Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    27/02/2019    0 recensioni
Una raccolta su situazioni, più o meno imbarazzanti, che lo sfortunato protagonista si ritroverà a dover gestire. Fatti quotidiani, che capitano nella vita di chiunque, prima o poi... quindi, perché non in quella del soldato più forte dell'umanità? - Raccolta di One-shot indipendenti le une dalle altre.
Dal testo:
«Posso entrare nel carrello? Mi fanno male gli scarponcini» fece per sedersi su una scaletta, di quelle usate dai commessi, ma una mano callosa lo tirò bruscamente in piedi.
«No»
«Perché no?»
«Ci devo mettere la spesa nel carrello»

La raccolta comprenderà situazioni differenti (sia AU, che non, all'occorrenza)
[La One-shot n° 8 partecipa al concorso "Situazioni XY" indetto sul forum efp da Biancarcano e Harriet]
Genere: Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Levi, Ackerman
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La volta in cui Levi seguì Kenny sul posto di lavoro


Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 3, Missione 2
* Prompt: Buonasera. Probabilmente tua madre merita di morire.
* Parole: 2062



***


«Buonasera. Probabilmente tua madre merita di morire.»

Con queste parole Levi Ackerman, colui che sarebbe poi diventato il “Soldato più forte dell’umanità”, si annunciò sulla soglia di una splendida villa nel cuore del Wall Sina. La villa in cui si era recato apparteneva ai Fustemberg, dinastia di alto lignaggio che discendeva direttamente dalla stirpe dei Fritz. Un maggiordomo impettito gli aveva aperto l’uscio controvoglia, squadrando i semplici abiti che indossava – una camicia e un paio di calzoncini,  affatto congrui per un incontro di tale importanza – prima di annunciare che lo avrebbe introdotto nello studio di Gerard, il più giovane rampollo dei signor Fustemberg.

A ben pensarci, anche a lui sarebbe piaciuto vivere lì. Chissà come era essere figlio di una delle più influenti famiglie nobiliari, invece che di una prostituta. A ben pensarci, la sua unica nomea era quella di nipote di Kenny lo Squartatore, famigerato assassino e sex symbol a tempo perso. A quei tempi, erano davvero pochi coloro che riuscivano a resistere al fascino oscuro della malvagità.

Levi, purtroppo per lui, ci riusciva benissimo; ed era proprio questo ad infastidire suo zio:
«Non combinerai mai niente di buono.» soleva ripetergli, mentre lo sfortunato ragazzo spazzava per terra, lavava i piatti, puliva i mobili dalla polvere e batteva i tappeti.

Levi aveva sedici anni, ma ne dimostrava la metà. Anzi, la radice quadrata. Sfiorava a stento il metro e mezzo ed era tanto gracile che un semplice alito di vento avrebbe potuto sollevarlo senza problemi. Per questo motivo, Kenny gli aveva imbottito le tasche della giacca di fastidiosi sassi e pezzi di mattone. I capelli neri erano acconciati nel solito taglio a scodella e gli occhi grigi mostravano sempre più un’aria stanca ed afflitta. Essere parente di un assassino tanto famoso aveva più lati negativi che positivi: in primis, tutti si aspettavano fosse all’altezza di suo zio – cosa impossibile tanto fisicamente, quanto professionalmente; inoltre,  a nessuno fregava di lui: i servigi maggiormente richiesti erano sempre quelli di Kenny e, a qualche raro pezzente che non poteva permettersi le tariffe del miglior serial killer in circolazione, quasi nessuno desiderava essere ucciso da un ragazzino rachitico.

Si era, dunque, ingegnato per poter essere comunque d’aiuto a Kenny senza stargli troppo tra i piedi. Poiché gli omicidi erano sempre più richiesti, si era ripromesso di svolgere la funzione di segretario e tuttofare. Le sue mansioni comprendevano: fissare gli appuntamenti, inviare un promemoria alle vittime nelle ventiquattro ore precedenti e, in caso di disdetta, trattenere le caparre già versate. Inoltre, cercava di assistere Kenny sul campo, fornendo anche un servizio di pulizia e sanificazione dei locali ad opera completata.

 
Levi venne fatto accomodare in un’ampia poltrona ai piedi di un elegante scrivania, ricolma di libri ed appunti vergati con calligrafia elegante. Su un altro scranno, dirimpetto al proprio, il giovane Gerard sedeva con aria assorta. Era un uomo sulla trentina, con i capelli biondi acconciati in una morbida coda e gli occhi chiari contornati da una coppia di occhiali spessi; se non fosse stato per questi ultimi e per il fisico troppo asciutto ed esile, Levi l’avrebbe trovato un bel tipo.

«Allora, signov Ackevman Juniov.» la erre completamente moscia, ovviamente, era un altro forte difetto «Mi è stato vifevito che siete qui per vicovdave a mia madve l’appuntamento di domani, è covvetto?»

«Assolutamente!» confermò con un cenno del capo «Mio zio, il signor Kenny, mi manda a dire che sarà qui poco prima di mezzanotte. Si augura di trovare una rispettosa accoglienza, degna del suo e del vostro nome.»

«Natuvalmente! Mia madve è davvevo eccitata all’idea di potevlo finalmente incontvave. Mi domandava se è vichiesto un abbigliamento pavticolave.»

«No, l’importante è che sia comoda ed a suo agio. Ha una modalità di morte preferita? Oppure lascia che ci pensi mio zio?»

«Nessuna vichiesta. Siamo nelle vostve capaci mani.» Gerard cavò un sacchetto dal primo cassetto, poggiandolo sul pianale della scrivania «Questo è l’acconto, come pattuito. Mille monete d’ovo, più duemila come saldo a lavovo fatto, giusto?»

«Perfettamente!» Levi intascò la somma, chinando frettolosamente il capo. «è stato un piacere fare affari con voi.»

«Il piaceve è tutto mio.»
 

***
 

Levi rientrò in casa, buttando il logoro mantello su una sedia e il sacchetto di monete sul vicino tavolo. Kenny lo stava aspettando con un coltello tra le mani.
«è filato tutto liscio?» gli chiese.

«Perfettamente, zio.» rispose, affinando un sorriso speranzoso «Mi chiedevo… non è che per caso, questa volta, potrei condurre io l’omicidio?»

«è una scusa per indossare il cappello?»

Naturalmente, la reale motivazione era soltanto quella. Kenny Ackerman aveva ereditato quel dannato copricapo dai suoi predecessori; una lunga discendenza che aveva fatto degli assassini una vera e propria professione. Il cappello era passato di testa in testa, sino a fossilizzarsi su quella di Kenny il quale aveva giurato che mai se ne sarebbe separato… e men che meno lo avrebbe lasciato al nipote – troppo incapace per essere giudicato un vero Ackerman.

«No, volevo soltanto fare un po’ di pratica.» mentì prontamente, ricevendo un cenno scocciato dal parente.

«Nemmeno per idea, Levi. Questo è una commissione profumatamente pagata. Non posso assolutamente permettere che un inetto come te la rovini. »

«Ma… sono stanco di occuparmi soltanto di straccioni e poveracci! Non mi pagano mai le provvigioni!­»

«Peggio per te. Hai voluto fare il furbo e lavorare in nero, invece che aprire una regolare partita iva? Ora ne subisci le conseguenze.»

«Ma… non posso aprirla, zio! Sono ancora minorenne.»

«Ah si? Diamine, dimentico sempre quanti anni hai. Se soltanto crescessi un po’, invece che tenerti quella faccia da rospo che ti ritrovi. In ogni caso, a maggior ragione! Non posso mica far lavorare un marmocchio.»

«Non ho più cinque anni, zio…»

«Non mi sembra proprio.» replicò lo Squartatore lapidario, lasciando cadere l’argomento «Ora basta ciarlare a vuoto. Preparami subito un pediluvio…e poi una manicure! Devo essere in perfetta forma per l’omicidio di domani.»

Levi annuì controvoglia. Sapeva che protestare non sarebbe servito a nulla, se non  a ricevere una dose gratuita di cinghiate sul didietro.
«Come lo vuoi il pediluvio, zio?»

«Tiepido, con una manciata di sali alla lavanda. Agitato, non mescolato. Se ci fosse anche un ombrellino da cocktail sarebbe perfetto. Ah, e prendimi il Corriere delle Mura! Mi piace leggere mentre mi lavo i piedi»
 

***
 

Raggiunsero la villa Fustemberg poco prima della mezzanotte. Tutte le luci erano ormai spente e soltanto una coppia di candele, prossima all’ingresso, indicava il battente lasciato provvidenzialmente socchiuso.

Kenny storse immediatamente la punta del naso, premendo piano sulla maniglia. Il portone si aprì senza alcuno sforzo.

«Puha!» sbottò con disgusto, varcando la soglia «Hanno persino lasciato la porta aperta! Per chi mi hanno preso questi? Per un dilettante?» ringhiò, affacciandosi sull’ampio ingresso della villa. Davanti a sé, nella penombra, scorgeva una lunga scalinata saliva al primo piano. Lungo il corrimano erano state piazzate delle frecce di legno che indicavano chiaramente la via da percorrere.

«Temo di sì, zio.» Levi si accostò al parente, fissando la strada ormai segnata.

«Non gli hai detto che non mi serviva alcun genere d’aiuto? Suvvia, questa cosa è per dilettanti.»

«Non sono stato così specifico, tuttavia…»

«Avresti dovuto, invece! Guarda che razza di pasticcio hai combinato.»

«Non è colpa mia…»

«Stronzate. È sempre colpa tua!» l’uomo sollevò le mani al cielo «Ah, Kuchel! Amata sorella… perché non mi hai lasciato un nipote meno cretino?»

Riprese a camminare, salendo i gradini con passo felpato. Kenny si muoveva come un gatto: strisciava nelle ombre, muovendosi con passi lenti e misurati. Il suo sguardo attento si focalizzava su ogni dettaglio, seguendo, suo malgrado, le frecce gialle che indicavano il cammino.

Infine, dopo una manciata di minuti durante i quali non incontrarono alcuna resistenza, giunsero in vista della camera della vittima.

«Credo sia questa…» sussurrò Levi, mentre l’altro sbuffava sonoramente.

«Ovviamente è questa! Non vedi? C’è persino un cartello!»

Un foglio di cartoncino colorato era stato appeso alla porta e recava la scritta:
“Benvenuto Kenny” accompagnata da sorrisi stilizzati e graziosi cuori disegnati a matita.

Lo Squartatore si affrettò a premere sulla maniglia, affatto sorpreso di trovarla aperta. Varcò la soglia, fissando, poco dopo, l’ambiente circostante. La stanza era sontuosamente arredata con un ampio armadio in legno chiaro sulla destra e una enorme specchiera dirimpetto. Sul fondo, proprio davanti ad una larga finestra coperta da tendaggi di seta dorata, era posto un letto a baldacchino sulle cui coperte leopardate giaceva una donna di circa sessant’anni coperta soltanto di una sottile sottoveste di pizzo.

La signora Fustemberg sollevò prontamente il capo quando li scorse entrare. Il viso era perfettamente truccato ed i capelli acconciati in una stretta ed elegante crocchia.

«Oh, Kenny… finalmente sei arrivato.» esclamò lei, fiondandosi giù dal materasso. Le gambe robuste mossero in  direzione dei due, scattando sui tappeti pregiati. Ancheggiò sinuosa sino a raggiungerli e protese le labbra al nulla «Sono tua, Kenny! Baciami.»  

Il killer fece un rapido passo indietro:
«Come? No, siete fuori strada. Non sono qui per questo.» esclamò, ma la donna stava già facendo scivolare la sottoveste per mostrare un audace completino intimo di pizzo rosso «Amh… madama, siete bellissima… va beh, così così. Siete passabile, ecco. Per cui, vi ringrazio dell’invito, ma non sono solito fornicare sul posto di lavoro. Se volete, vi cedo Levi per un paio d’ore.»

Quest’ultimo si schiacciò contro la parete, sperando di mimetizzarsi con la tappezzeria. Perché diamine aveva seguito suo zio in quella assurda impresa? Non voleva diventare il nuovo giocattolino di una audace quanto maliziosa aristocratica.

«Io…mh… avrei da fare.» sussurrò, cercando di riguadagnare l’uscita; Kenny, tuttavia, riuscì ad agguantarlo prima che si dileguasse.

«Ossia?»

«Devo andare dal dentista.»

«A mezzanotte passata?»

Si portò una mano alla guancia, frignando prontamente:
«Sì… ho un terribile mal di denti. Ti prego zio, lasciami andare dal dentista.»

«Nemmeno per idea! Prima di tutto, non ho soldi da buttare in spese inutili come le cure dentarie. E poi… devi soddisfare la signora qui.»

«Ma non mi piace!»

«E me la devo far piacere io, allora?»

«Io sono troppo giovane per accasarmi con questa! Sto ancora aspettando il mio biondo principe azzurro. Questa non è né bionda, né principesca.»

La donna riprese prontamente in mano la situazione, erigendosi su di loro:
«Io non voglio questo ragazzino tisico.»

«Ehi! Non ho la tisi!»

«Voglio solo voi, Kenny… fatemi vostra.»

Il killer indietreggiò di un altro passo, cercando la maniglia della porta a tentoni:
«Veramente, signora… ero venuto per uccidervi. Insomma, tra i miei servigi non rientra il sollazzo pre-mortem.» in effetti, poteva anche essere un nuovo sviluppo lavorativo, ma.. certamente, non si sentiva pronto per un passo così importante; men che meno quella sera e con una ninfomane assatanata.

«Allora uccidetemi tutta!» la signora prese ad abbassare le spalline del reggiseno.

Kenny abbassò di scatto la maniglia, spalancando la porta e fiondandosi all’esterno. Non si curò del nipote che, a giudicare dai passetti affrettati alle proprie spalle, doveva essergli corso dietro. Poco oltre, si udiva il marciare pesante della donna alle loro calcagna.

«Fermati, mio amato! Voglio essere uccisa da te.» continuava a gridare la sventurata.

Lo Squartatore non si fermò. Scese di corsa le scale, lanciandosi contro l’uscio che aveva fortunatamente lasciato aperto. Scattò all’esterno, sbattendo la porta alle proprie spalle. Un tonfo secco, poco dopo, gli ricordò che aveva un nipote dietro di sé.

«Non ne combini mai una giusta!» ringhiò, riaprendo l’ingresso e spiando Levi disteso sul pavimento, con il naso rotto e la faccia grondante di sangue «Ora mi toccherà pure pagarti una plastica facciale. Mh… magari il risultato sarà migliore dell’originale.» sbuffò, agguantando il ragazzo per un braccio e rimettendolo bruscamente in piedi.

«Amatoooo» le grida della padrona di casa tornarono a farsi sentire, insieme al passo delicato quanto quello di un gigante.

Il tempo stringeva e Kenny doveva prendere una rapida decisione: affrontare la donna oppure abbandonare Levi e cercare almeno di salvare sé stesso.
Come il lettore immaginerà, non fu affatto una scelta difficile.
 

***
 

Levi riuscì a rincasare soltanto la mattina seguente. La signora Fustemberg l’aveva trattenuto tutta la notte, costringendolo a raccontare vita, morte e miracoli di Kenny lo Squartatore. Gli aveva chiesto ripetutamente un autografo, un appuntamento galante, un omicidio al chiaro di luna… e Levi aveva sistematicamente evitato di rispondere. Alla fine, era riuscito a sgattaiolare via, approfittando di un sogno ad occhi aperti in cui la donna si era incautamente immersa.
  
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