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Autore: _Bri_    24/03/2019    5 recensioni
Storia ispirata in parte a "Sex Education", nuova serie televisiva di Netflix.
Elliott Johansson non ne sapeva niente d’amore, figuriamoci di sesso. Se qualcuno gli avesse detto, magari con una premonizione un po’ raffazzonata, che si sarebbe ritrovato chiuso nel bagno delle ragazze del terzo piano –praticamente in disuso, vista la costante fastidiosa presenza di Mirtilla Malcontenta- a dare consigli ai suoi compagni di scuola sul come migliorare la propria vita sessuale, Elliott avrebbe singhiozzato risate a rotta di collo.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Robins, Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo III
Caso clinico 3: La menzognera prova del nove
 
 
La notorietà di Elliott Johansson cresceva a dismisura, cosa di cui il ragazzo faticava a comprenderne la natura. Possibile mai che da un perfetto Signor Nessuno, snobbato dai più ed evitato da molti, si fosse improvvisamente trasformato in un gioiello ricercato? Non più solo il gruppo delle grifondorine: il corvonero era assediato da un manipolo di studenti pronti a coprirlo d’oro, pur di ricevere da lui qualche consiglio. Così che Elliott si vide costretto a frenare Roger, il quale stava riempiendo la sua agenda senza lasciarlo con un solo momento libero. Insomma: le sedute con il dottor Johansson stavano diventando esclusive e solo chi s’era mosso in anticipo, poteva sperare di ricevere dei consulti.
Elliott non era lasciato mai solo, nemmeno un secondo; appena provava ad avvicinarsi ad un qualsiasi bagno, solo ed esclusivamente per adempiere allo svolgimento delle proprie funzioni vitali, veniva assaltato senza alcuna pietà, obbligandolo a scappare via con la vescica ancora piena, cosa che gli recava gran frustrazione. Mentre le tasche si gonfiavano di galeoni, la sua sanità mentale andava via via distruggendosi e questo non andava affatto bene.
Inoltre Elliott capì che la famosa prova del nove del caso Gazza, fosse stata solo un’ulteriore conferma di quanto questa fosse poco attendibile. Durante la frequenza delle scuole primarie, il piccolissimo nato babbano, al tempo ignaro di essere munito di sangue magico, dette prova della sua genialità non particolarmente apprezzata: il suo maestro si ostinava ad insegnare quella tecnica fallace durante l’apprendimento delle tabelline. Fu del tutto inutile, da parte del piccolo Elliott, provare a confutare la famosa prova, asserendo che quella non provasse un bel niente, non risultando infallibile. Al tempo questa affermazione non fece che meritare l’ammonimento da parte dell’insegnante, che lo redarguì a gran voce davanti a tutta la classe e facendolo vergognare come un ladruncolo, visto che così facendo stava mettendo in difficoltà i suoi compagni e che la presunzione l’avrebbe fatto isolare. Anni dopo, davanti alla sua nuova paziente, Elliott si ritrovò amaramente a ricordare quel triste episodio, che aveva da un lato acceso la miccia delle problematiche legate alla sua evidente diversità, dall’altra però lo aveva aiutato a mostrare diffidenza verso l’incertezza, motivo per il quale si era gettato nello studio di qualsiasi argomento a lui congeniale.
Argus Gazza era dunque stato la sua prova del nove: difatti mentre ascoltava la voce cacofonica di Millicent Bulstrode, Elliott razionalizzò che la certezza di aver passato il peggio non sarebbe mai esistita.
La purosangue serpeverde era la sfida delle sfide, quella che non avrebbe mai superato e che l’avrebbe posto davanti al suo primo fallimento, da quando aveva iniziato ad offrire i propri consigli a mezza Hogwarts. Il caso Bulstrode presentava, infatti, una lunga serie di problemi:
La giovane strega era un tripudio di difetti adolescenziali che passavano per l’eccessiva acne lasciata all’incuria, la voce incrinata da una sinusite cronicizzata, la carenza nella cura dell’aspetto ed un quoziente intellettivo pari a quello di un mollusco in letargo.  Ma su tutte queste cose Elliott poteva, con tanta fatica, lavorarci sopra; il problema più grande era un altro: l’oggetto del suo desiderio.
 
“Da quanto tempo pensi di esserne innamorata?”
 
Uno sbuffo porcino risuonò nel bagno:
 
“Da quando ho messo piede ad Hogwarts.” Confessò, affranta.
 
“E suppongo che lei non ne sia a conoscenza.”
 
“Mi brucerei i capelli, piuttosto che dirglielo! Ma certe volte penso che lo abbia capito…mi è capitato qualche volta di…guardarla dormire; la sua bella chioma di pece profuma di zucchero filato…”
 
Elliott fu grato che il divisorio fra i due bagni non permettesse a Millicent di vedere lo sgomento e il raccapriccio sul suo viso.
 
“Hai…hai annusato i capelli di Pansy Parkinson mentre…dormiva?”
 
“Tu non capisci! È irresistibile! Ma penso…sai forse una volta mi ha sorpresa, ma le ho fatto credere che stesse sognando.” Bofonchiò la serpeverde.
Elliott sperò con tutto se stesso che quello fosse solo un incubo. Va bene, le ore che dedicava al sonno erano talmente poche e spesso e volentieri di tutt’altro tipo erano le immagini oniriche che lo accompagnavano in quella funzione, ma come soleva dire suo padre, Hopp är den sista att dö (1), ovvero la speranza è l’ultima a morire.
Morire. Che soave uso del verbo all’infinito. Il corvonero non avrebbe chiesto nulla di più, in quel momento, che essere cullato  dalle braccia della signora in nero, piuttosto che affrontare Millicent Bulstrode. Tutti infatti sapevano, ad Hogwarts, che l’erede Parkinson soleva passare il proprio tempo in compagnia di un mago dal sangue altrettanto puro, che ad Elliott faceva una discreta paura; Draco Malfoy ed i suoi scagnozzi erano infatti fra i suoi peggiori incubi, visto l’odio che il capetto dai capelli anemici mostrava nei confronti dei nati babbani. L’esaltazione con cui quel Draco parlava di robe come purezza di sangue e selezione NON naturale della specie magica (quest’ultima una vera e propria minaccia che veniva riservata ai nati babbani che incontravano la sua bacchetta), gli mettevano i brividi. Una volta, mentre quel tubero grosso come il platano picchiatore di Vincent Tiger tentava di infilargli la testa nel water, Elliott aveva sfoderato il legno dichiarando che era quanto mai obsoleto parlare di sangue puro. Era finita che Tiger si era ritrovato coi mutandoni tirati fin sopra la testa e Draco Malfoy gonfio come una pignatta; quest’ultimo urlò mio padre lo verrà a sapere (2) prima di scappare in infermeria e quella fu l’ultima occasione in cui Elliott scambiò qualche parola con quei serpeverde. Era dunque ovvio il motivo per il quale il corvonero avesse timore di infilarsi in quel triangolo, sempre se di triangolo si potesse parlare; difatti poteva mettere la mano sul fuoco che Pansy Parkinson non solo fosse cento per cento eterosessuale, ma che anche provasse la curiosità della sperimentazione omosessuale, mai e poi mai si sarebbe fatta mettere le mani addosso dalla sua compagna di casa, visti gli standard fisici alla quale aspirava. Ma se non avesse in qualche modo (e ancora non aveva idea di come fare) aiutato Millicent, Elliott sapeva che sarebbe finita molto male, perché per una come la Bulstrode mettere ko uno come Johansson, munito d’uno terzo della forza della donzella, sarebbe stato un giochetto da poppanti.
Alla fine Elliott temporeggiò, congedò Millicent rimandando il prossimo incontro a due settimane a seguire (santa uscita per Hogsmeade che gli aveva salvato le secche natiche) ed era scappato via.
 
*
 
Il fastidioso rumore del gorgoglio proveniente dalla cannuccia, succhiata dalle labbra perfette di Roger Davies, lo stava mandando ai matti.
 
“Ti avevo chiesto la cortesia di fare selezione, Roger…se-le-zio-ne. Cos’è, di preciso, che ti sfugge di questa parola?”
 
“Amico, non sai quanti poveri studenti ho dovuto respingere. Ma non ho proprio potuto dire di no a la giganta,” Roger puntò il succo di frutta verso Elliott “ha minacciato di baciarmi, Ells! Tu sai che non mi tiro mai indietro, se si parla di intrattenimento femminile, ma Millicent Bulstrode non rientra fra le mie possibili compagne d’avventura, se è chiaro ciò che intendo.”
 
Elliott sgranò gli occhi acquamarina, indicandosi il petto “E a me? Non pensi a me, van?!”
 
“A te non minaccerebbe mai con un bacio!”
 
“E perché mai?!”
 
“Beh…perché sei…tu.” Rispose pratico Roger. Davanti al tremolio delle sopracciglia di Elliott, segno di un vago accenno di moto d’ira (e per Elliott Johansson quello equiparava ad un’eruzione vulcanica), Roger si sbrigò a spiegarsi meglio: “Ne abbiamo parlato un milione di volte amigo: tu hai le potenzialità, ma non ti applichi! Ma guardati…sei un fiore di ragazzo, alto come un rascacielos (3) se non te ne stessi sempre tanto gobbo; hai la tipica bellezza meticcia, proprio come me! Ma non ti valorizzi; nessuna ragazza ti guarda mai perché la mattina sembri uscito da una centrifuga e perché dimostri la vitalità di una pianta secca!”
 
“Ma…ma…io non sono una pianta secca…semplicemente non ho la mimica facciale di un clown nel clou del suo spettacolo. Anche io provo delle emozioni!”
 
Roger si alzò di scatto dalla comoda poltrona e cinse le spalle dell’amico, prendendo a scuoterlo con vigore: “E allora dimostralo, por dios! Elliott…ti devi svegliare, altrimenti la parte migliore della tua vita passerà senza che te ne renda conto!”
 
*
 
Anche se a molti quella coppia potesse apparire male assortita, ad Elliott era ben chiaro per quale motivo potesse ritenere Roger il suo migliore amico. Il capitano corvonero sapeva sempre cosa dirgli e come farlo; era in grado di usare il polso fermo quando ce n’era bisogno e di tirarlo su nei peggiori momenti di sconforto.
A tredici anni, Elliott si era trovato a fare i conti con la sua prima sbronza, durante una festicciola nella loro sala comune. Probabilmente sarebbe soffocato nel suo stesso vomito, se quel Davies non gli avesse prestato soccorso tenendogli la testa e facendogli ingollare una centrifuga post sbronza. Da quel momento i due erano diventati inseparabili e anche Elliott si era ritrovato a supportare Roger in più di un’occasione, mettendo in campo il suo raziocinio quando l’amico mostrava l’incapacità di riordinare le idee. Erano in perfetto equilibrio, loro due, sempre. Chiunque altro se la sarebbe presa per il modo in cui Roger lo aveva trattato, ma non Elliott, comprensivo che quella non fosse che la pura e semplice verità e che, detta da chiunque altro in tutt’altro modo sarebbe passata in sordina.
Per quanto tentasse di mentire anche a se stesso, la semplicità di Roger aveva fatto centro ancora una volta. Elliott si sentiva molto spesso una pianta secca, incapace di provare emozioni forti. Prima dell’esperienza del confesional, non aveva nemmeno mai provato tutta quell’ansia; l’apatia la faceva da padrone, quasi sempre, per questo quando ne aveva l’occasione si gettava a sfumacchiare erbe, ingollare funghi magici e chi più ne ha più ne metta, perché almeno in quei casi sentiva qualcosa smuoversi dentro di lui.
Elliott aveva solo diciassette anni, eppure si sentiva triste e patetico.
Particolarmente affranto, il mago uscì dall’aula di pozioni convinto di avviarsi in biblioteca, il confortevole nido in cui si rinchiudeva quando il mondo sembrava volerlo prendere a cazzotti; quella meravigliosa strega quale era Irma Pince faceva per lui il lavoro sporco, mettendo a tacere di continuo l’insolente vociare dei suoi colleghi e regalando a lui la pace agognata. Seppure Roger avrebbe disapprovato l’ennesima reclusione in quel luogo angusto in cui, testuali parole, c’erano solo noiosi libri, Elliott sentì non ci fosse luogo più appropriato a lui in quel momento.
Eppure il destino si era messo in mezzo un’altra volta mandandolo ad impattare –maledetta distrazione- contro il tassorosso che aveva rimandato ad affrontare. Zacharias Smith sputò un paio di parolacce dai denti accavallati, prima di rendersi conto che l’alto e dinoccolato studente che gli aveva fatto cadere i libri a terra, fosse il suo terapista. Un sorriso raggiante sorprese Elliott:
 
“Amico! Tutto confermato per oggi pomeriggio, si? Ho davvero bisogno dei tuoi consigli!”
 
Fu a quel punto che Elliott capì di non poter rimandare; preso un grande respiro, il mezzo svedese dichiarò con solennità:
 
“Smith, ti devo parlare e credo sia meglio farlo subito.”
 
 
 
Zacharias osservava quella assurda collezione di anguille di carta scartarsi e rincartarsi in stropiccii sommessi. Ad ogni parola letta dai suoi occhietti vacui, il viso si faceva sempre più pallido.
 
“Q-questa è la mia scrittura, ma ti g-giuro che non ti ho mandato io questi biglietti! Tu sei il mio salvatore, Johansson!”
 
Il Tassorosso afferrò i lembi della camicia sgualcita di Elliott e cominciò a scuoterlo con disperazione: “Ti prego! Promettimi che non interromperai le sedute! Io ne ho bisogno! Ne ho bisogno!”
 
Il livello di afflizione di Smith era talmente tanto alto, che Elliott non faticò a credere alle sue parole. Ma se non era lui ad inviargli i messaggi minatori, chi lo stava incastrando?
Gli ingranaggi del fine cervello presero a vorticare con frenesia, portando il corvonero ad un’ipotesi che, per quanto bislacca fosse, poteva rivelarsi sensata.
 
*
 
Elliott aveva passato buona parte dell’uscita ad Hogsmeade ad evitare Parvati, Lavanda e Romilda, a costo di vagare sotto la neve abbondante. Doveva concentrarsi sul suo caso e solo una volta spiata la situazione Pansy, avrebbe potuto cedere alla volontà delle tre di ingozzarlo con la cioccolata calda di Madame Piè di Burro. Entrò ai Tre Manici di Scopa come un povero diavolo, col cappellino di lana calato fino agli occhi e la sciarpa a coprire il septum del naso. Una volta individuata Pansy Parkinson che si strusciava su Draco Malfoy come una gattina in calore, Elliott recuperò una copia della Gazzetta del Profeta e, quatto quatto, s’appostò in un piccolo tavolino accanto a quello occupato dai serpeverde. Fingere l’intensa lettura di un noiosissimo articolo che raccoglieva le ultime dieci premonizioni del mese, evitò al corvonero di roteare gli occhi ad ogni stronzata sparata dal rampollo di casa Malfoy, che si pavoneggiava del suo distintivo da squadrista dell’inquisizione come se avesse vinto il nobel per la pace. Fu del tutto inutile passare quell’ora a spiare i due, in quanto era evidente che la moretta non avesse occhi che per Malfoy. Non che avesse sperato nella fusione delle sinapsi di Pansy, per carità. Era consapevole che la Parkinson non avrebbe mai e poi mai guardato Millicent Bulstrode con gli occhi dell’amore, tanto che non capì perché diavolo si stesse sforzando tanto.
 
“Sentivo un odore insopportabile…stavo per lamentarmi con Madama Rosmerta, ma poi mi sono accorto che era il tuo sangue marcio, a tormentare le mie narici!”
 
Elliott chiuse con calma il giornale e roteò lo sguardo verso l’alto, scontrandosi col muso presuntuoso di Draco, che evidentemente si era alzato per provocarlo e meritarsi ulteriori attenzioni da parte dell’amichetta.
 
“Non vorrei correggerti, ma l’odore ematico non perviene, se il sangue si trova ancora – e fortunatamente nel mio caso- all’interno del corpo. Credo tu abbia preso un abbaglio dei tuoi, Malfoy.”
 
Il tono apatico di Elliott non fece che mandare Draco su tutte le furie.
 
“Ancora ti permetti di rispondermi, Johansson? Perché non fai un favore a tutti noi e lasci questo posto, tipo per sempre? Tornatene a fare a palle di neve in quel tugurio di paese in cui sei nato!”
 
Rispondere a quella pseudo offesa non avrebbe che portato ad un bisticcio che non aveva assolutamente voglia di affrontare.
 
“Ehi Malfoy, invece perché non fai tu un favore a noi e non te ne vai affanculo? La strada la dovresti conoscere bene, con tutte le volte che ti ci ho mandato!”
 
Con i rossi capelli scombinati, il cappello di lana in mano e le guance arrossate, Demelza Robins sorrideva impudente a Draco Malfoy; Elliott non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi per quale motivo la grifondoro lo stesse difendendo, in quanto fra i due, con l’aggiunta della fastidiosa Pansy, scoppiò il putiferio: urlarono parole grosse e con quelle un paio di schiantesimi. Nella confusione più totale, Demelza afferrò la mano di Elliott e lo trascinò fuori dai Tre Manici di Scopa, ridendo come il corvonero non l’aveva mai sentita ridere. Si chiese se quella ci stesse davvero tutta con la testa, visto che sembrava non preoccuparsi affatto del caos che avevano generato nel locale di madama Rosmerta; corsero sotto la neve abbondante, perdendo in continuazione il senso dell’orientamento vista la scarsa visibilità, ma fortunatamente arrivarono sani e salvi da Madama Piè di Burro dove, immancabilmente, si trovavano le grifondoro che, nel vederli entrare, trasalirono.
 
“Per la fluente chioma di Godric! Che cosa ci fate voi due insieme?!”
 
Parvati e Lavanda non persero tempo, così cominciarono a ripulire Elliott dalla neve.
 
“Grazie tante,” Sbuffò Demelza, che dovette occuparsi da sé a sistemarsi “ho salvato il merluzzo al ragù da quell’imbecille di Malfoy.”
 
“Veramente io non avevo chiesto…”
 
“Ti ha fatto male, cucciolotto? Quel serpeverde se la dovrà vedere con me, se oserà torcerti un solo capello!” Parvati sapeva essere tanto spaventosa (Elliott questo lo sapeva bene), che avrebbe fatto tremare chiunque. Ripuliti e asciugati, i due presero posto al tavolo delle grifondoro.
 
“Potresti anche ringraziare, sai? Mamma e papà non ti hanno insegnato l’educazione?” A braccia incrociate, Demelza fissava Elliott con un sopracciglio notevolmente inarcato. Ed eccolo di nuovo, quel senso di fastidio che non era solito provare, ma che spuntava immancabilmente, in presenza di quella strega. Ci provò, a dire che aveva fatto tutto da sola e, sebbene la situazione fosse scomoda, se la sarebbe cavata senza tirare fuori la bacchetta; eppure la Robins per tutto il tempo in cui Elliott tentò di spiegarsi, non aveva fatto altro che rispondere con smorfie e versetti, scimmiottandolo in maniera ridicola.
 
Me la cavo da solo…non ho bisogno di nessuno…non ci fossi stata io ti avrebbe cotto in salmì, quello lì! Ma voi corvonero siete troppo pieni di voi, per rendervi conto quando è il momento di mostrare un po’ di umiltà, vero?”
 
“Elza non esagerare come tuo solito!” Romilda tentò di intromettersi, ma accadde qualcosa a cui nessuno al mondo aveva mai avuto l’occasione di assistere. Le affusolate mani di Elliott impattarono sul tavolino di larice con violenza, facendo tintinnare persino le porcellane del tavolo affianco, mentre dalla bocca cacciò un urlo che fece voltare tutti:
 
“Ora basta! Non ne posso più delle tue puttanate!” Gridò lui, con i verdi occhi sgranati e i tremori alle braccia, mentre Demelza lo guardava allibita, “E ti dirò di più: hai fatto una scena inutile lì dentro e non hai fatto che peggiorare la situazione! Ora per colpa tua sarò perseguitato da quegli imbecilli tirapiedi della Umbridge per il resto dei miei giorni e pretendi anche che io ti ringrazi?! Knulla dig(4)! Vattene al diavolo, Robins!”
 
Dopo aver piroettato le braccia in movimenti più che scoordinati, Elliott infilò il cappello e corse fuori, sotto lo sguardo allibito dell’intero locale. Le tre amiche spostarono in sincrono gli occhi su Demelza che, con la bocca aperta dallo stupore, provò a balbettare qualcosa. Parvati recuperò la sua tazza di fumante tè come nulla fosse e prese a sorseggiarla.
 
“Ma lo avete visto? E io che l’ho anche aiutato, a quell’imbranato patologico!”
 
La tazza di fine porcellana orientale risuono sul piattino, su cui Parvati la poggiò con estrema eleganza, prima di spostare i caldi occhi scuri sull’amica:
 
“Elza, sai che ti voglio bene ed apprezzo il tuo spirito indomito…ma se mi farai sfuggire dalle mani la più grande fonte di scoop dell’intera Hogwarts, giuro che rimpiangerai di dormire nel letto a fianco al mio.”
 
Un limpido sorriso chiuse lì’ la conversazione, facendo deglutire Demelza che, rossa in volto, abbassò lo sguardo carico di imbarazzo. Forse aveva un tantino esagerato.
 
*
 
Roger stentò a riconoscere l’amico: quando Elliott si era catapultato nella Sala Comune, Roger era intento a contare i delicati nei che costellavano il collo di una corvonero del sesto anno, ma si vide costretto ad interrompere la piacevole pratica, visto l’anomalo stato di euforia che riscontrò nel compagno. Per questo congedò a malincuore la fanciulla e prese ad occuparsi di Elliott che non faceva che ridacchiare.
 
“Non dirmi che ti sei fumato quella roba che gira fra i Tassorosso, amigo, lo sai che di quelli non c’è da fidarsi!”(5)
 
“Non sono una pianta secca! Hai capito van?! Non sono una pianta secca!”
 
Roger passò una mano fra i capelli con fare disperato; era più che evidente che Elliott avesse bruciato tutti i suoi neuroni in un colpo solo.
 
“Emh…lo vedo sai: respiri, parli, ti muovi troppo…a proposito di questo ultimo punto, perché non vieni a sederti vicino al tuo amico Roger e cerchi di calmarti un pochino?”
 
Ma Elliott non s’arrestava: strinse le spalle di Roger e cominciò a scuoterlo, mentre il più luminoso dei suoi sorrisi mostrava i denti candidi: “Ho capito come risolvere il caso Bulstrode…capisci? E secondo poi…mi sono arrabbiato! Van: ho dato di testa!”
 
“E…questo è un bene?”
 
“Certo che lo è!” Elliott mollò la presa e allargò le braccia in preda all’estasi: “Non mi era mai successo ed è stato fantastico! Sentivo il sangue pulsare nelle vene e…e poi il cuore battere neanche stessi affrontando una maratona! Mi sono dovuto trattenere per non picchiare la Robins!”
 
“La Robins?! Ma cosa stai…ehi! Ells! Ma dove vai?!”
 
Prima di scappare di nuovo via, Elliott frugò nelle tasche e tirò fuori un’ampollina che racchiudeva qualche capello scuro; la mostrò a Roger con un furbo sorriso: “A risolvere il caso!”
 
*
 
“Non abbiamo parlato dei motivi per il quale senti di essere innamorata di Pansy.”
 
Elliott, seduto su uno dei banchi dell’aula di trasfigurazione, ciondolava le gambe mentre teneva lo sguardo su Millicent, seduta goffamente accanto a lui.
 
“Beh…lei è…bellissima.” Sospirò.
 
“E cos’altro?”
 
“Ha la pelle che profuma di frutta candita…e poi ha quel vitino di vespa, per non parlare delle sue mani, sempre così curate…”
 
“Ok, Pansy Parkinson è molto graziosa,” si introdusse lui con delicatezza “ma caratterialmente cos’è che ti piace?”
 
“Caratterialmente?” Fece eco la strega, stupita: “Cosa intendi?”
 
“Beh, avrà delle qualità che ti piacciono…che so…la trovi dolce, simpatica, affettuosa, intelligente…” Elliott proseguì a fare un elenco di doti e qualità che, personalmente, non riteneva si incastrassero con la Parkinson. Gli occhietti di Millicent si strinsero, sintomo del fatto che la strega si stesse sforzando moltissimo per afferrare il concetto del magiterapista.
 
“Veramente con me è sempre sgarbata…e spettegola spesso, non mi piace chi spettegola. E poi prende le mie cose senza chiedermi il permesso e sembra sempre di cattivo umore, tranne quando c’è Draco nei paraggi…”
 
“Quindi non sarebbe scorretto affermare che, in realtà, è solo l’aspetto di Pansy che ti attrae di lei…”
 
“Ma cosa dici!” Trasalì Millicent, “Anche la sua popolarità! Lei è sempre così seguita e ammirata…”
 
“Senti…ti piacerebbe provare ad essere nei suoi panni per qualche ora?”
 
Elliott condusse Milly al bagno dei prefetti. Se c’era un vantaggio nell’essere prefetto ed accompagnarsi con una dei più temibili membri della squadra d’inquisizione, era che nonostante il regime totalitario instauratosi ad Hogwarts a seguito dell’avvento di Dolores Umbridge, potevano permettersi di girare per i corridoi senza essere importunati. Millicent Bulstrode acconsentì a bere la pozione polisucco senza indugiare nemmeno un secondo, entusiasta dal poter assumere le sembianze del suo oggetto del desiderio. Fortunatamente Elliott riscontrò i risultati sperati: dopo un primo momento di esaltazione vera e propria, durante la quale Millicent esagerò nel tastare il proprio corpo –o meglio quello preso in prestito dalla Parkinson-, fino al punto che più che imbarazzato, Elliott dovette redarguirla, poco dopo la ragazza cominciò a storcere il naso.
Già, perché Millly scoprì su Pansy cose che non si sarebbe mai aspettata: prima di tutto una sudorazione incontrollabile, che evidentemente la collega serpeverde si premurava di mascherare con qualche costosissima pozione; in secondo luogo possedeva una spiacevole peluria sugli alluci dei piedi, così come una riga nera le attraversava l’addome. I capelli al naturale erano decisamente diversi da quelli tanto sognati da Millicent: crespi e spenti, sembrava impossibile gestirli. Infine la voce che risultava insopportabile, se non si sforzava di modularla.
Ben presto Millicent Bulstrode si rese conto che Pansy Parkinson non era poi così distante da lei, semplicemente passava molto più tempo a limare e mascherare i propri difetti. Certo era più magra, molto più magra, ma se proprio ci teneva Millicent avrebbe sempre potuto mettersi a dieta per perdere i chili desiderati; per altro i suoi lineamenti erano senz’altro più dolci e graziosi di quella che ormai, ne era più che certa, non era altro che una vera e propria fissazione, più che l’amore della sua vita.
Insomma, Millicent Bulstrode non volle rimanere nei panni di Pansy nemmeno un minuto di più. Aveva imparato, grazie allo stratagemma di Elliott, che non necessariamente la bellezza esteriore andava a braccetto con quella interiore e soprattutto, mentre sulla prima si poteva porre rimedio, se si era delle “brutte persone” c’era ben poco da fare. L’unica cosa che fece prima di riprendere le proprie sembianze (cosa che nauseò il corvonero che per pudore e rispetto si voltò dall’altra parte), fu manipolarsi il seno per un po’, visto che tante notti aveva sognato di farlo.
 
“Non è così bello come immaginavo.” Bofonchiò la di nuovo Milly , mentre s’avviavano verso i rispettivi dormitori.
 
“L’amore è una questione molto profonda.” Elliott parlò con sapienza, nonostante lui, di amore, non ne capisse un fico secco. “Prima di tutto bisogna imparare ad amare noi stessi, non trovi?”
La serpeverde annuì e prima di congedarsi, smollò una pacca sulla spalla di Elliott che faticò per non volare via.
 
“Dimmi una cosa, Johansson: come hai fatto ad avere i capelli di Pansy per la polisucco?”
 
Elliott pensò che, nonostante il comportamento di Demelza Robins ai Tre manici di Scopa fosse stato eccessivo, immaturo, irresponsabile e inutilmente facinoroso, gli aveva quantomeno dato modo di recuperare ciò che gli serviva, ovvero una bella ciocca corvina che Demelza aveva portato via dalla testa di Pansy
Alla fine dunque Millicent Bulstrode non era affatto innamorata di Pansy Parkinson, bensì dell’idea perfetta che si era costruita nella testa. Per una volta Elliott dovette ammettere che la prova del nove aveva funzionato, visto che dopo avere assunto le sembianze di Pansy, Millicent aveva deciso che avrebbe pensato a stare a posto con se stessa: a seguito di quell’esperienza la serpeverde, che tanto stupida non era, aveva messo su un corso di mutuo aiuto ad Hogwarts, per tutti coloro che lottavano ogni giorno con le brutture dell’adolescenza. Inoltre si era tirata fuori dalla squadra dell’inquisizione, si era imposta di diventare la sua segretaria personale in quanto riteneva che più studenti possibili dovevano usufruire dei benefici della psicanalisi (era risultato inutile tentare di spiegarle che lui teoricamente trattava di sesso e che, oltretutto, non era un vero magiterapista) ma su tutto, la cosa che dette maggiori soddisfazioni ad Elliott, fu che appena ne aveva l’occasione, Milly faceva in modo di screditare la Parkinson, che crollò celermente dalle stelle alle stalle della scuola.
In definitiva, quello era stato il suo successo più grande, fino a quel momento.
 
*
 
La lezione di Storia della Magia era stata più rocambolesca del solito: Cormac McLaggen, grifondoro del suo stesso anno, aveva letteralmente oltrepassato il corpo lattiginoso del professor Ruf con il testo scolastico; in seguito al disappunto del professore, si era giustificato asserendo che voleva constatare se fosse vero che i fantasmi portarono reale contributo durante la caccia alle streghe nei Secoli Bui. Dopo un crollo di nervi del povero professore, l’aula era stata liberata ed Elliott si era trascinato fuori da essa pronto ad essere accolto dalla sua nuova guardia del corpo, che era certo lo stesse aspettando. Lo stupore lo colse all’improvviso, quando capì che ad attenderlo a fine lezione, al fianco di Milly, c’era una matassa di corti e scombinati capelli rossi, un paio di occhi limpidi e rammaricati e un’espressione contrita.
 
“Possiamo parlare?” Pigolò Demelza, stranamente docile. Da quel brutto episodio capitato durante l’uscita ad Hogsmeade, non era più successo che i due si incontrassero. Elliott prese a torturarsi il septum e guardò Millicent, come se quella fosse in grado di decidere al posto suo sul da farsi. Di tutta risposta la serpeverde incrociò le braccia ed annuì con vigore.
 
“Vi copro io, capo.” Disse laconica lei. Pur volendo, Elliott non avrebbe avuto il coraggio di contraddire Millicent Bulstrode. Con un ampio sospiro, il corvonero fece cenno a Demelza di seguirlo in direzione della torre di astronomia; del resto con la serpeverde ad ostacolare chiunque tentasse di dire qualcosa, Elliott poteva stare tranquillo.
 
Rannicchiato di fianco alla balaustra, il mago ingannò l’attesa delle parole di Demelza girando una canna che, in men che non si dica, passò nelle mani della strega, la quale ovviamente non chiese il permesso di usufruire dei benefici delle magiche erbe.
 
“E io che pensavo che voi corvonero foste tutti dei gran noiosoni, specialmente tu.” La strega si morse la lingua “Scusami, l’ho fatto di nuovo.”
 
Con lo sguardo basso in attesa che la canna gli fosse restituita, Elliott giocherellava con un filo di cotone fuoriuscito dalla cucitura della sua divisa. “Fatto cosa?”
 
“Ti ho offeso senza motivo.” Demelza sputò il fumo, si acquattò al suo fianco e gli ripassò la canna: “Il motivo per cui sono qui…ecco mi volevo scusare con te, so di avere esagerato l’altra volta. Non penso davvero che tu sia un merluzzo al ragù.”
 
Sul viso di Elliott spuntò un accenno di sorriso: “Credo che quella sia la cosa più carina che tu mi abbia mai detto, Demelza.”
 
“Certe volte non mi rendo conto di calcare un po’ troppo la mano. Il problema è che i tipi come te mi danno sui nervi.”
 
“Lo stai facendo di nuovo.”
 
“Cosa?”
 
“Offendermi.”
 
Demelza sgranò gli occhi: “Sono solo sincera! Ma a quanto pare è diventata un difetto, la sincerità; per questo Parvati mi ha caldamente invitata a venirti a parlare.”
 
Di nuovo quella sensazione di fastidio che si attorcigliò nel suo stomaco come una viscida biscia. In realtà aveva sperato che Demelza Robins volesse sinceramente scusarsi con lui; ma a quanto pareva la strega era lì solo perché pressata dalla Patil. Tentò di reprimere la stizza, ricacciandola nell’angolo più buio del suo cervello; se era vero che provare sensazioni forti era stato adrenalinico, era altrettanto vero che i sentimenti sapevano ferire. Forse era meglio tornare ad essere l’apatico Elliott Johansson, sedato dall’assenza delle forte emozioni. E mentre valutava attentamente questa opzione, Demelza afferrò nuovamente la canna e lo sorprese ancora una volta:
 
“Mi dai sui nervi, perché sembra che nulla ti tocchi. Per questo ti invidio, capito?” Una boccata di fumo, prima di continuare a parlare, “Io sento di essere come un vulcano! Non ho mai vie di mezzo: sono sempre o molto felice o molto arrabbiata…sono irritabile, scontrosa, eccitata, esuberante! E ti assicuro che tutto questo è stancante!”
 
Elliott si trovò a boccheggiare un po’, prima di intervenire: “Tu…tu mi invidi?”
 
“Eccome se ti invidio!” Gridò lei. Fortunatamente l’appostamento di Millicent aveva fatto in modo che i due rimanessero soli, visto che Demelza Robins sembrava non conoscere il significato della parola discrezione.
 
“Sei sulla bocca di tutti, Johansson: tutti a dire quanto sei brillante, lodano la tua calma e la tua pazienza, il fatto che mantieni il controllo sempre e comunque. Per questo ti va tanto bene, quel tuo dannato confesional.” Sbuffò infine.
Il corvonero non credeva alle sue orecchie e, specialmente, non capiva perché un’altra volta il suo cuore avesse preso a battere più forte e velocemente della norma. Possibile che qualcuno avesse davvero dei motivi per invidiarlo? Aveva creduto per tutta una vita di essere più che trasparente; eppure Demelza Robins gli stava facendo un altro grande regalo e la cosa più assurda era che la strega non se ne rendesse conto.
Con quanta rapidità il tempo passò, Elliott non seppe definirlo. Fumarono e parlarono molto, ascoltarono la strana musica passata dal walkman del ragazzo, persino si liberarono risate più di una volta grazie a Demelza che, fumata come una pigna, aveva preso a fare l’imitazione di Dolores Umbridge, che Elliott trovò esilarante.
 
“Cazzo, è meglio che vada, o non finirò il tema per mocio vileda.”
 
“Chi diavolo è mocio vileda?” Chiese Elliott, alterato tanto quanto Demelza ma comunque ben conscio di cosa fosse l’oggetto menzionato, visto le origini babbane.
 
“Chi vuoi che assomigli ad un mocio vileda? Piton, ovvio!”
 
Risero ancora, mentre si alzavano con la volontà di recarsi nelle proprie sale comuni.
 
“Allora tutto ok?” chiese Demelza che si stropicciava la faccia con una mano. Se fosse tutto ok? Elliott sentiva di aver passato una delle più belle serate della sua vita, in compagnia di quella pazza grifondorina, sboccata e sgraziata. Per questo gli pesò costringersi a farle quella domanda che, da giorni, gli ronzava nella testa. Si grattò la nuca e con coraggio pose una mano sulla spalla di quella ragazzina tanto più bassa di lui, che gli aveva già dato le spalle pronta a schizzare via.
 
“Senti, devo chiederti una cosa, Dem.” L’uso dei nomignoli era stato frutto della ganja.
 
“Spara, ma sbrigati!” rispose con impazienza.
 
Elliott affondò una mano nella tasca, tirando fuori una manciata di anguille di carta, che le mostrò, prima di chiederle con tenero imbarazzo: “Mi spieghi perché non vuoi che continui con il confesional?”

 

(1) Se qualche svedese leggesse queste traduzioni mi fucilerebbe. Comunque grazie ancora una volta a google tanslate.
 
(2)Dai, è stato irresistibile mettere questa frase nella bocca di Draco Malfoy ancora una volta.

(3)Anche se facilmente intuibile, rascacielos vuol dire “grattacielo”.

 
(4)Parolaccia inutilmente traducibile.
 
(5)Se qualcuno di voi segue Caleel, un famoso youtuber che tratta in maniera approfondita il mondo di Harry Potter, si sarà fatto quattro risate seguendo il video in cui raccoglie le più strambe teorie dell’internet. Una di queste riguarda i tassorosso e nello specifico spiega per quale motivo gli studenti della casa di Tosca siano sempre così tranquilli e sereni: ovvio, sono sempre strafumati! Mi ha fatto molto ridere, non potevo non inserirne un riferimento.
 
 
Prima di tutto è un dovere scusarmi con voi, vista la lunghissima assenza. Purtroppo la vita si è appropriata di me e tra spostamenti in giro per l’Italia, lavoro e tante altre cose non ho avuto tempo di mettere le mani al pc. Mi spiace moltissimo e spero di avere più tempo in futuro per scrivere, anche perché mi è mancato molto. Nello specifico questo capitolo è stato scritto a mozzichi e bocconi nell’arco di un mese, mezza paginetta alla volta :( spero sia comunque di vostro gradimento, nonostante sia più introspettivo e di conseguenza meno divertente dei precedenti.
Molti di voi hanno ipotizzato che dietro le minacciose anguille di carta ci fosse Demelza; ovviamente il finto giallo si è quasi risolto, indicando proprio lei come l’artefice delle minacce. Chissà come mai la Robins vuole che Elliott si ritiri dall’arduo compito di magiterapista per adolescenti disturbati? Lo scopriremo nel prossimo capitolo che, se non l’ultimo, sarà il penultimo.
Mi scuso per non avere risposto alle recensioni passate, cercherò di provvedere, ma intanto non posso che ringraziarvi qui in nota!
Spero a presto, buona domenica :)
 
Bri
   
 
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