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Autore: VenoM_S    21/02/2019    1 recensioni
Kyle non è mai stato un tipo avvezzo alle feste o alla vita mondana, e quella sera in discoteca, più o meno costretto dai suoi amici, non inizia poi molto diversamente. L'arrivo di una ragazza, però, finirà per stravolgere completamente il corso degli eventi.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: seconda
Missione: M1
Prompt: Horror
N° parole: 3085
When the hunger calls you

Il locale quella sera era illuminato a tratti dalle luci stroboscopiche colorate ed era fumoso, come ci si aspetta che sia in un sabato notte invaso da ragazzi pronti a divertirsi. Come succedeva ogni anno, i più non si erano sprecati molto con la fantasia: lupi mannari con le loro maschere di lattice, i vestiti gonfi sopra le tute intere ricoperte di pelliccia ispida talmente finta al tatto da essere quasi fastidiosa, mummie qui e là, alcuni senza voler sprecare neppure quel minimo di energia si erano semplicemente arrotolati le braccia ed il viso con della carta igienica, altri quantomeno avevano cercato di entrare di più nel personaggio con degli abiti in stile egizio sopra gli strati di bende e qualche accessorio. Qualche strega mezza svestita con alti cappelli a punta e corte gonne strappate, il trucco dark che funzionava sempre, qualcuna se ne andava in giro persino con una vecchia scopa, poi vampiri armati di dentiera e fantasmi sotto i loro lenzuoli bucherellati. Una notte di Halloween come tante, come tutte.
O forse no.
 
Kyle non amava le feste. Era più un “tipo da film” come diceva lui, uno che avrebbe preferito mille volte il divano, una coperta calda e la tv accesa al posto della vita mondana. Ma quella sera si era lasciato convincere dai suoi amici, che non facevano altro che parlare di quella festa da giorni ormai inneggiandola come, testuali parole, «la più gran figata della città, amico!» e cercando ogni momento buono per proporgli di uscire dal suo piccolo antro buio per accompagnarli. Chissà perché aveva protestato meno del previsto, ed ora eccolo lì davanti allo specchio del bagno intento a cercare di disegnarsi alcune cicatrici decisamente poco convincenti sulla fronte e intorno al collo con l'eyeliner di Chelsea, la sua amica d’infanzia che si era iscritta nel suo stesso college, e la cui stanza era ad un paio di corridoi dalla sua. Lo zombie gli era parsa subito una buona idea per quella serata.
«In fin dei conti quelli lì sono morti, ergo non parlano, non ballano, non danno troppa confidenza, e al massimo se li fai incazzare ti mangiano il cervello con evidente soddisfazione» aveva detto poco prima all’amica con un sorrisetto, mentre le staccava l’eyeliner dalle mani.
Aveva indossato una semplice e vecchia tuta che ormai usava solo per stare nella sua stanza e che aveva provveduto a strappare e sporcare di terra sulle aiuole di fronte ai dormitori, messo la giacca e poi si era infilato di corsa nella macchina di Joel, verso l’Étoile, uno dei locali più famosi della città.
Dopo essersi ricongiunto agli altri ragazzi di fronte all’ingresso si erano tutti diretti all’interno, sorpassando senza troppi problemi i controlli dei buttafuori, che avevano stampato sui loro polsi il logo del locale: una corona stilizzata che brillava alla luce ultravioletta delle loro lampade. Una volta dentro, si era seduto al tavolo che avevano prenotato guardando gli altri ragazzi schiacciarsi tra loro in mezzo alla pista, mentre beveva svogliatamente i drink che diversi ragazzi dello staff portavano in giro su lunghi vassoi argentati ricoperti di ragnatele finte.
 
Improvvisamente sentì un fruscio leggero accanto a sé che lo fece rabbrividire, quindi si girò di scatto e vide una ragazza splendida, i cui lunghi e folti capelli rosso fuoco ricadevano morbidi sulle spalle. La spalla destra era adornata dal tatuaggio di un demone alato, il viso aggrottato in un ringhio aggressivo che lasciava scoperte le lunghe zanne, andando ad estendersi fino a metà del bicipite. Lo sguardo del ragazzo non riuscì a non indugiare sulla scollatura generosa della ragazza, accentuata dallo stretto corpetto di pelle nero tirato a lucido. Sentendo lo sguardo di lei addosso, distolse subito il suo per tornare a guardarla in viso. Aveva un trucco molto pesante intorno agli occhi color nocciola, il viso leggermente impallidito dalla cipria appositamente chiara e due piccoli puntini rossi disegnati al lato sinistro del collo lasciato leggermente scoperto dalle ciocche di capelli, di modo che potessero essere visibili.
«Fammi indovinare, vampiro» disse Kyle dopo un momento di imbarazzo, giusto per cercare di attaccare bottone.
«Hai indovinato, le creature della notte mi affascinano da sempre, sai?» rispose lei con un leggero sorriso, mentre prendeva al volo un drink viola scuro da uno dei vassoi che passavano veloci, senza nemmeno sapere cosa stesse per bere. La prima cosa che Kyle notò a quel movimento fu il particolare anello che la ragazza portava all’anulare destro. Era di medie dimensioni, il corpo rotondo adornato da una pietra verde, probabilmente uno smeraldo anche se non avrebbe saputo dire se vero o meno, tenuta al suo posto da quattro serpenti dorati, che poi si intrecciavano a formare la fascia dell’anello stesso che si avvolgeva attorno al dito. La ragazza aveva una voce suadente e limpida, di quelle che avrebbero fatto crollare ai suoi piedi più o meno chiunque l’ascoltasse per più di cinque minuti, ma c’era qualcosa di sbagliato in quella voce, un sottofondo vagamente sinistro che gli provocava una strana sensazione alla base del collo.
«Non mi sono nemmeno presentato comunque, sono Kyle, piacere.» disse lui allungando timidamente una mano verso la sconosciuta.
«Io sono Autumn. Come mai sei qui seduto da solo, non ti piace la festa?» chiese lei con quella voce troppo perfetta, mentre ricambiava la stretta.
«In realtà non proprio, non è esattamente il mio ambiente questo, ed i miei amici mi hanno più o meno costretto a venire, sarà quasi un’ora che sto seduto qui a bere senza far nulla» rispose Kyle indicando il gruppo di ragazzi che si stava scatenando in pista a pochi passi da loro, senza curarsi minimamente del loro amico semi-asociale.
Non seppe cosa lo spinse, a quel punto, a fare alla ragazza una domanda davvero azzardata per i suoi normali standard, forse il semplice fatto che fosse meravigliosa e che si fosse seduta proprio accanto a lui, o forse qualcosa di più sinistro, inspiegabile, una specie di imperativo cui sentiva di dover in qualche modo ubbidire «senti, usciamo da qui se ti va, potremmo andare a fare due passi, qui vicino c’è il parco del college»
Sul volto della ragazza passò l’ombra di un’espressione strana, una specie di sguardo sicuro ed in qualche modo trionfante, ma fu solo un attimo prima che gli occhi nocciola tornassero luminosi e dolci come poco prima, e Kyle pensò di esserselo solo immaginato.
«Per me va benissimo, anche io preferisco l’aria aperta.» disse Autumn sorridendo. Si alzarono dal divanetto e si diressero insieme all’uscita, passando vicino al gruppetto scatenato sulla pista. Kyle cercò lo sguardo di Joel per informarlo che stava andando via, ed il ragazzo di rimando, dopo aver dato un’occhiata ad Autumn, gli rivolse un vigoroso cenno d’assenso ed una pacca sulla spalla, prima di tornare a premersi addosso ad una ragazza vestita da succube.
 
Era una notte splendida, la luna sembrava più grande del solito sopra le loro teste, anche se veniva spesso coperta da grumi di nuvole che si muovevano veloci, coprendo di tanto in tanto la luce e lasciando il parco quasi del tutto al buio.
Kyle e Autumn passeggiavano lentamente sul viale alberato che portava al college, senza praticamente mai parlare se non per scambiarsi qualche imbarazzante convenevolo. Il silenzio era interrotto solo dal rumore delle foglie secche che venivano disturbate dal vento leggero ma pungente, ammucchiate in modo disordinato ai lati del vialetto, quando lei si fermò vicino ad un albero cercando un po’ della luce fioca che la luna rimandava, mettendosi a frugare insistentemente nella borsa di pelle che portava a tracolla.
«Hai perso qualcosa?» le chiese Kyle dopo essersi avvicinato.
«Credo di aver dimenticato il telefono nella mia camera, è incredibile la mia capacità di lasciarlo in giro» rispose lei con fare sconsolato «ti dispiacerebbe accompagnarmi a prenderlo? Non mi piace granché girare sola per il college di notte» aggiunse poi subito dopo, guardandolo con una non troppo velata preghiera nello sguardo.
Ancora una volta, a Kyle parse di notare altro dietro quel viso così angelico, c’era qualcosa che lo rendeva insicuro e, forse, inquieto ogni volta che incrociava lo sguardo di Autumn e lo sosteneva per più di tre secondi. Non che abitualmente sostenesse lo sguardo di una qualsiasi altra ragazza, dovette ammettere a sé stesso, e forse era proprio quello il motivo del suo disagio dopotutto.
«Ma sì, non devi nemmeno chiedermelo. In quale ala del college si trova la tua camera?»
«Ala Sud, è quella più antica come penso saprai. In realtà ammetto di vivere piuttosto isolata dalle altre strutture del college, preferisco studiare in solitudine e non mi piace essere disturbata durante il giorno» rispose Autumn con un velo di imbarazzo.
Questo fece saltare alla mente di Kyle che non aveva mai visto in giro quella ragazza, e la cosa lo incuriosì non poco. Era sicuramente più grande di lui di un paio d’anni, e di certo non poteva pretendere di conoscere già tutte le centinaia di persone che frequentavano il college a nemmeno metà del primo semestre del suo primo anno.
Ma una ragazza come lei era difficile passasse inosservata.
 
L’ala Sud veniva usata ormai da anni più che altro come magazzino per gli oggetti dei vari club, come costumi e vecchi oggetti di scena di quello di teatro, o per le cianfrusaglie sportive del baseball e del football, dato che era caduta in disuso dopo la costruzione di nuovi spazi per gli studenti, più all’avanguardia e soprattutto più sicuri.
Quello che Kyle si trovò davanti era un grosso edificio squadrato, costruito con mattoni scuri ormai ricoperti in vari punti da colonne di edera rampicante. Il giardino, che nelle altre sezioni dei dormitori veniva sempre tenuto in ordine dagli impiegati del college, in quel caso era una piccola giungla incolta d’erba mezza secca, piante infestanti e cespugli morenti. I pochi alberi che si innalzavano da quel paesaggio abbastanza inquietante non erano certo una visione migliore, striminziti e privi di foglie com’erano. sembrava quasi che tendessero i loro rami verso di loro, con l’intenzione di ghermirli mentre erano distratti. La maggior parte delle finestre di quella struttura abbandonata erano ovviamente sbarrate con pesanti assi di legno, per impedire ai simpaticoni di turno di introdursi nella struttura e combinare qualche disastro, ad eccezione di due finestre al primo piano, pulite e con le imposte relativamente recenti.
Doveva essere la camera di Autumn.
«Mmh, questo posto mi mette un po’ i brividi sai? Non so come fai a tornare qui da sola ogni sera» si ritrovò a confessare Kyle, guardandosi intorno con l’impressione strisciante di essere osservato.
«Lo so, in effetti adesso non è il massimo a vedersi ma di giorno non è così male, fidati» disse placidamente la ragazza mentre ruotava la chiave nella serratura del pesante portone d’ingresso, facendo poi segno con il capo di seguirla all’interno.
 
Il corridoio era vuoto, ovviamente, e anch’esso ad una prima occhiata si sarebbe detto completamente abbandonato a sé stesso, con tutte quelle finestre sbarrate che non permettevano alla luce di entrare, nonostante poi la vista venisse catturata dalle due piccole lampade a muro che inondavano lo spazio di una timida luce aranciata e, qualche passo più avanti sulla destra, dalla porta della camera di Autumn, pesante e di legno scuro, lucida come se fosse stata appena pulita.
Aveva un che di sinistro in mezzo a quella desolazione.
Una volta entrati la ragazza si chiuse la porta alle spalle lasciando la stanza nel buio più totale. Kyle cercò istintivamente l’interruttore della luce che normalmente si trovava sempre alla destra della porta, ma sotto le dita riusciva a sentire solo la superficie ruvida e fredda delle pareti.
«Vado subito ad accendere la luce, sai qui gli interruttori sono tutti spostati, tu intanto entra, se fai quattro passi e poi ti giri sulla destra dovresti trovare una poltroncina, così puoi sederti. Io ormai sono abituata a muovermi al buio» disse lei, come fosse un ordine che non contemplava il tornare indietro ed aprire la porta per aiutarsi con l’orientamento.
Quasi come un automa incapace di prendere decisioni in solitudine, Kyle iniziò a muoversi a tentoni verso il centro della camera tenendo a mente i passi, ma arrivato al terzo improvvisamente inciampò su qualcosa che stava sul pavimento, come se ci fosse un grosso tappeto ancora incartato nella plastica ed arrotolato proprio là in mezzo. Perse l’equilibrio cadendo in avanti, e cercando di protendere le mani per afferrare un qualche appiglio si ritrovò aggrappato a quello che sembrava un grosso tavolo metallico, liscio e gelido, ricoperto da una sostanza ruvida e appiccicosa che gli si attaccò ai polpastrelli. Aveva battuto un ginocchio contro una delle gambe del tavolo, ed il dolore lo costrinse a rannicchiarsi su sé stesso con un mugolio.
Un odore strano gli penetrò le narici, aveva un che di ferroso misto a qualcos’altro che non avrebbe saputo riconoscere, e venne colto dal panico. Non andava bene, davvero, perché la luce era ancora spenta e la ragazza sembrava sparita mentre lui veniva inondato da un opprimente senso di impotenza per una situazione che stava rapidamente diventando fin troppo inquietante. Quando finalmente la luce tremolante di un candelabro si accese, non poté fare a meno di inorridire davanti all’oggetto cui si era avvinghiato: poteva ricordare un tavolo da dissezione come quelli mostrati nei vari CSI di turno che tanto piacevano a Chelsea, con i bordi rialzati ed un buco su uno dei lati corti per far defluire tutti i liquidi, ricoperto da diverse chiazze di sangue raggrumato. Ecco cos’era quell’odore, pensò il ragazzo mentre si voltava alla ricerca di Autumn, trovandosi invece ad ammirare inorridito il “tappeto” su cui era inciampato poco fa. Un grosso sacco di plastica nero, apparentemente pieno, dalla cui sommità chiusa alla meglio sgorgava un rivoletto di sangue, che si allungava sul pavimento di mattonelle scure andando a lambire una delle sue scarpe.
Con il respiro corto ed il cuore che minacciava di scoppiare, cercò di alzarsi per andare verso la porta d’uscita, quando fu raggiunto da un forte colpo alla nuca e tutto intorno a lui si spense di colpo.
 
Si svegliò con un gran mal di testa, senza poter sapere con certezza per quanto tempo fosse stato incosciente, e si ritrovò legato al gelido tavolo, mani e piedi immobilizzati da grosse fascette bianche in modo che fossero semi aperte, con Autumn che torreggiava sopra di lui mentre accarezzava il grosso anello verde con l’indice della mano sinistra leccandosi lentamente il labbro superiore, lo sguardo che ormai aveva perso qualsiasi cenno di dolcezza. Tentò invano di divincolarsi, con l’unico risultato di ferirsi con le fascette, che strette com’erano avevano iniziato a conficcarsi nella carne dei polsi provocandogli un dolore intenso che gli fece stringere i denti.
«Chi cazzo sei?» fu tutto ciò che riuscì a dire con la voce strozzata, cercando di mostrarsi meno spaventato di quanto fosse in realtà, con scarsi risultati.
«Ora vedrai» disse lei, lo sguardo eccitato del predatore che inizia a giocare con la sua preda, e con un movimento lento si sfilò l’anello dal dito.
La trasformazione fu quasi istantanea: i capelli le si allungarono arrivando a toccarle i fianchi come un’impetuosa cascata di lava, e lo stesso fecero le unghie trasformandosi in un paio di secondi in lunghi artigli acuminati; i canini le si estesero fino a diventare zanne appuntite e infine gli occhi presero una sinistra colorazione rosso sangue, mentre lo sguardo si fece aggressivo, lasciandosi indietro qualunque barlume di quella silenziosa e perfetta ragazza di poche ore prima. In quegli occhi ora vedeva la fame, vedeva un’assassina.
 
«Stai scherzando, è un dannato scherzo di Halloween cazzo, sei un vampiro?!» Kyle iniziava a farneticare in preda al terrore, mentre la ragazza sfiorava con una delle unghie la pelle del suo avambraccio ben disteso. Arrivata vicino al polso, già martoriato dalla fascetta di plastica, decise di infierire ancora conficcando quello stiletto in profondità, spostandosi poi di nuovo verso l’avambraccio portandosi dietro la carne lacerata, tra i disperati mugolii del ragazzo che cercava in ogni modo di non darle la soddisfazione di urlare di dolore. Un copioso fiotto di sangue iniziò a fuoriuscire dallo squarcio, bagnando il tavolo di metallo ed il pavimento. Compiaciuta per quello che stava iniziando a vedere, Autumn si portò le dita impregnate di sangue alla bocca, leccandole con soddisfazione per dare un primo assaggio.
«Hai indovinato, bravo cagnolino. Quell’anello che hai visto poco fa mi fu donato dal mio Creatore, un vampiro che mi morse circa centocinquant’anni fa. Avresti mai detto che sono così antica?» disse quasi fra sé e sé con una smorfia. «Lo uso per camuffarmi, in quanto ha il potere di alterare i tratti caratteristici dei vampiri, rendendoci più simili a voi, un bel risultato in effetti» un ghigno orribile le apparve sul viso con i canini in bella mostra ed una macchia di sangue sotto il labbro inferiore. Seppur spaventosa, conservava comunque una bellezza disarmante.
Improvvisamente, posò entrambe le mani sul petto del ragazzo, che sobbalzò e chiuse gli occhi.
«Ti prego, ti prego, ti prego…» iniziò a cantilenare, mentre patetiche lacrime gli solcavano i lati del viso, attirate dalla gravità verso la superficie metallica su cui era costretto.
La ragazza si prese ancora qualche secondo per ammirare quella scena, mentre in un gesto quasi amorevole accarezzava la pelle di Kyle, passando quelle sue dita perfette sul suo addome, mentre lui sussultava.
«Sono stata fortunata a trovarti così presto stasera, sai» continuò lei fremendo d’impazienza, come una molla carica pronta a scattare «l’altro tizio su cui sei inciampato è vecchio di cinque giorni, stava praticamente marcendo tra le mie mani mentre me ne cibavo ieri, era disgustoso, mi serviva proprio un po’ di carne fresca» aggiunse, e con un lampo negli occhi conficcò l’intera mano nello stomaco del ragazzo, come fosse un coltello. E finalmente lui urlò, in preda al terrore e al dolore, sperando invano che qualcuno lo sentisse, che i suoi amici lo stessero cercando da qualche parte, mentre le sue interiora si rivoltavano, spaccandosi a contatto con gli artigli di Autumn che invece rideva sguaiatamente del suo operato mentre il sangue del ragazzo le zampillava addosso.
Kyle non voleva credere a quello che stava accadendo. I vampiri erano solo stupide leggende, davvero, non ci aveva mai creduto in vita sua.
Era un sogno, solo un sogno, continuava a ripetersi.
Ma nessun brusco risveglio riuscì a salvarlo dalla fame di Autumn, che con voracità infine si avventò sul suo collo, lacerandogli la giugulare con i denti ed iniziando a mangiare, avidamente, risucchiando via la vita del ragazzo un sorso alla volta.

[questa fic è nata da un plot rimasto sepolto nel mio archivio da Halloween, e mi ha fatto confermare l'idea di non essere del tutto tagliata per l'horror. Spero comunque che vi sia piaciuto leggerla!]
  
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