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Autore: Sweetserialkiller    17/03/2019    3 recensioni
Tre paia di occhi vennero puntati su di loro, e Amy rimase di stucco nel constatare che il terzo paio di occhi apparteneva al ragazzo di cui, anni prima, aveva tanto pianto la morte.
Le sue gambe si mossero da sole, e in poco meno di un secondo si ritrovò con le gambe attorno al busto dei giovane.
< Oh mio dio… tu sei…>
< Vivo e vegeto> la interruppe lui, tenendole le mani sotto le cosce per sorreggerla.
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< Appena tornati al quartier generale chiederò di cambiare partner>
Queste parole colpirono profondamente la ragazza.
< E per quale motivo, di grazia?> chiese accennando un falso sorriso.
< Perchè non sei professionale> ringhiò frustrato lui.
Lei sgranò gli occhi allibita.
< Io non sarei professonale? Chiedo scusa, ma non sono io quella che deve dimostrare qualcosa a se stessa solo perchè ho dei conflitti interiori>
< Hai iniziato tu però, come vuoi metterla ora?>
Genere: Azione, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Matt, Mello, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza rimase senza fiato osservando con occhi sgranati la scena che le si parava davanti.

Tutte le persone presenti in quella stanza si contorcevano tenendosi una mano al petto doloranti, compreso l’uomo davanti a lei. Suo padre. Si stava accasciando dietro al vetro, con il terrore negli occhi che si rifletteva in quelli della figlia.

Era andata, come da prassi, a far visita al padre in prigione, ed ora si trovava in mezzo all’inferno.Le persone erano terrorizzate. C’era gente che gridava,gente che pregava, e chi, come lei, fissava attonita la scena.

Non poteva sbagliarsi, quella metodologia di uccisione di massa l’aveva già vista in passato.

Doveva mantenere la calma, cedere al panico in quel momento non avrebbe giovato alla sua situazione. Lanciò un’ultimo sguardo al padre, chiedendogli implicitamente perdono e si incamminò verso l’uscita della prigione.

Sapeva non l’avrebbero fermata, erano tutti troppo presi e sconvolti dall’accaduto.

Inoltre dopo aver passato anni al fianco di L sapeva bene come sparire senza dare nell’occhio.


Per tutta la vita L era stato il suo sogno, e dopo ancora, durante il caso Kira, era stato il suo mentore. Ora si poteva definire sua amica. Almeno sperava, non era sempre facile capire e interpretare gesti ed espressioni dell’uomo.

Erano passati alcuni anni dal caso Kira, L era stato quasi ucciso, due dei suoi sottoposti avevano rischiato grosso e uno ci aveva rimesso la vita.

Nonostante le controversie tra di loro, Near e Mello si erano ritrovati a lavorare per L e in questo momento risiedevano tutti al quartier generale ideato da quest’ultimo. Un palazzo di cinquanta piani che all’apparenza poteva sembrare un normale grattacielo, ma che al suo interno nascondeva i tre migliori detective del mondo.

Era proprio li che la ragazza si stava dirigendo.

Con il cuore in gola si diresse verso l’ascensore pigiando il tasto che conduceva al ventitreesimo piano.

Appena le porte si aprirono la giovane mandò al diavolo il suo autocontrollo, ritenendo di aver già resistito abbastanza. Si precipitò all’interno della stanza con un’espressione sconvolta in volto.

< Abbiamo un problema, un grosso problema > parlò allarmata.

Non ricevendo risposta, cercò di calmarsi analizzando la situazione attorno a lei.

Erano tutti presenti, ma nessuno si degnava di guardarla o risponderle.

L era, come suo solito, appollaiato sulla sua sedia con lo sguardo rivolto verso il computer. Nella stessa posizione si trovava Near, intento a ricreare una delle sue innumerevoli costruzioni.

Mello invece se ne stava stravaccato sul divano, mangiandosi una tavoletta di cioccolata con aria annoiata. Rimase allibita, la stavano deliberatamente ignorando.

< Hey sto parlando con voi > alzò il volume indispettita.

L’unico ad alzare lo sguardo fu Mello. < Ah, pel di carota, non ti avevo sentita entrare > parlò con un tono monocorde,e nulla, era abituata al caratteraccio del biondo, perciò non diede troppo peso al nomignolo poco simpatico che le aveva affibbiato.

< Immagino dato il gran da fare che ti stai dando, deve essere interessante contemplare il nulla > si limitò a rispondere.

Il biondo di rimando le riservò un ghigno cattivo facendo raggrinzire la pelle ustionata della sua guancia sinistra.

< Qualsiasi cosa è più interessante di te, pel di carota >

Sbuffò sommensamente e si diresse verso la postazione di L, non aveva né tempo né voglia di litigare con Mello.

Cercò di attirare la sua attenzione posandogli delicatamente una mano sulla spalla, ma il corvino non la degnò nemmeno di uno sguardo. Si vide costretta così a fare l’unica cosa capace di destare il detective.

Allungò una mano verso il tavolo cercando di afferrare uno dei numerosi dolcetti che vi erano sopra. Il suo gesto come si aspettava venne fermato dalla mano pallida e ossuta dell’uomo.

< Hai bisogno di qualcosa Clary? > domandò con il solito tono calmo e pacato.

< Si, della tua attenzione > rispose piccata la rossa.

< Dimmi pure > la spronò allora il detective girandosi completamente verso di lei.

I suoi occhi neri come la pece scrutarono imperturbabili l’intera figura della ragazza mettendola in soggezione. L aveva sempre avuto la capacità di metterla a disagio e farla sentire continuamente fuori luogo, ma non poteva permettersi di farsi vedere debole, ci teneva all’opinione che aveva di lei.

Così puntando gli occhi nei suoi iniziò a raccontare l’accaduto di quella mattina.

< E così si sono accasciati tutti al suolo, compreso mio padre, tutti per infarto > concluse.

Le si incrinò un pò la voce in quell’ultima parte, ma L parve non darci peso. Che cosa si aspettava? Empatia forse?, probabilmente quella parola non faceva nemmeno parte del vocabolario dell’uomo.

< Sono già a conoscenza dell’accaduto > affermò semplicemente il corvino.

< Quindi che cosa hai intenzione di fare? >

Clary era spaventata, ma la cosa che bramava maggiormente in quel momento era la vendetta.

Voleva sapere al più presto il piano di L e dare una mano in caso fosse servito.

< Prima di tutto > prese a parlare il corvino portandosi il pollice al labbro < Dovrai venire a vivere qui >

La rossa strabuzzò gli occhi, ed ora anche l’attenzione dei due sottoposti era incentrata su di loro.

< Non credo di aver capito bene > lo apostrofò cercando di rimanere calma.

Non la allettava molto l’idea di dover vivere con degli individui come loro.

Diciamo che non brillavano proprio di simpatia, ospitalità e soprattutto normalità.

< Per quanto sia chiaro che tu abbia capito perfettamente te lo ripeterò.Verrai a vivere qui. L’unica cosa che dovrai fare tu è prendere le cose essenziali da casa tua, al resto penseremo noi > le spiegò pazientemente il detective.

Improvvisamente sentì una presenza dietro di lei. I due ragazzi incuriositi si erano avvicinati per sentire meglio.

< E così vuoi farla venire a vivere qui? > domandò scettico il biondo totalmente in disaccordo con il suo capo. L’albino invece se ne stava ad osservare come suo solito.

< Si Mello è quello che ho appena detto, due volte per giunta. Sai che non mi piace ripetermi. >

L nella sua pacatezza sapeva essere davvero crudele a volte.

< Ci servirai qui per le indagini avendo assistito all’accaduto, inoltre essendo una testimone è probabile che il colpevole dell’artefatto possa volerti eliminare > continuò il corvino.

A questo non aveva pensato. La sua vita poteva davvero essere in pericolo, e per quanto non le piacesse affatto l’idea di convivere con quegli individui, non poteva negare che quello fosse l’unico modo per garantirsi l’incolumità.

Prese un lungo respiro < E va bene mi hai convinta >.

Senti dei passi avvicinarsi a lei, poi un braccio le passò attorno alla vita e la tirò prepotentemente contro il corpo del suo proprietario.Avrebbe riconosciuto il suo tocco rude tra mille. Fu costretta ad appoggiare le mani sul suo petto per evitare di finirgli tra le braccia.

Non era proprio una prospettiva allettante ecco.

Il biondo accostò le labbra al suo orecchio.

<  Vedi di non starmi troppo tra i piedi pel di carota >

A Clary quel suo comportamento idiota stava dando sui nervi. Si girò poggiandogli le mani sulle spalle allontanandolo da se. Si avvicinò poi a sua volta all’orecchio di Mello.

< Stai tranquillo, non ho intenzione di incontrare spesso il tuo brutto muso > lo congedò poi con una pacca sulla spalla.

Un’improvviso colpo di tosse la fece voltare verso il corvino.

< Quindi quando iniziamo? > chiese con nonchalance. Ma lo sguardo di L non la sfiorò nemmeno essendo concentrato sul biondo al suo fianco.

< Mello > lo chiamò con voce melliflua. Quest’ultimo lo guardò rivolgendogli un grugnito.

< Ti sarei grato se d’ora in avanti non posassi più le tue mani su Clary.E ora potete andare >

Il ragazzo aggrottò le ciglia indignato, ma poi sorrise furbo.

< Tranquillo L è tutta tua, non me lo sogno neanche di rubartela. Non me ne frega un cazzo di lei > Con queste parole di pessimo gusto fece la sua uscita di scena.

Distogliendo lo sguardo da quell’insopportabile, ma purtroppo indispensabile elemento della squadra, la ragazza concentrò la sua attenzione sul corvino appollaiato vicino al computer.

< Posso andare? > chiese quindi.

Il detective non si degnò di alzare lo sguardo dal computer, ma fece un cenno con la testa interpretato dalla ragazza come gesto di consenso.

Girò i tacchi e si avviò verso l’uscita non prima di aver salutato i tre colleghi con il tono più autoritario possibile.

 

Data la sua condizione di non patentata fu costretta a prendere il bus. Un bus malconcio e arrugginito che le fece venire voglia di rimettere ogni metro che veniva percorso.

Non era sicura ,però, si trattasse solo di quello. Gli eventi di quella giornata l’avevano travolta come un fiume in piena.

Arrivata in quella che da quel giorno sarebbe stata la sua ex dimora, entrò con fare incerto, ripercorrendo con la mente i momenti più belli che aveva passato lì dentro.

La dolcezza con cui sua madre la svegliava la mattina, la serietà con cui il padre la rimproverava, i compleanni passati insieme, i litigi, i pianti, le risate… tutto finito.

Prima l’aveva abbandonata sua madre. Era stato un dolore atroce, ma il padre le era stato vicino prendendo il posto di entrambi. Ed ora l’aveva abbandonata anche lui.

La collera e la tristezza messe assieme la portarono a scoppiare in un pianto isterico.

Prese in mano una delle tante fotografie di famiglia e la scagliò al muro pentendosene subito dopo. Si avvicinò e la raccolse.

La foto ritraeva una piccola ragazza con i rossi capelli raccolti in due trecce e il viso tempestato di lentiggini che abbracciava felice i genitori con un sorriso sdentato.

Una lacrima cadde sul vetro rotto.

Erano successe così tante cose quel giorno che non aveva avuto nemmeno il tempo di elaborare il lutto.

Asciugandosi gli occhi la infilò distrattamente nel borsone affrettandosi poi a raccimolare tutto il necessario per il trasferimento

Prima di andarsene si fermò sull’uscio della porta dando un’ultima occhiata all’abitazione.

Una miriade di striscioline di liquido giallognolo segnavano i muri, le pareti e i mobili.

Traendo un forte respiro fece l’unica cosa che in quel momento le sembrava giusto fare.

Con una lacrima a solcarle il viso, accese la miccia, lanciandola all’interno dell’edificio,dandovi poi le spalle scomparendo nel buio.


Quando arrivò al ventitreesimo piano del palazzo e le porte si aprirono, si ritrovò tre paia di occhi a fissarla, saettanti da lei allo schermo del computer, che mostrava le fiamme in cui era avvolta la sua casa.

Sotto le immagini dell’incendio vi era una scritta in grassetto.

“ Incendio a casa Hayland, deceduta la figlia dello scienziato scomparso poche ore fa, si pensa ad un possibile suicidio”

< Mossa furba quella di inscenare la tua morte pel di carota, un pò cinico nei miei confronti il modo, ma credo di poterci passare sopra > la voce del biondo le arrivò ovatta alle orecchie.

< Fidati il pensiero del tuo brutto muso non mi ha sfiorato nemmeno per un secondo, non sei esattamente il fulcro dei miei pensieri > rispose gelida, lanciandogli un’occhiataccia.

In tutta risposta Mello la congedò da quella conversazione con un’alzata di spalle.

Clary si avvicinò agli altri due membri del gruppo, sentendo gli occhi scuri del più grande fissi su di lei.

< Che vuoi? > borbottò infastidita. Era stanca. Quella giornata le aveva tolto ogni fibra di energia e non aveva voglia di stare dietro ai giochetti enigmatici di L.

< Sono sorpreso dalla tua mossa, pensavo volessi rendere giustizia a tuo padre tenendo alto il suo nome > parlò pacato, come suo solito.

< Non me ne faccio nulla del prestigio di quel nome, non lo riporterà indietro. E poi se abbiamo a che fare con un altro Kira è meglio che mi creda morta > spiegò, cercando di essere il più esaustiva possibile.

< Il tuo ragionamento non fa una piega > disse portandosi il pollice alla bocca, sembrava star riflettendo su qualcosa < Posso chiederti come hai fatto a far trovare il tuo corpo carbonizzato? > chiese con volto inespressivo, ma tradito da un pizzico di curiosità nella voce.

< Dimentichi che mio padre era uno scienziato. Non è difficile trovare uno scheletro in casa nostra > gli sorrise soddisfatta, ma L non sembrava voler dargliela vinta troppo in fretta.

< E come la mettiamo se dovessero effettuare un’autopsia? Capirebbero subito che non si tratta di te >continuò lui mettendola alla prova. Lei sorrise di rimando.

< Su questo puoi stare tranquillo. Nessuno farà nessuna autopsia. Non può fargli che comodo il fatto che l’intera famiglia Hyland sia morta. Secondo te per quale motivo hanno incastrato mio padre facendolo finire dentro? >

Le sembrò di vedere spuntare sul suo volto un accenno di sorriso.

< Beh se hai tutto sotto controllo come dici, a questo punto direi che puoi andare. Chiamerò Watari che ti scorterà nel tuo alloggio >

Fece un cenno della testa ringraziandolo e si avviò verso l’uscita dell’appartamento.

Si aspettava di vederlo tornare subito con gli occhi fissi sul monitor, non di certo che si sarebbe alzato placidamente dalla sedia per poi seguirla fino alla porta.

 

Quando questa venne aperta Watari la accolse con un docile sorriso.

< Buonasera Miss > la salutò dolcemente l’anziano.

< Buona sera Watari, è sempre un piacere >

Si voltò poi verso il corvino dietro di lei. < Buonanotte L >.

I suoi occhi rimasero fermi sul pavimento per un breve lasso di tempo, fino a che non si decise a guardarla.

< Buonanotte Clary > rispose atono girandosi per tornare alla sua postazione.

< Amy, chiamami Amy > gli disse facendolo fermare di colpo. Dopotutto stavano per buttarsi in un nuovo caso, e data la sua precaria situazione trovarsi un nuovo nome sarebbe stato pressoché opportuno.

Lo vide di scorcio fare un piccolo ghigno.

< Allora buonanotte Amy > sussurrò tornando a sedersi.

Prima che riuscisse ad uscire da quella benedetta stanza una testa bionda sbucò da dietro lo schienale del divano, e dopo averlo scavalcato si ritrovò faccia a faccia con il suo proprietario.

< Amy eh? > lo vide ghignarle contro. < Magari lei sarà più simpatica e disponibile di Clarissa Hayland >

Gli tirò un pugno sul braccio nel sentirlo pronunciare il suo vero nome.

< Idiota non dire il mio vero nome ad alta voce > lo rimproverò, < E comunque tranquillo, avrò anche cambiato nome, ma rimango comunque la solita rossa rompipalle che sarà la protagonista dei tuoi incubi peggiori se non smetti di darmi noia > lo provocò.

Non amava i conflitti, ma quel ragazzo aveva l’innata capacità di far affiorare il suo lato peggiore.

Rimase un attimo a fissarlo soffermandosi forse un pò troppo sulla cicatrice. Lui parve notarlo, e lei potè constatare quanto la cosa lo infastidisse.

< Beh che vuoi? Stai aspettando il bacio della buonanotte? > le ringhiò addosso.

< Mi stavo solo chiedendo se un giorno mi racconterai come te la sei procurata > parlò a voce bassa, quasi timorosa della sua reazione.

Lo vide sbuffare e girare i tacchi segno che quella conversazione era finita.

< Vattene a letto pel di carota >mugugnò poco prima di sorpassarla con una spallata per dirigersi verso il suo appartamento.

Amy non potè non notare la nota di tristezza nella sua voce.

Watari, ancora fermo fuori dalla porta, aveva assistito all’accaduto.

< Non per essere indiscreto Miss, ma ritengo che la sua richiesta sia stata alquanto inopportuna > la riprese bonariamente.

< Tu dici? > rispose sarcastica. Sapeva benissimo di aver toccato un tasto dolente, ma d’altra parte perchè darsi tanta pena.Mello non si era mai preoccupato di non ferire i suoi sentimenti.

< Watari ha ragione, Amy. Se vogliamo risolvere questo caso dobbiamo essere uniti,non possiamo permetterci questi conflitti.Già è difficile gestire il rapporto tra Near e Mello, non ti ci mettere pure tu, perfavore > la voce solenne di L le giunse dal fondo della sala.

La ragazza non riuscì a reprimere uno scatto d’ira. Con passi lunghi e ben distesi raggiunse il corvino.

< Hai mai pensato che forse, se tutti hanno problemi a relazionarsi con Mello, il problema sia lui? > sbottò adirata. In tutta risposta L rimase calmo e fermo al suo posto.

< Sappiamo tutti benissimo che Mello ha dei problemi comportamentali, come ognuno di noi del resto, ma questo non ti autorizza a ferirlo >

< Non era mia intenzione ok! E poi ha detto che non gli importa di me, quindi mi chiedo, Come può ferirti qualcosa detto da una persona che per te è insignificante? >

Vide L borbottare tra sé e sé per poi rivolgersi a lei.

< Non mi importa dei tuoi interrogativi Amy. Ora voglio che tu vada da Mello, ti scusi e che da questo momento in poi rimaniate entrambi concentrati sul caso >

Sbuffando sonoramente Amy si piegò al volere del suo “amico”, e dopo averlo salutato, non senza un certo astio nella voce, si avviò verso l’abitazione del biondo, seguita da Watari.

Il cuore nel petto iniziò a dolerle. Per un momento credette di essere stata vittima di uno degli attacchi di Kira. Odiava chiedere scusa più di qualsiasi altra cosa, soprattutto quando era fermamente convinta di non aver nulla di cui scusarsi.


Quando si trovò dinanzi l’appartamento rimase una manciata di secondi a fissare la porta.

< Puoi lasciarmi sola un attimo? > chiese poi rivolgendosi all’anziano signore al suo fianco.

Watari acconsentì, dirigendosi verso un’altra ala del piano.

Rimasta sola cercò di rimettersi in sesto, e dopo aver preso un profondo respiro bussò alla porta.

Dopo cinque minuti e un’altro paio di bussate si era decisa ad andarsene, ma la porta si aprì. Mello apparve dal buio della stanza. La parte superiore del busto nuda e i lacci dei suoi amati pantaloni di pelle allentati.Si poggiò a braccia conserte contro lo stipite della porta, in attesa di una sua mossa.

Amy, ingoiando un boccone amaro alla vista dell’espressione annoiata del ragazzo,diede fiato alla bocca.

< Dobbiamo parlare...e.... > un’altro respiro < Credo di doverti delle scuse >.






 
   
 
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