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Autore: Lamy_    22/02/2019    1 recensioni
Ivar, oltre a possedere la fama di essere ‘’senza ossa’’, è anche noto per essere ‘’senza cuore’’. La sua condizione fisica gli ha procurato sin dalla nascita atroci sofferenze, emarginazione, e solitudine. L’unico barlume d’amore era sua madre Aslaug, che lo ha salvato da morte certa e lo ha sempre protetto, volendogli più bene degli altri figli. La vita di Ivar cambia quando arriva Hildr, la nipote orfana di Floki. Tra i due nasce una profonda amicizia che li lega in modo indissolubile e che li porterà a schierarsi sempre dalla stessa parte. A spezzare l’equilibrio, però, è la nomina del Senza Ossa a Re di Kattegat e il suo matrimonio con Freydis.
Ma quale sentimento si cela davvero dietro l’amicizia di Ivar e Hildr?
La sofferenza, il sangue e l’amore si scaglieranno su di loro come il fulmine di Thor sulla terra infrangendo promesse e spezzando cuori.
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. LA FURIA DEL FUOCO

Dodici anni prima
Non appena discese il buio e si concluse la cena, Hildr si coricò in attesa della favola della buonanotte. Abitava con la sua famiglia in una piccola fattoria non molto lontana dalla città, cinta da una palizzata di legno e munita di due recinti per gli animali. Suo padre Gellir era il migliore pescatore di tutta Kattegat e un discreto falegname, poiché in quest’arte il primato lo deteneva suo fratello Floki detto ‘il costruttore di navi’. Suo zio, infatti, aveva messo le sue doti al servizio di Re Ragnar ed era partito alla volta dell’Inghilterra con lui il suo equipaggio, e avrebbero fatto ritorno a breve. Sua madre Inge, invece, era un’abile guaritrice e si prendeva cura della casa. Entrambi i suoi genitori erano stati guerrieri in passato, ma avevano accantonato la guerra in favore di una vita frugale dopo la nascita di Hildr, la loro unica figlia. La bambina sorrise quando la madre scostò la tenda per sedersi accanto a lei sul letto. La donna prese ad accarezzarle le lunghe ciocche nere come il manto di Hugin e Munin, i corvi imperiali al servizio di Odino.
“Quale storia mi racconti stasera, madre?” chiese Hildr, accoccolandosi al petto della madre. Nell’angusta stanza entrò anche il padre, un uomo alto e snello, con un sorriso sempre gentile in volto. Le ripeteva sempre di essere gentile e, per questo, di essere un’eccezione. Inge strinse la mano del marito e poi gli accarezzò la guancia con dolcezza.
“Quale storia proponiamo questa sera alla nostra bambina?”
Gellir si schiarì la gola e si sistemò ai piedi della figlia, coprendola meglio perché non prendesse freddo, dal momento che quello era un inverno particolarmente gelido.
“Ti racconto l’origine del fuoco. I miti raccontano che tempo addietro Loki, durante un banchetto, sfidò Logi a chi fosse il più veloce nel mangiare. Al centro del tavolo fu servito un piatto di carne e i due sfidanti si disposero ognuno ad un lato per vedere chi arrivava prima nel mezzo. Impiegarono entrambi lo stesso tempo ma, mentre Loki mangiò la carne fino all’osso, Logi consumò anche le ossa e il legno del tavolo. A fine gara fu chiaro a tutti che Logi era il fuoco divoratore in persona.” 
Hildr rivolse uno sguardo alle fiamme che scoppiettavano nel focolaio e immaginò di intravedere il volto di Logi, egli stesso una fiamma ardente.
“Il fuoco divorerà anche noi, padre?”
“Non devi temere, bambina mia. Sei al sicuro con noi.” La rassicurò la madre abbracciandola. E Hildr si addormentò poco dopo cullata dal profumo della madre e dalla voce del padre.
Un urlo agghiacciante squarciò la notte come se il martello di Thor avesse iniziato a colpire la Terra più e più volte. Hildr spalancò gli occhi nel panico e subito si portò una mano alla bocca per non inalare il fumo che si stava diffondendo in tutta la casa. Sgusciò dal letto e corse nella camera dei genitori ma due mani forti la sollevarono per impedire che una trave le cadesse addosso. Suo padre la teneva stretta e si faceva strada a fatica tra le fiamme. La casa stava andando a fuoco.
“Hildr, stai bene?”
“Sì, padre. Che cosa succede?”
Gellir non rispose, si scansò prima che una fiamma si abbattesse su di loro. Mentre fuggivano lo schienale della sedia, si staccò e cadde addosso alla bambina che urlò di dolore, al che il padre si affrettò a portarla all’esterno.
“Adesso dovrai fare esattamente quello che ti dico io, bambina mia. Ti accompagno fuori, poi corri a cercare aiuto e non entrare in casa per nessuna ragione al mondo. Hai capito?”
Hildr era confusa e impaurita, e lo sguardo triste del padre non era confortante.
“Hai capito, Hildr?”
“Sì, sì.”
Gellir le riparò la testa con una coperta e corse verso la porta, mentre il fuoco inghiottiva tutta l’abitazione. La bambina rabbrividì quando i piedi nudi toccarono la terra fredda. Anche gli animali si lamentavano, soffrivano come loro. Hildr stava per dirigersi presso la casa più vicina in cerca di aiuto quando il padre la strinse forte a sé e le baciò la fronte.
“Qualunque cosa accada, ricorda sempre che io e tua madre ti amiamo con tutto il nostro cuore. Sei la nostra bambina e un giorno diventerai la straordinaria donna di cui andremo fieri. Sii gentile, sii un’eccezione. Vai! Corri!”
Hildr guardò suo padre fare marcia indietro e gridare il nome di sua madre. L’attimo dopo le fiamme divamparono divorando tutta la fattoria. Non capiva cosa stesse succedendo, allora sfrecciò nel freddo della notte e bussò alla dimora dei vicini, ma nessuno rispose. A quel punto non restò che raggiungere Kattegat, pertanto riprese la sua corsa verso la città. Nel tragitto perse la coperta e il gelo le pungolò il corpo come una secchiata d’acqua fredda, però lei non si fermò e continuò a correre. Doveva chiedere aiuto come le aveva ordinato il padre. Le strade di Kattegat erano isolate, tutti dormivano e le luci erano spente, ma non fu difficile individuare la sontuosa dimora del Re. Sbatté i piccoli pugni contro la porta con tutta la forza che le era rimasta.
“Aiuto! Aiuto! Per favore! Aiutatemi!” gridava a gran voce mentre le lacrime le bagnavano le guance arrossate dalle basse temperature. Quando la porta si aprì, sbucò il viso assonnato di un bambino poco più grande di lei.
“Ti prego, aiutami. La mia casa sta bruciando!” gridò ancora Hildr, anche se la sua voce stava perdendo vigore. Era infreddolita e sfinita dalla corsa. Inoltre, il suo braccio sinistro si stava ricoprendo di vescicole per l’ustione.
“Hvitserk, che stai facendo?” tuonò una voce autoritaria alle spalle del bambino. Era la regina Aslaug in tenuta da notte e con una pelliccia sulle spalle. I suoi occhi duri si impietosirono quando scorsero la bambina. La riconobbe all’istante, era Hildr, la nipote di Floki.
“Regina, tu devi aiutarmi. La mia casa brucia! Dobbiamo andare a salvare i miei genitori! Aiutami! Ti prego!”
“D’accordo. Hvitserk, va a svegliare le guardie e ordina loro di andare alla fattoria di Gellir immediatamente! E tu, bambina, entra dentro.”
Il bambino annuì e si incamminò a passo spedito verso le mura della città alla ricerca delle guardie.
Poche ore dopo la grande sala del re era piena di gente, così come le strade si erano riempite, e tutti si accalcavano per curiosare. Hildr sedeva al tavolo con i figli di Ragnar, era stata avvolta con una mantella di lana e le era stata offerta una bevanda calda. Una delle guaritrici al servizio del re le aveva applicato sul braccio ustionato una lozione di erbe curative, ma la pelle sarebbe rimasta per sempre segnata dalle cicatrici.
“Puzzi di fumi e sei sporca.” Esordì uno dei bambini, quello seduto in una carretta e con l’espressione sprezzante. Hildr, in effetti, non aveva un bell’aspetto, il suo volto paffuto era macchiato di fuliggine, i capelli erano spettinati e la sua tunica emanava un forte odore di fumo.
“Sta zitto, Ivar. Non vedi che è appena scappata da una casa in fiamme? Sei proprio uno stupido!” replicò il più grande, pareva si chiamasse Ubbe. Il bambino nella carretta, quello di nome Ivar, diede un pugno al tavolo e mise il broncio.
“Mi dispiace per avervi disturbato, non sapevo dove altro andare.” Disse timidamente Hildr, gli occhi puntati sulla bevanda. Hvitserk, il bambino che le aveva aperto la porta, le diede una leggera pacca sulla spalla.
“Non ti devi scusare. Questa è la casa del re ed è aperta a tutti. Non dar retta ad Ivar, lui dice sempre cose cattive.”
Hildr fece scivolare gli occhi lucidi su Ivar e lui, anziché essere sgarbato come prima, le riservò un sorriso abbozzato che svanì nell’arco di pochi secondi.
“Hildr!” strillò Helga, piegandosi sulle ginocchia per abbracciare la nipote. Entrambe si misero a piangere mentre si stringevano. In quel momento le guardie e alcuni cittadini fecero ritorno nella sala per conferire con la regina. Aslaug capì dalle loro facce che stava per essere annunciata una tragedia.
“Che cosa è successo?”
“L’incendio ha distrutto completamente la casa e ha ucciso tutti, inclusi gli animali.” Disse una guardia, rammaricata nel dare quella notizia. Helga scoppiò di nuovo a piangere ma Hildr era smarrita.
“Io non capisco. Dov’è sono i miei genitori? Helga, perché piangi? Che succede?”
Ivar, impietosito dallo sguardo terrorizzato della bambina, spinse la carretta fino a lei per afferrarle la mano.
“I tuoi genitori sono morti. Adesso sei un’orfana.”
Aslaug si stupì della dolcezza con cui suo figlio aveva parlato, lui che di solito era sempre scontroso e maleducato. Hildr si abbandonò ad un pianto disperato tra le braccia di Helga, consapevole che il fuoco sarebbe stata d’ora in poi una costante della sua esistenza.
 
Era trascorso un anno dalla morte dei suoi genitori e Hildr si era trasferita dagli zii Floki ed Helga. Non era stato un periodo di felicità e di ripresa perché avevano subìto la perdita di Angrboda, e la nipote era l’unico raggio di sole della loro vita. Erano gentili con lei, come se fossero i suoi genitori, ma Hildr si sentiva sempre sola. Avere sette anni ed essere tanto triste era ingiusto. Era ingiusto che fosse orfana, che sua cugina fosse morta, era ingiusta tutta quella sofferenza. Gli unici momenti di svago erano quelli in cui scendeva in strada per giocare con i figli di Ragnar. Aveva legato molto con Hvitserk perché Ubbe era stato iniziato al combattimento, Bjorn era in viaggio col padre, e Ivar se ne stava sempre per conto suo. Quella mattina stava facendo un giro per il mercato con Helga per comprare del cibo e alcuni utensili per lo zio. Quando passarono davanti alla dimora regia, vide i bambini giocare con la palla e ridere. Solo Ivar era isolato, seduto nella sua carretta in un angolo. Helga scorse lo sguardo curioso della nipote e sorrise.
“Vuoi andare a giocare?”
 “Posso?”
“Certo. Ti vengo a prendere più tardi. Sta attenta, mi raccomando.”
Hildr annuì, consegnò la cesta di pesce alla zia e sgattaiolò in piazza. Hvitserk l’accolse con un sorriso allegro come suo solito.
“Vieni, Hildr! Questo gioco ti piacerà tantissimo!”
Hildr era davvero entusiasta di gettarsi nella mischia per giocare, ma lo sguardo spento di Ivar la fece rattristare. Malgrado fosse irrispettoso, nessuno meritava di essere escluso.
“Mmh, non mi va di giocare. Vado a sedermi e vi guardo.”
“Come vuoi.” Rispose laconico Hvitserk, poi trascinò il fratello Sigurd con sé.
Ivar la osservava con il suo consueto cipiglio mentre la bambina prendeva posto accanto a lui sulla veranda. D’istinto con la coperta si riparò le gambe.
“Che vuoi?” le domandò.
“Ti faccio compagnia. Ti dispiace?”
Hildr era strana, pensò Ivar. Era sempre gentile e disponibile, non era mai fuori luogo. Tutti le volevano bene e l’ammiravano, soprattutto i suoi fratelli. I suoi lunghi capelli neri e i suoi occhi scuri facevano a pugni con la mantella azzurrina poggiata sulle spalle. Le cicatrici sul braccio sinistro erano visibili, alcune più piccole e altre più frastagliate, ma lei non se ne curava. Lui, invece, odiava il proprio difetto.
“Il tuo braccio è disgustoso!”
“Lo so.” Disse Hildr, pacata e indifferente a quell’insulto. Ivar sgranò gli occhi azzurri a quella calma.
“Perché non lo nascondi?”
Hildr si passò le dita sulla pelle e le venne in mente il volto dei suoi genitori, ora seduti a festeggiare con gli dèi nel Valhalla.
“Perché dovrei farlo? Non mi vergogno. Mi ricordano che sono una sopravvissuta, o almeno così dice Floki, anche se io non lo capisco molto. E tu perché nascondi le gambe?”
Ivar aggrottò la fronte, si sentiva preso in giro. Era impossibile che i suoi fratelli non le avessero spifferato la verità.
“Non lo sai?”
Hildr scosse la testa e una ciocca le ricadde sulla fronte.
“Dovrei saperlo?”
“Io sono uno storpio.” Confessò Ivar abbassando lo sguardo per la vergogna. La bambina si morse l’interno della guancia con fare ansioso.
“E che cos’è uno storpio?”
“Tu non capisci proprio niente, vero?” la rimbeccò lui con una risatina.
“Non devi essere sempre così cattivo, Ivar. Questo comportamento non ti porterà da nessuna parte.”
Ivar deglutì, solo sua madre lo rimproverava ed era una novità essere ripreso da una bambina più piccola.
“Le mie gambe sono diverse da quelle delle persone normali. Le mie ossa si rompono facilmente e sento molto dolore. Mio padre mi ha soprannominato ‘senza ossa’ per questo. Tutti sono disgustati da me, mi prendono in giro, mi mettono in disparte. Tu sei l’unica che parla con me.”
Hildr arricciò il naso e sembrò riflettere su quell’ammissione.
“Gli altri sono cattivi, ma non è colpa tua. E poi chi stabilisce la normalità? Magari tu sei normale e siamo tutti noi quelli strani. Ci hai mai pensato? Io sono strana, il mio braccio è strano!”
I due si guardarono per qualche secondo e poi si misero a ridere per quelle assurdità. Aslaug, non appena udì la risata cristallina di suo figlio, avvertì le lacrime rigarle le guance. Forse Hildr poteva essere una speranza per Ivar.
 
Hildr si sentiva strana quel pomeriggio, come se il suo corpo si stesse trasformando dall’interno. Aveva da poco compiuto dodici anni, era abbastanza grande ormai per occuparsi delle faccende di casa e per aiutare Floki nella costruzione delle navi. Quando Helga le concedeva del tempo, si allenava con i figli di Ragnar nella caccia e nella pesca, nella lotta corpo a corpo e nell’uso delle armi. Quel giorno, però, si era congeda dall’addestramento perché non si sentiva bene, e aveva raggiunto Ivar sulla veranda. Era diventato il suo più caro amico. Trascorrevano insieme le ore libere a discutere sugli dèi, a giocare a scacchi, e intagliare il legno, oppure semplicemente si sdraiavano a fissare il cielo per immaginare la forma delle nuvole. Quando Ivar la vide arrivare, strisciò fuori dalla sala regale per raggiungerla.
“Tu non avevi un addestramento oggi?”
“Sì, ma ho avanzato una scusa e mi sono defilata. Non mi sento in forma oggi.”
Hildr si lasciò cadere accanto a lui e gli pizzicò la guancia, era il suo modo di salutarlo. Ivar scostò la sua mano, sebbene sorridesse sotto i baffi per quel gesto che apparteneva solo a loro. Avere quattordici anni ed essere amico soltanto di una ragazzina non gli arrecava disturbo, anzi era contento che Hildr avesse scelto lui come suo preferito e non uno dei suoi spocchiosi fratelli.
“E quale scusa hai usato? Che venivi a fare compagnia allo storpio?”
Hildr alzò gli occhi al cielo e sbuffò, quell’appellativo che si affibbiava le dava fastidio. Ivar non era solo uno storpio, era molto di più e lei sperava che un giorno tutti se ne sarebbero resi conto.
“Ti dai troppo credito, amico mio. Sono qui solo perché sono esausta, non per farti compagnia.”
Aslaug in quel momento uscì in veranda e sorrise nello scorgere i due ragazzi a ridere. Hildr era l’unica persona con cui Ivar si sentiva a suo agio.
“Hildr, come mai sei qui?”
Hildr scattò in piedi perché, sebbene fosse un’assidua frequentatrice della famiglia reale, si sentiva in obbligo a mostrare sempre una certa deferenza.
“Salve, regina Aslaug. Sono qui per tormentare Ivar con le mie inutili chiacchiere. Vi serve qualcosa?”
Ivar ridacchiò, ma in fondo adorava quelle inutili chiacchiere. Adorava anche il silenzio, se a condividerlo c’era lei.
“Potresti andare al mercato a comprare due once di sale, per favore? Stasera ospiteremo una grande festa.”
“Certo, vado subito. Vieni con me, Ivar?”
Il ragazzo, nonostante odiasse strisciare come una serpe per la città e farsi prendere in giro dai cittadini, accettò per non lasciarla da sola. Hildr camminava al suo fianco stando attenta a non schizzargli la terra in faccia, pertanto procedeva lentamente. Avvertì uno strano dolore all’addome e arrestò il passo, costringendo Ivar a girarsi.
“Stai bene?”
“Sì, sto bene. Scusami. Andiamo.”
Si introdussero nel quartiere del mercato e incrociarono un trio di ragazzi della loro età che si divertiva a insultare lo storpio. Ivar fumava di rabbia per le occhiate malevole di quei ragazzi, ma la mano di Hildr sulla spalla lo calmava. Si fermarono davanti alla bancarella delle spezie, proprio dove il trio stava giocando a scacchi.
“Vorrei due once di sale per la regina Aslaug.” disse Hildr in tono gentile, una sua caratteristica.
Il trio iniziò a ridere a crepapelle e a puntare il dito contro la ragazza. Ivar, furibondo, si voltò verso di loro.
“Idioti, vi conviene smetterla di deridere la mia amica, oppure ordinerò la vostra decapitazione!”
“Ivar, lascia perdere. Non dar loro corda.” Gli suggerì Hildr toccandogli la spalla di nuovo.
“Il sangue sta già scorrendo! – rispose uno dei tre con una risata crudele – vero, Hildr?”
Ivar stava per ribattere quando si accorse di una chiazza rossa sul retro del vestito di Hildr e di alcune gocce altrettanto rosse scivolarle lungo l’interno coscia.
“Hildr, per tutti gli dèi, che ti prende?!”
Hildr, vedendo il sangue, si mise a piangere e scappò via da tutti gli occhi indiscreti e dalle risate di quei tre ragazzi.
Due ore dopo Ivar con difficoltà arrancò sino alla casa usata come base per la caccia dai fratelli. Si collocava su un’altura e le gambe gli dolevano, ma doveva parlare con Hildr. La ragazza, infatti, sedeva con il viso rivolto verso il mare. Sobbalzò quando Ivar l’affiancò.
“Hildr, stai bene? Sei sfrecciata via come una mula impazzita!”
“Grazie per il gentile paragone con una mula.”
“Dimmi che cosa ti è capitato.”
“Helga dice che sanguinerò una volta al mese e che succede a tutte le ragazze. Pare che io sia diventata una donna.”
“Tu una donna?! Nah, tu sei solo Hildr.”
Hildr sbuffò indispettita. Nessuno dei figli di Ragnar la considerava una ragazza, per loro lei era solamente Hildr, selvaggia e combattiva come una futura shieldmaiden.
“E va bene se sono solo Hildr?”
“Sì. E va se sono solo uno storpio?”
“No. A me va bene se sei solo Ivar.”
Il ragazzo distolse gli occhi azzurri da lei per puntarli contro la spiaggia e le onde del mare che si agitavano. Hildr era l’unica che, oltre a sua madre, lo aveva accettato senza remore. Da quando Ragnar aveva lasciato Kattegat per dissolversi nel mondo, lei era stata la sua forza.
“Sono Ivar solo per te.”
“Grazie.” disse Hildr stringendogli la  mano e dandogli una lieve spallata.
 
Aslaug non aveva mai riso tanto in tutta la sua vita. La sala reale era gremita di gente riunita a festa. Al centro della sala, seduti al lungo tavolo imbandito, Hvitserk e Hildr si sfidavano a chi riusciva a centrare il bersaglio, ossia un fantoccio di paglia appeso alle travi del soffitto.
“Non ho paura, ti batterò senza problemi.” Disse Hvitserk, sicuro di sé.
“Non essere sciocco, fratello. Hildr ha una mira fenomenale. Ti batterà ad occhi chiusi.” Rispose Ivar, accomodato al fianco di sua madre, mentre studiava con accurata attenzione la scena. Hildr fece spallucce e sorrise ad Ivar.
“Tuo fratello ha ragione, Hvitserk. Preparati ad essere stracciato!”
Hildr era entrata a far parte delle loro vite da dieci anni, e ogni giorno la famiglia reale l’accoglieva sempre a braccia aperte. La sua amicizia con Ivar si era ormai consolidata, erano inseparabili, e tutta Kattegat credeva che neanche gli dèi sarebbero riusciti a separarli.
“Ti concedo il primo lancio.” Riprese Hvitserk consegnando un coltello alla ragazza. Hildr fece scricchiolare le ossa del collo e le nocche, preparandosi al lancio. Raddrizzò la schiena, prese un respiro, e scagliò il coltello. Un boato di esultanza si sollevò nella stanza quando l’oggetto si conficcò con precisione nello stomaco del fantoccio. Ivar applaudì e Hildr simulò un inchino. Aslaug fece rimbalzare lo sguardo tra i due sorridendo, era lieta che suo figlio si permettesse il lusso di lasciarsi andare almeno con Hildr.
“Sarà dura, fratello.” Disse Ubbe, divertito dalla faccia da pesce lesso del fratello. Hildr fece roteare il coltello nella mano e poi glielo porse.
“E’ il tuo turno, pivello. Avanti, renditi ridicolo davanti a tutti.”
Ivar proruppe in una risata fragorosa per il sarcasmo tagliente della sua amica.
“Lancerò il coltello ad occhi bendati, sono certo di farcela.” Annunciò Hvitserk scatenando le risate di tutti. Sigurd allora gli bendò la vista con uno straccio e, dopo essersi assicurato che non vedesse, lanciò il coltello. Il sorriso di Hvitserk si spense quando il coltello ricadde per terra con un tremendo clangore. Hildr batté le mani sul tavolo in preda alla gioia.
“Hai perso! Adesso paga pegno!” strillò Ubbe, brillo per via della birra. Hildr si alzò per andare ad esultare con Ivar quando la voce di Hvitserk la bloccò.
“Hildr, tu sei capace di tirarlo ad occhi chiusi?”
A quel punto Ivar le allungò uno dei suoi coltelli che teneva alla cintola e Hildr, senza voltarsi verso il bersaglio, mosse il braccio all’indietro e il coltello si piantò nella testa del fantoccio spruzzando paglia di qua e di là.
“Ti conviene stare zitto, Hvitserk. Sei stato umiliato abbastanza!” lo canzonò Sigurd tra le risate.
“Sei stata eccezionale.” Si complimentò Ivar con un sorriso soddisfatto, era un piacere vedere uno dei suoi fratelli al tappeto. Hildr appoggiò il gomito sulla sua spalla e gli sfiorò la guancia in una tacita carezza, sebbene loro non fossero appiccicosi come amici.
“Lo so, amico mio. Lo so.”
“Per avere soli sedici anni sei davvero sorprendente.”  Le disse Floki sbucando alle sue spalle con un boccale ricolmo di birra. Hildr sorrise trionfante e chinò il capo in segno di riconoscenza.
“Non a caso mi alleno tutto il giorno, zio.”
“Per questo non sei una donna come si deve. Dovresti imparare a cucina, a tenere la casa pulita, e dovresti pensare anche al matrimonio.” La rimproverò Kara, la sua vicina di casa.
“Voglio essere più di questo. Essere una donna di casa non mi basta, non fa per me. Io voglio essere una shieldmaiden considerata al pari di un uomo in tutto e per tutto.” disse Hildr, risoluta e salda nella sua decisione.
“Nessuno ti considererà al pari di uomo, neanche se diventi la migliore shieldmaiden del mondo.” Sputò acida Kara, le labbra contratte in una smorfia di disgusto. Ivar si sentì in dovere di prendere le sue difese perché, se c’era qualcuno che sapeva quanto fosse difficile superare gli ostacoli, quello era lui.
“Hildr non è come le altre donne. Lei può farcela. Diventerà la donna più forte dei norreni, una guerriera migliore di qualunque uomo sia mai esistito. Lei sarà l’eccezione alla regola.”
Hildr lo guardò con immensa gratitudine, ricordando il consiglio di suo padre: sii un’eccezione. Kara emise una risata di scherno.
“Ah, sì? E combatterete insieme? Una donna e uno storpio?”
“No. – intervenne Floki – Combatteranno insieme e saranno Hildr e Ivar.”
Ivar alzò gli occhi su Hildr e lei annuì come a volergli dire che avrebbero lottato fianco a fianco, che sarebbero morti insieme sul campo di battaglia.
“Per sempre.” Mimò Ivar.
“Per sempre.” Ripeté Hildr. 
 
 
Salve a tutti! :)
E’ la prima volta che scrivo qualcosa su Vikings, perciò siate clementi.
La storia riprende più o meno gli eventi della serie ma li modifica in gran parte e aggiunge personaggi.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
 
 

 
  
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