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Autore: NPC_Stories    27/02/2019    7 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Rogne di una notte di Mezzestate


Nel cuore della foresta di Sarenestar, in un luogo raggiungibile solo dagli elfi e dagli gnomi che conoscevano la strada, la città segreta di Myth Dyraalis accoglieva e proteggeva i suoi abitanti. Era un luogo splendido e ricco di magia tutto l'anno, ma quella sera risplendeva più del solito. Tutta la cittadina era stata abbellita con luci fatate, che delineavano con eleganza i rami più bassi degli alberi, creando l’illusione di camminare sotto a un enorme ed elaborato soffitto. Druidi, chierici e stregoni avevano lavorato tutto il giorno per mettere a punto quei decori, e perfino gli artigiani gnomi avevano voluto dare il loro contributo, realizzando lanterne di giunchi e stoffe multicolori.
La festa di Mezzestate era una ricorrenza celebrata da quasi tutte le popolazioni di Faerûn capaci di provare gioia e allegria, ma era sentita soprattutto da chi, come gli elfi e gli gnomi, aveva una lontana origine fatata.
In mezzo all’allegra confusione in cui si mescolavano gli ultimi frenetici preparativi e i primi festeggiamenti rubacchiati prima del tempo, i bambini si rincorrevano senza un pensiero al mondo, facendo risuonare le loro urla e risate sotto la volta degli alberi.
Una di loro continuava ad arrivare ultima ad ogni gara di corsa, perché si fermava ogni tre passi ad ammirare gli splendidi festoni e le luci cangianti. A differenza dei bambini di Myth Dyraalis, Jaylah non aveva mai partecipato a una festa di Mezzestate così grandiosa. Era arrivata nella foresta soltanto da poco.
I suoi compagni di giochi ormai si erano stancati di richiamarla ogni volta che si distraeva, quindi in breve la bambina rimase sola in mezzo a quella fiumana di adulti. Per fortuna, nessun bambino è mai davvero solo a Myth Dyraalis.
Jaylah stava guardando affascinata una lanterna di stoffa e metallo, abilmente realizzata da mani gnomiche e ripiegata nella forma di un drago che apriva e chiudeva le ali. La piccina allungò un braccio verso l’alto, ma qualcuno aveva saggiamente appeso quell’opera d’arte fuori dalla portata dei marmocchi.
Era così concentrata da non accorgersi della persona alle sue spalle, finché la stoffa di un mantello elfico non le sfiorò un braccio. Jaylah spostò a fatica lo sguardo dalla lanterna per posarlo sull’adulto alla sua sinistra.
“Nonno” esclamò, salutando l’elfo con la manina. “Guadda, un drago!”
“Hm. Ammirevole.” Commentò l’anziano ranger, senza nemmeno posare gli occhi sull’oggetto.
“No, è un drago!” Insistette la bambina. “Hai vitto tutte le luci? E la musica? È tutto più bellissimo che mai!”
Tazandil non si mostrò contagiato dall’entusiasmo della nipote.
“Sì. Soddisfa le mie aspettative.”
Una giovane elfa di quattro anni non era in grado di capire davvero quelle parole, ma dal tono del nonno si fece l’idea che quella frase volesse dire, in soldoni, “Meh”.
Non sapeva bene come comportarsi di fronte a quell’atteggiamento così anticlimatico.
Per fortuna in quel momento arrivò suo padre a toglierle le castagne dal fuoco.
“Oooh, chi c’è qui?” Il ranger più giovane intonò la solita pantomima, fingendo di non riconoscere la figlia. “Chi è questa leggiadra fanciulla?”
“Papà!” esclamò lei, alzando le braccia e sfoggiando un enorme sorriso. Era il suo modo per comunicare che voleva essere presa in braccio.
“Amico mio, guarda la finezza delle sue vesti, i suoi splendidi riccioli d’oro. Dev’essere una principessa o una fata.” Il suo amico Raerlan gli resse il gioco, togliendosi il cappello prima di inchinarsi davanti alla bambina.
Jaylah allungò una mano per toccare lo strano bozzo che l’elfo aveva sulla fronte.
“Ciao, Inniconno.” Lo salutò in tono sfacciato. “Puoi dire a papà di prendemmi in braccio?”
“Hai sentito la signorina, Johel?” Raerlan gli diede una leggera gomitata. “Su, prendila in braccio.”
“Non penso che dovresti” s’intromise Tazandil, con la solita impostazione rigida. Nemmeno in un giorno di festa quell’elfo era capace di lasciarsi andare. “Se continui a viziarla e a prenderla in braccio quando te lo chiede, non imparerà nemmeno a camminare.”
“Ma io so già camminare!” Jaylah fece una smorfia buffa all’indirizzo del vecchio ranger, una faccia che secondo lei doveva essere intimidatoria.
“Il nonno è sempre un po’ severo” sospirò Johel, ma si chinò a sollevare la bambina nonostante le proteste di suo padre. Avere avuto Jaylah, avere la responsabilità di una giovane vita, lo faceva sentire abbastanza adulto e indipendente da poter disobbedire a un consiglio esplicito del vecchio genitore. “Ma lo è solo perché ti vuole bene. Tu non vuoi bene al nonno?”
Jaylah poggiò le manine sulle guance di suo padre e lo guardò negli occhi con grande serietà. Anche se era piccola, sapeva quale risposta ci si aspettava da lei, eppure non le andava di dire semplicemente di sì. Quell’elfo non se lo meritava del tutto, e lei aveva uno spirito ribelle.
“Il nonno soddiffa le mie appettative” recitò, corrugando la fronte per la concentrazione. Non era una frase semplice, ma lei voleva proprio restituirgli quel ”Meh” del tutto gratuito.
Johel rimase così interdetto da non sapere come reagire, ma Raerlan raccolse subito il significato di quel commento e scoppiò a ridere quasi in faccia a Tazandil.
E continuò a ridere mentre il suo ranger capo gli affibbiava doppi turni di guardia come punizione per una settimana. Poi per due. Soltanto quando la punizione arrivò a due mesi, l’alicorn finalmente riuscì a calmarsi.
Mentre gli adulti erano distratti, Jaylah riuscì a tendersi fino a toccare una zampa della lanterna-drago, facendola oscillare leggermente. Continuò indisturbata con quel gioco mentre suo padre e suo nonno venivano distratti da altri discorsi da adulti.

“Tazandil! Cercavo proprio te!” Esclamò qualcuno vicino a loro, in tono concitato e sottovoce.
Il vecchio elfo, che già non era di umore tanto roseo, riconobbe quella voce senza bisogno di guardare in faccia il nuovo arrivato. In un certo senso, quella voce popolava i suoi incubi.
“Daren” s’irrigidì. Quel nome per lui aveva lo stesso sapore del succo di un limone acerbo. “Che cosa vuoi?”
L’elfo dei boschi si voltò a guardare il questuante, la più improbabile delle creature in una città segreta di elfi: un drow. In mezzo a tutti quegli elfi dei boschi svettava inesorabilmente per la sua pelle nera e i capelli bianco-argentei. In condizioni normali sarebbe stato attaccato a vista, a causa della millenaria faida fra elfi chiari ed elfi scuri, ma lui era diverso. Era un amico del clan Arnavel di Sarenestar, gli elfi che popolavano Myth Dyraalis.
Infatti non era per la sua razza che Tazandil lo avversava così tanto. Daren era riuscito a convincere Tazandil a guardare oltre la tetra reputazione del suo popolo, e si era guadagnato l’inimicizia del ranger unicamente grazie i meriti del suo carattere.
“Dammi qualcosa da fare!” Il tono del drow era stranamente simile a una supplica. Una cosa più unica che rara. “Lord Fisdril vuole che io rimanga in città per la festa. Ma certamente questo non è il mio posto! Diglielo, tu sei suo fratello, a te potrebbe dare retta. Sono molto più utile fuori, a proteggere questo luogo sacro oppure uno dei villaggi vicini. Questa notte gli elfi abbassano la guardia, e quelli che non lo fanno vorrebbero farlo, quindi per favore! Sii ragionevole almeno tu, lasciami essere utile, mandami a prendere il posto di una delle guardie che vorrebbero essere qui!”
Tazandil segretamente concordava con lui, ma si aspettava questa supplica e aveva ricevuto ordini chiarissimi: non doveva assecondare le richieste del guerriero.
“Mi dispiace, ma gli ordini di Lord Fisdril sono questi. Tu farai come ti è stato detto.” Rispose stringatamente.
“Ma non c’è un motivo al mondo per…”
“Gli ordini sono questi.”
“Tazandil!” Esplose il drow. “Non è una festa mia, non sono davvero uno di voi, che senso ha che io sia qui?”
Il vecchio elfo sospirò, al limite della pazienza, ma capì che Daren non sarebbe andato in pace senza una spiegazione.
“Si è deciso che non ti sforzi abbastanza per integrarti. Continui a ripetere che non sei uno di noi, e in una certa misura è vero, ma la distanza che vuoi mantenere è eccessiva. Sei un Ruathar, un Amico degli Elfi; non insultare il nostro popolo con la tua reticenza.”
Daren boccheggiò, a corto di parole. Era vero, per lui non era mai facile bilanciare il desiderio di mostrarsi amico di quegli elfi, la sua naturale asocialità, e il disagio che provava per il fatto di essere, comunque, un drow. Aveva sempre timore di esagerare in un senso o nell’altro, di essere una presenza sgradita nelle circostanze troppo intime come le celebrazioni.
“Domando scusa se sono stato offensivo.” Disse infine. “Non è per disprezzo verso le vostre usanze. Ho sempre il timore di essere di troppo, soprattutto qui, a Myth Dyraalis. Inoltre, mi sento davvero meglio quando posso essere utile, anziché stare in mezzo alla gente cercando di vincere il mio e il loro disagio.”
“Credi che non lo capisca?” Sbottò Tazandil. Questa era una caratteristica peculiare del loro rapporto: Daren era una delle poche persone capaci di far esprimere una qualche emozione a quell’elfo, anche se si trattava sempre di emozioni negative. “Sai quanto odio ammetterlo, ma io e te in questo siamo uguali. Credi che non preferirei mille volte stare fuori dai confini della città, con l’arco in pugno e lo sguardo rivolto ai pericoli della foresta? Invece mi tocca stare qui e divertirmi. Se devo farlo io, tutti i maledetti anni che il buon Corellon schianta su questa terra, allora una volta tanto puoi farlo anche tu!”
Daren lo guardò in silenzio per alcuni lunghissimi secondi. Alla fine si inchinò e si girò per andarsene, ancora shockato per quel discorso così sincero. Non si aspettava che Tazandil avrebbe mai ammesso una cosa del genere, e quella confidenza quasi valeva il prezzo da pagare. Quasi.

Daren non era mai stato un fan delle feste. Quando era giovane era stato di estrazione sociale troppo bassa per potersi permettere di partecipare ai lussuosi e sfrenati festini in cui indulgevano alcuni giovani nobili e i figli dei ricchi mercanti. Ne aveva sentito parlare ma, accanto alla naturale invidia verso chi era di rango superiore, all’epoca provava anche incredulità e quasi fastidio. Come potevano dei drow essere così noncuranti? Eccedere con il vino e le sostanze inebrianti fino a non essere in grado di stare in piedi? Chiunque avrebbe potuto assassinare con facilità un giovane folle dedito agli eccessi, eppure il tasso di omicidi in quelle feste si diceva che fosse straordinariamente basso.
Forse perfino i suoi simili avevano bisogno di svago, ogni tanto, e riconoscevano quel bisogno con tanto ardore da stabilire un’implicita tregua durante le lunghe notti di bagordi.
Daren all’epoca era un soldato e non sapeva cosa fosse lo svago, ma sapeva molto bene che se si fosse lasciato andare in quel modo, anche solo per una notte in una taverna con qualche collega, non avrebbe visto il nascere del giorno dopo.
Sapeva anche che se fosse stato un valletto anziché un soldato, uno degli addetti ad accudire e rivestire i nobili e i ricchi drow ai festini, avrebbe sicuramente trovato il modo di ucciderne qualcuno. Così, giusto per mandare un messaggio. Che neppure i rampolli viziati avevano il diritto di abbassare la guardia.

Ma questo era molto tempo fa, in un mondo del tutto diverso. Adesso Daren non era più un giovane soldato roso dall’invidia, si era lasciato alle spalle sia la gioventù che l'ambizione. Però restava acutamente consapevole di quanto fossero vulnerabili le persone mentre festeggiavano, e sapeva due cose con certezza: che avrebbe preferito dedicarsi a proteggere questi elfi festaioli, e che per nulla al mondo avrebbe voluto unirsi a loro e abbassare la guardia come l’ultimo degli idioti.
Purtroppo, non sempre si può fare quello che si vuole.

La festa procedeva a ritmo sempre più frenetico man mano che la notte ammantava la foresta. Non era la frenesia bramosa degli elfi scuri, che cercavano il piacere perché non sapevano cercare la gioia; era la frenesia allegra delle razze di Superficie, che per una volta decidevano di abbandonare il controllo sull’ordine sociale e di lasciarsi andare agli eccessi del loro retaggio fatato.
Daren non era abbastanza esperto di feste da capire bene la differenza, gli sembrava solo che tutti avessero perso la ragione. C’erano occasioni in cui gli elfi sapevano festeggiare in modo solenne, come nei giorni intorno al Solstizio d’Estate in cui ricordavano l’epica vittoria di Corellon Larethian sul dio degli orchi Gruumsh. Quella era una celebrazione seria, sette giorni di inni, preghiere, competizioni amichevoli e alla fine una massiccia caccia agli orchi. Non che ce ne fossero molti, a Sarenestar, quindi gli elfi di quella particolare foresta preferivano dare la caccia ad altre creature pericolose, anche se non erano specificatamente legate al mito che stavano replicando.
Ma quella era una ricorrenza del tutto diversa. La notte di Mezzestate cadeva una quarantina di giorni dopo, ed era di carattere completamente opposto. Si diceva che in questa notte il mondo fatato fosse più vicino al mondo materiale (qualsiasi cosa ciò volesse dire), e gli elfi e gli gnomi approfittavano di questa occasione per comportarsi come selvaggi in cerca di piaceri. O almeno, agli occhi di Daren era così. Non capiva il significato profondo di quella festa.

Alla fine aveva scelto il male minore. Siccome il suo amico Johel era andato a divertirsi e Tazandil era costretto a farlo, la piccola Jaylah era stata affidata alle cure di sua nonna, la veggente Hinistel. Daren però aveva sentito dire a Hinistel che capitava raramente una notte di Mezzestate con la luna piena, e che sarebbe stato il momento giusto per tentare qualche divinazione azzardata. Quindi appena dopo l’inizio della festa si era generosamente fatto avanti per prendere la bambina nelle sue cure, in modo che la dama potesse meditare e divinare in pace. Lei aveva capito i suoi motivi reconditi, ma non aveva obbiettato.
Daren aveva seguito la sua piccola iperattiva nipote in anfratti della città che non aveva mai visto, e in ogni luogo c’erano elfi intenti a danzare, bere o scambiarsi effusioni.
Ad un certo punto, era così intento a non guardare in qualsiasi direzione, che Jaylah gli sfuggì da sotto gli occhi.
Il drow sapeva che la bimba non sarebbe andata lontana su quelle sue corte gambette, ma la cosa gli suscitò comunque una punta di panico. Aveva promesso a sua sorella Krystel di tenere al sicuro la sua creatura, e adesso l’aveva persa di vista. Per fortuna, la sua vocetta acuta e cristallina si fece sentire presto.
“Pecché sei così bianca?” Stava domandando, con tutta l’innocenza dei suoi quattro anni.
Quando Daren la raggiunse, si rese conto che non solo aveva appena fatto quella domanda maleducata a un’elegante dama elfa, ma la stava anche indicando con il ditino.
“Uhm… perché sono un’elfa della luna?” rispose l’altra, in tono quasi incerto.
“E pecché vi date i baci?” Inquisì ancora, in modo sfacciato.
Lui spostò lo sguardo dalla bambina alle persone che stava interrogando. La prima, l’elfa della luna, era certamente una persona che non aveva mai visto. Sarenestar era una foresta di elfi dei boschi, quindi doveva essere un’ospite, o forse… spostò lo sguardo sulla sua compagna di baci: era la figlia del capoclan, lady Freya.
Daren aveva una particolare storia di disagio con quella fanciulla, da quando aveva rifiutato le avances di lei molti anni prima. Non sapeva se lei si fosse lasciata il rancore e l’imbarazzo alle spalle, ma non voleva rischiare.
“Vi prego di perdonare mia nipote, lady Freya, lady…” ci pensò un momento, poi tutti i pezzi cominciarono ad andare a posto. Aveva sentito dire che la figlia del capoclan si era sposata da poco, con una maga di una terra lontana. Al primo sguardo si erano riconosciute a vicenda come thiramin, anime gemelle. Era una cosa elfica che lui non avrebbe mai capito, innamorarsi di perfetti sconosciuti come se ci fosse dietro un qualche schema del destino… ma erano tante le cose che non capiva ed era giunto ad accettare i suoi limiti. “Ah... Aphedriel?”
“Corretto” l’elfa della luna lo gratificò con un sorriso leggero. “Dunque è vero quello che mi hanno detto, c’è un drow a Myth Dyraalis. Pensavo mi avessero raccontato una frottola.”
C’era qualcosa nel suo tono che alle orecchie di Daren suonò come una velata presa in giro, ma attribuì la cosa al suo essere sulla difensiva. Quest’elfa era una sconosciuta e non aveva motivo di essergli avversa, a meno che non diffidasse di lui per via della sua razza.
“E devo dire che la mia cara Freya aveva ragione!” Continuò, rivolgendogli uno sguardo lungo e malizioso. “Siete una gioia per gli occhi, ed è quanto mai fortuito incontrarvi in una festa come questa.”
Freya intrecciò le dita con quelle della compagna e poggiò la testa sulla sua spalla, ma rivolse all’elfo scuro uno sguardo che era chiaramente un invito.
Daren cominciò a sudare freddo, perché era chiaro dove le due elfe volessero andare a parare. Afferrò Jaylah con un gesto brusco, animato dalla fretta, e tenne la bambina davanti a sé come uno scudo vivente.
“Apprezzo moltissimo la compagnia di due dame così nobili ma purtroppo ho promesso di prendermi cura di mia nipote, sarei una persona indegna di fiducia se venissi meno ai miei doveri. Possano le stelle benedire il vostro cammino.” Si inchinò in fretta, senza lasciar loro il tempo di ribattere, e si allontanò al massimo della velocità consentita dall’etichetta.

Alle sue spalle, due elfe innamorate mantennero un’espressione leggermente offesa finché non giudicarono che si fosse allontanato abbastanza, poi scoppiarono a ridere.
“Aphedriel!” Freya le diede uno schiaffetto amichevole sul braccio. “Dovevi proprio prenderti gioco di lui in quel modo? È un poveraccio timido e impacciato con le capacità sociali di un orso.”
“Volevo solo vendicarmi un poco, perché lui un tempo ti piaceva.” Ammise la pallida fanciulla, con una scrollata di spalle.
“Gelosia?” rise l’elfa dei boschi. “Mia thiramin, io desidero solo te.”
“Però è stato divertente. Non avevo mai visto un drow in imbarazzo. Anzi, non avevo proprio mai visto un drow! Non avrei mai pensato di poterne punzecchiare uno e sopravvivere.”
Le due giovani amanti scoppiarono di nuovo a ridere, complice il vino elfico che avevano bevuto in abbondanza.
“Hai ragione” riconobbe Freya, “e non dovremmo permettere che l’etichetta e la buona creanza ci trattengano dal farlo ancora!”

Inconsapevole di essere stato solo il bersaglio di uno scherzo, l’elfo scuro continuò a camminare in fretta, ignorando le proteste di Jaylah che ogni due passi cambiava idea su dove andare. Lui tirò dritto fino a tornare nella piazza principale. Era gremita di persone, ma quantomeno queste festeggiavano con vino, musica e danze sfrenate, non con effusioni amorose.
Gli elfi più giovani si stavano cimentando nel saltare oltre un falò; secondo loro forse era divertente, secondo Daren non c’era nessuna ragione al mondo per fare una cosa così stupida.
Individuò il suo amico Johel appoggiato a un albero, con un bicchiere vuoto in mano e l’aria confusa. Andò ad appoggiarsi accanto a lui; gli alberi di Sarenestar erano così larghi che ci sarebbero voluti una dozzina di elfi per abbracciarli (e il drow era sicuro che prima dell’alba qualcuno lo avrebbe fatto).
“Sono troppo vecchio per queste cose” annunciò, a mo’ di saluto.
Johel girò il capo verso di lui e cercò di metterlo a fuoco, con notevole fatica. Sembrava che stesse tentando di recuperare la sua coscienza dispersa fra i fumi dell’alcol.
“E tu… chi… cosa diavolo sciei?”
Daren fece mentalmente il conto di quanti anni, anzi, quanti decenni lui e Johel avessero passato andando all’avventura insieme. Se l’elfo dei boschi non l’aveva riconosciuto, doveva essere così ubriaco da vedere il mondo alla rovescia. Il drow allungò una mano e gli diede un leggerissimo spintone. Come previsto, Johel si sbilanciò e cadde a terra come un sacco di patate.
“Papà!” Gridò Jaylah preoccupata, ma Daren non la lasciò scendere a terra.
“Tuo padre non sta dando il meglio di sé, stanotte.” Spiegò alla piccola. “Lasciamolo dormire.”
L’elfo scuro aggirò la grande radura che fungeva da piazza principale della città, tenendosi vicino agli alberi. Nonostante la sua cautela, almeno un paio di elfi danzanti gli turbinarono accanto invitandolo a unirsi a quel gioioso ballo collettivo, ma il burbero guerriero li scoraggiò con una semplice occhiataccia di ammonimento.
Non gli piaceva approfittarsi del naturale timore degli elfi verso i drow, ma qualche volta si trattava di legittima difesa.

   
 
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