Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Biohazard    09/03/2019    3 recensioni
La leggenda narra che molto tempo fa Dei e Demoni vivessero lontani, senza possibilità di entrare in contatto gli uni con gli altri, tranne che in determinati momenti temporali e sempre sotto l’occhio vigilie dei due sovrani. Tutti erano a conoscenza della ferrea legge divina e i due mondi non entrarono mai in contatto al di fuori dei tempi prestabiliti, almeno fino a quando il demone scimmia della guerra Oozaru e la dea della luna Blutz non s’innamorarono e dal loro amore nacque un bambino, un bambino bellissimo e dannato, dai capelli biondi e la coda di scimmia.
[FantasyAu!] [Goku/Vegeta]
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Goku, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NdA:// Buonasera, sono qui per fare qualche comunicazione. Questo racconto è una AU a cui inizialmente volevo dare uno sfondo storico ben preciso, dove anche personaggi storici realmente esistiti si sarebbero mossi all'interno della fic. Poi, ho realizzato che sarebbe stato molto, molto difficile gestire una cosa così impegnativa e ho deciso di darle comunque una sorta di carattere storico, richiamando stili e abitudini tipicamente medioevali, ma inventando l'era di riferimento emescolandoci alcuni elemneti fantasy.  Altro appunto, sì, si tratta di una Goku/Vegeta, ma vuole essere innanzitutto un racconto avventuroso, quindi non abbiate pregiudizi fin dall'inizio. Beh, io incrocio le dita e spero che il mio racconto vi piaccia e vi faccia appassionare, spero di dar vita a qualcosa di originale e più maturo rispetto alle altre mie fic, ma sarete voi a stabilirlo ^^.

Disclaimer: Dragon Ball e il suo universo appartengono ad Akira Toriyama. Il racconto non ha scopo di lucro.

 
 
Antefatto
 
 
 
La leggenda narra che molto tempo fa Dei e Demoni vivessero lontani, senza possibilità di entrare in contatto gli uni con gli altri, tranne che in determinati momenti temporali e sempre sotto l’occhio vigilie dei due sovrani.
I primi risiedevano nel mondo celeste, guidati da Kaiohshin il sommo, e incarnavano le qualità, le virtù e le forze positive della natura.
I secondi, relegati nelle profonde oscurità degli Inferi sotto il comando di Re Enma, erano la nemesi delle divinità celesti: rappresentavano sentimenti quali odio, paura e dolore ed erano altresì responsabili di catastrofi e calamità naturali.
Tutti erano a conoscenza della ferrea legge divina e i due mondi non entrarono mai in contatto al di fuori dei tempi prestabiliti, almeno fino a quando il demone scimmia della guerra Oozaru e la dea della luna Blutz non s’innamorarono.
Per secoli il demone l’aveva scorta da lontano, mentre con i suoi pallidi raggi illuminava le notti buie e immenso era stato il suo stupore quando aveva scoperto che durante le più grandi battaglie, Blutz aveva fatto lo stesso.
Così contro ogni logica, i due amanti, assumendo forma umana, si erano incontrati nel mondo di mezzo: la Terra.
Pur sapendo che prima o poi sarebbero stati puniti, preferivano godere di quei pochi attimi che riuscivano a vivere insieme, piuttosto che passare un’eternità senza mai potersi toccare; e dal loro amore nacque un bambino, un bambino bellissimo e dannato, dai capelli biondi e la coda di scimmia.
I due, però, non riuscirono a nascondere il loro amore ancora a lungo: il demone dell’odio Garlic li scoprì e denunciò il fatto a Re Enma.
Gli amanti furono separati e sottoposti al giudizio divino: Oozaru venne privato dei suoi poteri e rinchiuso nelle profondità della terra, senza avere mai più la possibilità di vedere il mondo esterno; Blutz venne relegata nel regno dei cieli.
Per quanto riguarda il bambino, ne Kaiohshin il sommo, ne Re Enma ebbero la forza di togliere la vita ad un neonato, così decisero che sarebbe stato il fato a scegliere per lui: fu così che il piccolo Saiyan venne spedito sulla Terra e di lui non si seppe più nulla.
Ma questo accadde molto, molto tempo fa…
 
 
*****
 
“Così devi andare figlio mio, questo è il tempo dell’addio,
ma io ti rincontrerò se Iddio ci ascolterà”
(Ascoltaci-Il principe d’Egitto)
 
 
III Evo dell’Era Shitennou
 
                Bardak era inquieto quella sera. Un vento gelido spirava da Est, facendo scricchiolare le assi del tetto. Non sapeva che cosa lo innervosisse, ma c’era qualcosa nell’aria che non gli faceva presagire nulla di buono. Scrutò il cielo terso in direzione della luna, simbolo della sua razza, la fiera e orgogliosa razza dei guerrieri Saiyan, nelle cui vene scorreva il sangue di antiche popolazioni barbariche. La pallida luce lunare illuminava il volto teso del guerriero, segnato da una profonda cicatrice sulla guancia sinistra. Scrollò la testa, forse la recente scomparsa della moglie lo aveva reso instabile.
Un mugolio sommesso proveniente da una piccola culla nella stanza lo fece voltare e, dirigendosi verso il giaciglio, scrutò con sollievo il viso profondamente addormentato del suo secondo genito appena nato, Kakaroth. Il piccolo aveva poco meno di una settimana e sua madre era spirata proprio nel darlo alla luce. Le levatrici avevano capito subito che il parto sarebbe stato complicato, ma la situazione era precipitata poco dopo la nascita del piccolo: il sangue non si era arrestato, consumando lentamente la vita della sua compagna.
Ricordava il suo volto cereo, ma sorridente per aver messo al mondo un altro guerriero. Sul suo capezzale le aveva promesso che Kakaroth e Radish sarebbero diventati due dei migliori combattenti del loro clan.
Bardak osservò il figlio con orgoglio: quella minuscola creatura era il suo ritratto dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Radish, il primogenito, ormai prossimo all’adolescenza, gli assomigliava, ma non come Kakaroth. Anche se non l’aveva dato a vedere, per il ragazzino, la perdita della madre era stata un duro colpo. Non aveva pianto, ma Bardak in quegli ultimi giorni lo aveva visto spesso con gli occhi arrossati; usciva il mattino presto per andare a cavallo e poi si allenava costantemente, sia nel corpo che nell’uso della spada. La sera era talmente stanco da addormentarsi istantaneamente.
Con un sospiro di sollievo constatò che il piccolo non si era svegliato. Era una vera impresa farlo addormentare e anche la balia era sicura che il bambino dimostrasse già il suo caratterino da vero guerriero.
Fu proprio mentre osservava il volto addormentato del figlioletto, che il corno di Toma risuonò nella valle. Era il segnale di pericolo. Con uno scatto fulmineo il saiyan afferrò la spada e si precipitò all’esterno, mentre Kakaroth aveva iniziato a strillare nella culla. L’aria fredda di quella notte d’autunno gli sferzò il viso. L’intero villaggio si era destato e i guerrieri, uomini e donne, brandivano le loro armi pronti a difendere il territorio.
Chi mai poteva aver avuto l’ardire di attaccare il temuto popolo dei guerrieri Saiyan?
Il solo pronunciare il loro nome era motivo di terrore da parte delle popolazioni dell’intero continente. Con coraggio e ardore avevano piegato le popolazioni del Nord, assoggettandole al potere di Lord Freezer.
Bardak rabbrividì di disgusto al pensiero di quel maledetto. Come Re Vegeta avesse acconsentito che diventassero i suoi cagnolini ancora non riusciva a capirlo. Si ricordava bene quando era comparso seguito dai suoi scagnozzi più feroci, Zarbon e Dodoria. Anche se erano solo in tre l’aura maligna che li pervadeva era più che percepibile, era quasi palpabile.
Lord Freezer apriva la fila al centro, Zarbon alla sua sinistra e Dodoria sulla destra.
Avevano attraversato il villaggio con uno sguardo di disprezzo e derisione dipinto negli occhi e nessuno prima d’ora aveva mai osato tanto. Per questo motivo Radek, insieme al suo gruppo di guerrieri, li aveva fermati rabbioso, domandando per quale motivo stessero attraversando il villaggio di Vegeta, il cui nome era tramandato di generazione in generazione agli eredi al trono, senza alcun rispetto, e se si rendevano conto di chi avevano davanti. Lord Freezer dal canto suo non aveva mostrato alcun timore nel rispondere divertito “Un branco di scimmioni”.
In men che non si dica si erano ritrovati circondati da una ventina di guerrieri Saiyan, furibondi e armati fino a denti. Bardak aveva osservato la scena da lontano, pronto ad intervenire in caso di aiuto, che a parer di molti, non sarebbe stato necessario. Cosa potevano tre uomini contro l’intero casato dei Saiyan? Eppure l’istinto aveva detto a Bardak di non abbassare la guardia. Chiunque avrebbe già implorato pietà, ma non quei tre, il cui aspetto non incuteva certo timore: Lord Freezer, avvolto da un lungo mantello nero, era appena poco più altro un ragazzino di dodici anni, con una corporatura minuta e poco muscolosa, era calvo con il volto squadrato, il naso piccolo e due occhi viola dallo sguardo crudele. Dodoria, calvo anche lui, sembrava un monaco decisamente sovrappeso, nella sua tunica marrone. Zarbon, con lunghi capelli intrecciati dietro la testa, era l’unico dei tre ad avere l’aspetto di un guerriero: alto almeno un metro e ottanta, muscoloso e forte, indossava una pesante armatura, ma i suoi movimenti erano sicuri e disinvolti. Tuttavia il viso angelico dai tratti regolari, strideva con il ghigno di scherno che aveva stampato in volto. Quando Radek aveva attaccato tutti erano rimasti a bocca aperta nel vedere uno dei più valorosi guerrieri del villaggio, scaraventato nella pozza dei maiali dal corpulento Dodoria. Nessuno avrebbe mai immaginato che un uomo della sua mole potesse muoversi tanto agilmente e soprattutto respingere il fendente della spada di Radek. Un silenzio attonito era sceso sulla scena, mentre Lord Freezer rideva di gusto alla vista del guerriero disteso nella melma. Radek schiumava di rabbia: non c’era niente di peggio per un Saiyan, che vedere il proprio orgoglio infangato, – in questo caso nel vero senso del termine – neanche la morte. L’arrivo di Re Vegeta, accompagnato dalla consorte in avanzato stato di gravidanza, aveva posto fine ad ogni discussione. I sovrani avevano ricevuto gli stranieri nel castello e solo dopo qualche ora erano stati visti uscire e allontanarsi dal villaggio. Nei giorni seguenti il Re non si fece vedere quasi mai, fino a che una mattina richiese una riunione dei guerrieri nella sala grande del castello. Con sguardo greve aveva annunciato ai sudditi sbalorditi che erano entrati in affari con Lord Freezer. Un borbottio di disapprovazione e sdegno si era subito diffuso nella nel grande salone, subito placato dal sovrano. “Se conquisteremo per lui i vari territori della regione, Lord Freezer ci ricompenserà con denaro e viveri a volontà. Invierò un messo per comunicare la notizia.”
“Ma vostra maestà, abbiamo sempre combattuto per il nostro tornaconto e siamo sempre stati capaci di procuraci tutto ciò di cui avessimo bisogno, non capisco perché abbiate deciso di sottostare alle richieste di quel tipo! Non ritengo sia necessario instaurare dei rapporti con gli stranieri, non li conosciamo e non possiamo fidarci!” a parlare era stato Toma, suscitando diversi sguardi d’assenso.
“Valorosi guerrieri” questa volta fu la Regina Rosicheena a parlare, alzandosi dal trono e mettendosi affianco del marito. Bella e altera, la Regina era un modello per tutte le guerriere, con la sua gentilezza e lealtà era amata da tutti, ma allo stesso tempo era anche una valorosa combattente, forte e coraggiosa, mentre il Re era in battaglia era lei ad avere il comando, cosa che non accadeva in nessun’altro regno, dove le donne dovevano occuparsi solo della casa e dei figli, figuriamoci comandare e combattere.
“Non dubitate del vostro sovrano, forse non potete capire il perché della sua scelta, ma dovete avere fiducia in lui. Vi ha sempre guidato bene e, sempre insieme a voi, ha combattuto grandi battaglie con coraggio e valore. Quindi perché dubitate di lui? So bene che il vostro orgoglio ha subito una scossa, i Saiyan sono guerrieri che combattono solo per il proprio popolo e la propria gloria e che fino ad ora non ci siamo mai alleati con nessuno, ma se il Re ha scelto così, sappiate che la sua è stata una decisione a lungo ponderata, con validi motivi per giungere a questa conclusione”.
Le parole della Regina sembravano aver rinfrancato i guerrieri e l’atmosfera era adesso più distesa.
“Ora tornate alle vostre attività con animo gaio” aveva continuato con un sorriso, afferrando dolcemente il braccio del marito e appoggiando una mano sul ventre “Presto saremo allietati dalla nascita di un erede al trono!”
Un boato di gioia esplose nel salone seguito da urla d’incitamento mentre i guerrieri battevano ritmicamente i piedi a terra. I sovrani guardarono i sudditi con approvazione, poi con un cenno del capo il Re sciolse l’assemblea e i tutti tornarono alle loro occupazioni, anche se molti, nonostante la lealtà verso i sovrani, continuavano a non approvare quella decisione e Bardak era uno di questi.
Cinque anni erano già trascorsi da quel giorno.
Adesso, invece, una minaccia che ancora non aveva volto incombeva alle porte del villaggio. Il ponte levatoio stava per essere sollevato in attesa che le sentinelle rientrassero, e gli arcieri erano in posizione sulle mura. I fanti erano già in sella ai cavalli armate di scudi, spade e mazze chiodate.
Il Re e la Regina erano stati avvisati e si preparavano con il popolo a dare battaglia.
“Stanno rientrando, preparatevi a sollevare il ponte” urlò Toma dall’alto delle mura. Bardak poteva vederli dalle inferiate: cavalcavano verso il villaggio, frustando i cavalli sui fianchi per spronarli ad essere ancora più veloci. Tuttavia a pochi metri dall’ingresso, una nube fitta di frecce infuocate accese il cielo notturno e le tre sentinelle caddero colpite mortalmente. I guerrieri sulle mura si ripararono dietro ai possenti scudi. Alcune frecce erano cadute dentro al villaggio, appiccando diversi focolai.
“Dove sono?” gridò il Re.
“Nascosti nel bosco!” 
“Forza uomini, seguitemi, pagheranno caro il loro affronto! Rosicheena porta con te delle guerriere e nascondete i bambini! Arcieri copriteci dall’alto e fate in modo che nessun nemico si avvicini!”
Bardak salì in sella al suo cavallo pronto a seguire il re, quando Radish uscì di casa, correndo verso suo padre: indossava una pesante cotta di ferro, la spada era già fissata al fianco ed imbracciava l’arco pronto a seguirlo.
“Padre! Combatterò anch’io!”
“Non se ne parla! Prendi tuo fratello e segui la Regina!” gli ordinò l’uomo “Capisco il tuo ardore, ma per te non è ancora il momento! Ora vai!” e senza attendere risposta colpì i fianchi del cavallo partendo in direzione del bosco, attraverso la vallata.
 
*****
 
Radish guardò suo padre uscire dalle mura del castello insieme a tutti gli altri guerrieri, fino a che il ponte levatoio non fu sollevato facendoli scomparire alla sua vista lui. Con frustrazione rinfoderò la spada e messo l’arco a tracolla rientrò in casa, mentre le fiamme cominciavano a divampare nel villaggio. Kakaroth nella culla strillava a più non posso. Il ragazzo prese alcune bisacce di latte di capra e il medaglione che era appartenuto a sua madre, sul cui retro era stampigliato lo stemma del clan, avvolse Kakaroth in una in una coperta e corse in direzione del castello, dove Seripa, Kendra, Vilandra, Kira e Nihm, le guerriere personali al servizio della Regina, aiutavano la sovrana a mettere al sicuro, nella stanza nascosta del palazzo, i più giovani.
“Forza, sbrigati!” gli urlò Seripa all’ingresso del castello.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e con le ali ai piedi corse in direzione del palazzo.
“Radish! Attento” l’urlo angosciato di Seripa lo fece voltare, e con terrore vide un altro nugolo di frecce infiammate incendiare il cielo notturno. Sapendo che non sarebbe riuscito a raggiungere il castello in tempo prima che la pioggia di frecce lo colpisse, Radish si infilò nella casa più vicina. In men che non si dica il fuoco cominciò a divampare, attaccando le travi del soffitto e facendo piovere pezzi di tetto incandescenti. Con il fumo che gli bruciava gli occhi cercò la finestra più vicina, ne spalancò le ante e facendo attenzione, saltò fuori dalla casa in fiamme. Si sentiva già spossato: il fumo inalato continuava a farlo tossire e a pizzicargli la gola. Inspirò ed espirò un paio di volte a pieni polmoni l’aria della notte. Quando finalmente i battiti ripresero un ritmo abbastanza regolare, alzò di nuovo lo sguardo verso il castello e con angoscia vide il corpo di Seripa disteso sui gradini in una pozza di sangue. Cosa diavolo era accaduto in quei pochi minuti in cui era nella casa in fiamme? Poi le udì.
Erano urla, urla di terrore e provenivano da dentro il castello. Gli altri bambini piangevano e strillavano, e Radish sentì le gambe cedergli. Chi o cosa li stava attaccando?
Poi tutto cessò e il silenzio scese sul villaggio in fiamme. Strinse Kakaroth ancora più forte contro di se, nel tentativo di calmarlo, ma non era facile quando il suo stesso corpo era scosso da insistenti brividi di paura.
Con fare furtivo si avvicinò ad una stalla e, presa una bisaccia di latte, la diede al fratellino nel tentativo di calmarlo. L’espediente sortì l’effetto desiderato e dopo qualche minuto, ignaro di quanto stava accadendo, Kakaroth cadde in un profondo sonno. Radish lo sistemò come meglio poteva nella grande sacca che aveva preso e, caricatoselo sulle spalle, uscì furtivamente dal temporaneo nascondiglio. Fece capolino sull’uscio per verificare se la strada fosse sgombra. Non aveva fatto in tempo a fare un passo che subito si ritrasse di nuovo dentro il fienile.
I suoi occhi non potevano aver visto davvero quello che gli si era proiettato di fronte. Eppure era spaventosamente reale.
Si accostò di nuovo alla porta e lo vide, proprio come vedeva il sangue di Seripa scorrere sulle gradinate del palazzo. Una creatura dalle ali nere come la pece, simile a quelle di un pipistrello, era appena atterrata sui primi gradini della scalinata, guardandosi intorno. Aveva un aspetto antropomorfo, ma il corpo era ricoperto da squame verdognole. Gli occhi erano piccoli e neri e sia gli arti inferiori che quelli superiori terminavano con artigli ricurvi di almeno dieci centimetri. A Radish sembrava che stesse annusando l’aria, forse stava annusando il loro odore. Il ragazzo si premette una mano davanti alla bocca per paura che il mostro potesse sentire il suo respiro affannoso. Non riusciva a muovere un solo muscolo.
“Papà, dove sei?”
 
*****
 
Bardak e gli altri guerrieri si trovavano al limitare del bosco. Come furie si erano gettate a capofitto verso il nemico, spronando i cavalli a tutta velocità. Ciò nonostante l’attacco che si aspettavano non era giunto e nessun nemico sembrava essere nei paraggi.
Un gruppo di Saiyan era sceso da cavallo per perlustrare la zona in cerca di tracce, mentre un centinaio di guerrieri li attendeva, tenendo i sensi all’erta.
Era una situazione surreale.
Dopo pochi minuti li videro tornare.
“Cosa avete scoperto?” domandò subito il re.
“Beh, ecco…” sembravano confusi “dalle impronte erano circa una trentina di guerrieri, ma le orme sono, come posso dire, deformi. Ma la cosa più strana è che da lì non si sono mossi, è come se fossero spariti nel nulla”
“Com’è possibile? Trenta guerrieri non posso essersi volatilizzati!” urlò il re “Devono pur essere da qualche parte!”
Si guardarono gli uni con gli altri, senza parlare, quando i cavalli cominciarono ad agitarsi, scalpitando e nitrendo.
“Che succede?” Bardak cercava di tenere a bada il proprio cavallo “Forza bello, calmati!”
Fu allora che un altro sciame di frecce infuocate, molto più grande del precedente, si abbatté nuovamente su Vegeta-sei dal versante sud. Le fiamme divamparono copiose e i guerrieri sembravano incapaci di muoversi, mentre vedevano le loro case sparire tra le fiamme. Gli arcieri sulle mura merlate si erano sparpagliati. Riuscivano persino a scorgere la figura del capitano Toma, intento ad impartire ordini.
“Mio Dio… i bambini!”
“Maledizione!” imprecò Bardack “Ci hanno teso una trappola, ci hanno fatto allontanare dal villaggio!” Spronò il suo cavallo in direzione opposta e così fecero molti altri insieme a lui. Era furibondo, i suoi occhi dardeggiavano nel buio, così come quelli dei suoi compagni. Quei vigliacchi stavano bruciando il villaggio e attaccando i loro figli. L’avrebbero pagata cara, li avrebbero trucidati uno ad uno nella maniera più crudele possibile. Avrebbero implorato pietà e avrebbe goduto insieme ai suoi compagni del loro terrore. Non avrebbero mai dovuto osare tanto. Bardak non riusciva a smettere di pensare a Radish e al piccolo Kakaroth, aveva promesso a sua moglie di proteggerli e per tutte le forze celesti lo avrebbe fatto fino alla morte. Il non sapere lo stava divorando d’angoscia, così come per molti altri genitori, madri e padri, che galoppavano al suo fianco. Erano a poco più di una cinquantina di metri dal fossato intorno alle mura di cinta quando li videro sfrecciare nell’aria come una nube di pipistrelli e gettarsi in picchiata sugli arcieri, scaraventandoli oltre le alte mura merlate e facendoli precipitare dentro il fossato con tonfi sordi.
“Cosa diavolo sono?”
“Non lo so, ma preparatevi a colpire!” Molti di loro, in sella al cavallo, prepararono l’arco. “Pronti?” gridò il Re.
Presero la mira e al comando “Scoccate!” centinaia di frecce si riversarono addosso al nemico. Una decina di quei mostri cadde, altri furono costretti ad atterrare per le ferite ricevute alle ali, quelli che potevano ancora volare si gettarono a capofitto contro i Saiyan al galoppo. I guerrieri recisero ali e arti, sporcando le lame di un liquido bluastro. Urla di dolore di combattenti feriti, nitriti spaventati di cavalli e stridii acuti di bestie si mescolavano indistintamente nel silenzio della notte. Nel frattempo, chi era ancora in grado di combattere sulla cima della mura, aveva nuovamente inforcato l’arco e aiutava in compagni nella zona scoperta ed erbosa. Bardak, impegnato contro un nemico, non si era accorto di un altro mostro che lo stava per attaccare dall’alto; fu proprio l’intervento di Toma, che con un'unica freccia conficcatasi dritta nel cuore, lo aveva abbattuto. La battaglia si concluse qualche minuto dopo con la vittoria dei Saiyan, tuttavia non c’era tempo per festeggiare, il villaggio stava ancora bruciando e non sapevano se quelle creature avessero o meno raggiunto il castello.
“Toma, sbrigati abbassa il ponte!”
“Arrivo subit-“ le parole si persero in un gorgoglio soffocato, mentre un rivolo di sangue gli colava dall’angolo della bocca.
“TOMA!” Lo avevano colpito alle spalle e Bardak poté solo assistere impotente, mentre il corpo del compagno veniva trapassato da parte a parte da una lama, e poi spinto senza alcun ritegno oltre le mura merlate. Si precipitò immediatamente verso il corpo dell’amico ormai esanime.
“Forza Toma! Resisti!”
Quelle parole erano più per sé stesso che per il compagno, perché sapeva che ormai non c’era più nulla da fare. Con le poche forze che gli rimanevano Toma afferrò il polso dell’amico.
 “Per me è finita…” rantolò “i bambini…urla…dal castello…” Il cuore del guerriero Saiyan si gelò in un attimo a quelle parole.
Gli altri compagni avevano osservato la scena da qualche metro e distanza, incapaci di proferire parola. Il re alzò lo sguardo sul punto da cui era caduto Toma e, con stupore misto a rabbia, vide Lord Freezer.
“TU!” urlò “MALEDETTO BASTARDO!”
Un sorriso mellifluo si stampò si sul volto di Freezer “Sì sono proprio io. Sai Re Vegeta, ho preso una decisione importante per la vostra razza” fece una piccola pausa per ammirare la reazione dei guerrieri “ è arrivato per voi il momento di estinguervi!”
“Sei solo un vigliacco e un traditore! Non ascolterò le tue idiozie un minuto di più! Uomini, annientatelo!” Il comando del Re non si fece attendere e i guerrieri scagliarono lance, dardi e frecce, ma nessun colpo andò a segno, come se ci fosse un muro invisibile che lo proteggeva.
“Che diavoleria è mai questa?” strillò qualcuno.
“Diciamo miei cari scimmioni che mi sono evoluto ad un livello superiore e voi sarete i primi ad avere l’onore di vederlo!” l’affermazione fu seguita da una risata malefica, mentre guardavano il corpo di Freezer trasformarsi sotto i loro occhi.
“Cosa hai fatto ai nostri figli?” Bardak non riusciva a distogliere lo sguardo da quello che fino a poco prima sembrava un uomo indifeso, a cui ora stavano spuntando due corna aguzze e taurine, e una lunga coda serpentina.
“Non devi preoccuparti per loro Saiyan, presto li raggiungerete”. Il cielo si rannuvolò e un fulmine squarciò il cielo notturno illuminandolo a giorno. Freezer alzò le braccia verso l’alto e un enorme buco nero si spalancò “Miei soldati uccideteli tutti, ma risparmiate il re, ho bisogno di fare ancora due chiacchere con lui”. Migliaia di mostri si riversarono al di fuori del varco.
“Forza uomini, combatteremo fino alla morte, per l’onore dei Saiyan!” I guerrieri levarono le spade al cielo pronti per l’ultima battaglia.
Bardak sapeva che era la fine, ma avrebbe fatto in modo di portare con sé più mostri possibile, forse anche Freezer se ce l’avesse fatta.
Poi avrebbe finalmente rivisto sua moglie, Kakaroth e Radish.
 
 
*****
 
 
Nulla si muoveva intorno a lui e l’unico rumore era il crepitare del fuoco, che poco a poco stava inghiottendo il villaggio, distruggendo tutto ciò che Radish aveva conosciuto nella sua giovane vita.  Sentiva il cuore pulsargli con forza fin dentro la testa, con respiri profondi cercava di regolarizzarlo e almeno le mani avevano smesso di tremare convulsamente.
Gli occhi gli bruciavano, ma non per il fumo, due grosse lacrime cominciarono a rotolargli sulle guance. Si vergognava di sé stesso; era stato incapace di reagire, rimanendo pietrificato come una statua, mettendo a repentaglio anche la vita di suo fratello con la sua codardia. Si era salvato solo perché l’attenzione del mostro era stata richiamata da un’altra parte ed era volato via.
Apparteneva alla razza dei grandi guerrieri Saiyan e lui era rimasto nascosto come un codardo anziché affrontare il nemico. Che cosa avrebbe pensato suo padre?
Si lasciò andare ai singhiozzi, consapevole che nessuno l’avrebbe visto. Troppe cose erano successe in quella notte e lui era solo un ragazzino, troppo giovane per poter sopportare da solo tutto quello che stava accadendo. Tuttavia doveva farsi forza, soprattutto per Kakaroth. Con quel pensiero, si asciugò le lacrime, deciso a raggiungere i guerrieri che probabilmente stavano combattendo oltre le mura del villaggio. Facendo attenzione si avvicinò all’ingresso del villaggio, ma si arrestò di colpo quando vide la figura sulle mura del castello.
“Lord Freezer…” sussurrò. Che diavolo ci faceva lì quell’essere viscido? Stava gridando qualcosa, ma da quella distanza non riusciva a sentire nulla. Senza staccare gli occhi dalla figura, si avvicinò il più possibile, nascondendosi alla base dello spesso muro di pietra, sotto uno degli archi di scolo dei liquami ad una cinquantina di metri. Non scelse a caso quel posto, sapeva infatti che una delle grate di ferro era difettosa e poteva essere sfilata per accedere all’esterno, inoltre poteva vedere a distanza di sicurezza che cosa stava succedendo dall’altra parte della fortificazione e, allo stesso tempo, tenere sotto controllo il nemico. Aveva scoperto quel passaggio poco tempo prima, quando a causa di una bravata, lui e altri cinque ragazzi erano stati costretti a ripulire i suddetti passaggi per punizione. Questa volta, però, non ebbe ribrezzo ad immergersi nella melma putrida fino alle ginocchia.
“Cos’hai fatto ai nostri figli?” Radish riconobbe subito la voce che aveva gridato, la voce di suo padre. Artgliò le grate sporgendosi di più per vedere meglio. I guerrieri avevano appena dato battaglia e adesso ascoltavano Freezer. Tuttavia qualcosa non andava, il cielo si stava rannuvolando e grossi fulmini riempivano l’aria già carica di tensione.
“…uccideteli tutti…!” Radish trattenne il fiato quando un enorme buco nero si aprì nel cielo, facendo fuoriuscire un migliaio di quei mostri, che muovendosi come un’unica entità si gettò a capofitto sui guerrieri, cominciando a colpirli e ferirli. Ma niente era paragonabile all’orrore della mutazione del corpo di Freezer. Kakaroth nel frattempo si era svegliato, Radish lo sentiva mentre si agitava sulle sue spalle, emettendo flebili vagiti di disapprovazione per lo sbatacchiamento subito. Impietrito ed impotente il ragazzo afferrò con forza la sbarra rotta, urlando il nome di suo padre, assediato dai mostri. Lo vedeva, non era lontano e non sapeva se le sue parole si fossero perse nel vento, mentre arrancava nella melma, con il peso del fratellino sulle spalle. Non gli importava di fare rumore, ma doveva fare qualcosa. Prese l’arco e una freccia, e tendendo la corda la scoccò verso il mostro che aveva artigliato suo padre alle spalle. Bardak si liberò momentaneamente confuso, guardandosi intorno, fino a che i suoi occhi non incontrarono quelli del figlio maggiore, mentre teneva ancora l’arco stretto tra le mani tremanti.
L’uomo era sbigottito e felice oltre ogni immaginazione alla vista dei due figli, probabilmente gli unici che avevano ancora la possibilità di salvarsi dalla distruzione. Bardak intuì subito le intenzioni del figlio, ma non poteva permettere che si avvicinasse al campo di battaglia.
“VIA!” urlò con quanto fiato aveva in corpo, proprio mentre due mostri lo avevano assalito e atterrato. Sapeva che ormai era la fine, ma con le ultime forze, mentre giaceva riverso a terra con il viso schiacciato contro l’erba umida della sera, alzò lo sguardo guardando la schiena di suo figlio correre senza voltarsi dentro il bosco.
Inspirò un’ultima volta l’aria della notte intrisa di sangue, sorridendo, poi scese il buio.
 
 
*****
 
 
Lord Freezer era molto soddisfatto dello spettacolo a cui aveva assistito: vedere quel branco di scimmioni pensare di avercela fatta, per poi assistere al loro muto terrore davanti alla sconfitta, era stato qualcosa di sublime. Doveva ammettere però che quegli scimmioni si erano battuti con vera tenacia, superando quasi il triplo di uccisioni rispetto il loro numero. Per qualche minuto aveva temuto di dover intervenire, ma alla fine erano stati sopraffatti. Certo, aveva perso dei validi alleati, ma la loro estinzione era necessaria, in futuro avrebbero potuto rivoltarglisi contro, anzi, era sicuro che sarebbe successo. Meglio eliminare il problema alla radice, senza contare che il loro sterminio era il primo passo per l’attuazione de suo piano. L’unica pecca di tutta quella faccenda erano stati i due marmocchi che erano fuggiti nel bosco. Tuttavia quello era un danno a cui aveva posto subito rimedio, inviando Zarbon e Dodoria al loro inseguimento. Nessun Saiyan sarebbe sopravvissuto quella notte, tranne il principino, di cui aveva ancora bisogno.
Si diresse verso l’uomo che aveva lasciato momentaneamente in vita, librandosi a pochi centimetri dal suolo, per non sporcarsi con il sangue che inzuppava l’erba circostante.
L’uomo era disteso a terra, sorvegliato da due creature. Non che ce ne fosse bisogno, serviva solo ad infliggere un ulteriore colpo all’orgoglio dell’ormai ex Re Vegeta.
“Bene, bene…” esordì “vedo che finalmente mi guardi come si conviene ad uno zotico della tua specie, dal basso verso l’alto.”
“Tu… maledetto…” disse l’uomo tra i denti “Perché?” fu l’unica cosa che riuscì ad aggiungere, cercando di alzarsi facendo leva con il braccio sinistro. Il tentativo fu subito stroncato da un calcio diretto alle costole, da parte di uno dei mostri. L’uomo ricadde a terra, tossendo convulsamente.
“Vedi caro Vegeta, lo sterminio della tua razza fa parte di un disegno molto più ampio, un piano che mi permetterà di dominare su tutto il mondo.”
“Cosa hai fatto a mio figlio?” domandò, quasi fosse una supplica. Era stato la settimana prima, Lord Freezer era venuto al villaggio e aveva richiesto esplicitamente di poter seguire l’addestramento del Principe Vegeta, che nonostante la giovanissima età, appena cinque anni, riusciva già a padroneggiare l’arte dell’arco, con risultati eccezionali, senza contare quella del saper seguire le tracce durante la caccia e i primi tentativi di costruzione di trappole. Era un bambino straordinario, altero e orgoglioso, con doti e predisposizioni al combattimento eccezionali, sarebbe diventato il più forte di tutti i guerrieri.
“Non devi preoccuparti per lui, mi prenderò cura io del principino e ti prometto che diventerà un guerriero forte e spietato, al mio servizio s’intende!” L’uomo a terra, in un impeto d’ira tentò di alzarsi, ma senza successo.
“Smettila di divincolarti, non fai che peggiore la tua già precaria situazione. Come ti dicevo, anche il Principe ha un ruolo fondamentale in tutta questa storia, lo lascerò vivere, almeno fino a quando non sarà arrivato il suo momento…”
“Che cosa vuoi dire…?”
Uno ogni mille anni… ti dice niente questa frase?” Re Vegeta sussultò. La leggenda del super Saiyan, certo che la conosceva, ma era appunto una leggenda, come poteva Freezer credere ad una cosa simile?
“Sei pazzo!” urlò l’altro.
Lord Freezer sorrise compiaciuto, mentre il suo corpo cominciava di nuovo ad assumere fattezze umane. ”Non sono pazzo, la leggenda è vera e tuo figlio è il Prescelto… Sono sicuro che la cosa ti renderà estremante orgoglioso, non è vero?”
“Cosa vuoi fargli?” il Re non poté nascondere l’apprensione nella sua voce.
“Quando sarà il momento giusto lo ucciderò e mi prenderò il suo potere, il potere di un Dio!” Re Vegeta tentò di nuovo di divincolarsi, urlando. Lo tenevano fermo, ma la sua furia era incontenibile. Con un colpo secco si girò sulla schiena, afferrando i due mostri per le caviglie e facendogli cadere, ne afferrò uno al volo e gli spezzò il collo con un unico colpo secco. Rotolò su un fiancò e afferrò una freccia che aveva adocchiato qualche minuto prima, mentre quel pazzo di Freezer farneticava, e la impiantò nel petto dell’altro mostro.
“Oh, hai ancora la forza di combattere?” Freezer guardava il suo avversario con scherno. “Sono molto impressionato dalla tua tenacia, lo devo ammettere, ma è ora di farla finita!”
Re Vegeta si scagliò contro Freezer, ma la spossatezza gli aveva rallentato i sensi e quindi non si accorse del movimento fulmineo dietro l’avversario, se non quando era troppo tardi. La coda di Freezer lo aveva afferrato per il collo, sollevandolo un metro da terra. Artigliò la carne di quella protuberanza con tutte le forze che gli rimanevano, ma non fu in grado di liberarsi, mentre Freezer stringeva sempre più forte attorno al suo collo. Continuò a divincolarsi, ma aveva la vista offuscata e la mancanza d’aria gli stava facendo perdere i sensi. Dopo qualche altro secondo di resistenza, anche il re si arrese e le possenti braccia ricaddero inermi lungo i fianchi.
“Avrò l’immortalità mio caro Re Vegeta…”
 
 
 
 
*****
 
 
 
Una pioggerella fitta si abbatté quel pomeriggio su Bosco Grigio, Radish cercò riparo alla base di un grande castagno dalle fronde molto fitte, che intrecciandosi ai rami degli alberi vicini, lo proteggeva dalla pioggia. Rabbrividì, cercando di trovare un po’ di tepore negli abiti ormai umidi e che non gli offrivano alcuna protezione dal gelido vento autunnale che gli si insinuava sotto le vesti. Purtroppo non poteva accendere un fuoco, i suoi inseguitori erano ancora sulle sue tracce e già troppe volte era aveva rischiato che li scoprissero. In ogni caso anche se avesse voluto accendere un fuoco sarebbe stato pressoché impossibile con tutta quell’umidità. Adagiò Kakaroth al suo fianco, mentre il piccolo avvolto dentro la pesante coperta, dentro la sacca, dormiva beato. Radish lo invidiava, lui al contrario era stanco morto, da più di tre giorni vagava nel bosco nel tentativo di raggiungere il villaggio di Shirna al di là della foresta e di avvisare tutti di ciò che era accaduto. Purtroppo i suoi inarrestabili inseguitori lo costringevano a cambiare strada ogni volta o a deviare in continuazione. Si alzò per raccogliere dei cardi che giacevano li vicino e poter mettere qualcosa nello stomaco. Cosa avrebbe dato per poter affondare i denti in una bella coscia di cinghiale arrosto, anziché masticare delle stoppose castagne. Sospirò, ripensando alle battute di caccia insieme a suo padre e ai succulenti pranzetti di sua madre. Quando avvertì il familiare pizzicore agli angoli degli occhi, decise di modificare il flusso dei suoi pensieri. Tutto ciò che ricordava era ridotto ormai ad una nuvola di cenere nel vento. Forse aveva bisogno di dormire almeno qualche ora, ma aveva troppa paura ad addormentarsi, i nemici avrebbero potuto attaccarlo, così come un branco di lupi o creature ancora peggiori. Tuttavia, se non l’avesse fatto prima o dopo sarebbe crollato comunque, doveva stabilire un perimetro e piazzare delle trappole d’avvertimento. Non c’era altra soluzione. Si alzò cominciando a stilare mentalmente una lista di ciò che li occorreva, quando un rumore di passi gli fece drizzare le orecchie. Si bloccò di colpo, cercando di capire da dove arrivasse il rumore, quando un’imprecazione lo fece sobbalzare. Corse vicino all’albero, nascondendosi dietro il tronco del castagno.
“Maledizione! Quanto tempo dobbiamo perdere ancora ad inseguire quei due marmocchi?”
“Tutto il tempo necessario Dodoria. Hai sentito Lord Freezer? Devono essere eliminati come gli altri. Lo sai che se non portiamo a termine la missione, saremo puniti e la cosa non mi và neanche un po’!”
“Hai ragione Zarbon è solo che sono nervoso. Quel marmocchio ci sta facendo fare il girotondo da tre giorni! Quasi quasi mi dispiacerà un po’ ucciderlo, ha talento il ragazzino.”
“Già…”
Erano vicini, troppo vicini. Radish si guardò febbrilmente intorno, doveva trovare un posto per nascondere Kakaroth e farli allontanare. La sua attenzione fu attirata da delle radici che fuoriuscivano dal terreno, andando a nascondere quella che doveva essere la tana di qualche piccolo animale. Prese lo zaino e lo nascose dentro un fitto cespuglio di rovi e si mise arco e frecce in spalla, poi, cercando di fare meno rumore possibile, afferrò il fratellino e lo depose dolcemente all’interno di quel piccolo spazio, insieme alla spada e al medaglione di sua madre.
Guardò il fratello ancora una volta, mentre una morsa di paura gli attanagliava il petto. Fece un gran respiro.
“Tornerò presto…” sussurrò.
Ma Radish non poté mantenere quella promessa.
 
 
 
*****
 
 
 
 
Disappunto. Completo e totale disappunto, questo era lo stato d’animo in cui versava Zarbon, temuto braccio destro di Lord Freezer. Erano riusciti a prendere e sistemare il marmocchio, ma ne mancava sempre uno all’appello. L’irruenza di Dodoria aveva posto fine a quella giovane vita prima che potesse rivelargli dove aveva nascosto il neonato. Comprendeva il moto di rabbia che aveva investito l’uomo, probabilmente avrebbe stretto anche lui la presa intorno a quel giovane collo più del dovuto, se qualcuno avesse osato sputargli in faccia.
Doveva riconoscerlo, il ragazzino aveva avuto fegato, sapeva già che in ogni caso non sarebbe sopravvissuto e aveva preferito prendersi quella piccola rivincita. Tuttavia, adesso, avevano un bel problema.
“Cosa facciamo? Sai bene che Lord Freezer ha ordinato lo sterminio di tutti i Saiyan, non sarà contento di sapere che ci siamo fatti sfuggire un marmocchio!”
“Ti stai preoccupando troppo Zarbon, ricordati che in fin dei conti si tratta di un bambino, un minuscolo bambino indifeso. Se non lo sbraneranno i lupi, sarà comunque destinato a morire di stenti nel giro di tre giorni. Nessuno lo saprà mai.”
Il ragionamento di Dodoria non faceva una piega. Zarbon cominciò a rilassarsi, forse si stava preoccupando troppo.
“E se devo dirti la verità, questa faccenda mi ha stancato” continuò Dodoria “Abbiamo già perso tre giorni e dovremmo sicuramente renderne conto. Lord Freezer si starà chiedendo che fine abbiamo fatto. Ci sono questioni più importanti che richiedono la nostra presenza, come sai bene.”
Dopo qualche secondo di riflessione dovette convenire che le argomentazioni del compagno erano più che valide. Non aveva senso sprecare altro tempo per un bambino che molto presto sarebbe morto.
“Hai ragione, è meglio se cominciamo ad avviarci. Ci aspettano molti giorni di cammino e sappiamo che a Lord Freezer non piace aspettare.”
Salirono sui cavalli e si misero in marcia, lasciandosi alle spalle Bosco Grigio e quel bambino che avevano ormai dato per spacciato.
 
 
*****
 
 
Si stava bagnando i capelli ed era notte e la cosa stava innervosendo Bulma. Tuttavia c’era qualcosa di ancora più fastidioso che rischiava di farle saltare in aria il sistema nervoso ed era quel pianto incessante che aveva preso a rimbombarle nelle orecchie da circa dieci minuti, svegliandola dal suo dolce sonno. Inizialmente aveva sperato che quelle urla cessassero il più velocemente possibile, ma così non era stato, anzi erano diventate più forti ed insistenti. Ecco perché, colta da un moto omicida, aveva lasciato la sua dolce tana, nonostante fosse notte, per partire alla ricerca del colpevole e cucirgli la bocca con un incantesimo.
“Guarda tu se una dolce fatina come me deve essere costretta a partire al buio nel cuore della notte! Lascia solo che trovi il responsabile e lo affatturo!”
Si stava avvicinando, lo strepitio non era più nella sua testa, ma forte e chiaro, mentre rimbombava in tutto il bosco.
Doveva sbrigarsi, il bambino avrebbe potuto attirare dei predatori con il suo continuo piagnisteo.  Non che fosse preoccupata per lui, ci mancherebbe, era per sé stessa che si preoccupava. Non era nei suoi programmi finire nello stomaco di qualche bestia notturna. Sfrecciò veloce nell’aria, mentre batteva le piccole ali azzurre dello stesso colore dei capelli e degli occhi. Finalmente arrivò a destinazione seguendo le urla che provenivano da un piccolo anfratto nascosto tra le radici di un albero. Si avvicinò con circospezione, facendo luce con la con la piccola bacchetta. Nascosto in quel buco, sporco di terra, c’era un bambino che piangeva a squarciagola. Tuttavia, quando lo sguardo del neonato cadde sulla piccola fata, si zittì di colpo, incuriosito da quella luce.
“Quindi eri tu a chiamarmi.” passata la rabbia iniziale, Bulma sorrise di fronte a quei profondi occhi neri che la scrutavano con curiosità. Le fate erano creature benigne, che avevano come compito principale, oltre a salvaguardare le foreste, anche quello di proteggere i bambini.
“Ma come ci sei finito qui?” domandò, sperando quasi che il bambino potesse dare una risposta. Poi lo sguardo della fata cadde sulla spada e il medaglione.
“Sei un saiyan! Ma…” Era sconcertata. Non sapeva cosa pensare. La notizia della distruzione del villaggio di Vegeta e lo sterminio dei suoi abitanti in maniera spietata e crudele si stava espandendo a macchia d’olio per tutto il paese e non solo tra gli umani, ma anche tra le creature magiche, suscitando lo sconcerto. Doveva essere stata una cosa orribile. Eppure quel bambino era lì davanti a lei, con un medaglione e una spada su cui era impresso lo stemma dei Saiyan. Com’era accaduto? Chi l’aveva portato lì?
Doveva scoprirlo.
Il bambino sollevò una manina, nella speranza di afferrare quella simpatica fiammella azzurra e quando capì di non poterla raggiunge, proruppe di nuovo in un pianto isterico, rischiando di spaccare i timpani a Bulma.
“Uffa, smettila di piangere!” urlò, cercando di sovrastare il pianto, mentre si tappava le orecchie.
Con molta probabilità il marmocchio aveva fame. Doveva fare qualcosa al più presto. Uscì di volata dalla tana alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa per tappare la bocca a quell’essere ululante. Mormorò delle parole e dalla bacchetta uscì un fascio di luce bianca. Tutto intorno a lei fu avvolto da quel candido bagliore, fino a che non rimase impresso solo in alcuni punti. La fata guardò le tracce che si erano evidenziate grazie al suo incantesimo. C’erano delle orme, piccole orme che si muovevano tutte attorno e poi qualcosa di più luminescente tra un cespuglio di rovi.
Una sacca.
Si avvicinò, aprendola per verificarne il contenuto.
“Evviva!” una bisaccia di latte ancora mezza piena era lì, pronta per tappare la bocca al marmocchio. Con un incantesimo la fece lievitare fino al piccolo anfratto. Non appena gli occhi del neonato si posarono sul poppatoio volante, smise di piangere quasi nell’immediato, allungando le piccole mani e afferrando l’oggetto tanto desiderato.
In pochi secondi gli unici rumori furono la pioggia e il gorgogliare soddisfatto del bambino.
“Avevi proprio fame, eh? Non ti muovere mi raccomando, torno subito”. Gli disse Bulma, poi volò nuovamente all’esterno, per seguire le tracce che si addentravano nel bosco. Per fortuna non erano ancora sparite del tutto a causa dell’acqua e del fango. Le orme portavano poco più avanti, in una piccola radura ad un centinaio di metri da dove si trovava il bambino. Si avvicinò furtiva, notando che altre orme, coloratesi di rosse si sovrapponevano a quelle bianche.
Qualcosa di malvagio è stato qui.
Non aveva bisogno di altre supposizioni. Arrivata alla radura si potrò le mani alla bocca, pietrificata da quella scena straziante, facendo cadere persino la bacchetta.
Il corpo di un ragazzino giaceva riverso nella terra, abbandonato come uno straccio sporco. Il collo presentava un’angolatura del tutto innaturale. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva.
“Lo hanno ucciso senza il minimo scrupolo! Maledetti!” strinse i denti, ingoiando la rabbia e la frustrazione. Quel bambino non doveva trovarsi lì, non così, non in quel modo.
Volò fino a terra per raccogliere la bacchetta e si avvicinò al corpo del ragazzino.
“Hai voluto proteggerlo, non è vero?” Non riuscì a trattenere oltre le lacrime, che cominciarono a scendere copiose lungo le guance nivee. “Hai sacrificato la tua giovane vita per proteggerne un’altra. Dovevi volergli veramente molto bene. Era tuo fratello?”. Una domanda sussurrata nel vento, ma di cui Bulma sapeva già, in cuor suo, di conoscere la risposta.
“Non preoccuparti, mi occuperò io di lui d’ora in poi. Lo veglierò nello stesso modo in cui hai fatto tu. Il fato ha strade imperscrutabili, ma sono contenta che mi abbia fatto udire la sua voce. Ora però è il momento per te di riposare in pace…quiescit in terram.”
Il terreno vibrò sotto i piedi di Bulma e quel piccolo corpo spezzato dalla brutalità venne accolto dal terreno della foresta.  Delle splendide camelie, simbolo del sacrifico per amore, sbocciarono sulla terra che avrebbe protetto per sempre quel ragazzo.
“Addio” mormorò, mentre si alzava in volo per tornare sui suoi passi.
Si asciugò le lacrime, ora doveva agire.
Il bambino dopo aver vuotato la sacca di latte si era addormentato di sasso. La fata indirizzò lo sguardo alla spada e al medaglione.
“Questi li custodirò io, almeno fino a quando non sarà il momento di dirti la verità. È meglio che nessuno sappia che sei un Saiyan, gli assassini che sono stati qui potrebbe tornare a finire il lavoro se sapessero che sei ancora vivo.” Con un altro incantesimo i due manufatti si dissolsero. “E ora dobbiamo trovare qualcuno che si occupi di te…”
 
 
 
 
*****
 
 
 
Son Gohan non riusciva ad addormentarsi, continuava a rigirarsi nel giaciglio di fortuna che aveva improvvisato con i suoi uomini per quella notte. Alla fine si distese in posizione supina, con le braccia dietro la testa, ad osservare le stelle. Gli unici rumori erano il crepitio del fuoco, lo stridio dei grilli e lo sbadigliare degli uomini che facevano la ronda. Sorrise sotto gli spessi bassi neri, che da poco avevano iniziato a striarsi di grigio. Quella era la sua ultima missione come comandante dell’esercito di Ravenwald, delle terre del Sud, al servizio di Re Erebor. All’età di quarantacinque anni, non poteva di certo considerarsi anziano, ma lo stava diventando nei riflessi e i dolori dopo le battaglie cominciavano a farsi sempre più insistenti ogni volta. Non voleva trasformarsi in quei comandanti che si limitavano solamente ad elargire ordini e pianificare strategie, mandando le truppe in avanscoperta. Se non poteva più combattere e morire affianco ai suoi uomini, preferiva di gran lunga ritirarsi. Tuttavia aveva promesso al Re che si sarebbe occupato dell’educazione e dalla formazione delle reclute ancora per qualche anno, soprattutto quella di suo figlio, che avrebbe dovuto prendere il suo posto come comandante, per poi dedicarsi all’attività di fabbro. Era stato un grande combattente, conosceva le armi e voleva forgiarle di sua mano, magari migliorarle se era possibile, per rendere ancora più protetta e sicura la valle di Therin, nelle cui lande sorgeva la sua amata contea, alle pendici dei monti Paoz.
Come ultima missione Re Erebor[i] l’aveva inviato a Nord per incontrarsi con il sovrano delle terre di Senlin per discutere di trattative commerciali e diplomatiche, poiché in quelle regioni si trovavano molti dei più grandi giacimenti ferrosi del paese. Erano stati accolti con ogni onore e gentilezza possibile. Come avrebbe potuto essere diversamente? Da quando i quattro imperatori Kaioh, rispettivamente del Nord, del Sud, dell’Est e dell’Ovest avevano stabilito un trattato di pace e fratellanza, le grandi guerre trai quattro stati che dividevano il mondo erano cessate, assicurando un lungo periodo di pace tra i popoli. Tuttavia, nonostante la calorosa accoglienza, Son Gohan aveva notato fin da subito il turbamento negli occhi di Re Koku. Aveva appreso che qualcosa si stava muovendo nelle più remote regioni a Nord. Un certo Lord Freezer aveva formato un esercito, riuscendo addirittura ad ottenere il servizio degli spietati guerrieri Saiyan, e aveva cominciato a sottomettere i villaggi vicini. Aveva così inviato un messaggio all’imperatore Kaioh del Nord per informarlo di quello che stava accadendo. Son Gohan non sapeva se fosse ancora il caso di informare Re Erebor della faccenda, in fin dei conti si trattava delle terre del Nord, che non rientravano nella loro competenza. Inoltre l’imperatore Kaioh del Nord era un uomo saggio, sicuramente avrebbe prestato ascolto alle parole di Re Koku, ed era sicuro che avrebbero sistemato questo Lord Freezer nel minor tempo possibile.
Era già trascorsa una settimana da quell’incontro e non vedeva l’ora di tornare a casa, ma ancora molti giorni di cammino lo separavano dai suoi amati Monti Paoz. Al momento erano accampati poco distanti dal villaggio di Shirna al limitare di Bosco Grigio. Stava per girarsi su un fianco, quando con la coda dell’occhio vide un bagliore azzurro, scintillare tra gli alberi del bosco. Si alzò a sedere di scatto, osservando il punto in cui aveva visto quella luce, ma non vedeva altro che buio.
“Forse la stanchezza mi sta giocando brutti scherzi…” mormorò tra sé e sé.
Quand’ecco di nuovo il bagliore. Si alzò in piedi, facendo attenzione a non svegliare gli altri uomini. La luce appariva e spariva nel buio della foresta. Sembrava che neanche le vedette si fossero accorte della sua presenza, eppure era lì, sembrava chiamarlo. Afferrò la spada e senza farsi vedere si avvicinò agli alberi che formavano il limitare della foresta. La luce si spingeva sempre di più al suo interno e Son Gohan non esitò a seguirla, perché sentiva dentro di sé che non c’era pericolo. Si inoltrò tra la fitta vegetazione, seguendo quella luce. Camminò per diversi minuti, senza sapere quanto si era addentrato nel bosco, alla fine giunse in una radura e la luce si fermò vicino ad una insenatura tra le radici di un albero. L’uomo si avvicinò con circospezione, spostò le radici e rimase di stucco nel trovarvi al suo interno un bambino che agitava le manine verso l’alto, gorgogliando.
“C’è nessuno?” domandò nel silenzio della notte. Non ottenne risposta. Possibile che avessero abbandonato un bambino nel bel mezzo della foresta? Allungò le braccia verso il fagotto, e Son Gohan si ritrovò a fissare due grandi occhi neri, che lo guardavano felici e sentì un grande calore invadergli il petto. Da quando la sua amata moglie era morta insieme al bambino che portava nel ventre, Gohan non si era mai più risposato e aveva dedicato tutta la sua vita a proteggere Ravenwald, ma aveva sempre desiderato un figlio.
Guardò di nuovo quel bel bambino e prese la decisione che avrebbe cambiato la sua vita.
“Verrai a Ravenwald con me, sarai mio figlio e il tuo nome sarà Son Goku!”
 
 
 
“Ora sei salvo, sicuro vivrai, la nostra speranza sei tu.
Cresci fratello, ritornerai.
Libererai tutti noi.”
(Ascoltaci-Il Principe d’Egitto)
 
[i] Il nome Erebor è un piccolo omaggio al libro di Tolkien “Il Signore degli Anelli”. È il nome della Montagna Solitaria ove risiede il regno dei Nani.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Biohazard