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Autore: Gala    09/03/2019    0 recensioni
Storia partecipante al COW-T 2019
Tre punti di vista diversi in momenti oscuri della vita di Roy, Al e Ed, prima di partire ognuno per un tipo diverso di viaggio, fisico o mentale.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Titolo: The one thing that I miss more than sunshine

-Autore: Gala

-Fandom: Fullmetal Alchemist (Brotherhood)

-Pairings: Roy/Ed

-Genere: Romantico, Introspettivo

-Personaggi: Edward Elric, Alphonse Elric, Roy Mustang e molti altri...

-Warnings: Slash

-Raiting: verde

-Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati. Inoltre questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hiromu Arakawa. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per puro divertimento.

-Note dell'autore: Questa storia partecipa al COW-T 2019 con il prompt “partire per un lungo viaggio”




The one thing that I miss more than sunshine

Lost light



Roy_

 

Quando lo avevano obbligato alla trasmutazione umana, Roy Mustang si era ritrovato davanti alla Verità. La prima cosa a cui pensò, perso in quello spazio bianco e davanti al portale, fu come doveva essere sembrato spaventoso ai fratelli Elric il giorno in cui da bambini gli si erano ritrovati davanti.

La Verità gli aveva mostrato i segreti dell’alchimia, ma a un prezzo.

La luce.

La sua vista.

Quando era stato ributtato nel mondo reale, gli sembrò di essere stato inghiottito dall’oscurità. Tutto era buio intorno a lui, si sentiva smarrito e disorientato.

Fu estremamente grato quando udì la voce di Fullmetal al suo fianco, mentre le sue mani correvano sul suo corpo per accertarsi che fosse tutto intero. Fullmetal aveva capito infatti, dalle parole che gli rivolse a stento, che aveva visto cosa c’era oltre il portale, e voleva scoprire cosa gli era stato tolto.

Tutto quello era frustrante! Come poteva capire cosa gli era successo se era tutto così dannatamente buio?!

Poi la consapevolezza della cecità lo colpì come un pugno al sapore di metallo di automail, dritto in pieno petto.

Era diventato completamente inutile.

Non avrebbe potuto dirigere le sue fiamme senza vedere il bersaglio. La sua alchimia era troppo potente e spaventosa per poterla usare in maniera così sconsiderata.

Il suo desiderio così viscerale di vedere un futuro migliore per la sua nazione, gli aveva fatto perdere la capacità di farlo.

La sua condizione gli impedì di vedere la fine del Padre.

Fortunatamente, grazie a Riza, era riuscito a dare il suo contributo nella battaglia finale, anche se il colpo di grazia era stato di Fullmetal.

Non vide i due fratelli Elric sacrificarsi a vicenda per poter infine riavere indietro i loro corpi.

Non potè vedere Alphonse in carne ed ossa, sebbene avesse sognato quel momento da quando aveva conosciuto i due fratelli tanti anni prima a Resembool. Si era perso le loro espressioni di gioia e vittoria, a dispetto di tutte le avversità.

Dopo furono tutti ricoverati. La battaglia contro gli homunculus non li aveva lasciati indenni.

I due fratelli avrebbero impiegato due mesi per essere dimessi dall’ospedale. I loro corpi erano troppo provati per potersene andare prima, sebbene avessero voluto partire subito per tornare a casa da zia Pinako e Winry. Volevano più di ogni altra cosa concludere quel capitolo della loro vita insieme.

La ferita agli occhi di Mustang non poteva guarire però.

I primi giorni di buio assoluto lo avevano lasciato amareggiato e insolitamente tranquillo. Non poteva farci niente, purtroppo, sebbene la punizione che aveva ricevuto per la sua superbia, non fosse stata causata da lui stesso. Dopo aver visto quei ragazzi precipitare al suolo per essersi avvicinati troppo al sole, mai avrebbe eseguito una trasmutazione umana volontariamente.

Avere Riza nella sua stessa camera lo aveva aiutato; probabilmente era stata lei stessa a fare quel genere di richiesta.

Lei non avrebbe mai permesso che si arrendesse. Aveva tante cose che poteva ancora fare e a cui avrebbe dovuto porre rimedio.

Fare ammenda per i torti di Ishval poteva essere un buon punto di partenza, uno a cui teneva particolarmente per giunta.

Per poter entrare in trattativa con il popolo di Ishval, orgoglioso e austero com’era, avrebbe prima dovuto studiare a fondo la loro cultura e religione, cosicché da potersi guadagnare la loro fiducia.

I suoi sottoposti erano più che felici di aiutarlo a memorizzare quante più informazioni possibili.

Non aveva più avuto modo di incontrare i fratelli Elric, sebbene avesse chiesto a Breda di tenerlo aggiornato sul loro stato di salute.

Quando se ne andarono, non passarono a salutarlo. Si chiese se la vista dei suoi occhi vacui e lattiginosi li facesse sentire in colpa in qualche maniera. Forse era stato meglio così.

Non poterli vedere finalmente nei loro corpi, gli dava una strana sensazione all’altezza della bocca dello stomaco.

Avrebbe odiato farsi vedere in quelle condizioni da Fullmetal, soprattutto perché non avrebbe comunque potuto vedere che tipo di sguardo gli avrebbe riservato, vedendolo ridotto in quella maniera.

Alcune notti, quando anche il mondo diventava oscuro e buio intorno a lui, si sentiva abbastanza al sicuro da far uscire un pensiero scomodo.

Si chiedeva se la Verità avesse voluto punirlo per il suo peccato più profondo e nascosto, quello che godeva della vista dell’oro che ardeva di fiamme cupe infondo agli occhi di Fullmetal. Aveva desiderato a lungo di poter vedere le propria dita pallide scorrere tra i suoi fili dorati, o la sua pelle ambrata accapponarsi ad una sua carezza.

Tutto ciò sarebbe rimasto un sogno perverso e nascosto, irrealizzabile… fino a quel giorno.

Quando dottor Marcoh si presentò nella sua camera d’ospedale, finalmente rivide la luce.

Con l’aiuto di una pietra filosofale, tutto era stato risanato, o quasi.

Sarebbe partito per Ishval, avrebbe lasciato Central city per risanare le ferite che aveva causato durante la guerra, per essere degno di essere un giorno Comandante Supremo e poter guardare senza vergogna Fullmetal negli occhi.









Alphonse_



C'erano delle volte, in cui Alphonse si concentrava nello spazio all'interno della sua armatura. Buio e silenzioso.

Se stava in silenzio ed immobile, accoccolato nell'oscurità della notte, era come non esistere.

Da quando aveva incontrato numero 66, aveva cominciato a dubitare di sé stesso, perso nella convinzione di non essere più che un mero desiderio di suo fratello.  Una proiezione.

Naturalmente continuava a ripetersi che non poteva essere vero, perché il desiderio di riavere un corpo era reale, così come quello di poter di nuovo sentire il mondo contro la pelle, di poter piangere davvero e non solo soffrire nel silenzio della sua anima.

Quell'episodio poi era passato e con suo fratello si erano diretti a Briggs.

Lì aveva cominciato a sentirsi di nuovo strano. Il legame della sua anima con l'armatura si era fatto più debole e un'oscurità diversa era arrivata a ghermirlo.

Il suo corpo rivoleva indietro la sua anima e a forza la strappava dalla realtà per farla arrivare fino al portale.

Il giorno della promessa ci riuscì ed infine lo raggiunse.

Finalmente poteva tornare a casa, terminando il lungo viaggio che aveva iniziato il giorno che avevano bruciato il loro peccato e il loro passato.







Edward_



Dopo aver praticato la trasmutazione umana, Edward si era sentito inghiottito dall’oscurità e dal senso di colpa. Aveva ucciso di nuovo la mamma, perso il corpo di Al e ora si trovava bloccato su di una sedia a rotelle senza più il braccio e la gamba. Era stato punito per essersi creduto superiore agli Dei, rimanendo scottato per essersi avvicinato troppo al sole.

Faceva pena, completamente inutile nella sua condizione di misero essere umano. In quel momento si sarebbe volentieri lasciato morire.

A dargli la scossa che gli serviva ci pensò un militare.

Quando entrò a casa di zia Pinako, lo aggredì verbalmente e sgridò per il tabù che aveva infranto.

Fu grazie ad Al se si fermò e propose loro il piano folle di entrare nell’esercito per poter riavere indietro i loro corpi.

Quando se ne andò una nuova risoluzione bruciava dentro di lui. Avrebbe chiesto a Winry e zia Pinako di dargli degli automail, così da poter partire e lasciarsi alle spalle tutto il dolore che la casa di loro madre gli causava.

Partirono lui e Al un anno dopo e non si fermarono più. Nemmeno dopo il giorno della promessa ebbero pace. Al partì per Xing, mentre lui, ormai senza alchimia, partì prima per Creta e poi per Aerugo.

Non era più tornato a Central city.

Cinquecentoventi centesimi bruciavano nella sua tasca, ma non sarebbe tornato indietro se non per saldare il suo debito. Il bastardo doveva diventare Comandante Supremo se voleva che tornasse.

Aveva saputo per via traverse che il Dr. Marcoh aveva curato la sua cecità, quindi non avrebbe avuto problemi a realizzare il suo sogno.

Così rimaneva lontano, per paura che se avesse rivisto Mustang non sarebbe più riuscito ad andarsene.

La sua vita era stata un continuo errare per terre diverse e quasi aveva paura che avrebbe smesso di esistere se solo si fosse fermato.

Winry ormai si era rassegnata. La loro non sarebbe potuta essere più di un’amicizia ed era andata avanti con la sua vita.

Al si era sposato con May e ora vivevano felici un po’ tra Xing e un po’ tra Risembool.

Solo lui non trovava un posto dove riposare le sue ali stanche, troppo abituato a migrare sempre più lontano dal suo nido.



Roy/Edward




Il giorno che Roy Mustang divenne Comandante supremo ci fu una grande celebrazione.  Con il suo team passò tutta la notte a festeggiare, sebbene non riuscisse a godersi appieno la gioia del momento. Maes sarebbe stato fiero di lui, ma più di ogni altra cosa gli mancava quella voce capace di ogni genere di profanità che usciva dalle labbra di un angelo.

Aveva rivisto Alphonse qualche volta in quegli anni. Riceveva anche foto dei suoi figli, giusto per rimanere aggiornato e in contatto. Gli sembrava un sogno quando si rendeva conto che l’armatura era ormai una cosa passata e quel ragazzo di cui conosceva solo la voce ora era un uomo.

Di Edward nemmeno l’ombra.

 

Prima di stordirsi fino al coma etilico, Roy ben decise di ritirarsi dalla gara di bevute che aveva ingaggiato Havoc, camminando fino a casa. Non era il caso che si mettesse alla guida in quelle condizioni. Doveva pur guidare una nazione dalla mattina dopo.

Ad attenderlo alla porta del proprio appartamento c’era una figura incappucciata.

«Chi va là?», chiese, cercando di mettere bene a fuoco nel buio della notte.

«Un debitore», disse una voce che a lungo aveva agognato di sentire. Senza rendersene conto trattenne il fiato, mentre l’uomo davanti a lui si separava dal muro al quale era appoggiato e si tirava indietro il cappuccio.

Aveva i capelli molto più lunghi di come ricordava, ma il colore profondo e vibrante dell’oro più profondo non era cambiato. Aveva lo sguardo più adulto e stanco di come non lo avesse mai visto e si chiese cosa avesse appreso nei suoi lunghi viaggi.

«Cinquecentoventi centesimi. Congratulazioni, Comandante Supremo», aveva detto Ed, frugandosi in tasca per renderli all’uomo che li prese senza nemmeno rendersene conto, troppo incantato da ciò che aveva davanti per fare altro se non fissarlo. Era come rivedere la luce del sole dopo anni di buio e solitudine.

Senza capire come, scoppiò a ridere, lasciando cadere a terra le monete ed afferrando Edward per le spalle, poggiando la fronte contro il suo petto. Era cresciuta la piccola peste. Quasi lo raggiungeva in altezza.

«Sei tornato», aveva detto in un soffio impercettibile, tanto piano che venne ingoiato dal silenzio della notte.

«Sei ubriaco bastardo, lascia che ti accompagni di sopra», aveva detto il biondo, ma la sua voce non era animosa o sarcastica, bensì dolce. Aveva una valigia con sé e la portò dentro casa di Mustang, accompagnandolo su per le scale.

Non sarebbe più partito per cercare un nuovo sole estivo in cui volare lontano. Il fuoco dell’alchimia di Roy era abbastanza caldo per costruire il suo nido in maniera permanente.

   
 
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