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Autore: _Madame_    03/03/2019    0 recensioni
Un tempo i cacciatori erano un fiero gruppo di fratelli d’arme; un tempo la piaga sembrava contrastabile. Quei giorni sono passati da tempo, ormai. Nel caos di una città collassata su se stessa, due bambine sono state lasciate sole e spaventate. Ma due degli ultimi cacciatori rimasti cono decisi a salvarle – a consegnarle alla luce del sole prima che la putrefazione e la rovina di Yharnam inghiottano tutti loro.
[Traduzione | Originale su Archive of Our Own | Eileen, Djura & Gascoigne's Daughters - Nessun bambino viene sbranato da un maiale in questa storia]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Childhood’s End di pebbeyrene

Traduzione a cura di _Madame_



Capitolo 2: Vespro



Le porte di Old Yharnam vibrarono e gemettero quando Eileen spinse il suo peso contro di loro.

Le lasciò aperte quel tanto da permettere a se stessa e alle bambine di scivolarvi attraverso, poi le richiuse di nuovo. Si fermò un momento, appoggiando le mani contro il legno marcio, per riprendere fiato. Non che lì fosse molto più sicuro rispetto all’altro lato della porta, ma le era di conforto sapere d’essersi chiusa alle spalle tutto ciò che avrebbe potuto tender loro un agguato.

Avevano corso in tutta fretta attraverso le fogne ed erano tornate in superficie non appena avevano trovato una scala, coprendo poco più della metà del percorso che Eileen aveva sperato inizialmente. Si erano fermate ad una fontana per lavarsi gli stivali nell’acqua salmastra e riordinare le idee. Era stato sciocco da parte di Eileen perdere la testa, ed era andata avanti a maledirsi mentalmente mentre avanzavano lentamente per le strade. Il ghoul l’aveva colta di sorpresa – non aveva mai visto belve in quella parte delle fogne – ma non era una valida scusa. E lei aveva permesso alla mancanza della maschera di destabilizzarla ulteriormente. La maschera offriva protezione dalla piaga, certo, ma lei cominciava ad aggrapparsi a quell’oggetto come un bambino alla sua coperta preferita, e questo era inammissibile; aveva avuto abbastanza bambini da rendersene conto. Tuttavia, l’aveva nuovamente indossata non appena erano state al sicuro. Domani, aveva giurato a se stessa, domani si sarebbe impegnata per spezzare il suo attaccamento alla maschera: ma prima avrebbero dovuto superare la notte.

Laure e Adele osservavano i cadaveri carbonizzati delle belve con gli occhi sgranati, mentre avanzavano verso il punto panoramico.

«Aspettate, ragazze», le richiamò Eileen. «Non muovetevi.» Scrutò l’orizzonte trovando la vecchia torre, il suo quadrante brillava enigmaticamente negli ultimi raggi cremisi del sole. Non riusciva a distinguere alcuna figura sulla cima, naturalmente, ma non aveva dubbi sul fatto che Djura fosse lì, né che avesse già notato l’invasione nel suo territorio.

«Laure, sta ferma un attimo» si inginocchiò per afferrare per la vita la bambina più piccola e la sollevò, abbastanza in alto da sederla sulla sua spalla; le sue vecchie ossa gemettero per lo sforzo.

«Che stai facendo?» chiese Adele, mentre Laure si lasciava sfuggire un gemito sorpreso.

Eileen teneva lo sguardo fisso sulla torre. «Assicurandomi che Djura veda chi c’è.»

Lei era assolutamente inconfondibile, con il suo mantello e copricapo, ma dubitava che Djura le avrebbe garantito un passaggio sicuro in nome dei vecchi tempi. Dubitava, anche, che fosse in grado di riconoscere le bambine Gascoigne da quella distanza, e dopo così tanto tempo. Ma che le riconoscesse o meno, era certa che il vecchio pazzo non avrebbe mai aperto il fuoco su dei bambini.

Tenne in alto Laure un altro po’. Djura non gridò, perlomeno, probabilmente ancora scioccato dalla vista della loro strana combriccola. Posò a terra Laure e fece un cenno ad Adele.

«Vedete la torre, laggiù? Andremo là. Ovviamente ci saranno belve anche qui – saremo rapide e silenziose, e cercheremo di non combatterle.»

Non appena attraversarono il ponte, Djura finalmente ritornò in sé. La sua voce echeggiò sui tetti: «Eileen! Qualunque cosa tu stia architettando, stai lontana dalle mie belve. Se le ferisci...»

Cosa, Djura? Pensò Eileen. Mi abbatterai, e queste povere bambine con me? Improbabile. Djura non terminò la sua minaccia, consapevole d’esser stato messo all’angolo.

«Perché non vuole che feriamo le belve?» sussurrò Adele.

«Le protegge. Silenzio,» disse, frenando il fiume di domande che vedeva frullarle in testa. Tenne le bambine vicino alle pareti mentre superavano una belva ancora in parte umana. Non appena questa si avventurò più vicina, Eileen afferrò un pezzo di legno da una delle pire ancora in fiamme e la tenne d’innanzi a loro. La belva balzò all’indietro, piagnucolante, emettendo un gemito gutturale e sofferente. Eileen non avrebbe mai capito perché Djura considerasse un atto di clemenza lasciarli in quello stato, barcollanti e deformi, quando un rapido fendente della sua lama avrebbe potuto liberarli per sempre dalla loro miseria.

Tenne sempre le bambine celate lungo i bordi delle strade, trascinandole attraverso vicoli e edifici bruciati per evitare di attraversare i percorsi delle belve che vagavano per Old Yharnam. Non aveva senso inimicarsi Djura, e in ogni caso – beh, le bambine avevano visto abbastanza sangue quella sera da bastargli per il resto della vita. Perlomeno, il quartiere abbandonato era più tranquillo rispetto a quelli superiori: niente urla, risate isteriche, né echi di lame che graffiavano sulla pietra. Solo i lamenti e i ringhi delle belve e il crepitare delle fiamme. La cenere ricopriva ogni cosa. Attutì i loro passi, si posò sui capelli e sulla pelle delle bambine. Eileen tenne loro i colletti sulla bocca dov’era più fitta, per evitare che la respirassero.

Era lì la notte in cui era bruciata. Tutti lo erano. Era stata una mossa disperata, nemmeno poteva definirla una scommessa – non c’erano stati calcoli né valutazioni accurate delle probabilità. Era stato l’attacco delirante di un animale messo all’angolo. Oh, la Chiesa ne aveva fatto un trionfo, l’aveva proclamata una santa e nobile crociata. Ma tutti si erano resi conto che la piaga non stava regredendo, che le belve iniziavano a superare di numero gli uomini – specialmente lì, in quel quartiere maledetto già decimato dal sangue cinereo. E guarda chi ha vinto quella notte, sotto quell’ultraterrena luna rossa, a causa della folle e sanguinaria violenza dei cacciatori: le belve governavano le strade lì, adesso, non gli uomini. Alcuni cacciatori erano morti quella notte, altri erano scomparsi; altri avevano incominciato a spezzarsi. Djura lo era certamente. Tutto per nulla.

Eppure, Eileen ricordava tutto con una certa indifferenza. Ciò che è fatto e fatto. Ci avevano provato, avevano fallito, e poco a poco erano caduti a pezzi. Ciò che trovava più difficile da accettare, ora, era il fatto che avessero sempre creduto di poter strappare una vittoria definitiva e assoluta in quella lotta. Era da tanto che non si aspettava altro che minimi successi: quella guerra infinita tra ordine e caos si riduceva allo schianto delle sue lame contro quelle del suo avversario ebbro di sangue. E anche quelle vittorie su scala umana non erano più così ovvie come un tempo.

Mentre camminavano il sole scivolò sotto l’orizzonte, il cielo si colorò di viola e per le strade le ombre s’infittirono e si allungarono avidamente per inghiottire tutto quel che potevano raggiungere.

Avevano quasi raggiunto la base della torre quando una figura incappucciata emerse dall’oscurità tagliando loro la strada. Eileen imprecò quasi ad alta voce.

«Ferma dove sei» disse l’uomo. La portò all’interno, le bambine accanto a lei. «Cosa ti porta qui?»

Pareva familiare, ma solo vagamente.; sangue nuovo, suppose, arruolato quando ormai tutto stava collassando, non uno dei vecchi veterani che avrebbero frequentato la casa dei Gascoigne. Sapeva che Djura aveva plagiato alcuni devoti alla sua folle crociata, ma non ne aveva mai incontrato uno e nemmeno si era aspettata di trovarsi il passaggio precluso. Doveva essersi ritirato sulla torre quando aveva scoperto la presenza di un intruso.

Tirò le bambine più vicine a sé. «Ho una consegna per Djura.»

«So che genere di consegna rechi, Cacciatore di Cacciatori.»

Eileen rise forte. «È di questo che si tratta? Non ho alcun interesse per il tuo maestro. Finché se ne resta qui buono nella sua tana non è affar mio. Queste bambine sono le figlie di un amico comune e necessitano della sua protezione. Non appena saranno al sicuro, me ne andrò.»

Il cacciatore studiò le bambine cautamente. «Old Yharnam non è posto per bambini.»

«Yharnam non è posto per bambini. Soprattutto stanotte. Non permetterete alla caccia di venire qui – quale posto più sicuro di questo, allora?»

Il cacciatore soppesò le sue parole, i suoi occhi scintillavano da sotto il suo cappuccio mentre guardava Laure e Adele. Eileen pregò che quel genere d’uomo che avrebbe sacrificato la sua vita per la causa di Djura fosse anche quel genere d’uomo che si sarebbe lasciato intenerire da una coppia di bambine spaventate, e silenziosamente sperò che le ragazzine apparissero dolci ed indifese come non mai. Alla fine lui disse: «Parlerò con Djura. Aspettate qui.»

Salì la scala. Le bambine rimasero curiosamente silenziose nell’attesa, schiacciate contro Eileen, le loro teste chine come se la stanchezza avesse avuto il sopravvento su di loro; Adele giocherellò distrattamente con le piume del mantello della cacciatrice. Finalmente il subalterno di Djura fece ritorno.

«Eileen, ha detto che parlerà con te. Lascia qui le bambine.»

«Le bambine vengono con me» rispose Eileen con fermezza. Prima che l’uomo potesse ribattere, approfittò del suo vantaggio spingendole verso la scala. Bella mossa, Djura, pensò. Immagino ti sentiresti molto meno in colpa a scaraventarmi giù dalla torre senza bambini lì a guardare, vero? O forse pensavi che vedere le loro faccine avrebbe reso troppo difficile rifiutare?

Le bambine si allarmarono messe davanti alla scala.

«Fin lassù?» chiese Laure debolmente, allungando il collo.

«Siete delle ragazzi grandi ormai», disse Eileen. «Salite la scala. Avanti – andate per prime, io sarò proprio dietro di voi. Così se doveste cadere avrete un bel atterraggio morbido.»

Non risero, ma Laure si fece coraggio e s’incamminò, Adele la seguì. Salirono ad un ritmo costante, e Eileen le tenne d’occhio controllando che non scivolassero. Quando Laure raggiunse finalmente la cima, si sollevò in un’esplosione d’energia esclamando tutto d’un fiato: «Ti-prego-Zio-Djura-possiamo-stare-quì?»

Eileen si arrampicò subito dietro ad Adele e con qualche sforzo riuscì a rimettere la terra sotto i piedi. Laure si era congelata a metà del tetto, come se avesse iniziato a correre verso Djura ma poi ci avesse ripensato, e Eileen non la biasimò. Tanto per cominciare, il ricordo di lui della bambina doveva essere confuso, e persino ad una rapida occhiata nella luce morente appariva emaciato e in uno stato pure peggiore versava il vestiario: abiti a brandelli e sbiaditi, i capelli scarmigliati. Ovviamente aveva perso la benda sull’occhio e l’aveva sostituita con una fasciatura non troppo pulita. Adele indugiò alle spalle di sua sorella, ugualmente esitante; prese la mano di Laure.

Djura, da parte sua, non sembrò meno sorpreso. «Eileen» disse infine, «che diavolo sta succedendo?»

«Ricordi le figlie di Gascoigne» disse Eileen con calma. Da dietro la maschera scrutò il perforatore che portava sul braccio destro: un’arma goffa, secondo i suoi calcoli, ma Djura non se ne separava mai, e gli spazi stretti lì in cima alla torre gli avrebbero permesso di usarlo a proprio vantaggio. «Gascoigne è sparito, e Viola l’ha seguito. Le bambine erano sole in casa. Ho del lavoro da fare stasera, forse più di quel che credevo: non possono stare con me.»

«Vuoi che le tenga qui?»

Djura spostò rapidamente lo sguardo tra lei, le bambine e il tetto stesso più volte, probabilmente considerandone l’inadeguatezza come asilo.

«Saremo bravissime, Zio Djura» disse Laure sottovoce, insolitamente timida.

«Solo fino al sorgere del sole» aggiunse Eileen.

«E poi cosa?»

«E poi il sole sarà sorto, e le cose potrebbero sembrare diverse. O forse no. Ad ogni modo, tornerò per loro.»

Djura sembrava ancora vagamente scettico, ed Eileen quasi lo compatì: tagliato fuori da ogni umana compagnia per anni, per poi far entrare lei con due bambine al seguito chiedendogli di giocare a far la tata per la notte.

«Ti prenderai cura di loro? Non hanno nessun altro posto in cui andare.»

Ci fu una pausa. Poi, finalmente: «Lo farò.»

L’ultima fievole luce stava lasciando il cielo e gli edifici sottostanti erano avvolti nell’ombra; era ora di andare. Eileen carezzò dolcemente la testa a Laure e Adele.

«Siete state molto coraggiose stasera, entrambe. Date retta a Djura, adesso, vi rivedrò domattina.»

Laure cercò la sua mano. «E tu troverai Mamma e Papà, vero?»

Eileen strinse le piccole dita. «Farò tutto il possibile.»

Prima di ridiscendere la scala, si fermò voltandosi.

«Dovesse succedere qualcosa – potrai trovarmi a Cathedral Ward questa notte.»

Quindi avvolse il suo mantello e scese.



Djura rimase a guardare le sue due responsabilità, rigido e impacciato nella disperata ricerca di qualcosa da dire. Le bambine Gascoigne lo guardavano timidamente, raggomitolate una vicino all’altra come in cerca di calore. Il silenzio si dilatò tra loro, pesante e vuoto, finché lui alla fine non decise di azzerare la distanza e sollevò delicatamente il mento di Adele con la mano libera.

«Allora, che diamine vi ha fatto, eh?» disse. «Sembrate dei piccoli spazzacamini.»

E venne ricompensato da due brevi, esitanti sorrisi.

«Zia Eileen ci ha detto di sporcarci di cenere» disse Laure «Ci rende più difficili da vedere.»

«Ah, ingegnoso.»

Sotto la fuliggine ora riconosceva i volti familiari delle bambine che conosceva da quando erano in fasce. Tempo in cui teneva sempre dei dolci in tasca ogni volta che sapeva sarebbe passato dalla casa dei Gascoigne, infilandoli nelle loro piccole dita cicciottelle quando i loro genitori non stavano guardando. Ma, ora, sembravano un po’ troppo grandi per venir corrotte con un pezzo di liquirizia.

«Vi siete alzate di parecchio da che vi ho viste l’ultima volta» disse, sforzandosi di conversare. «Non fa male, crescere così in fretta?»

«Non ti abbiamo più visto per anni» lo corresse Laure, in tono di rimprovero. «Sei stato qui tutto il tempo?»

«Beh – sì.»

«Perché?» chiese lei.

«Io – Io proteggo le belve.»

«Ma perché?» ripeté lei. «E cos’è quella?» – indicando la Gatling. «E perché è tutto bruciato? E chi era quello sotto?»

Djura, annaspando, non abituato a quel genere di conversazione, guardò impotente Adele.

«Zia Eileen non ci dice mai il perché» spiegò la più grande, a giustificazione di sua sorella. «Ci dice solo di fare cose e poi “Silenzio”».

«Silancio1» disse Laure tranquillamente, imitando l’accento di Eileen.

Adele improvvisamente ridacchiò. «Silancio» ripeté lei. «Silancio.»

Entrambe le bambine presero a ridacchiare, silanciandosi l’un l’altra a turno. C’era un vigore morboso in ciò, una disperata valvola di sfogo per tutte le prove che avevano dovuto affrontare per arrivare fin lì – il che non doveva essere stato poco, pensò Djura, tracciando mentalmente il percorso dalla loro casa fino al vecchio quartiere.

Ad un tratto Adele dominò se stessa, tirando la mano di sua sorella. «Non dovremmo scherzare» disse, combattendo contro il suo stesso sorriso. «Non è carino.»

Ah, piccola seriosa Adele. Djura ricordava ancora quando era una bimbetta grande abbastanza da reggersi a malapena in piedi: Viola la teneva seduta in grembo mentre riceveva gli ospiti in salotto, e Adele li squadrava tutti con la fronte corrugata e un’aria di sospetto. Henryk era l’unico, oltre ai suoi genitori, che riusciva a farla sorridere o ridere; amava afferrare le penne che gli ornavano il cappello. Allora c’era un altro cacciatore, Albert, malizioso, impudente e libertino; frustrato dal successo di Henryk, aveva tentato ogni genere di trucchetto riportato nei libri per ottenere da lei un’identica risposta solo per scontrarsi con un muro di pietra. Avevano ululato dalle risate – Ha capito il tuo gioco, eh? Ragazza sveglia!

E poi era arrivata Laure, diversa dalla sorella come il giorno e la notte.: sorridente e solare, affettuosa, avventurosa, e nemmeno in minima parte così esigente. Quando si arrabbiava, però, era imperdibile: si gettava sul pavimento inarcando la schiena, paonazza in viso, agitando braccia e gambe; i suoi genitori si preoccupavano sempre che potesse farsi del male. Crescendo, i suoi scoppi d’ira si erano fatti meno frequenti ma comunque formidabili. Una volta, prima che la Chiesa avesse posto fine a questo genere di cose, Djura si era fermato alla casa per lasciare alcuni piani d’azione, ma quando un Gascoigne dall’aria esausta era venuto ad aprire la porta, aveva sentito gli strilli e le urla di Laure.

«Due ore e mezza» aveva detto Gascoigne, sbattendogli l’uscio in faccia.

Con tutti gli altri cacciatori, però, Laure e Adele erano delle bambine d’oro, e perché non avrebbero dovuto esserlo? Erano i piccoli tesori di tutti. Le mani callose e sfregiate dalla battaglia si allungavano sempre per accarezzargli i capelli o dare loro dei regali, e ricevevano tutto a buona ragione. Pochi cacciatori avevano avuto figli. Meno ancora sarebbero stati in grado di allevarli in un simile idillio domestico. E tra la gente comune, molte giovani famiglie avevano preso a fuggire da Yharnam, preferendo tentare in un nuovo posto sconosciuto piuttosto che rischiare la vita dei propri cari nelle strade infestate dalle belve. Solo Gascoigne sembrava invulnerabile al marciume dilagante di Yharnam: marito, moglie e due figlie sane e felici vivevano le loro giornate in una casa calda e accogliente, belve o meno. E dopo lunghe notti di stragi, c’erano ben pochi cacciatori che non volessero fuggire in quel mondo per un po’, chi non avrebbe voluto godere della possibilità di dimenticare i suoi problemi per un’ora o due tra le allegre chiacchiere di una ragazzina? Djura non li visitava spesso né si tratteneva a lungo come certi altri, ma gli piaceva pensare d’essersi fatto apprezzare dalle bambine come consulente ingegneristico per le loro fortezze quando giocavano ai cavalieri e castelli, portando loro in dono piccoli ingranaggi e involucri brillanti di proiettili per le decorazioni.

«Questa è una mitragliatrice Gatling», disse Djura. «Vieni a darle un’occhiata.»



Un poco della tanto agognata quiete avanzò attraverso la torre mentre l’oscurità s’infittiva. Laure si era dimostrata un po’ troppo interessata alla Gatling, pensando cocciutamente che le sarebbe stato concesso di provarla; Djura era riuscito a distrarla solamente offrendole del cibo. Si era diretto verso la botola ed aveva frugato nel suo deposito di conserve scavato tra le case incenerite sottostanti. Sebbene le bambine dicessero di star morendo di fame, non era riuscito a convincerle su di una scatola di fagiolini, che gli era sembrato un qualcosa di sano da offrire a dei bambini in piena crescita. Dopo averli piluccati di malavoglia per qualche minuto, guardandolo con occhi malinconici, si era visto costretto a gettare la spugna, finendo col mangiare lui i fagioli e dando loro un barattolo di marmellata appiccicosa. Vi avevano immerso le sue gallette, e rosicchiare e lottare con il biscotto duro combattendo per ottenere un morso le aveva tenute occupate abbastanza a lungo affinché Djura potesse rimuovere il suo perforatore, accasciarsi su si una sedia, e domandarsi in che razza guaio, per gli Dei celesti, era andato a cacciarsi.

Quando ebbero finito, le bambine vollero risalire a guardare il panorama, e si erano sistemate con soddisfazione sul bordo del tetto. Djura aveva la vaga sensazione che forse non avrebbe dovuto permetter loro di sedersi con le gambe a penzoloni sopra una caduta letale, ma sembravano abbastanza stabili, e Adele aveva una buona presa sulla sorella. Laure sembrava sul punto di addormentarsi, con la testa appoggiata contro la spalla di Adele.

Djura non era certo di che fare con se stesso. Era abituato a trascorrere le sue notte in silenzio meditativo, tamburellando ritmi distratti sulla Gatling o riparando amorevolmente le sue armi, venendo interrotto solamente da un occasionale, sciocco cacciatore che aveva ignorato i suoi avvertimenti; dormiva durante il giorno, soprattutto, e usava la luce del sole per andare a frugare per le strade quando le belve erano più tranquille. Le sue giornate avevano un ritmo semplice per le bambine: inconscio, automatico, quasi – ci aveva riflettuto più di una volta, con un sorriso ironico – onirico. Riusciva a malapena a ricordare il sogno, solo vaghe immagini: un campo di fiori, un paio di mani bianche e gelide. Abbastanza piacevole, rispetto ai sogni che aveva ora di fumo e sangue che gocciolava dalle sue dita.

Il ritmo della sua vita lì teneva tutto ciò lontano dalla sua mente vigile, tenendolo dolcemente sospeso sull’orlo della sua consapevolezza: ma quelle due piccole figure appollaiate sul bordo del tetto lo avevano completamente destabilizzato. Camminò rigidamente avanti e indietro, scrutando l’orizzonte, prestando ascolto ad ogni suono di disordine sottostante, timido e nervoso. Guardò di nuovo le bambine, e alla fine, sospirando, le raggiunse.

Si sistemò maldestramente vicino ad Adele. Era alla sua destra, nel suo punto cieco; dovette voltare la testa per guardarla. Lo stava osservando con quella sua espressione buffa e grave, ma quando la sorprese a fissarlo lei distolse lo sguardo. Ma dopo un attimo di silenzio, finalmente parlò:

«Perché non vuoi che qualcuno ferisca le belve?»

Quante volte aveva tentato di spiegare quel concetto prima di ritirarsi definitivamente a Old Yharnam – non ultimo al padre della bambina? Ma era passato tanto tempo da che aveva dovuto dar spiegazioni. Aveva dimenticato come si faceva. Tuttavia, cercò le parole e alla fine arrivarono, maldestre e schiette.

«Sono persone» disse stancamente. «Sono solo persone. Sono malate, Adele, hai capito? Non vogliono fare del male. Non sanno quel che fanno. Non è giusto ucciderle, solo per questo.»

«Oh» disse Adele. Fece una pausa, rigirando la domanda. «E se ti attaccassero? È sbagliato ferirle, se stai solamente cercando di scappare?» Il suo tono era pensoso, filosofico, non polemico. «Abbiamo dovuto combatterne alcune, sulla nostra strada fin qui. Avrebbero potuto ucciderci se non l’avessimo fatto.»

Djura si sforzò intensamente per non immaginarselo – le bambine in balia di una qualche belva, la belva in balia delle lame di Eileen – ma non poté farne a meno.

«È solo – la caccia. Non l’hai mai vista. Inviare cacciatori armati fino ai denti, notte dopo notte – non è giusto. Sono solo persone.»

Dopo un momento di pensoso silenzio, Adele disse: «Ho visto mio padre, quando torna dalla caccia.»

Djura aspettò, ma lei non disse altro, e non riuscì a capire se fosse d’accordo con lui o meno.

Dalla loro postazione potevano vedere le luci delle finestre della città alta, moltiplicarsi sempre più ad ogni momento che passava. Non ce n’erano così tante ora come lo erano state sei mesi prima. Ma se comparata ai quartieri alti, Old Yharnam ai loro piedi era un completo deserto, buio e compatto che risuonava con echi delle grida delle belve.

«Sono malate come Papà?» chiese Laure.

«Che cosa?» mormorò Djura, sorpreso: pensava che Laure si fosse addormentata.

«Le belve» disse Laure. «Anche Papà è malato, ma lui e la Mamma non ci vogliono dire cosa c’è che non va, non proprio, e Addie dice che non dovrei chiedere perché li rattrista. È malato come loro? Perché a volte ci dimentica, e lui non sa – » proruppe in un piccolo strillo acuto.

«Addie,» disse, afferrando il braccio di sua sorella. «Addie – il carillon

Adele, vicina a lui, si fece di pietra.

«Deve averlo preso» disse, «deve, se ne ricorderebbe – »

«Era sulla mensola!» la contraddisse Laure, la sua voce si alzò per il panico. Si rialzò in piedi – «Attenta, Laure» gridò Adele nello stesso momento in cui Djura urlava «Ferma» – ma lei aveva trovato il suo appoggio e cominciò a strattonare con urgenza sua sorella. «Era sulla mensola del caminetto, Addie, al piano di sopra, dove siamo andate a prendere la cenere – l’ho visto, ne sono certa, era lì – »

Adesso anche Adele era in piedi, con gli occhi sgranati. «Non l’ha preso con sé?» disse freneticamente. «Quand’è uscita stamattina – ha preso la pistola ma non il carillon, ed è grosso, avrebbe dovuto tenerlo in mano, ce ne saremmo accorte – »

«Zio Djura, Zio Djura» chiamò Laure, «dobbiamo tornare indietro – Mamma non ha il carillon

«Il carillon» biascicò Djura alzandosi i piedi, di fronte alle bambine agitate. Non aveva la benché minima idea di che stessero parlando, ma non le aveva mai viste così spaventate – un conto sarebbe stato se fosse stata solamente Laure ad agitarsi, ma Adele sembrava sul punto si svenire – e una scheggia ghiacciata aveva preso a scivolargli giù per la spina dorsale da che Laure aveva chiesto se le belve fossero malate come Papà.

«Suona la canzone preferita di Papà» spiegò Laure con urgenza, «e quando ci dimentica la suoniamo per lui così che ricordi – non intende far del male a nessuno, no, ma è come hai detto tu, a volte non sa quel che fa – ma se Mamma non l’ha con sé – potrebbe – potrebbe – » Laure non finì la frase. Non ne aveva bisogno.

Che Dio fosse maledetto.

Gascoigne, di tutte le persone – quell’uomo era una roccia, un’ancora; c’era una ragione se i cacciatori si erano avvicinati a lui, si erano radunati a casa sua, adottato le sue figlie e non c’entrava nulla la cucina di Viola. Lui e Djura non erano mai stati quelli che Djura avrebbe potuto chiamare amici, anche prima che iniziasse la discesa verso l’inferno, ma c’erano state molte cacce nelle quali Djura si era sentito confortato nel avere Gascoigne come alleato. Era stato tutto ciò che un cacciatore avrebbe dovuto essere, devoto e invincibile – il che significava che era stato tutto ciò che Djura disprezzava da che aveva capito ciò che era davvero la caccia. E anche così, fu scosso dal pensiero che quell’uomo avesse ceduto alla piaga.

Ma c’era anche qualcos’altro, un interruttore che cercava di scattare nel suo tormentato cervello – continuava a distrarsi pensando a Viola che vagava indifesa possibile preda del suo stesso piagato marito, e che fossero maledetti gli Dei, a lui piaceva Viola, non che questo facesse molta differenza – ma no, non era quello – che aveva detto Eileen?

Ho del lavoro da fare stasera, forse più di quel che credevo.

Non possono stare con me.

Merda.

Merda.

Eileen stava inseguendo Gascoigne. Certo. I suoi soliti bersagli erano i cacciatori ebbri di sangue, non le belve, ma solo gli Dei sapevano che razza di danno avrebbe potuto arrecare un chierico potente come Gascoigne se mutato, e per qualche folle motivo Eileen probabilmente sentiva essere una sua responsabilità finire il suo vecchio amico. Djura si tolse il cappello passandosi una mano fra i capelli, scompigliandoli freneticamente.

«Questo carillon» disse. «Dite che aiuta quando lui…?»

«Sì» disse Adele con urgenza. La sua espressione era più seria che mai, i suoi occhi lo perforavano; poteva sentire quanto intensamente stesse cercando di convincerlo a prendere la cosa sul serio. «Per favore, Zio Djura, dobbiamo tornare indietro a prendere il carillon, e trovare Mamma – »

Djura non sapeva come trovare Viola; cercare di rintracciare una donna sola per la città, senza dubbio abbastanza intelligente da evitare di lasciare tracce, sembra un’impresa folle. Ma un Gascoigne ammattito sarebbe potuto essere più semplice da individuare – sicuramente Eileen doveva averci pensato e se le bambine conoscessero un modo per salvare loro padre dalle lame di un cacciatore…

Era una follia, certo. Pensare di tornare indietro attraverso la città, con due bambine al seguito – lasciando Old Yharnam incustodita – beh, non del tutto incustodita – ma sicuramente sarebbe stata più sicura con due guardiani anziché uno –

Laure scattò in avanti afferrandogli la mano. «Ti prego, Zio Djura, dobbiamo salvare la mamma» supplicò. Le sue piccole dita erano calde nel suo palmo, dai suoi occhi iniziavano a scendere lacrime esasperate, e Djura sapeva per cosa era fatto.

«Datemi un minuto» disse, «datemi un minuto, per preparare questo posto – »

Aprì la botola, prendendo le sue armi, la polvere da sparo e tutto ciò di cui aveva bisogno per andare ai “piani alti”.



1 Silancio: non sapendo bene come tradurre l’”Hoosh” (Hush) di Eileen per mantenere la battuta sul suo accento, ho deciso di usare la parola Silenzio imbastardendola con una sorta di pronuncia francese (in francese “Silenzio” si dice “Silance”, da qui Silancio). Non mi fa troppo impazzire come soluzione, ma non me ne venivano in mente altre – tutti i consigli sul come rendere al meglio la cosa sono ben accetti, perciò non siate timidi.




Note della traduttrice (_Madame_)
Oddio, quasi non mi sembra vero d’avercela fatta.
Capitolo secondo, ovvero, dove Djura si ritrova inaspettatamente a dover fare il baby sitter.
Ricordo che quando lessi per la prima volta questo capitolo, m’invaghii completamente del personaggio di Djura. Adoro come lo ha costruito Pabbeyrene, è così dannatamente naturale da sembrar fuoriuscito direttamente dal gioco. È lui! E poi è troppo spassoso il suo rapporto con le bambine. Adorabile. Semplicemente adorabile.
Tenetevi forte perché sta per arrivare il bello…
Ringrazio tutti voi lettori a nome mio e dell’autrice originale, e vi invito a lasciare anche solo un breve commento per farci sapere se la storia vi sta piacendo, se avete dei consigli da dare (alla sottoscritta, soprattutto per quanto concerne la traduzione), se vi piacciono i personaggi di questa storia, quello che volete, insomma.
Mi sono resa conto d’essere stata imprecisa nello scorso capitolo e di non aver aggiunto una nota che, a mio parere, avrebbe potuto rendere la lettura più semplice e comprensibile. Perciò, d’ora in poi, mi premurerò di chiarire ogni cosa con delle piccole annotazioni – e, sì, aggiungerò anche quella dello scorso capitolo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima.


   
 
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