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Autore: DanzaNelFuoco    22/02/2019    1 recensioni
COW-T #9: genere horror
- Intro:
"Se è fatto di qualcosa, è qualcosa che non esiste ancora sulla nostra tavola periodica."
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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COW-T #9 genere horror
 

- Coming to get you -



Sei stanco, dannatamente stanco, e le mani un po’ ti tremano, perciò le ficchi nelle tasche del cappotto sperando che nessuno se ne accorga. 

Morire l’hai sempre considerato una parte del vivere - una serie di stronzate sulla falsa riga di come non ci possa essere la luce senza il buio e di come non si possa davvero apprezzare la gioia senza essere mai stati tristi. Ma la verità è che adesso hai una fottuta paura di morire. O di non farlo davvero

“Ehi, Doc, ne è arrivato un altro.” 

Ti volti verso Sharon, pronto a scattare e dirle che vaffanculo, sono 36 ore che non dormi e adesso te ne stai andando dritto dritto a casa a crollare ancora vestito sul letto senza doverti imbottire di sonniferi come hai fatto tutte le sere da quando questa cosa è cominciata. Ma Sharon, nella sua divisa che un tempo era di quel bianco candido con il collettino bordato di azzurro e ora sembra che sia appena uscita da un incidente automobilistico con tutte quelle macchie di sangue, ha gli occhi cerchiati di nero e un sorriso tirato che la fa sembrare dieci anni più vecchia dei suoi quaranta. E se non ti sbagli era già qui quando hai iniziato il turno. 

“Lo avrei dato al dottor Warner, ma sta già gestendo cinque stanze da solo e la signora Irvin ha lasciato un letto vuoto.” 

Ti sfili il cappotto e lentamente lo appendi allo schienale della sedia, prima di rimetterti il camice. Dopotutto il sonno può aspettare ancora qualche ora. 

Speri che Sharon non si accorga delle mani che ti tremano, di quanto tu sia spaventato dal fatto di avere il primo sintomo con già una tale frequenza. Ma scoccandole un’occhiata di sottecchi sai già di non essere stato così fortunato. Sharon guarda le tue mani contrarsi spasmodicamente in autonomia, con occhi sgranati. 

“Ho familiarità per il Parkinson” menti e già ti vorresti mordere la lingua. Excusatio non petita e tutte quelle menate lì. 

Sharon annuisce fingendo di credere che a trentacinque anni il rasoio di Occam non ti rida in faccia alla possibilità che tu possa già avere quei sintomi - familiarità o meno - quando c’è qualcosa di molto più grave e più probabile che pende sulle vostre teste come una spada di Damocle. 

“Penso che sia meglio che lei vada a casa, Doc. Se ne può occupare il dottor Saunders delle sue camere.” 

“No. Sto benissimo.”
Ti chiedi per quanto tempo ancora tu possa fingere. 

 

- - - 

 

Il paziente zero lo avevano trovato in Africa dei volontari di Medici Senza Frontiere. I dati che avevano inviato non erano promettenti. Si era presentato con tremori, prima alle mani poi in tutto il corpo e in un primo momento avevano davvero pensato a un Parkinson giovanile talmente precoce da poter colpire un bambino di dodici anni, sebbene di solito si presentasse dopo i venti. Ma non aveva risposto alla levo-dopa. Come se non gliela avessero neppure somministrata. E poi erano seguiti gli altri sintomi. 

Febbre, convulsioni, decadimento delle funzioni neurocognitive con alterazione della via diretta dei nuclei della base. 

Stronzate. Niente della medicina tradizionale era sembrato funzionare abbastanza da dare diagnosi - e con che metodiche diagnostiche poi? Era già tanto se potevano fare i test per l’HIV in quel frangente. 

Avevano seppellito il ragazzo tre giorni dopo, guardandosi costernati per non averlo saputo salvare in un luogo dove solitamente le morti erano legate a deficit di mezzi e non di conoscenze. 

Due mesi dopo medici, infermieri e volontari erano tornati alle loro vite, sparpagliandosi ai quattro angoli del globo, senza sapere di essersi portati dietro la “malattia”. 

 

- - - 

 

I teorici del complotto dicevano che era un esperimento segreto andato male. Uscito dritto dritto da un libro di Stephen King, il virus che non viene contenuto e infetta la popolazione innescando l’apocalisse. 

Oh beh, forse era andata proprio così. Forse era un virus mutato da una scimmia. 

Forse era l’ira di Dio scesa in terra. 

Dopotutto, nessuno aveva mai sentito di una malattia che ti permettesse di tornare in vita dopo sei mesi di morte cerebrale, cuore fermo, rigor mortis e il pacchetto completo che faceva sì che tutti pensassero fosse il caso ti infilarti in una cassa di legno sotto terra. 

 

* * * 

 

Ti sei fatto una doccia e dopo solo tre ore di sonno il mondo non ti sembra molto più chiaro. 

Elizabeth non è ancora tornata a casa dopo la conversazione di due giorni fa e tu stai cominciando a diventare paranoico. La paranoia è un sintomo? Non te lo ricordi, non ci sono studi randomizzati su questo, non hanno fatto in tempo a farli con i medici che morivano come mosche accanto ai pazienti che avrebbero dovuto curare.

Cazzo. 

E in ogni caso Elizabeth non è tornata e tu cominci a sentirti come uno di quelli che crede che i Men in Black esistano e che Kennedy l’abbia fatto ammazzare la CIA. 

Perché Elizabeth lavora in un centro di ricerca, uno di quelli del governo, uno di quelli super-segreti, uno di quelli dove ti fanno firmare un foglio perché tutto quello che succede tra quelle quattro mura non ne esca, e invece lei ti ha detto tutto quello che sapeva e non è ancora tornata

Ti avevano sempre detto che l’ignoranza è una benedizione e tu, tu che avevi sempre pensato che la conoscenza fosse potere, gli avevi riso in faccia. Adesso però avresti davvero voluto non averle chiesto niente due sere fa a cena. 

Elizabeth ti aveva guardato e aveva ripetuto che era top secret e che no, non lo poteva dire nemmeno a te, nemmeno a suo marito, nemmeno a un suo collega. 

Era stato allora che avevi posato le mani sul tavolo e le avevi lasciate in bella vista, le contrazioni dei muscoli visibili sotto la pelle. 

Elizabeth aveva chiuso gli occhi e stretto i denti, deglutendo a vuoto, come se avesse incassato un pungo nello stomaco. Si era asciugata lacrime che non si era permessa di versare e aveva tirato fuori il suo tono pragmatico. 

“Non è niente che abbiamo mai visto e, in teoria, non è neppure organico.”

“Come fa a non essere organico?”

“Non siamo riusciti a riconoscere strutture proteiche e ancora peggio, non sembra che sia fatto di carbonio. Se è fatto di qualcosa, è qualcosa che non esiste ancora sulla nostra tavola periodica.”

“Mi stai prendendo per il culo?”

“Lo vorrei” Elizabeth si era presa la testa tra le mani. “Come cazzo lo curo qualcosa che non ha recettori da attaccare, processi vitali da interrompere, vie di trasmissione da inibire? E se ce li ha noi non siamo in grado di riconoscerli.”

“Avete provato la radioterapia?”

“Sei sordo? Non ha carbonio, quindi non solo non ha proteine, non ha nemmeno DNA!” 

“Beh, ma qualcosa avrà, no? Il fatto che non si sappia cosa sia non significa che non esista un modo per distruggerlo. Sparategli addosso dei fotoni, a qualcosa servirà, no?”
Elizabeth aveva distolto lo sguardo senza rispondere. 

“O mio Dio. Gli avete già sparato addosso dei fotoni.” 

“E degli adroni.”

“E?”

“È diventato più grande. Qualsiasi cosa sia, con le radiazioni è cresciuto.” 

Ti eri lasciato cadere sullo schienale, il conto alla rovescia nella tua testa che ticchettava ogni secondo più vicino allo zero. 

“Come si trasmette?”

“Non lo sappiano.”
“Potrei averti già infettata.”

“Potresti.” 

“Quando mi ucciderà, devi -” la voce ti era venuta a mancare, “trovare il modo di non farmi tornare indietro. Non voglio essere una di quelle cose. Non voglio farti del male.” 

“Non so se posso fare qualcosa. Non so se sarò ancora qui per farlo quando te ne sarai andato. Potrebbero cominciare a tremare anche le mie mani.” 

“Elizabeth -” 

Ma Elizabeth si era alzata e aveva cominciato a sparecchiare la tavola.

E adesso sul tavolo c’é ancora stesa la tovaglia di due giorni prima, perché Elizabeth non è tornata a casa. 

 

* * *

 

Non era un virus semplicemente perché non era niente che si potesse classificare - niente envelope, niente DNA, RNA, filamenti proteici, niente di niente - ma infettava le cellule allo stesso modo, prendendo possesso degli organi replicativi, distruggendo il nucleo, dilaniando i cromosomi. 

All’inizio sembrava avesse uno schema, un neurotropismo spiccato, con una particolare predilezione iniziale per la pars compacta della substantia nigra, per poi espandersi da lì fino a prendere possesso dell’intero sistema nervoso. A quel punto il paziente non era nemmeno più cosciente di essere vivo, mentre febbre e convulsioni gli squassavano il corpo, prima che il cuore entrasse in fibrillazione ventricolare. E poi era tutto finito. 

Il laboratorio non aveva fatto cremare i cadaveri, per osservarli. A posteriori era stata una buona idea per capire cosa ci fosse che non andava. 

I racconti da comari di paese, che sembravano più leggende metropolitane che fatti reali, parlavano del cugino della cognata della moglie del fornaio che era morto per quello strano virus che era stato importato dall’estero e poi otto mesi dopo andava in giro per le strade della città, muto e con lo sguardo vitreo, ma indiscutibilmente vivo. 

Fake news, le avevano chiamate i giornali, all’inizio. Ma quando il cugino della cognata diventa tuo fratello e tu hai presenziato al funerale guardando il suo corpo cinereo essere chiuso in una bara e depositato nel terreno, ecco, quando questo otto mesi dopo ti bussa alla porta di casa tendi a essere un po’ meno incredulo. E se per caso fossi stato ancora incredulo, avresti smesso di esserlo presto. O di essere e basta, per quel che valeva. Nessun segno della croce poteva salvarti.  Le scene si erano ripetute di casa in casa, sempre più frequenti tante più vittime mieteva la fantomatica epidemia, fino a che la gente non aveva cominciato a bruciare i cadaveri nelle strade. C’era stato un momento, uno di quelli in cui tutto è in bilico e a seconda di come cadrà la monetina si decideranno le sorti del mondo, in cui un uomo dalle mani tremanti, ma non ancora morto era stato ad un passo dall’essere bruciato vivo insieme a tutti i futuri risorti. Quando i suoi polsi erano stati legati l’umanità aveva fatto un passo avanti verso il baratro del caos. E quando al grido di “siete tutti impazziti, non vedete che è ancora vivo!" un ragazzo si era gettato a slegarlo e nessuno l’aveva fermato, la monetina era stata lanciata in aria di nuovo. 

Per quando si era smesso di parlare di fake news il governo aveva già diversi faldoni di dati sulla “malattia” fatidica e incurabile che fino al giorno prima era stata guardata come un pesce d’aprile anticipato. E nessuno dei dati in quei faldoni erano promettenti. 

Come Elizabeth aveva detto al marito, non avevano la più pallida idea di cosa fosse quella cosa o di come curarla. O distruggerla. 

Sei mesi era il lasso di tempo che il “virus” impiegava a prendere possesso di ogni singola cellula dell’organismo, sei mesi per infiltrare quelle 1014 unità di base del corpo e risvegliarle. 

Era stato allora, sei mesi, centottantadue giorni esatti dopo la morte, spaccando il secondo nel primo minuto del centottantatreesimo, che i cadaveri avevano cominciato a tremare. Fibre muscolari che sarebbero dovute essere decomposte e che invece erano perfettamente integre, filamenti di actina e miosina assolutamente efficienti. 

Dopo le convulsioni i cadaveri avevano riaperto gli occhi.

 

- - - 

 

Il pensiero di uscire di casa e percorrere le strade deserte alla ricerca di un supermercato che finga ancora di funzionare come se la fine del mondo non fosse qui in questo preciso momento ti atterrisce. 

Non sai se puoi davvero affrontare il mondo, per come è ridotto adesso. È anche per questo che hai passato in ospedale così tanto tempo, chiuso tra quelle pareti bianche, impegnando ogni oncia della tua attenzione con i corpi sui letti occupati. Come se tu potessi davvero fare qualcosa davanti all’incognita,  se non ignorare completamente le linee guida e sfiorare il limite dell’etica, al borderline del legale. Ma al diavolo tutto, per le strade ci sono pire che bruciano giorno e notte, costantemente rimpolpate da nuovi cadaveri che devono rimanere tali, e non sai nemmeno se siano rimasti abbastanza poliziotti per arrestarti. Come se ci fosse qualche garanzia che tu poi possa arrivare vivo a un processo. 

E poi non è che la gente abbia smesso di ammalarsi di altro nel frattempo, c’è ancora bisogno di te. 

Accendi il televisore nella vaga speranza che trasmetta qualcosa di più del solito effetto neve. Una settimana fa la CNN ha tirato le cuoia e ha piazzato il cartello “ci scusiamo per il disagio, la programmazione riprenderà appena possibile” - sì, come no - e adesso prendi solo le stazioni locali. 

Ti diverte vedere come il mondo si stia ostinando a fare finta che vada tutto bene. 

Ti saresti aspettato che la lunga notte dei morti viventi - così lunga che ormai va avanti da quattro anni - generasse più caos. Salta fuori che l’essere umano è molto più duttile e adattabile di come lo facevi tu. 

Il telecomando viene sbalzato alle tue mani, quando queste cominciano a muoversi a scatti. Oh, questa è nuova. Una corea? Che bella variazione sul tema. 

Merda.

 

- - - 

 

La prima volta se l’erano cavata quasi tutti. Quasi. 

Due mesi, sessantadue giorni, da quando i soggetti avevano aperto gli occhi. Elizabeth e il suo team avevano monitorato la ripresa della motilità e valutato sul Glasgow Coma Scale la ripresa delle facoltà cognitive. Lentamente giorno dopo giorno i soggetti avevano preso possesso delle proprie membra. Prima i riflessi, poi erano ricomparsi i movimenti stereotipati e infine il controllo fine. Dopo un mese e mezzo i soggetti sembravano non ricordare nulla di chi fossero prima - una tabula rasa delle memoria a lungo e breve termine - e non erano in grado di parlare, ma erano tutti indiscutibilmente vivi, seppure con ogni cellula ancora infettata, un battito cardiaco rallentato e occhi vitrei irresponsivi alla luce che li rendevano incredibilmente inquietanti. 

Tutto sommato poteva andar loro peggio, potevano essere morti. Certo non si potevano adagiare sugli allori, ma sicuramente quella che sembrava essere la nuova Peste Nera del ventunesimo secolo non avrebbe sterminato l’umanità. Ora, se solo avessero capito come abbassare i livelli di testosterone per renderli meno aggressivi, forse avrebbero potuto evitare che andassero in giro ad ammazzare a loro piacimento.  

Elizabeth avrebbe potuto anche tirare un sospiro di sollievo. Se solo non fosse stato per quegli occhi vitrei, velati da una patina di distanza certamente non misurabile da nessuno strumento scientifico… 

Se gli occhi erano lo specchio dell’anima, i soggetti del loro laboratorio l’avevano persa nella discesa all’Inferno. Ed Elizabeth era atea. 

Sessantadue giorni. 

I suoi colleghi scherzavano, con il black humor di chi ha appena passato più di sei mesi della sua vita a monitorare cadaveri, che stavano lavorando su virus alieni e su zombie - fosse dannata la cultura popolare, era proprio quello che erano, fottutissimi zombie, morti viventi, anche se non alla ricerca disperata di cervelli -, ma Elizabeth non riusciva a sopprimere quel brivido gelido lungo la schiena ogni volta che i freddi occhi di uno dei suoi soggetti si posavano su di lei, come se la stessero esaminando, raccogliendo dati come lei li raccoglieva su di loro.

Se non fosse stato impossibile, Elizabeth avrebbe detto che non ci fosse nessuno dentro quei corpi e che quelle cose, quei parassiti, qualsiasi cosa fossero, fossero senzienti e avessero posseduto i cadaveri, come demoni medievali. 

Sessantadue giorni dopo, nonostante le misure di sicurezza, erano entrati in un raptus omicida. 

La prima volta se l’erano cavati quasi tutti. Quasi. 

Avevano pulito le chiazze di sangue dei tre cadaveri con ancora i camici da laboratorio addosso che avevano aggiunti alla pila da monitorare - perché adesso la faccenda degli zombie sembrava sempre meno uno scherzo. Sempre meno, visto che non erano bastati i proiettili delle guardie a fermarli. 

Con inquietudine, avevano continuato a lavorare in laboratorio, pregando che le nuove e aumentate misure di sicurezza fossero sufficienti.

Non lo erano. 

La seconda volta non era sopravvissuto nessuno. 

 

- - - 

 

Ci volle un po’ perchè riuscissero a uscire attraverso le porte a vetri bloccate.

Gli stupidi umani avevano corpi difficili da manovrare e il processo di infiltrazione richiedeva tempo. Ma loro avevano tutto il tempo del mondo. 

 

- - - 

 

“Dovresti essere a casa a riposare.” 

A morire, vuoi dire, vero? ti chiedi acidamente, ma lasci perdere l’idea di ripeterlo ad alta voce. 

“Sto bene, Sharon. Tu dovresti essere a casa a riposare, sono almeno cinque giorni che sei qui, dimmi almeno che non dormi su quel divano scomodissimo che c’è in sala infermieri.”

Lei scossa la testa e ti fissa con il suo sguardo da “sarà meglio che non mi racconti stronzate, bimbo, che non sono nata ieri”, quello che utilizza sempre con i pazienti più difficili che si vergognano di raccontare alcune cose. Come se Sharon non avesse avuto la sua buona dose di pronto soccorso ad estrarre gli oggetti più disparati dagli orifizi più disparati dei pazienti più disparati e si potesse scandalizzare davanti ad una diagnosi di gonorrea. 

Dio, come vorresti poterle dire di avere la gonorrea in questo momento. 

“Dovrei riportarti alle autorità. Mi arresteranno se scoprono che lo sapevo” ti dice a bassa voce, quasi un sussurro. 

“E allora perchè non lo fai?” 

Sharon si morde il labbro inferiore e lancia un occhiata oltre la porta aperta della saletta medici verso il reparto con le sue stanze sovraffollate di gente che non potete guarire. 

“Perchè probabilmente moriremo tutti comunque e non penso faccia molta differenza a questo punto. Ma, Victor…  vuoi davvero passarli qui i tuoi ultimi giorni?” 

“Abbiamo fatto un giuramento, no? Giuro di prestare assistenza d'urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione bla bla bla, nei secoli dei secoli, amen.”
“Non è divertente, Victor.” 

“Non ho mai voluto fare il comico, Sharon, solo il mio lavoro.”

Sharon sembra ponderare ancora per un istante l’idea di mandarti a casa di prepotenza, ma poi capitola, per tua fortuna. La sola idea di tornare indietro ad affrontare l’appartamento vuoto ti nausea. 

“Ti pianto un bisturi nel cervello e ti mando a cremare prima che il tuo corpo possa cadere a terra, se mi muori in corsia, sappilo.” 

Sorridi. Com’è ironico che sia lei a mantenere una promessa che Elizabeth non ha saputo neppure pronunciare. 

“Non mi sarei aspettato niente di diverso da lei, Caposala” scatti scherzosamente sull’attenti, prima di finire di abbottonarti il camice bianco di nuovo serio. “Assicurati di averne uno a portata di mano. Di bisturi, intendo.” 

Le prendi la cartelletta di mano, uscendo dalla stanza mentre leggi i nuovi ingressi e i decessi di quelle quindici ore che hai passato fuori dall’ospedale, e mentre il tuo sguardo scorre tra le righe, sei abbastanza sicuro di vederla mentre se ne infila uno in tasca dal carrello delle medicazioni. 

 

 
  
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