levi si strinse istintivamente ad una gamba del comandante. Questa volta non si sarebbe lasciato fregare. Per nulla al mondo sarebbe andato con Mike. Erwin avrebbe capito il suo attaccamento? La sua devozione? Il suo amore sconfinato degno dei migliori romanzi rosa? Specie visto che si era appigliato al lui come un Koala ad un ramo.

«Nanaba viene con me.» mormorò il biondo «E anche…»

Levi socchiuse gli occhi:
«Scegli me, ti prego! Scegli me, scegli…»

«Levi!»

Sgranò immediatamente lo sguardo, sollevandolo verso il viso dell’altro. Non riuscì a contenere lo stupore, mentre un sollievo soddisfatto gli invadeva il petto e gli regalava un sospiro morbido.

«Posso venire con te?» pigolò, ricevendo in cambio un sorriso caldo e rassicurante.

«Naturalmente… no! Tu andrai con Mike. Hanji, invece, verrà con me.»

Levi cadde all’indietro, rotolando al suolo per svariati metri. Si batté il petto, come in un mea culpa silenzioso, prima di finire dritto sull’ennesimo mucchietto di sterco di drago – fortunatamente secco, che non gli si attaccò alle vesti soltanto per questo motivo.
«Perché mi odi così tanto?» piagnucolò, senza ottenere risposta.

Erwin, Nanaba e Hanji si incamminarono verso Nord. A Levi non rimase altro da fare che seguire Zacharias lungo il sentiero orientale.
 

***
 

«Rohan, Helm, Gondor…» snocciolò Erwin, trovandosi davanti all’ennesimo cartello «Da che parte, secondo voi?»

«Boh…» Nanaba scrollò le spalle «Forse dovremmo dividerci ancora. Io andrò a Gondor»

«Buona idea.» il comandante prese il Mezzo Canestrello e lo divise in tre piccole parti. Ne consegnò due alle donne «Io allora… andrò a Helm. Hanji? Rohan ti va bene?»

«Per me un posto vale l’altro!» rispose la scienziata.

Presero tutti sentieri diversi.
 

***
 

Mike brandì una freccia, tentando di pugnalare con quella il grosso ragno che, davanti a loro, agitava furiosamente le chele.

«Non si usa così quella!»

Scoccò una occhiata alle proprie spalle: Levi si era arrampicato su un albero e stava tentando di mimetizzarsi con le foglie, piagnucolando su quanto gli facessero schifo gli insetti.

«Perché non vieni giù a darmi una mano, invece che frignare?»

«Mi fanno ribrezzo. Ho il terrore dei ragni, lo sai.»

«Uccidi titani, dannazione! Questo è solo un ragno.»

«Un ragno enorme e peloso.»

«A maggior ragione, vieni ad aiutarmi!»

Levi scosse furiosamente il capo, stringendo maggiormente il ramo a cui era aggrappato che, all’improvviso, si mosse. Percepì un rumore secco e, poco dopo, la pianta scuotersi con forza, come se si stesse risvegliando:

«Oh…» una voce profonda arrivò alle sue orecchie. Appariva come vecchia di secoli, anzi di millenni! Era come se l’albero si fosse risvegliato ed avesse preso improvvisamente vita «Perché sei attaccato… ai miei… rami…?» parlava con una cadenza pacata, affatto irritata o spigolosa «Di solito, ospito solo uccellini e scoiattoli. Sei un uccellino?»

«Emh… no.» Levi non riuscì a celare una punta di imbarazzo. Che si diceva ad un albero?

«Uno scoiattolo?»

«Nemmeno!»

Colse una manciata di foglie avvolgersi strettamente alle sue caviglie. Si sentì strattonare e perse immediatamente la presa.

«Merda!» ringhiò, ritrovandosi a ciondolare davanti alla faccia crucciata dell’albero «Mollami subito, stupida pianta!»

«Se non sei un uccello o uno scoiattolo, qui non puoi restare.» disse l’albero, scagliandolo letteralmente via. Levi chiuse gli occhi, mentre l’aria fresca fischiava attorno a lui. Si sentì spostare per diversi metri e, infine, cadere su qualcosa di soffice. Batté le palpebre, ritrovandosi a fissare la schiena pelosa del ragno.

«Che schifo!» disse, mentre una robusta zampa arrivava ad afferrarlo ed a schiacciarlo a terra. Vide le chele del ragno farsi terribilmente vicine al suo viso ed a quello di Zacharias, anche lui inchiodato al suolo da un artiglio.

Perché in quello stupido posto nulla andava come sperato? Non era riuscito a farsi mettere con Erwin, era finito con Mike, un ragno enorme lo aveva aggredito ed era stato persino scacciato da una pianta. Forse avrebbe dovuto considerare l’idea di accasciarsi da qualche parte e morire.

«Beh, direi che questa è la fine…» gli riferì Mike, con una nota allegra.

«Che cazzo ridi, deficiente?! Stiamo per essere mangiati da un ragno ipertricotico. Non so tu, ma non è mai stata la massima delle mie aspirazioni.»

«Nemmeno la mia, ma…»

Un lampo azzurro squarciò il pomeriggio, seguito da un alto ululato:
«FUGGITE, SCIOCCHI!»

L’aracnide si ritrasse, indietreggiando velocemente e lasciandoli liberi. Con un sibilo spaventato, scappò nuovamente nel folto della foresta.

«E ora che cazzo succede?» ringhiò Levi, rimettendosi immediatamente a sedere. Beh, almeno non era morto divorato da un invertebrato. Eppure… essere salvato da una luce accecante era altrettanto curioso. Guardò in direzione della fonte, individuando una persona all’interno del bagliore celeste. Era un giovane uomo dai corti capelli castani ed il viso totalmente anonimo. Assomigliava un po’ a Moblit, in effetti.

«Chi sei?» esclamò, mentre la figura avanzava, avvolta in candide vesti.

«Sono Moblit il Bianco.»

«Ah, ok. Io sono Levi. E lui è Mike.» si presentò.

«Sì, lo so chi siete, capitano.»

«Capi-nano, semmai!» uno scoppio di risa interruppe quel siparietto. Mike si stava rotolando al suolo, reggendosi lo stomaco, mentre lacrime abbondanti gli solcavano le guance.

«Facciamo dell’ironia, noto! Vaffanculo. Perché devi essere sempre così stronzo con me?» Levi tornò ad indicare il mago appena comparso «E comunque… sto parlando con una persona, nel caso ti fosse sfuggito. Non farmi fare brutte figure davanti agli sconosciuti.»

«Ma… capitano, mi conoscete. Sono Moblit!»

«Si, si.. quello che è. Sentite, buon signore…» Levi condì il tutto con un sorrisetto stiracchiato «Ci piacerebbe rimanere a parlare di trucchi di magia e quant’altro, ma… abbiamo parecchio da fare.»

«Non volete ascoltare il mio racconto?»

«No, grazie. Davvero, siamo in ritardo…»

«Di come sono sfuggito ai Nilegul?»

«Sentite, siete simpatico, ma dobbiamo davvero andare… ci parte il treno.»

«E di come sono diventato il mago più potente della Terra di Tre/Quarti?»

Levi mantenne il piccolo ghigno di circostanza sulle labbra, indietreggiando ed afferrando Mike per un braccio. Si sporse verso l’altro per sussurrare:
«Filiamo, prima che cerchi di venderci qualcosa… o ci convinca a firmare in favore di qualche sindacato magico.» mormorò, producendo dei rapidi inchini.

Poco dopo, sparì nel fitto del bosco, trascinandosi dietro l’elfo gnocco.
 

***


Ewin sedette su un merlo della torre più alta, sporgendosi a guardare lo spiazzo sottostante. Incrociò le braccia al petto, scrutando attentamente il risultato del suo infallibile, geniale ed eroico piano. La pianura davanti al Fosso di Helm era costellata di cadaveri di orchetti bruciacchiati.

«Che noia questa battaglia.» sussurrò, nascondendo uno sbadiglio dietro la mancina. Volse l’attenzione alla propria sinistra, dove i più alti gradi dell’esercito di Helm lo stavano fissando sconvolti «Davvero non riuscivate a sconfiggerli? Beh… a me è sembrato piuttosto semplice.»

«Perdonate, sir Smith, ma… erano anni che le truppe dell’Anonimo Antagonista ci stringevano d’assedio. Come avete fatto a vincerle in soli venticinque minuti?»

«è quello che mi domando anche io. Insomma, di solito ci metto di meno. Ho una media di diciotto minuti e trentadue secondi.» sussurrò, dondolando poi il capo «Tuttavia, non mi capacito di come voi possiate averci messo… quanto?»

«Sedici anni, tre mesi, ventiquattro giorni… anzi, venticinque! Lo scorso anno era bisestile.» il capitano delle guardie si inginocchiò, portando il pugno destro al cuore «Insegnateci a combattere, vi prego.»

«Mi piacerebbe, ma… non posso trattenermi a lungo.» Erwin cavò dalla giubba il terzo di mezzo biscotto, sollevandolo sul palmo «Questo è un pezzo del Canestrello del Potere. Devo raggiungere il Monte Fatto e distruggerlo per poter salvare questo mondo dallo spietato Anonimo Antagonista. Temo di non avere tempo per…» si interruppe nel momento stesso in cui sentì la propria mano beccata da un piccione di passaggio. Controllò rapidamente, e laddove – fino a poco prima – vi era il sacro biscotto, ora non rimaneva che qualche sparuta briciola.

«Oh, peccato.» disse, per nulla stupefatto. Si era fatto fregare da un volatile di passaggio «Pazienza. Non si può essere infallibili in tutto.» commentò, tornando a sorridere in direzione delle guardie di Helm «Beh, credo di essermi appena liberato. Non credo d’avere altri impegni per i prossimi mesi.»

 
***
 

Hanji controllò le tasche della tunica. Il suo terzo di mezzo biscotto era sparito. Non che la cosa le interessasse particolarmente. Probabilmente, lo aveva perso nel lungo cammino che l’aveva portata fin lì.

«Boh, chissenefrega.» disse solo, decisa a continuare nel viaggio.

A dirla tutta, non sapeva nemmeno dove si trovasse. Sicuramente non a Rohan e nemmeno sul Monte Feto, Fato o come cavolo si chiamava.

Anzi… a giudicare dal litorale sabbioso, dalle palme frondose e dai baracchini dove degli ambulanti gridavano “Cocco! Cocco bello”, doveva aver raggiunto il tanto agognato mare!

«Sì! Finalmente!» disse, spogliandosi rapidamente della tunica elfica e dei sandaletti preziosi. Si fiondò verso l’acqua salata, decisa ad assaggiarla. Acqua salata? Chissà che gusto possedeva! Aveva cercato più volte di riprodurla in laboratorio, ma non le era mai uscito nulla di soddisfacente.

Avrebbe documentato quell’interessante scoperta: si sarebbe concessa un lungo e ristorante bagno; poi avrebbe studiato i pesci, le alghe, i bagnanti intenti a prendere il sole ed un mucchio di altre cose. In fondo, vi erano altri quattro volenterosi eroi pronti a salvare la Terra di Tre/Quarti, no? Nessuno avrebbe fatto caso alla sua diserzione.

 
***
 

Nanaba sollevò la spada davanti al principe dei Nilegul. L’orrenda creatura aveva tentato di incantarla con una soporifera ninnananna, ma senza nessun successo. Ora, però, la creatura troneggiava davanti a lei, emettendo vagiti neonatali piuttosto inquietanti:
«Scccioooccooo…> sibilò «Nessun uomo può uccidermi.»

Nanaba si tolse l’elmo, liberando la corta e ben poco fluente chioma bionda:
«Io non sono un uomo!» esclamò, conficcando la lama dritta nel petto del Nilegul, che emise un grido stridulo, poco prima di accasciarsi al suolo.

«Ah no?» fu la domanda dell’essere «Perché a me pari proprio un uomo.»

«No, sono una donna!»

«Beh, a me non sembra. Che taglia hai, scusa?»

«Di cosa?» chiese, mentre le mani del Nilegul mimavano due rotondità all’altezza del petto «Oh! La seconda.»

«La seconda in retromarcia vorrai dire… e poi… dai, non ti si può vedere con quel taglio corto! Dovresti farti crescere i capelli. Davvero… me pari proprio un uomo.»

Nanaba sollevò la destra, andando a tirare leggermente le ciocche della frangia:
«Dici?»

«Sì, e dovresti anche fare una maschera ricostituente. Guardati, tesoro! Sei piena di doppie punte.»

«Mh…»

Il Nilegul si alzò sulle gambe tremanti, offrendole tuttavia il braccio:
«Se ora tu fossi così gentile da togliermi la spada dal cuore, potrei accompagnarti dal parrucchiere di mia moglie. Fa dei lavori eccellenti, sai? Ed è pure economico…»

La donna estrasse l’arma, rimettendola nel fodero. Accidenti, forse non avrebbe dovuto cedere a tante attenzioni, ma… quando mai poteva ricapitare un’offerta simile? Taglio più acconciatura a sole quattro monete e mezzo. Il Canestrello, senza dubbio, poteva attendere. Dopo tutto, da quanto quel mondo aspettava d’essere salvato? Millenni? Secoli? Un paio d’ore in più non avrebbero fatto differenza.
 

***
 

Levi pulì lo stivale nell’erba. Era la quarta cacca di drago che pestava e ancora non si vedeva la fine di quel periglioso cammino. Avevano raggiunto il Monte Fatto solo per scoprire che le sue pendici erano irte e colme di sterpaglie. L’ascesa, inoltre, era stata resa più faticosa dai bizzarri personaggi che costellavano i fianchi della montagna: si trattava, per lo più, di esseri umani riversi a terra, con gli occhi arrossati e le bocche impastate.

«Ehi amico… oh… ehi..» dicevano questi sventurati, ogni volta che i due viandanti ne incrociavano uno «Ce l’hai un po’ di fumo?»

«No, Messere… non abbiamo nulla.»

«Oh, dai non farti pregare amico. Una cannetta, su…»

«Ce l’hai un po’ di polverina magica? Eh… di quella che ti manda fuori di testa?»

«E il pan di via elfico? Quello è una bomba, amico. Dovresti provare a fumartelo.»

Discorsi simili avevano accompagnato l’intero tragitto, fino alla vetta del monte.

«Ora capisco perché lo chiamano Monte Fatto!» ringhiò Levi, una volta giunto in cima. Si sporse verso il terminare del sentiero, osservando come questi si interrompesse bruscamente sull’orlo di un cratere vulcanico. Un centinaio di metri più in basso, la lava ribolliva costantemente, esplodendo in grosse bolle rossastre ed esalando nubi di vapore.

«Bene, togliamoci questa rottura di palle.» riprese poco dopo, tendendo la destra verso il compagno di viaggio «Mike, il Canestrello, presto!»

«Non ce l’ho.» rispose l’altro.

Levi sgranò gli occhi. Come era possibile? Era sicuro d’averlo lasciato a lui!
«Controlla meglio, magari ti è caduto sul fondo della bisaccia o…»

«Ma va! L’ho mangiato per merenda…»

Sentì le braccia che gli cadevano nel vuoto; se non fossero state attaccate alle spalle, senza dubbio le avrebbe viste rotolare per terra, in compagnia di qualcosa d’altro. Tutto ciò era paradossale. Aveva affrontato un pericoloso viaggio, combattendo contro ragni, alberi maleducati e pestando sterco di drago ogni mezzo miglio… tutto per buttare quello stupido biscotto nel cratere di un vulcano popolato da drogati in crisi d’astinenza e… quell’idiota di Zacharias aveva ben pensato di mangiarsi il Canestrello del Potere.

«Io ti ammazzo…» sussurrò, mentre gli occhi si accendevano di una sfumatura perversa «Mi hai fatto fare tutta questa strada per niente! Ho le vesciche sotto i piedi, sono stanco, puzzo come un suino all’ingrasso e… hai fatto l’unica cosa che non dovevi fare. Come faremo a salvare il mondo dall’Anonimo Antagonista?»

L’elfo gnocco scrollò le spalle:
«Che ne so! Dovresti chiederlo ad Erwin… è lui quello con le idee geniali, di solito.»

Era troppo. Levi scattò in avanti tentando di afferrare Mike per il bavero della giacca.
Cercò di spingerlo, di strattonarlo, di scrollarlo per frullare quel poco di cervello che evidentemente aveva nella zucca:
«Io ti uccido, ti…» sbottò, ma non riuscì a finire la frase: l’impeto era stato decisamente eccessivo e tentare di picchiare un armadio come Mike sull’orlo di un vulcano non era, naturalmente, una grande idea; tuttavia, poiché il lettore è ormai avvezzo ai colpi di genio del protagonista di questa raccolta, non se ne stupirà affatto.

Levi sentì il terreno sdrucciolare sotto le suole dei suoi stivali. Agitò le braccia, tentando disperatamente di recuperare l’equilibrio, ma senza successo. Un istante dopo, si ritrovò a cadere nel nulla, oltre il bordo del vulcano.

Chiuse gli occhi, preparandosi all’impatto con il fuoco liquido. Chissà come era morire sciolti nella lava bollente.
Oh, beh… ancora qualche attimo e l’avrebbe scoperto.
 

***


Levi percepì un dolore lancinante alla spalla sinistra e si risollevò di scatto, mettendosi a sedere. Stropicciò gli occhi, mentre un groviglio di coperte gli stringeva le gambe, ancora per metà sul materasso. Batté le palpebre, cercando di riacquistare familiarità con l’ambiente circostante.

Non vi era alcuna traccia di un vulcano, né di una montagna coperta di sciagurati in crisi d’astinenza. Men che meno percepiva la presenza di Mike e quello era, indubbiamente, un buon segno. Si guardò attorno, sforzandosi di focalizzare i dettagli: il letto sfatto, il vicino comodino, il suo scrittoio con il servizio da the di porcellana e, infine, un armadio chiuso a chiave. La luce della luna piena filtrava dai vetri chiusi dell’unica finestra.

Si passò una mano sulla fronte madida di sudore.

«Era solo… un incubo.» sussurrò.

Era vivo, quindi! Non era rimasto sciolto da un fiume incandescente di lava. Né aveva pestato ripetutamente la cacca di drago. Controllò per scrupolo le piante dei piedi, trovandole pulite come al solito. Si concesse un lungo sospiro di sollievo.

«Mai più peperonata a cena!» si ripromise, mentre cercava di liberarsi delle lenzuola e di rialzarsi.

Si affrettò a sistemare il caos nella stanza e, poco dopo, infilò un paio di ciabattine di spugna rosa. Recuperò una bugia e un acciarino, accendendo lo stoppino della candela.

Di soppiatto, uscì dalla stanza e scivolò nei corridoi limitrofi.

Che ore potevano essere? Non seppe darsi una risposta, ma la caserma del Corpo di Ricerca era immersa in un profondo silenzio, interrotto soltanto dal russare eccessivo di qualche cadetto.

Si mosse piano, sforzandosi di non produrre alcun rumore; la candela gettava ombre tremule sui muri dei corridoi.

Svoltò a sinistra e continuò per una decina di metri, giungendo nei pressi di una larga scalinata. Salì i gradini, misurando ogni passo ed infine fermandosi dinanzi ad una larga porta bianca a doppio battente.

La destra frugò nell’unica tasca della camicia da notte, cavandone una chiave d’ottone. La infilò nella toppa, facendo scattare delicatamente la serratura.

Il capitano scivolò all’interno della stanza, ignorando il disordine che vi regnava sovrano:
«Domani mattina facciamo i conti.» sussurrò, spiando la scrivania ingombra di carte, calamai vuoti e penne spuntate. Piegò in direzione di un secondo uscio, trovandolo dischiuso. Oltrepassò la soglia, dirigendosi verso il vicino letto matrimoniale. Poggiò il candelabro sul comodino, prima di infilarsi sotto le coperte.

«Erwin…» pigolò, mentre dal vicino capo biondo proveniva un:

«Mh..?»

«Stai dormendo?»

«Ora non più… grazie a te» la voce impastata dal sonno conteneva una chiara sfumatura di rimprovero «che ore sono?» un campanile, in lontananza, batté le tre e trenta «è notte fonda… torna a dormire.»

Levi non ci badò, facendo per stringersi al corpo dell’altro:
«Ho fatto un brutto sogno. Posso restare nel lettone?»

«Hai trentacinque anni…»

«Ma ne dimostro meno.»

«Uff… va bene. Solo per questa notte.»

Levi si portò una mano al petto, quasi a sottolineare quel giuramento:
«Lo prometto.» sussurrò, mentre un braccio robusto arrivava a circondargli le spalle.

Si appallottolò contro il petto del comandante, chiudendo gli occhi e scivolando in un sonno decisamente migliore del precedente.

 
 
  
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