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Autore: Ily Briarroot    21/02/2019    6 recensioni
[Fanfiction partecipante al contest "Patti oscuri, alleanze di ferro e promesse vincolanti" indetto da Shilyss sul forum di EFP].
Nonostante i limiti che lei gli aveva imposto e la promessa che aveva preteso da lui - quella di non farsi vedere troppo in giro con il suo vero aspetto, l'unica, la più importante -, il volto del detective era apparso su tutti i quotidiani locali e i telegiornali.
Sebbene le avesse dato la sua parola e fosse consapevole del pericolo che avrebbe corso, era stato incauto e profondamente ingenuo, poiché gli uomini in nero che li cercavano per ucciderli non avrebbero impiegato molto per stanarli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Solo una promessa



[Così ormai non tornare indietro mai
Non sacrificare noi]
Laura Pausini



Il tempo non era mai stato un loro alleato, durante quei due anni costituiti da speranze che diventavano sempre più vane. Anzi.

Brutale e senza pietà, aveva ribaltato le loro vite, complice di una situazione pericolosa e utopica.
Le aveva stravolte, senza neanche battere ciglio. D'altronde, era come se li avesse puniti per aver cercato di modificare il suo inevitabile processo, seppur involontariamente.

La mente arguta della scienziata di vent'anni che risiedeva nel corpo di Ai Haibara era arrivata più volte a questa conclusione, sentendosi responsabile di una situazione che era stata l'esatta conseguenza di una sua creazione.
Il tempo; un qualcosa di effimero e dannatamente concreto nel medesimo istante. Un'illusione così reale da lasciare indietro chiunque, un correre - o un incalzare lento, lentissimo - da non risparmiare nessuno. Mai.

Il sentore che stesse accadendo qualcosa - qualcosa di irreparabile - era forte dentro di lei. Una sensazione che le era rimasta dall'esatto momento in cui Shinichi aveva assunto l'ennesima compressa di antidoto temporaneo all'apotoxina. Nonostante i limiti che lei gli aveva imposto e la promessa che aveva preteso da lui - quella di non farsi vedere troppo in giro con il suo vero aspetto, l'unica, la più importante -, il volto del detective era apparso su tutti i quotidiani locali e i telegiornali.
Sebbene le avesse dato la sua parola e fosse consapevole del pericolo che avrebbe corso, era stato incauto e profondamente ingenuo, poiché gli uomini in nero che li cercavano per ucciderli non avrebbero impiegato molto per stanarli.

Correva da minuti interi ormai, senza neanche sapere dove dirigersi.
Il fiato era mozzato nei polmoni mentre le gambe minacciavano di lasciarsi andare, deboli e stanche, sul terriccio umido.
Il cuore palpitava e, per un istante, fu certa di sentirlo sbucare fuori dal petto prepotentemente, a giudicare dalle fitte di dolore all'altezza dello sterno.
Non si fermò neanche per un istante, non avrebbe mai potuto farlo in quel momento. Sentiva il rumore delle foglie calpestate a ogni passo, la suola liscia delle scarpe scivolare appena sui sassi bagnati dalla pioggia della notte precedente. Gli alberi facevano da contorno in quella corsa sfrenata, riparandola da ogni occhiata esterna. Tuttavia, i loro rami intrecciati nel cielo non riuscivano proprio a nasconderla dai pensieri, dal terrore che le attanagliava lo stomaco.
Shinichi manteneva la stessa andatura, standole accanto. Le sue sembianze erano tornate quelle di un bambini di dieci anni; i capelli spettinati, i soliti occhiali più grandi del suo volto. Stavolta, però, con un'ombra di tensione stampata in faccia.

Ai si fermò per riprendere fiato, poggiandosi contro il tronco di un arbusto massiccio. Il suo pensiero saettò immediatamente al dottor Agasa, al sicuro da Kogoro, ai bambini, ignari del pericolo, e a Ran, alla quale si era affezionata. Il cuore mancò un battito quando realizzò che, ormai, quel bosco era diventato una sorta di gabbia per entrambi.
"Non preoccuparti, andrà tutto bene".
La voce del detective la riscosse dai pericolosi pertugi della mente; sentirla dopo ore intere di silenzio era strano. Quest'ultimo le si avvicinò appena quando non udì affatto la sua risposta, e lo fece lentamente, quasi temesse un suo rifiuto.
"Ehi, mi hai sentito?".
La ramata sollevò appena lo sguardo, gli occhi fissi e spenti. Il tremolio del suo corpo era impercettibile, preda di un'angoscia che non riusciva a gestire. Un terrore che aveva cercato di contenere, durante quegli anni di calore e affetto, ma che non se n'era mai andato.

Probabilmente, era riuscita ad accantonarlo in un piccolo angolo di se stessa, consapevole che, prima o poi, sarebbe uscito fuori con lo stesso vigore e lo stesso controllo di sempre.

Shinichi conosceva quei pensieri; gli bastava osservarla in viso per capire ogni cosa. La simbiosi che si era innescata tra di loro era un qualcosa di unico a cui non erano mai riusciti a dare un nome, ma che comprendevano molto bene.

Era una sorta di collegamento spontaneo, di essere l'uno nella mente dell'altra. Di leggersi dentro con uno sguardo, anche senza parlare.
E, in quel momento, Ai era chiusa in se stessa, come se tutto fosse ormai perso.
Dava per scontato che quegli uomini li avrebbero trovati e uccisi a breve, ma non era ciò che la spaventava di più.
Aveva il terrore che l'Organizzazione potesse far del male a Shinichi, ai bambini o al dottor Agasa. Che potesse toccare e distruggere tutto quello che lei aveva faticosamente creato dopo anni in cui, pian piano, era riuscita ad aprirsi.
L'angoscia e la disperazione che premevano attraverso i suoi occhi verde mare ne erano una conferma.

Lui le si avvicinò in silenzio e quasi gli parve di captare ogni singola tensione del suo corpo. Le posò le mani sulle spalle, sospirando nel vano tentativo di calmare anche se stesso. Non poteva farle vedere la preoccupazione che in realtà stava prendendo il sopravvento anche su di sé o avrebbe rischiato di perdere il minimo contatto che era rimasto con lei, perché notava i suoi occhi profondi ora nascosti da un alone spento, distaccato dalla realtà. Sembrava una bambola di porcellana, inerme e immobile.

"Ce la faremo. Non succederà niente a nessuno, non è neanche detto che ci trovino. In fondo, sanno che Shinichi è vivo ma non sanno che sono io".
Ai sospirò profondamente in un evidente tentativo di calmarsi. Cercò di ritrovare la compostezza di sempre, inutilmente. Quando iniziò a parlare, lo fece così flebilmente che sembrava non le fosse rimasto più alcun accenno di voce. Il fiatone provocato dall'ansia non le permetteva quasi di respirare.
"Avranno già visto che ho compilato la tua scheda confermando il tuo decesso. In questo modo risaliranno al fatto che sono con te".

Le sue parole avevano un senso, dopotutto. Shinichi si sforzò di ragionare a mente lucida; ciò che sapeva fare meglio. Si stupì di se stesso quando si rese conto che, oltre alla pressione che percepiva da un po' e che lo intimava a sbrigarsi, anche il suo corpo aveva iniziato a tremare. Inoltre, l'aria fresca del bosco non aiutava di certo, soprattutto a quell'ora del pomeriggio. Erano fuori da ore, correndo senza sosta. Soltanto uno scrupolo, aveva detto ad Ai nel tentativo di non farla preoccupare. Dopotutto, la visione della Porsche nera parcheggiata davanti villa Kudo era di certo un buon motivo per aver preso quella decisione, come poteva continuare a fare finta di niente?

"Già, ma non potranno mai sapere che siamo tornati bambini. Non possono scoprirlo".
"Non sono stupidi, lo capiranno. Gin ci metterà poco a fare due più due".
Shinichi strinse i pugni, facendosi male alle nocche. L'emergenza c'era e non si poteva negare; in quel bosco fitto persino la linea del cellulare non era stabile e, di quel passo, non sarebbe riuscito a contattare neanche l'FBI.

Poi, di colpo, vide l'amica sollevare lo sguardo di scatto. Sembrava aver smesso di respirare, concentrata com'era nel guardarsi continuamente intorno. Gli occhi sgranati, voltava velocemente il viso a destra e a sinistra, sempre più velocemente.
"Che c'è, Ai? Che succede?".
Lei non lo sentì immediatamente; in quel momento sembrava davvero una di quelle bambole che si muovono a scatto e che trasmettono un po' di inquietudine.
"Ehi, rispondi!".
Ai si soffermò sul detective, mordendosi le labbra che quasi assunsero lo stesso colore pallido del volto.

Solo in quel momento notò le lacrime che le inumidivano le iridi chiare.

"Kudo, sono loro... ".

Le bastò guardarla per percepire un brivido freddo dietro le schiena. La imitò e istintivamente le si avvicinò di più.
"Cosa? Ma come fai a saperlo?".
Non c'era bisogno di sentire una spiegazione, lo sapeva. Aveva imparato a fidarsi delle sue sensazioni, del suo istinto, dal momento che queste non avevano mai fallito sul serio.
"Sento il loro odore... loro sono qui! Ci stanno circondando"esclamò Ai, emettendo un gridolino acuto, quasi strozzato. Si stava facendo prendere dal panico; la vedeva e la sentiva attraverso lo stomaco che stringeva e stringeva.
"Ascolta ... " le disse e capì che non lo stesse ascoltando di nuovo, troppo presa dal guardarsi le spalle. "Ascoltami! Fidati di me, si risolverà tutto".
"No, non è così" gli rispose Ai, parlando in modo sempre più concitato. Istintivamente, si spinse verso di lui, alla disperata ricerca di una protezione. Probabilmente, non se ne stava neanche accorgendo.
"Devi calmarti, va tutto bene" le ripetè Shinichi, afferrandole un braccio improvvisamente. Di colpo, ogni sua paura tornò a galla come un fulmine a ciel sereno. Era da molto tempo che non la vedeva ridotta a quello stato.
"No!" gli disse, lanciandogli un'occhiata implorante. "Devi farmi una promessa, ti prego".

I loro occhi s'incrociarono, verdi contro blu. Verdi dentro blu. Un miscuglio di sentimenti, troppi da elencare in così poco tempo.

Ai lo strattonò appena, scostando il braccio nel tentativo di far lasciare la presa al detective. Lo vedeva già morto, davanti a sé, con il sangue che macchiava le foglie e il terreno umido. L'immagine di Gin, con la solita pistola in mano, sgnignazzava davanti al cadavere di Shinichi.
Morto per salvarla.
Morto per lei.
E poi, di nuovo, a ruota: i bambini, Agasa, Ran, Kogoro. Il sangue che scivolava a terra, macchiando i loro vestiti così come aveva macchiato quelli di Akemi.

Il cuore accelerò furioso nel petto, il respiro si mozzava. Il tremolio diventava pesante, partendo dal petto e salendo in gola, fino a creare un nodo che non andava via.

"Devi andartene. Devi scappare, qualsiasi cosa succederà. Non tornare indietro per salvarmi".
Gli occhi di Shinichi si sgranarono, tentando di realizzare quella frase. Sperava di aver frainteso, perché non avrebbe mai potuto concepire una richiesta simile. Scosse lentamente la testa mentre l'idea si formava nella sua mente.
"Come puoi chiedermi una cosa simile?! Non lo farò mai!".
"Ti prego... se non te ne vai alla svelta arriveranno anche dagli altri. Ho bisogno di sapere che starete bene. Pensa ai bambini... pensa a Ran!".
"Assolutamente no. Non ti lascerei mai nelle loro mani".
"Kudo, per favore... ".

Gli istanti che seguirono furono colmi di un silenzio assordante. Ai lo fissava, bramando a tutti i costi una risposta che l'avrebbe fatta rimanere tranquilla. Che le avrebbe fatto affrontare la morte in modo più sereno.

"Non puoi dirlo davvero".
Shinichi voltò lo sguardo, stringendo le palpebre. Non era possibile che finisse a quel modo, non avrebbe mai potuto accettarlo, non faceva parte di ciò che era.
"In fin dei conti sapevamo entrambi che sarebbe finita così, prima o poi".
La voce dell'amica - troppo calma e raggelante perché appartenesse sul serio a una bambina di dieci anni - aveva un sapore amaro. Sapeva di angoscia e tenerezza, di gratitudine e terrore. Un misto strano che lui avrebbe voluto fronteggiare e risolvere all'istante.
"Allora... allora te lo prometto".
Gli ci volle una buona dose di coraggio, e autocontrollo, per permettere a una frase del genere di uscire dalle sue labbra.
Non fece in tempo a pensarlo, perché in quell'attimo sentì la mano fredda di Ai stringersi attorno al suo polso e tirare, facendogli male.

Quando se ne rese conto, lei lo stava già trascinando, correndo il più velocemente possibile tra gli alberi.

Poco dopo udì dei passi veloci alle loro spalle; con la coda dell'occhio, vide delle figure interamente vestite di nero che li seguivano senza mai perdere il passo.
Stavolta fu Shinichi ad accelerare e, in meno di qualche istante, fu davanti a lei. La tirava verso di sé senza pensarci e il cuore gli corse in gola al rumore di uno sparo.

Quanti erano? Tre, quattro. Ma non conosceva nessuno di loro. Dovevano solo seminarli. Sarebbe bastato, prima di farsi venire un'idea sul modo in cui potesse proteggere Ai.

All'improvviso, uno strattone violento lo fece fermare di colpo. Quando si voltò, due degli uomini che li inseguivano tenevano ferma la bambina, bloccandole i polsi dietro la schiena.

Ormai gli era perfettamente chiaro quale fosse il principale obiettivo;Villa Kudo non c'entrava nulla. Lui non c'entrava nulla.

Li fissò furioso, avanzando di un passo. Ai si dimenò tra quelle braccia, sgranando gli occhi.
"Va' via, subito!" urlò, emettendo ancora lo stesso grido acuto di poco prima. "Ti prego, Shinichi".
Rimase fermo, le unghie conficcate nella carne, il petto che faceva male, mentre guardava gli aguzzini portare via una parte importante di se stesso.

Shinichi correva, consapevole che quegli uomini fossero anche sui suoi passi. Accese il radar degli occhiali, intercettando il segnale della ricetrasmittente di Ai.
Glielo aveva promesso in un impeto di frustrazione e dispiacere, dopo aver percepito l'angoscia che in quel momento non le permetteva di stare tranquilla.
Non avrebbe mai potuto mantenere una parola del genere e lei avrebbe dovuto saperlo benissimo.
Corse a perdifiato tra gli alberi, cambiando più volte direzione, nel tentativo di non avvicinarsi troppo per evitare di farsi scoprire da quei criminali.

L'oscurità divorava ogni cosa; non poteva sfuggirle, ormai era lampante. Le palpebre pesanti, il respiro si era regolarizzato. Soltanto quando realizzò ciò che fosse appena successo, il cuore prese ad aumentare i battiti.
Era tutto nero, intorno. Percepiva la superficie fredda sulla quale era stesa e sospirò, tentando di capire dove si trovasse.
"Finalmente l'avete presa".
Una voce profonda e autoritaria spezzò quel silenzio, una voce che conosceva benissimo. Un tuffo al cuore.
"Bisognerà effettuare degli esami per capire se si tratta della stessa persona".
Qualcuno si voltò verso di lei, nonostante non le si potesse avvicinare a causa delle sbarre di ferro che li separavano. Ai continuava a fingere di dormire, l'odore del cloroformio ancora sotto il naso.
"Non servono gli accertamenti, la riconoscerei tra mille" ordinò Gin, voltandosi verso il suo interlocutore mentre studiava la sua espressione poco convinta.

Chiusa di nuovo in una cella, stavolta senza possibili vie di fuga.
Ripensò a Shinichi e sperò con tutto il cuore che mantenesse quella promessa e che scappasse il più lontano possibile da loro.
Doveva salvarsi, almeno lui.
Non riuscì a pensare a nient'altro, se non al ragazzo che le aveva salvato la vita, restituendogliela senza chiederle nulla in cambio.
Non si alzò dal lettino sul quale era distesa, persa tra mille pensieri in attesa di una condanna a morte che era sin troppo scontata.
Pensieri che si interruppero poco dopo, quando il rumore delle sbarre di ferro che si aprivano la fece sollevare di scatto.
Due uomini con il camice bianco la afferrarono per le braccia, trascinandola lungo il corridoio sterile di quell'ambiente fuori dal mondo.

La costrinsero a entrare in quello che sembrava un ambulatorio con una facilità estrema; Ai non riuscì a opporsi totalmente a causa del fisico gracile in cui era costretta.
La gettarono su un altro lettino, collegato a dispositivi che non conosceva, e deglutì a fatica in attesa della sentenza definitiva.
"Allora, cosa ne facciamo di lei?" chiese l'uomo più basso, guardando il compagno che la teneva ancora ferma.
L'altro aveva l'espressione del viso più rilassata, quasi impaziente.
"Il tizio con i capelli lunghi dev'essere un pezzo grosso. Facciamole subito dei test cognitivi per capire se l'età del suo cervello è davvero quella che dimostra".
"Sei impazzito? Ha detto chiaramente di non fare nulla".
"Beh, lo farò comunque. Immagina se questa bambina in realtà fosse davvero la traditrice della quale parlano tanto".
"È lei".
Ai ebbe un sussulto, quando percepì la stessa voce di poco prima. Dura, agghiacciante. Il cuore prese a volerle sbucare dal petto, mentre batteva alla velocità della luce.

L'uomo dai capelli biondi sorrise soddisfatto, accorgendosi di quella reazione.

I due scienziati si guardarono stavolta tesi, deglutendo a fatica.
"Fuori. Devo parlare da solo con lei".
Non scostò lo sguardo dalla bambina, che nel frattempo aveva ripreso a tremare, neanche quando gli uomini con il camice uscirono dall'ambulatorio a testa bassa, chiudendosi la porta alle spalle.

Gin la osservò a lungo, le mani ancora nascoste in tasca, prima di avvicinarsi a lei.

"Che piacere rivederti, Sherry".
Bastò quel nome per fargli assaporare il momento, la bramosia che l'assenza di lei aveva incrementato.
La scienziata si trovava finalmente lì, davanti a lui, e avrebbe potuto farne ciò che voleva. La riconobbe benissimo, in quell'istante più che mai: i capelli di quel colore particolare, gli occhi verde acqua spalancati di terrore puro. Il dolce profumo che riusciva ancora a portargli alla mente ricordi intrisi di lussuria e possesso.

Tutto d'un tratto, Ai si riscosse. Dopotutto, non aveva mai avuto paura per se stessa ed era consapevole che, prima o poi, avrebbe dovuto specchiarsi nuovamente in quegli occhi di solito glaciali, ma che questa volta emanavano solo fuoco.

"Cosa vuoi ancora da me, Gin? Perché non mi uccidi e basta?".
Il ghigno sul volto del criminale si allargò, conscio di aver fatto centro. La studiò attentamente come fosse il predatore che girava intorno alla preda prima di cacciarla.
"Mi hai preso in giro per bene... quando ho sentito che Shinichi Kudo era vivo e che proprio tu avevi firmato la sua scheda, ho capito chi ti avesse aiutata a fuggire l'ultima volta. È stato lui e non il detective Mori".

Al nome di Shinichi, la ramata percepì un brivido freddo lungo la schiena, terrorizzata dal fatto che Gin avrebbe potuto trovare anche lui da un momento all'altro. Lo avrebbe fatto, lo conosceva.

"Mi sono ricordato il suo volto dopo aver visto la foto sui giornali. Ero stato proprio io a ucciderlo con il veleno che tu stessa avevi creato. Non è stato complicato fare due più due".
"Cosa stai dicendo?"gli chiese, nonostante la tremenda voglia di chiudere gli occhi e non aprirli mai più per evitare che lui le infliggesse altre torture psicologiche.
"Tu sei intelligente, Sherry. Sei stata abile... ma ho capito benissimo che ruotava tutto intorno a quel farmaco, così lo abbiamo somministrato a un tizio che non poteva passarla liscia. Quando l'ho visto rimpicciolirsi davanti ai miei occhi non potevo crederci".

Gin estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca del cappotto nero e ne sfilò una con un gesto deciso. Sollevò ancora lo sguardo verso di lei, prima di accenderla e stringerla tra le labbra.

Non riusciva a fare a meno di scrutare la paura in quegli occhi dei quali ormai conosceva ogni sfumatura, perché - pian piano - percepiva un senso di soddisfazione e di goduria invaderlo del tutto.
"Tu... hai fatto ricreare l'apotoxina in laboratorio"appurò lei, flebilmente. Sperava di trovarsi in un incubo, perché non avrebbe mai pensato che le cose sarebbero potute peggiorare così tanto. Non voleva crederci.
"I tuoi appunti ci sono stati d'aiuto" le rispose, mentre l'odore fastidioso del fumo della sigaretta invadeva il laboratorio.

Dopodiché tirò fuori qualcos'altro dalla tasca, qualcosa che Ai riconobbe subito: il libro di chimica che aveva lasciato in uno dei laboratorio dell'Organizzazione al momento della fuga, pieno zeppo di formule che lei stessa aveva ideato. Il libro dal quale era partito tutto, complice della creazione di quel maledetto veleno.

Vederlo tra le mani di Gin le faceva male; il suo unico compagno di vita durante quegli anni chiusa fra mura sterili e microscopi, ora aperto, scandagliato, rovinato. Spogliato dei suoi segreti, un po' la stessa cosa che l'Organizzazione aveva fatto a lei.

Riconosceva ancora la sua grafia, persino sulla copertina.

"Lo vuoi, non è vero? Dopotutto, è tuo".
Capì solo in quel momento ciò che lui le stesse dicendo tra le righe e scosse bruscamente la testa, stavolta con il coraggio sufficiente per fissarlo con disprezzo.
"Non tornerò mai con voi".

L'uomo rise, rimanendo composto. Espirò il fumo e buttò la sigaretta sul pavimento, calpestandola con una tale violenza da disintegrarla. Era tutta la rabbia repressa, il desiderio di vendetta che tornava a pulsare forte.

"Allora, Sherry... non mi dai alternative" mormorò, estraendo lentamente la pistola dalla fondina, "devi morire".
Ai chiuse gli occhi, aspettando di percepire il dolore atroce che le avrebbe provocato la pallottola nella carne. Attese, calmandosi, poiché finalmente l'avrebbero lasciata in pace. Pensò a Shinichi e poi, subito dopo, a tutti coloro che le avevano voluto bene, grazie ai quali era riuscita a conoscere l'affetto, il vero affetto, finché il volto di Akemi le apparve davanti come un fulmine a ciel sereno.
"Addio".

Percepì, pur non guardando, i movimenti di Gin; il dito che si muoveva contro il grilletto. Tuttavia, il colpo non arrivò mai.

Appena aprì gli occhi, una mano le aveva afferrato il braccio, portandola via da quella stanza immacolata.
Il criminale era in piedi, senza fiatare, la pistola volata dall'altra parte della stanza, vicino al pallone che l'aveva colpita con una forza incredibile. Aveva seguito tutta la scena come fosse a rallentatore: un bambino con gli occhiali aveva fatto irruzione all'improvviso nell'ambulatorio, calciando il pallone con così tanta foga da avergli fatto cadere l'arma di mano, prima di correre verso Sherry e trascinarla fuori, lungo il corridoio fatiscente.
"Corri!".

Shinichi gridò, mentre lei lo seguiva perplessa. Si rese conto di chi fosse soltanto dopo parecchi istanti, ancora confusa dalle rivelazioni di poco prima.

"Kudo, cosa fai qui?!" gli chiese, cercando di stare al suo passo. Si voltò appena, ma non vide Gin dietro di loro e neanche gli altri uomini.
"Che domande! Ti salvo la vita, no?".

Quando giudicò che fossero abbastanza lontani da loro, la condusse dietro una colonna spessa e sporca.

Ai si riscosse in quel momento, avvicinandosi così tanto a lui che le parve di vederne le sfumature degli occhi blu.
"Mi avevi promesso che non ti saresti avvicinato! Non dovresti essere qui, loro sanno tutto! Sanno sia di me che di te, stai rischiando di morire"".
Shinichi le tappò in fretta la bocca con una mano, respirando appena.
"Sssh, fai silenzio!" mormorò, il cuore in gola a causa dell'adrenalina improvvisa. "Lo so, altrimenti non ti avrebbero trovata. Non ti avrei mai lasciato qui, lo sai benissimo".
Quando la guardò attentamente notò la sua espressione fredda, in un misto di rabbia e tensione che la divorava.

"Kudo, ti avevo chiesto per favore... adesso rischi e non solo tu! Mi hai dato la tua parola ed è la seconda volta che non riesci a mantenerla".

Shinichi sollevò lo sguardo, senza scostarsi di un millimetro da lei. Sorrise appena a quelle parole, e Ai si chiese cosa diamine ci fosse da sorridere in quella situazione.

"Però ho intenzione di mantenerne un'altra, la più importante, che è quella di proteggerti".
La ramata rimase immobile, leggendo tutta la profondità di quello sguardo che la fissava. Ramase in silenzio, ancora perplessa, finché non udirono il suono di uno sparo echeggiare nel corridoio vuoto.

Strinse istintivamente le mani sulle orecchie, raggomitolandosi contro la parete, mentre l'ossigeno si bloccava nei polmoni.

"Stai tranquilla, ho chiamato rinforzi. Arriveranno a breve, dobbiamo solo resistere" le mormorò ancora Shinichi, stringendola a sé nel tentativo di confortarla. La trascinò ancora più in fondo, in penombra, con l'intento di farle scudo tramite il suo corpo.
Un istante più tardi, sopraggiunse l'eco di una voce che a entrambi parve di riconoscere. Altri spari, uno dopo l'altro. Un gemito, l'ultimo, doloroso.
Ai stringeva il detective freneticamente, le mani tremanti non abbandonavano neanche per un secondo la stoffa della sua maglietta.

Videro un'ombra avvicinarsi dietro l'angolo e i giovani chiusero gli occhi, certi di essere stati scoperti nel loro nascondiglio. Tuttavia, nessun colpo arrivò e quando Shinichi aprì gli occhi sospirò di sollievo.

Shuichi Akai li fissava, l'espressione seria ma sollevata. Annuì appena al detective e questi sorrise, scuotendo appena Ai.
"Ehi... è finita. Siamo salvi, almeno per ora" le disse, mentre lei sollevava appena la testa dal suo riparo.
"Cosa?".
Shuichi si fece avanti, porgendole la mano.
"Andiamo" le disse, aiutandola ad alzarsi in piedi. Normalmente lo avrebbe scansato, ma le gambe tremavano e faticavano a tenerla in piedi.

Quando svoltarono l'angolo, rimasero un secondo immobili; il cadavere di Gin era davanti a loro, supino, mentre il sangue gli imbrattava le vesti nere e formava una pozza a terra.

Le lacrime scivolarono veloci dal controllo di Ai, assaporando per la prima volta la prima vera boccata d'ossigeno che sapeva di libertà.
"Dovete andarvene" disse Shuichi, il tono nuovamente più autoritario, "dobbiamo prendere tutti gli altri e non sarà facile arrivare al capo".
"Posso fare qualcosa?" chiese il detective, per nulla intenzionato a lasciar perdere e girare i tacchi.
L'agente dell'FBI scosse la testa, lanciadogli un'occhiata eloquente.
"Ci pensiamo noi, voi avete già fatto abbastanza".
"Aspetta!" intervenne Ai, prima che Shinichi potesse anche solo pensare di portarla via da lì. "Gin ha... un libro. È mio, devo riprenderlo".

Entrambi la guardarono attenti e stupiti, non capendo il significato di quella richiesta assurda.

"Di che libro si tratta?" le chiese Shuichi, concentrandosi su di lei.
"È un libro di chimica, ma contiene delle nozioni e formule che ho studiato per creare l'apotoxina. In mani sbagliate potrebbero portare alla riproduzione esatta del veleno, cosa che hanno già fatto".
Shinichi percepì un brivido, mentre passava lo sguardo dall'amica al corpo senza vita disteso a terra.
"Hanno prodotto altre compresse?".
"Esatto".
I due ragazzi si lanciarono uno sguardo che entrambi compresero al volo.
"Dobbiamo riprenderlo" disse Shinichi, nel tentativo di ragionare sul da farsi.
"Ce l'aveva in tasca, dovrebbe essere ancora lì".

Fu Shuichi ad avvicinarsi, perlustrando le tasche del criminale. Quando riuscì a trovare il libro, nella tasca interna del cappotto, gli altri due sospirarono di sollievo.

"Eccolo, tenete. Adesso andatevene. Ci penserà l'FBI a sistemare tutto".
Shinichi annuì e prese il braccio dell'amica, costringendola nuovamente a seguirlo. La guardò negli occhi e sorrise, un sorriso determinato e confortante che sperava potesse tranquillizzare quello sguardo ancora spaventato.
E, soprattutto, entusiasta per essere riuscito a mantenere la sua promessa, quella più bella e importante che le avesse mai fatto.

Era sana e salva. Bastava questo.





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Note dell'autrice
Ciao! Questa oneshot nasce dall'ispirazione per il contest indetto da Shilyss e, in parte, a un'idea che mi girava in testa da un po': una storia simile, nella quale lei viene presa e lui torna indietro per salvarla. Per questo, ho preso spunto proprio dal videoclip della canzone "Un fatto ovvio" di Laura Pausini, della quale ho preso anche qualche citazione.
  
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