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Autore: Pervinca95    22/02/2019    4 recensioni
Gea e Deimos sono tornati.
Gea, una semplice ragazza dello Iowa la cui vita è stata stravolta in una notte, e Deimos, un ragazzo tanto affascinante quanto misterioso che non conosce i buoni sentimenti, si ritroveranno a lottare insieme per mantenere un equilibrio che rischia di saltare.
Un ottovolante di azione, misteri, colpi di scena, poteri che si intrecciano come rampicanti e emozioni che sbocciano come fiori di pesco ove meno ci si aspetta.
Tutto questo è "I misteri del tetraedro", l'inizio e non la fine.
*
È necessario aver letto "I poteri del tetraedro" per poter capire.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Capitolo 6

 

 

 

 

 

Gea si svegliò di soprassalto.

D'istinto piombò con gli occhi sulla porta aperta del bagno, il cuore che batteva forte per lo spavento.

Non ci trovò nessuno al suo interno, solo tante schegge di vetro che sembravano restituirle lo sguardo attraverso il riflesso. 

Si sollevò di scatto dal letto ed entrò con cautela per non tagliarsi con i cocci a terra. Fin da subito notò che la maggior parte di ciò che rimaneva dello specchio era contenuto dentro il lavandino, assieme a lunghe strisce di sangue.

Le gocce ambrate di Gea si sgranarono. Si precipitò d'impeto fuori dal bagno e accorse nel salotto. Accese la luce e ispezionò lo spazio che la circondava con febbrile celerità. 

Lui non c'era. 

Il respiro agitato le si mozzò in gola. 

Lui non c'era. 

Per un po' rimase ferma lì dov'era, restia a muoversi. 

Il naso le pizzicava e le lacrime le pungevano gli occhi.

Perché aveva sperato di non essere lasciata più sola. Aveva sperato che lui la smettesse di fuggire senza di lei. Aveva sperato che lui le permettesse di oltrepassare pian piano la sua corazza.

Aveva sperato di cambiarlo

A quel pensiero issò la testa, mentre una lacrima le scivolava sulla guancia. Nello sguardo una consapevolezza diversa. 

Aveva davvero sperato di cambiarlo? Era davvero quello che lei voleva?

Si ritrovò a scuotere debolmente il capo.

Come avrebbe potuto? Si era innamorata del ragazzo impenetrabile che aveva messo piede in casa sua la notte di un mese prima, aveva perso la testa per quel ragazzo dai taglienti occhi cobalto che l'aveva messa alla prova ogni giorno, imponendole di abbattere i muri che lei stessa aveva costruito attorno a sé. 

No, non voleva cambiarlo. Voleva solo fargli conoscere i valori che non aveva mai appreso. Sperava in quello, lei, di riuscire ad avvicinarsi al suo cuore giorno dopo giorno, passo dopo passo. 

Ma il fatto che lui non fosse lì, accanto a lei, le fece capire che per l'ennesima volta lui le aveva negato l'accesso.

La giovane emise un tremulo sospiro e camminò lenta fino al letto, si sedette con le gambe strette al petto e il mento appoggiato sulle braccia. 

Osservò la tenue oscurità della stanza mentre i pensieri le sciabordavano per la testa facendola sentire in alto mare, sballottolata tra un'onda e un'altra. 

Avrebbe voluto essere più forte, ed invece se ne stava lì: rannicchiata e con le guance rigate da calde lacrime. La bocca dischiusa per respirare e la vista appannata. 

Cercava di trovare un senso a quella nuova dipartita del ragazzo. Voleva trovarlo.

Le era sembrato che avessero raggiunto una complicità diversa, più da coppia. Eppure, come se il destino volesse puntualmente contraddirla, in quel momento le sembrava di essere tornata indietro nel tempo. 

Si asciugò le lacrime con il palmo delle mani e subito dopo tornò a stringersi in un abbraccio, come per volersi incoraggiare. 

Forse era stupida, troppo fiduciosa in un avvenire più roseo, ma non ce la faceva a lasciarlo. Vedeva in lui qualcosa che premeva per uscire e che ogni volta restava soffocato sotto una valanga di detriti, tanti dei quali lei non conosceva.

Vedeva in lui il buono che non gli era stato insegnato vedere. Ne vedeva la bellezza, come quella di un piccolo bocciolo ammaccato.

Tirò su col naso e si asciugò le guance con il dorso della mano, la mente che vorticava senza sosta.

E se in quel momento lui si fosse trovato in compagnia di qualche altra ragazza? 

Il solo pensiero le equivalse ad un pugno nello stomaco, le venne quasi da vomitare. 

Chiuse gli occhi ed espirò piano. 

Per tutta la notte non si mosse dal bozzolo che si era creata né si riaddormentò, sempre in allerta al minimo spostamento d'aria nella speranza che fosse Deimos. 

Ma ogni volta si ritrovò ad abbassare le spalle delusa. 

Alle prime luci dell'alba adagiò stancamente la testa sulle braccia e proiettò lo sguardo oltre la finestra, gli occhi che le bruciavano per il pianto e la notte insonne.

Cercò di concentrarsi sulle sfumature rossastre e arancioni che pennellavano il cielo, e fu così fin quando non avvertì un'asse del pavimento scricchiolare.

Con un movimento tanto rapido da farle vorticare la testa, posò le sue esauste pozze d'ambra sul viso del ragazzo. 

Il cuore le zompò nel petto per l'emozione. 

Deimos era lì, in piedi a qualche metro da lei, lo sguardo impenetrabile e la postura severa. 

Gea balzò dal letto e si precipitò da lui per esaminare i dettagli del suo volto e controllare che stesse bene. Senza pensarci allungò una mano sulla sua guancia e la sfiorò con premura. << Stai bene? >>

Quel gesto inaspettato stuzzicò il cuore del ragazzo, che reagì con un'impennata del battito cardiaco ed una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Il che gli fece contrarre la mascella e tendere i muscoli.

Si scostò di scatto sia da quel tocco caldo che da quei grandi occhi che gli confondevano i pensieri.

<< Dobbiamo andare. Preparati >> comandò spiccio. 

Gea lo afferrò per la mano prima che lui si incamminasse nel salotto, cercando invano un contatto visivo. << Tu stai bene? >>

<< Sbrigati >> rispose duro, scrollandosi le sue dita di dosso.

Gea chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie nel tentativo di snellire un po' della tensione che le schiacciava il petto.

Inspirò a pieni polmoni per farsi forza e si rifugiò sotto la doccia. 

Circa mezz'ora dopo erano in macchina, con un pesante silenzio a fare da protagonista. 

Deimos non aveva proferito una parola neanche per sbaglio, si limitava a guidare e a non guardarla. Gea, invece, non faceva che ispezionare un millimetro dopo l'altro della sua figura.

Così alla fine si decise a buttare giù quell'incomprensibile muro che si era eretto tra loro.

<< Mi dici cosa ti è preso? Perché mi stai ignorando? >> gli chiese piegandosi in avanti per guardarlo in viso. << Sei scomparso nel bel mezzo della notte e ti sei rifatto vivo senza uno straccio di parola. >> 

Deimos tacque per un po'. << Quel che faccio sono affari miei. Non devo darti spiegazioni >> asserì telegrafico.

<< Questo è quello che credi tu >> ribatté Gea irritata. << Mi stai ignorando da un'ora e credi davvero di non dovermi spiegazioni? Si può sapere cosa ti ho fatto? >> 

Il giovane indurì lo sguardo. 

Avrebbe voluto sapere anche lui cosa gli stava facendo quella ragazza. Avrebbe voluto sapere perché diamine non riusciva a odiarla e a togliersela dalla vista una volta per tutte.

Detestava profondamente il modo in cui lei, inconsapevolmente, era riuscita a dissotterrare un ricordo che in quel momento gli gravava sul collo come una spada.

Come se lui avesse dovuto rendere conto a qualcuno delle sue azioni. Quel senso del dovere che non si era mai affacciato alla porta della sua etica. Quel disgustoso senso di colpevolezza che provava quando guardava quell'umana negli occhi. 

<< Deimos? >> lo richiamò lei piano appena vide le sue nocche destre ricoperte di tagli e sangue incrostato. Le ritornarono alla mente i cocci di vetro e le strisce di sangue nel lavandino. 

<< Dimmi qualcosa, ti prego >> aggiunse con tono dolce.

Non ottenne risposta, in compenso il ragazzo svoltò su una stretta strada deserta che segnava il confine di una proprietà agricola. 

Procedette per qualche metro sul suolo sconnesso, finché non intravide la sagoma di una ragazza dai corti capelli sbarazzini che giocherellava col cellulare. 

Gea si voltò con un sospiro, delusa e seccata dal silenzio di lui. Poi, con un cenno della mano ed un sorriso, salutò Ninlil attraverso il finestrino.

Era il giorno dell'allenamento. Qualche giorno addietro avevano stipulato un duplice accordo che prevedeva lo scambio di informazioni su acqua e fuoco e il reciproco aiuto ad affinare le rispettive capacità. 

<< Sembri stanca, Gea >> esordì l'incarnante dell'aria appena vide la sua amica scendere di macchina. << E hai gli occhi gonfi >> proseguì indagatrice. 

Gli zaffiri di Deimos corsero al viso della giovane dai lunghi capelli dorati. 

Solo in quel momento si rese conto delle sue palpebre gonfie e rosse, della luce spenta nei suoi occhi e della generale stanchezza che emergeva da ogni suo movimento. 

La vide arricciare il naso e aprirsi in un piccolo sorriso. << Ho dormito un po' male, niente di che. >> 

Ninlil le accarezzò una guancia e le sorrise. << Quando vuoi, lo sai. >> 

Gea annuì riconoscente. Aveva capito che con quelle poche parole la stava invitando a confidarsi con lei ogni qual volta ne avesse avuto bisogno. 

Ed era bello per lei sapere di avere una spalla su cui appoggiarsi in caso di necessità. 

<< Sbrighiamoci >> s'intromise Deimos, ferreo. Dopodiché colmò lo spazio che lo separava dalle ragazze e scomparvero. 

 

 

 

 

 

                                             *  *  *

 

 

 

 

 

Il terreno era umido, l'aria pesante e satura. 

Una goccia di sudore di Gea scivolò sul suolo mescolandosi alla pioggia.

Ninlil, a breve distanza da lei, era piegata sulle ginocchia per riprendere fiato.  << Ce la fai? >> chiese all'amica. 

La giovane dai lunghi capelli dorati, adesso bagnati e incollati alla schiena, annuì e si issò in piedi. 

Era stremata, muovere anche un solo passo le costava una fatica disumana, ma sapeva di dover resistere. Non c'era spazio per la rinuncia. 

La pioggia cadeva implacabile sui loro corpi, appesantendone i movimenti. 

Ninlil prese a muovere le mani come se volesse riprodurre l'andamento di una ruota. Piano piano si erse una palla d'aria che, per via della sua rapida rotazione, risucchiava l'acqua che pioveva. Proprio come un mulino, la pioggia navigava veloce sulla superficie della sfera, per poi essere scagliata con violenza fino a parecchi metri di distanza.

A Gea arrivarono degli schizzi sul viso che le spezzarono il respiro. Le sembrava che degli spilli le si fossero appena conficcati nella faccia.  

Chiuse gli occhi e si piegò su se stessa per proteggersi da quei dardi d'acqua. Mosse due dita con leggerezza, subito dal suolo si innalzò un muro di pietra che la nascose dagli schizzi e la aiutò a riprendere fiato. 

Era così stanca che le idee cominciavano a scarseggiarle. Faticava a connettere i pensieri e a ragionare su una strategia. 

Il solido muro che aveva generato si frantumò di schianto. Gea ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi prima che una cascata di detriti le piombasse addosso sospinta dalla forza del vento e dalla violenza dell'acqua. 

Un sasso le colpì una tempia, facendole annebbiare la vista. Altri le ricaddero sulle gambe, sulle braccia e dintorno. Ma per quanto il dolore fosse concentrato in ogni punto del suo corpo, era la tempia quella che le faceva persino venire la nausea dallo spasimo.

Deimos rimase immobile, le braccia conserte sul petto e i capelli bagnati appiccicati alla fronte. In quello scenario burrascoso i suoi occhi cobalto spiccavano come quelli di un felino a caccia. 

Era deciso a non muoversi, sebbene i suoi muscoli fossero talmente tesi da sembrare sul punto di scattare. Continuava a fissare la ragazza distesa a terra in attesa che si alzasse, ma più trascorrevano i secondi e più lei restava lì dov'era. 

Avrebbe dovuto sperare che non si rimettesse in piedi, così avrebbe smesso di provare quell'indesiderato senso di condanna. Con lei se ne sarebbe andato via tutto, ogni cosa sarebbe tornata sotto il suo controllo. 

Niente più...

<< Deimos. >> Il debole sussurro del suo nome gli inondò le orecchie. 

Non trascorse neanche un secondo prima che lui si teletrasportasse accanto al corpo riverso della giovane. 

Si piegò sui talloni e inclinò la testa per esaminare il volto di Gea. Ninlil le stava delicatamente spostando una ciocca di capelli dalla bocca per darle modo di respirare meglio. 

L'incarnante della terra intanto se ne stava con gli occhi socchiusi, il respiro affannato e la fronte contratta per il dolore. 

Deimos osservò la striscia di sangue vivo che le ricopriva tutto un lato del viso. I capelli sulla tempia sinistra le si erano impregnati di sangue, così glieli fece rapidamente scivolare all'indietro per rivelare una brutta ferita sporca di terriccio. 

Indurì la mascella a quella vista. 

Un istante dopo si trovavano tutti e tre nei pressi dell'auto, sotto il caldo sole del pomeriggio. Lo sbalzo climatico fece rabbrividire Gea, che si rannicchiò sulla tenera erba in posizione fetale. 

Ninlil cercò lo sguardo di Deimos, che però era troppo concentrato sul l'incarnante della terra per poterla degnare.<< Vado a prendere del disinfettante e qualche garza >> disse agitata. Fece una carezza alla testa di Gea e le sorrise. << Torno subito. Resisti. >>

La giovane dai lunghi capelli dorati aprì appena gli occhi. << Deimos? >> chiamò flebile. 

<< Sono qua >> rispose lui, fissandola. 

<< Mi si è rotta in due la testa? >> 

A Deimos spuntò un mezzo sorriso. << Purtroppo no. >> 

<< Menomale >> disse lei con un lento sospiro, per poi riabbassare pesantemente le palpebre. 

Il ragazzo sollevò i suoi zaffiri sull'elemento dell'aria, riapparsa proprio in quel momento con svariate confezioni tra le mani. 

<< Sono tornata Gea, adesso ripuliamo questa brutta ferita. >> La vide stappare frettolosamente il disinfettante e munirsi di batuffoli di cotone. 

La sua memoria scattò a ritroso come un elastico.

Ricordò quando, tempo addietro, la ragazza dai grandi occhi d'ambra si era impuntata per sterilizzargli un taglio che gli aveva procurato durante un loro combattimento. Ricordò il suo viso concentrato, la sua espressione colpevole e la strana sensazione che aveva provato nel vedere qualcuno che spontaneamente faceva qualcosa per lui. 

<< Trattieni il respiro, brucerà molto >> le consigliò Ninlil. 

Appena le versò una generosa dose di liquido disinfettante sulla ferita, le labbra di Gea tremarono per lo spasimo. 

D'istinto allungò una mano per stringerla attorno a quella di qualcuno. Malgrado il dolore, il cuore le batte più forte quando si rese conto di aver afferrato quella di Deimos. 

E lui non mosse un dito. Non girò il palmo per farlo combaciare con quello di lei, non avvolse le sue dita fredde per infonderle coraggio, non gli passò neanche per la mente, ma comunque non si ritrasse. 

Ninlil, che le stava portando via il sangue col cotone, li guardò da sotto le ciglia con un piccolo sorriso sulle labbra. 

Sebbene lo sguardo di lui fosse impassibile, come se il tenero gesto della ragazza non lo avesse toccato, l'incarnante dell'aria era più che sicura che se le stava permettendo tanto era perché neanche lui poteva farne a meno.

Conosceva poco quel giovane dai taglienti occhi zaffiro, ma osservandolo aveva imparato che non faceva mai nulla per dovere nei confronti degli altri. Non gli importava di essere benvoluto o piacere, quindi ne dedusse che quando permetteva alla ragazza distesa accanto a lui di stringergli il dorso della mano, era perché lo voleva. 

<< Ho quasi finito, Gea >> disse lei, riponendo il disinfettante. Aprì una garza e gliela fece aderire alla tempia, poi la avvolse con una benda per tenerla ferma. << È una medicazione improvvisata, credo che dovresti andare all'ospedale. Probabilmente ti metterebbero dei punti >> aggiunse accarezzandole i capelli. << Mi dispiace tanto. >>

Gea rilassò le spalle, il bruciore stava pian piano scemando. Sollevò stancamente le palpebre e cercò Ninlil con l'altra mano. << Grazie >> disse con un lieve sorriso. << Davvero. >> 

L'incarnante dell'aria sorrise e raggiunse le dita dell'amica per stringerle. << Tornerò a trovarti presto. Adesso devo andare, mia nonna si starà chiedendo che fine ho fatto. Tu riposa, d'accordo? >> 

Gea annuì, grata. << Ti aspetterò. >> 

Immediatamente dopo le sue dita rimasero sospese nel vuoto. Ninlil si era volatilizzata. 

<< Diamoci una mossa >> esordì Deimos, severo. Fece passare una mano sotto il collo della giovane e l'altra sotto le sue ginocchia, così se la caricò tra le braccia per trasportarla alla macchina. 

Il cuore prese a batterle a ritmo sostenuto. Rannicchiata com'era al petto caldo di lui, le sembrava quasi di non sentire più dolore, come se il suo punto alfa si trovasse tra quelle solide . 

<< Apri lo sportello >> le ordinò. 

Gea girò piano la testa ed allungò faticosamente una mano. Dovette usare tutta la sua forza per tirare la maniglia, come se quella pesasse qualche tonnellata. 

Deimos l'adagiò nell'auto con una delicatezza che poche volte gli era appartenuta, e quelle poche volte erano state tutte per la ragazza che aveva di fronte. 

Nel momento in cui si piegò su di lei per reclinarle il sedile, i loro occhi si incontrarono. 

Il freddo blu degli zaffiri di lui si legò alla calda ambra delle gemme di lei.

A Gea sembrò essere trascorsa un'eternità dall'ultima volta in cui i loro sguardi si erano saldati insieme. Dall'inizio della giornata, quello era il primo momento in cui lui non si ritraeva da un contatto visivo.

Ed era così bello poterlo guardare di nuovo in quegli occhi. Era così bello lui. 

Proprio in quell'istante, una goccia d'acqua fresca planò dai capelli di Deimos su una sua guancia. 

Gli occhi del ragazzo seguirono il lento percorso di quella goccia fino alla bocca di lei. Osservarono le sue labbra screpolate e secche, e poi le escoriazioni sul suo mento, i graffi sullo zigomo destro, alcuni ciuffi bagnati incollati al suo esile collo. 

E poi, prima che il suo cervello registrasse l'evento, il suo cuore accelerò i battiti. Perché le dita di lei gli stavano sfiorando la fronte. Con la punta dei polpastrelli gli stava scostando i capelli per scoprirgli il viso. E intanto le sue socchiuse gemme ambrate lo osservavano con una calda luce ed un sorriso sulla bocca.

<< Lo sai che sei bello? >> gli bisbigliò, la voce impastata. 

Uno strano dolore lo colpì allo stomaco. Una specie di fitta capace di scombussolarlo, come se gli avessero appena stritolato qualcosa dentro. Ma non era una sensazione brutta, era solo strana, inconsueta, senza forma.

La vide chiudere gli occhi e poco dopo sentì venir meno il tepore delle sue dita. << Sì, bello >> aggiunse rannicchiandosi sul sedile. 

Restò con gli zaffiri su di lei finché non si addormentò, poi si ritrasse e si tirò su dritto. 

Appoggiò le braccia sulla lamiera della macchina, la testa contro gli avambracci e incatenò di nuovo gli occhi alla ragazza che dormiva tranquilla sotto di lui. 

Era la prima volta che si sentiva rivolgere un complimento. Ogni stupida volta che aveva provato qualcosa di diverso era stato con lei. 

Come se lei stessa fosse la prima volta

La sua prima volta. 

Si chiedeva perché non riuscisse semplicemente a lasciarla lì. Ci aveva provato anche quella notte, e poi era tornato a prenderla. 

Che razza di potere era capace di esercitare su di lui? 

Si era permessa di mettere in subbuglio la sua mente, di fargli quasi provare rimorso per un passato che lo vedeva capace di cose di cui lei non era a conoscenza. 

Ed era questo che odiava. 

Lui non provava rimorso, lui non si faceva scrupoli.

Lui agiva per interesse, senza se e senza ma.

Lui era come suo padre. 

Contrasse i muscoli ed inspirò profondamente, gli occhi chiusi e centinaia di ricordi dietro le palpebre.

<< Deimos. >> Riaprì subito gli occhi a quel rantolo sommesso scappato alle labbra della ragazza. 

Per qualche secondo si limitò ad osservarla, la mente libera come un foglio bianco. 

Appariva ancora più piccola e fragile con quella benda intorno alla testa, i vestiti sgualciti e sporchi e i tanti graffi sulle braccia e sul viso.

Senza accorgersene, man mano che la guardava, la generale tensione del suo corpo si sciolse. 

Chiuse lo sportello e si teletrasportò al lato del guidatore. Stese lo sguardo oltre il parabrezza, là dove il sole ammantava la terra e cercava di farsi spazio anche nei meandri più bui. Quella luce calda che sgomitava per raggiungere i punti che erano immersi nell'oscurità, come se non accettasse l'idea che il loro posto fosse nell'ombra. 

Guardò di nuovo Gea, il modo in cui il suo petto si abbassava lentamente ad ogni respiro, le sue labbra dischiuse, la sua pelle morbida ed escoriata. 

Poi mise in moto. Si allontanò da quella terra calda e vitale, da quei raggi del sole che lottavano per portare luce nel buio. 

Rientrò nell'ombra.

  
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