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Autore: Mitsuki91    24/02/2019    1 recensioni
"Edward, se sopravvivo a tutto questo, stai sicuro che la prossima volta ti uccido io."
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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Capitolo I

 

Avevo iniziato dando la colpa alla suggestione.

Voglio dire, si era trattato di un sogno, no? Probabilmente mi ci ero impersonata troppo. Probabilmente era il primo sogno erotico dopo mesi e… Non ero più abituata?

Però quando andai in bagno a far pipì, sentii bruciare.

Dannazione, pensai, questo non è normale.

Così tornai in camera di corsa, senza lavarmi il viso, ma non c’era nulla fuori posto. Il letto era sfatto perché ci avevo dormito. Il pigiama lo avevo addosso e sulla scrivania nessuno aveva toccato niente.

Se non che…

Mi avvicinai cautamente al letto e immersi la faccia nelle lenzuola.

Profumo.

Un vago, distante, delicato profumo. Come un eco.

La mia mente iniziò a riempirsi di punti esclamativi e andò in tilt. Rimasi così, semplicemente sepolta fra le lenzuola, senza pensare a niente.

Poi sentii Charlie chiamarmi dalla cucina e mi rialzai.

Lavai in fretta la faccia e mi raccolsi i capelli in una coda frettolosa. Mi stampai addosso il mio migliore sorriso e scesi velocemente, con mio padre che mi guardava in modo sospetto.

“Oggi cosa fai?” mi chiese.

“Devo andare da Jake.”

Ovviamente.

Ovviamente.

Oddio… Jacob.

Charlie annuì e continuò a bersi il suo latte con i cereali. Io mi versai un succo d’arancia e, pazientemente, attesi che se ne andasse.

Una volta uscito da casa, tornai sopra. Rituffai la testa nelle lenzuola, ma il profumo che avevo sentito prima sembrava essere sparito. O forse… Me l’ero immaginato? Anche prima?

Mi stesi meglio sul letto, a pancia in su.Sentivo ancora qualcosa nel mio basso ventre… Ma era tutto incoerente.

Primo, l’Edward del sogno era dolce e gentile. Mi aveva detto che mi amava, cosa che non combaciava affatto con la sua fuga di qualche mese prima.

Secondo… Secondo, non era rimasto. Se tutto quello fosse stato vero, se fossero state vere le sue parole del sogno, lui… Sarebbe rimasto, no? Ma non era in camera mia.

Mi alzai, facendo un giro veloce della casa. Mi vestii e perlustrai anche fuori, ma nulla.

Decisa a non arrendermi, ad aggrapparmi a quella sottile possibilità – che il sogno fosse stato reale – salii sul pick up e guidai fino alla casa.

Le felci invadevano ancora il vialetto.

Tutto era spento, strano, morto.

Tornai ad aggrapparmi alle mie ipotesi e speculazioni per non crollare. Tornai indietro, verso casa – un posto neutro, un posto sicuro.

Durante il tragitto, la mia mente si era acquietata, distesa. Nessun punto esclamativo.

Dopotutto, esisteva sempre una terza opzione.

Terzo, lui era tornato e mi aveva ingannato perché voleva prendersi tutto di me, non lasciarmi niente, distruggermi. Non combaciava molto con ciò che ricordavo del sogno – ero stata io ad insistere, alla fine? – ma era la sola opzione possibile, a meno di non essere diventata pazza.

A meno che il profumo, la sensazione strana e soprattutto il bruciore non fossero frutto della mia mente.

E, dopotutto, potevo benissimo far finta che fosse ancora la prima, quella buona. Perché avrei dovuto stare in pena per questo? Perché, se lui l’aveva fatto con l’intento di ferirmi, avrei dovuto dargli soddisfazione anche così?

Andare a casa sua era stato un errore. Forse era là, lontano, a ridersela sotto i baffi per la mia ingenuità.

Tornai in casa, chiudendo piano la porta dietro di me.

Bene.

Non gli avrei dato nessuna soddisfazione. E avrei continuato ad amarlo, perché se il suo scopo era quello di farsi dimenticare con la rabbia, non ci sarebbe riuscito. Non gli avrei dato soddisfazione in nulla.

Tanto niente poteva più cambiare ormai, no?

 

***

 

Due giorni dopo mi svegliai nel cuore della notte, urlando.

Non era lo stesso incubo, e a dirla tutta non era neppure normale svegliarsi così, dato che stavo continuando a prendere i sonniferi. Ma questo non era neanche come il sogno/non sogno dell’altra volta, dato che ero pronta e vigile e conscia di essere sveglia.

Erano stati i colori a spaventarmi.

I luoghi erano normalissimi: casa di Charlie, la scuola, la rimessa da Jake… Ma i colori. Oddio, i colori erano vividi,reali, come… Come se fosse stato un vampiro a vederli. O almeno come immaginavo che fosse, ad essere un vampiro.

Non lo sapevo, ma erano comunqueintensi, ed erano stati troppo per la mia mente. Mi avevano confuso, non riuscivo a capire ma sapevo che c’era stato qualcosa di sbagliato, nel sogno, nel sorriso di Charlie prima di uscire, nella strada per andare a La Push.

In preda a brividi di freddo, accesi la lampada che avevo sul comodino, cercando di tranquillizzarmi e di verificare che sì, i colori erano tornati normali, nonostante il buio.

Tesi l’orecchio, qualche minuto dopo, ma Charlie non sembrava essersi svegliato. Sentivo ancora il suo russare in lontananza, e mi aggrappai a quello per far diminuire la paura, per far cessare i brividi e per iniziare a scivolare in un sonno meno agitato.

La mattina dopo, scoprii che mi ero svegliata in ritardo. Ancora mezza intontita, fissai per due minuti buoni la sveglia che segnava le nove di mattina prima di iniziare ad andare nel panico.

Merda!

Era troppo tardi per andare a scuola.

Come era potuto accadere?? Avevo una sveglia programmata, certo, ma di solito per forza d'abitudine tendevo a svegliarmi comunque due o tre minuti prima che suonasse.

Non era mai capitato che dormissi così a lungo. E non ne avevo motivo: a parte l’incubo che avevo fatto, non mi sentivo stanca, non ero andata a letto tardi… Non c’erano scuse plausibili per un comportamento del genere.

Seccata, mi trascinai in cucina e telefonai a Charlie.

“Polizia di Forks, desidera?”

“Uhm, sono Bella. C’è Charlie?”

Sentii il telefono passare di mano.

“Bella? Che succede?”

“In realtà… Ho dormito troppo. Mi sono appena svegliata e non sono andata a scuola… Non so come sia potuto accadere, papà, di solito non capita.”

“Ma stai bene?”

“Sì, sembra… Tutto a posto.”

“Va bene allora. Non ti preoccupare… A saperlo ti avrei chiamato. Di solito fai bene da sola.”

Ridacchiai un po’ a quella affermazione. Salutai mio padre e riattaccai, un po’ demoralizzata.

E adesso, che potevo fare? Jake era sicuramente a scuola, non ci saremmo visti prima di quel pomeriggio.

Potevo cucinare, ma la dispensa non era abbastanza piena… E se avessi osato mettere piede al supermercato qualcuno mi avrebbe visto, e avrebbero pensato tutti male.

Con un sospiro, mi rassegnai allo studio. Dato che non ero andata a scuola, avrei comunque avuto qualcosa da recuperare…

Pazienza.

 

***

 

Stavolta era stata la fame a svegliarmi.

Il mio stomaco ruggiva. E io avevo tanta, tanta voglia di mangiarmi della carne.

Il senso di tutto ciò mi sfuggiva. Per i primi dieci minuti provai a girarmi e rigirarmi nel letto, inutilmente.

Poi mi arresi e scesi in cucina, cercando di fare meno rumore possibile. Ad ogni passo tenevo un orecchio teso in direzione della camera di Charlie: nulla, continuava a russare, quindi potevo agire indisturbata.

C’era del pesce avanzato nel frigorifero, che era quello che più si avvicinava alle mie voglie. Il difficile sarebbe stato riscaldarlo, in ogni caso.

Pregando ogni divinità che conoscessi, alla fine mi arresi al microonde e misi il piatto dentro. Per ogni secondo in cui girava, producendo il tipico rumore di sottofondo, cercai di distinguere il russare di Charlie dal battito frenetico del mio cuore.

Alla fine, prima che il timer potesse scattare, lo fermai e aspettai i canonici cinque secondi, sempre più affamata e impaziente.

Presi il piatto dal microonde e, senza badare al calore; lo poggiai sul tavolo e recuperai una forchetta.

Mangiai avidamente i primi bocconi, tentando di placare la fame e scottandomi la lingua, fino a che la temperatura non si abbassò quel tanto che mi consentì di assaporare il gusto.

Orribile.

Con un moto di disgusto, sputai tutto nel piatto, cercando al contempo di pulirmi la lingua con il palmo della mano. Corsi al lavello e bevvi direttamente da lì, senza stare a prendere un bicchiere, ma il saporaccio non se ne andava.

Poi, con la sensazione che il mondo stesso si stesse rivoltando, corsi di sopra appena in tempo per riuscire a vomitare nel water e non per terra.

Oh, maledizione.

Charlie mi trovò semisdraiata sul pavimento, la mattina dopo, mezza incosciente per i pochi minuti di riposo intercorsi tra un conato e l’altro.

“… Non stai bene.” mi disse.

Io alzai un occhio su di lui, esausta, e mugolai qualcosa.

“Dev’essere l’influenza che c’è in giro.” mi disse poi “La signora Stanley dice che Austin se l’è presa.”

Mugolai ancora.

“Beh, credo che passerà, dopotutto. Niente scuola anche oggi, eh? Io… Vado al lavoro. Se hai bisogno di qualcosa chiamami.”

Annuii e richiusi gli occhi. Poco dopo li riaprii, e vidi che Charlie mi posava accanto, sul pavimento, un bicchiere colmo d’acqua.

Non disse nulla e scese di nuovo a prepararsi, fino a che non sentii la porta chiudersi.

Dormii ancora un po’, credo. Quando riaprii gli occhi, la nausea sembrava passata del tutto e i conati solo un brutto ricordo.

Bevvi, cercando di contenere la sete e di fare piccoli sorsi; poi, appurato che il mio stomaco sembrava collaborare, e complice lo specchio che mi restituiva un’immagine orribile, decisi di farmi la doccia.

Fu proprio in quel momento, mentre mi insaponavo sotto il getto d’acqua calda, che lo sentii.

Piccolo e duro, qualcosa era presente nel mio ventre.

All’inizio rimasi semplicemente interdetta, continuando a tastare la piccolissima sporgenza e pensando a cosa potesse essere in astratto – un nodulo? Ma nello stomaco? E non era troppo grande? –; poi, una volta fuori dalla doccia, con l’accappatoio sulle spalle e di fronte allo specchio, mentre continuavo a tastarmi e cercavo divedere cosa fosse quella cosa… Beh, mi bloccai.

Un passo indietro.

Il vomito. L’influenza stava girando, non voleva dire nulla.

La fame. Era così raro avere fame di notte? Non mi era mai capitato, ma succedeva, dai. Succedeva a tutti, prima o poi.

Un passo indietro.

Mmmmh… Il sogno. I colori vividi di un vampiro…

No, non dovevo pensare alla parola ‘vampiro’.

Però.

Un passo indietro.

Un vampiro nella mia camera. Un vampiro a prendersi gioco di me, e forse era stato un sogno… O forse no.

Un passo indietro.

La pelle di un vampiro, più dura del diamante.

E il nulla.

Le mie mani si strinsero su quella piccola, strana, sporgenza. Le unghie mi si conficcarono nella carne, ma non sentii dolore.

Il ventre…

Le pupille mi si erano dilatate all’inverosimile. Respiravo a fatica, sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie.

Fantastico, ci mancava solo la crisi di panico o d’isteria.

Il ventre.

Lui dentro di me.

Il ventre!

Il dolore il giorno dopo, a testimonianza che non era stato un sogno.

Ma non era possibile! Lui l’avrebbe saputo; lui non avrebbe voluto rovinarmi in questo modo! Non fino a questo punto!

Per quanto Edward fosse stato crudele…

Edward.

Una parola, un nome, degli argini rotti.

Edward, Edward, Edward…

L’avrebbe saputo, l’avrebbe prevenuto.

L’avrebbe saputo davvero?

Un attimo di razionalità, Bella, per diana.

Era troppo presto.

Troppo presto.

Ma c’era qualcosa nel mio ventre.

Qualcosa!

Qualcosa che era cresciuto in pochi giorni.

Qualcosa…

I sogni, la fame, la nausea… Qualcosa.

Stava crescendo.

Stava crescendo in fretta.

Era reale, era lì, lo toccavo attraverso la pelle.

Qualcosa di mio. Qualcosa di Edward. Forse…

E poi il grido eruppe dalle mie labbra.

Mio, Edward, mio, Edward.

Troppo, troppo in fretta.

Mi avrebbe distrutta. E i vampiri erano lontani, persi, dimentichi di me.

Mi avrebbe distrutta senza il loro aiuto.

Continuai a gridare, rannicchiandomi su me stessa, senza sentirmi veramente, la testa questa volta davvero piena di interrogativi e terrore, perché non c’era niente che potessi fare, nessun luogo da raggiungere, nessuna soluzione da adottare.

Doveva succedere. Doveva succedere perché qualcosa era nella mia pancia e quel qualcosa aveva la pelle dei vampiria proteggerla e la pelle dei vampiri era più dura del diamante. E nessun vampiro, nessun veleno e nessun dente era a portata di mano.

Doveva succedere, non potevo fare niente a proposito, neanche volendo, e poi, e poi, e poi c’era Edward, un po’ dentro di me, un po’ dentro di me, e poi c’ero io, io unita ad Edward, io unita e quindi, quindi, quindi forse doveva succedere, perché forse volevo anche che succedesse.

Solo non sapevo come sarei sopravvissuta.

Dovevo fuggire…

E poi, l’urlo si spense, lasciandomi senza fiato e intontita, di nuovo preda dei giramenti di stomaco, ma non avrei vomitato, no, non ancora. Non ne avevo la forza.

C’era una cosa che non avevo considerato.

Cosa avrei fatto? Come avrei fatto? Da sola sarei morta, da sola…

Forse sarei morta anche con qualcuno accanto. Ma se dovevo morire, tanto valeva prendermi il meglio per quel poco che mi restava.

Se dovevo morire…

“Jacob.” sussurrai, con la voce roca, esausta.

Avevo una paura immensa.

   
 
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