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Autore: wanderingheath    03/03/2019    0 recensioni
Los Angeles, 1979. L'assassinio dei coniugi Robinson, avvocati di punta impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, viene archiviato come una banale rapina, nonostante l'ispettore Powell - incaricato delle indagini - sia convinto che dietro al delitto si nasconda una più profonda e torbida verità.
A distanza di dodici anni, nuovi avventimenti sembrano convalidare tale ipotesi: il cadavere di Caleb Jacobs, un'evasione coperta dal silenzio e il ritorno di un criminale determinato a completare il proprio disegno di vendetta.
Honey Robinson, diciassettenne affetta da mutismo selettivo, finita nel mirino di una delle tante gangs giovanili che devastano la città, si troverà ad affrontare l'omicida dei propri genitori in una Los Angeles senza limiti, sanguinolenta e impietosa.
Genere: Avventura, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Prologo.



Un fulmine lacerò il cielo nel momento stesso in cui mise piede fuori dal motel.
Allo strappo di luce si aggiunse, un istante dopo, il roboante tumulto di tuoni.
Caleb Jacobs si congratulò con se stesso per la propria previdenza, mentre apriva l’ombrello color limone, unico baluardo contro il muro d’acqua che lo attendeva.
Fortunatamente, l’automobile era vicina.
L’aveva lasciata nel parcheggio riservato ai clienti, se così si poteva definire lo spiazzo deserto davanti a quell’ostello di infima categoria.
Detestava il maltempo.
Nella sua vita la pioggia non aveva mai portato nulla di buono e lo stesso si poteva dire per la città di Los Angeles, da cui si teneva quanto più possibile distante; ma la pioggia a Los Angeles, in quella stagione poi, costituiva una duplice, spiacevolissima, coincidenza, una stonatura impossibile da ignorare. Lui che nei segni del destino credeva fin troppo – e da fin troppo tempo – per archiviarli con scetticismo, percepiva l’intera situazione come l’acutissima, stridente, nota di un violino non accordato.
Il desiderio di rincasare suonava tuttavia più forte di qualunque altro richiamo.
Fattosi coraggio, si avviò sotto l’acquazzone, lasciandosi alle spalle l’insegna al neon ronzante, in procinto di dare forfait.
La ventiquattr’ore in similpelle sbatacchiava di tanto in tanto contro la gamba, fasciata dallo strato di pantaloni che costituivano più un velo che altro. Un velo umido e fastidiosamente aderente.
L’unico pensiero che riusciva a consolarlo si trovava a duecento miglia da lì, ad attenderlo nella villetta a due piani di sua proprietà: il calore della camera da letto, silenzio bianco, stanco, in cui muoversi come un essere fatato, ultraterreno, depositando i panni bagnati sulla sedia nell’angolo. Lì, rannicchiata nella coltre di lenzuola, la figura snella di Naomi con il costante respiro otturato nell’apnea notturna.
Chissà se aveva chiamato il giardiniere per sistemare il cortile sul retro. Conoscendo la precisione di sua moglie, il forte selfcontrol che la portava a voler tenere tutto sotto il proprio controllo, non solo lo aveva contattato, ma ingaggiato per la mattina seguente.
Jacobs lanciò un’occhiata al proprio Rolex, recente regalo dei colleghi per il suo compleanno, realizzando con stupore che la “mattina seguente” era iniziata da almeno un paio d’ore.
Aveva trascorso molto più del previsto in quel posto dimenticato da Dio, senza rendersene conto.
Fortunatamente Naomi aveva un sonno pesantissimo: toccato il cuscino, veniva risucchiata in un fortino inespugnabile, che neppure una detonazione avrebbe potuto turbare. Era di sua figlia che si preoccupava. Superata da un pezzo la fase in cui si alzava ogni cinque minuti per tirarlo giù dal letto, in preda agli incubi o annoiata dalla propria insonnia, adesso rincasava tardi, con le scarpe in mano e il viso strizzato in una smorfia, pregando il cielo di non trovarlo ancora sveglio.
Caleb Jacobs non era però uomo da prediche; sapeva come girava il mondo e sospettava che lei, ormai adolescente, lo sapesse anche meglio.
Quella notte, comunque, i ruoli si erano ridicolmente invertiti.
Raggiunta la Subaru di ultima generazione, Jacobs appoggiò la valigetta sul tetto dell’auto, frugandosi le tasche in cerca delle chiavi.
Le scambiava sempre di posto tra giacca, pantaloni, camicie e qualunque indumento munito di taschini, perdendo anche dieci minuti a cercarle: l’unica occasione in cui la sua onnipresente meticolosità cedeva.   
Ma dove diamine le aveva messe?
Qualcosa di freddo e metallico cozzò contro le nocche.
Ah, eccole lì. Erano al sicuro nella fodera della giacca.
L’ombrello, che nello sforzo della ricerca aveva incastrato nell’incavo del collo, venne spostato da una folata di vento. Si affrettò a stringerne impugnatura e manico bagnato con entrambe le mani, mentre un secco tintinnio denunciava la caduta del mazzo di chiavi.
Un sibilo d’imprecazione, trattenuta a malapena, lasciò le labbra di Jacobs.
Dovette mettersi carponi accanto alle ruote, un braccio allungato sotto l’automobile, la guancia graffiata dall’asfalto ruvido. Quella che si era prospettata come una nottata impegnativa ma breve, si stava rivelando più lunga e complicata del suo disegno.
«Trovate.»
La sua voce si disperse nel parcheggio vuoto, cimitero che ospitava al massimo un paio di vetture sgangherate. Il Java Twin Juction Motel non costituiva la prima scelta di nessun viaggiatore, per quanto disperato o a corto di benzina. «Dove credevate di scappare?»
Jacobs strinse nel pugno il suo tesoro, rimettendosi in piedi a fatica. Iniziava ad avvertire il peso di una vecchiaia precoce che si approssimava. Avrebbe chiamato il medico per quel problema alla schiena, ma in un secondo momento. Adesso voleva solo entrare nell’abitacolo della Subaru e dirigersi verso casa.
Quanto prima si fosse allontanato da Los Angeles, tanto prima si sarebbe sentito meglio.
Stava trafficando con la serratura, appoggiato alla portiera, rivoli di pioggia che scorrevano lungo i finestrini ad inzuppargli le maniche, quando una fitta gli lacerò il fianco.
Fu come sentirsi stracciare l’anca. Le crepature di dolore iniziarono a diffondersi tutt’intorno la ferita solo qualche secondo dopo la sua presa di coscienza: qualcuno lo aveva assalito.
Jacobs tentò di divincolarsi dalla morsa che gli attanagliava il braccio, voltandosi fulmineamente verso il proprio aggressore. Una testata lo destabilizzò, rompendogli il naso.
Accessi di sofferenza, acuti e simili a mucchi di spilli, gli torturarono la carne fin quando non si accasciò a terra. Il mazzetto di chiavi giaceva immobile accanto all’ombrello spruzzato di sangue, un rivolo carmino abbracciava le gomme della Subaru. Teneva gli occhi chiusi, Caleb Jacobs, con dei respiri pesanti provava ad isolare i centri di dolore, concentrandosi sul rumore di passi in allontanamento.
Uno... due… tre… quattro… decrescevano anche gli spasimi, si indeboliva il bruciore che lo corrodeva da dentro.
Cinque… sei… sette...
La mente si rivolse involontariamente alla figlia. Ma non era l’immagine che gli appariva davanti gli occhi ogni mattina, di una ragazza assonnata e pronta per recarsi controvoglia a scuola; no, adesso vedeva una bambina di appena quattro anni, con la scamiciata rossa e i capelli raccolti in un paio di treccine scure, che gli tendeva un mazzolino di fiori strappati dal giardino.
Era la Caroline con i pugni e il viso pieni di terriccio a venirgli incontro mentre la vita scivolava via in un ultimo battito.
In meno di trenta secondi era finita.
 
 
   
 
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