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Autore: fumoemiele    03/03/2019    11 recensioni
Un paio di scosse ed era tutto ovattato, tutto tragico, tutto confuso.
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
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Bruciare il marcio
 
 
 
                   
Il tempo di una sigaretta fumata in salotto, sette minuti, e ritornavo in camera confusa, stordita, come se avessi fumato piombo e catrame; cosa che probabilmente facevo.
Sicuramente non c’è zucchero arrotolato dentro alle cartine, no?
Un paio di scosse ed era tutto ovattato, tutto tragico, tutto confuso.
Sentivo l’anima risalire su, guardare tutto dall’esterno e non comprendevo. Forse non volevo comprendere e mi sforzavo di farlo. Forse avevo solo la mente sovraccarica di frasi sconnesse, frame, ricordi distanti e persi in un limbo in cui nulla è quel che pare.
Innanzi a me solo un muro bianco, potevo guardarlo sollevando la testa, quando mi era consentito. Talvolta mi perdevo a osservare la muffa dall’odore stantio, talvolta vedevo i vermi arrampicarsi sui muri distrutti, una mano d’intonaco mai passata sulle pareti grezze.
Avevo qualcosa di fastidioso, in bocca. Mi proibiva di urlare.  
L’orologio appeso al muro ticchettava incessante e rivivevo gli incubi e i sogni di una vita eterna.

L’eclissi non mi abbandonava mai.
Vermiglia, pallida. Macabra.
La fissavo, rapita da una volta di sfondo tanto azzurra da inquietare, da scombussolarmi l’anima; non sono mai riuscita ad apprezzare il buio che precipita quando l’orologio segna che è ora di lasciare posto all’oscurità.
È ora di far uscire i mostri. 
Un boato spaventoso e lacerante.
Sentivo il cranio spaccarsi, frammentarsi.
E poi…
Quella cazzo di eclissi e un dolore incessante, il corpo scosso da tagli così profondi da scuotere l’anima, da ribaltare la psiche. Il basso ventre scosso dalle convulsioni, dai colpi, dagli affondi infiniti; i seni piccoli schiacciati contro il suolo, il freddo a pungere le gambe nude.
Faceva schifo. Faceva così schifo che non capivo come gli altri esseri umani potessero reputarlo piacevole, come potessero credere che scopare potesse essere un atto liberatorio, estasiante.
Io sentivo soltanto il bisogno di vomitare e trattenevo l’acido in gola, sperando di non strozzarmi con quello e con il terrore.
E quella cazzo di luna non se ne andava mai.
Aprivo gli occhi ed era ancora là.
Fanno bene a bruciare il marcio.
E non sapevo perché talvolta comparissero frasi sconnesse, apparentemente senza senso; ma le mandavo giù e le ingoiavo come bile.

Con la luna piena perdevo il sorriso, perdevo il senno.
Alcune volte c’era anche l’eclissi, di mezzo, e allora la sfera bianca si tingeva di un rosso vermiglio, lo stesso che gocciolava giù dalle gambe e sfumava nella neve ghiacciata.
Talvolta trovavo il coraggio di distogliere lo sguardo dalla luna, dall’eclissi, e allora voltavo il capo a chissà quanti gradi, e sforzavo il collo, faceva male, e gli occhi si appannavano, solo figure mostruose a sovrastare il colore del cielo, il verde morto degli alberi secchi.
Ghigni, sorrisi storti, soddisfazione.
E gelo. Profondo gelo fino all’anima, fino a sotto le costole, fino a dentro i polmoni.

Che fossi schiacciata sul terreno ghiacciato, le pupille fisse sull’eclissi, o fossi stesa con il volto diretto alla luna bianca, poco importava.
Se c’era quella sfera di mezzo andava tutto male, andava tutto storto, e c’erano le scosse.
C’erano quelle fottute scosse, e gli incubi, e i sogni uno sopra l’altro.

E un attimo c’era l’eclissi, c’era il rosso nel cielo e nella neve.
Un attimo c’era una suora, di fronte alla chiesa, inginocchiata sulla neve. Le mani unite, la voce cantilenante e una preghiera soffusa nell’aria a infondere timori e morte.
E ancora, talvolta, scappavo via con i piedi sulla neve, i vestiti inzuppati, la maglietta ghiacciata attaccata alla schiena. I rami scricchiolavano sotto al peso del corpo in moto, talvolta si spezzavano sprofondando ancor più giù nel terreno umido. Talvolta la neve crollava pesante dagli alberi e mi inzuppava i capelli scuri. E faceva freddo.
Faceva sempre freddo, che ci fosse l’eclissi o solo la luna piena.

Era un sovrapporsi costante e deleterio, inarrestabile e sconclusionato.
Erano sogni e incubi, erano timori, paure fondate, ricordi pallidi o grigi.

L’eclissi era ancora alta nel cielo quando arrancavo con i piedi sulla neve, il fiato congelato in gola, il terrore a smembrare le viscere.
Mi rivedevo fermarmi, cadere sulle ginocchia, vomitare sangue fluido e raggrumato.
Mi rivedevo sbrattare organi. Cos’era quella palla molliccia? Il cuore? Avevo vomitato il cuore? Un polmone? Avevo rigettato ciò che marciva con le sigarette? O forse il fegato?
E quella cazzo di suora pregava, e pregava, e pregava.
E io urlavo, e urlavo, e urlavo.

E mi inseguiva, il mio mostro; il mio delirio.
Mi inseguiva e lo sapevo, io, che dopo i deliranti affondi mi avrebbe divorato la pelle, avrebbe scavato con le unghie gialle e appuntite fino a disintegrarmi l’utero fra i denti aguzzi.

Erano preghiere, suppliche atoni, monotone.
L’eclissi era l’incubo, la paura incessante, il ricordo di ciò che mi aveva condotta fino a là. Riuscii a capirlo, ma troppo tardi. Ci riuscii solo dopo l’ultima sigaretta durata sette minuti.

La luna piena non riuscivo a contestualizzarla, non ancora.
Fa bene bruciare il marcio.
Fa bene friggerle il cervello.

Fa bene l’elettroshock, cancella il tumore che smembra la psiche e la frammenta in troppe parti, in troppi incubi.
Fa bene cancellare il terrore, fanno bene le scosse.
Lo dicevano gli esseri che, terminata la sigaretta, mi attaccavano al lettino con le cinghie marroni.

E la luna piena non era altro che il lampadario appeso al soffitto grezzo.

Fa bene bruciare il marcio, no?
Alla fine sparisce la tristezza, finiscono le emozioni. Rimane solo l’immagine dell’eclissi e quella della luna piena, o del lampadario.
Il resto sfuma via, il resto prende fuoco.
Fumo e cenere. Non c’è spazio nemmeno per il sangue.
Sono solo pensieri bruciati, sfumati via.
Morti.


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Questa storiella è nata questa mattina. Ero parecchio indecisa sul rating e, a dir la verità, non sono troppo sicura nel pubblicarla perché è un po' strana ed è stata tirata su da un'idea venuta totalmente a random.
Cioè, ho paura che non si capisca il senso, e ho paura che sia un mega fail. 
Sostanzialmente, se non si fosse capito, alla protagonista senza nome fanno l'elettroshock, così rivive il momento di dolore - mentre vede la luna piena = il lampadario -, sovrapposto ai ricordi che l'hanno portata in manicomio - l'eclissi -. 
Tra l'altro non mi soddisfa granché perché la prima persona mi fa sempre sembrare tutto brutto. Io davvero non capisco perché, ma mi fa strano scrivere in prima. Solo che ogni tanto ho voglia di cambiare, e quindi, boh, spero vi siate divertiti a leggerla. :s 
Almeno sono riuscita a pubblicare qualcosa fuori programma però, dai. u.u 
 

 

   
 
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