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Autore: Flos Ignis    25/03/2019    2 recensioni
Quinta classificata al contest “Lavoratori allo Sbaraglio” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.
Magnus, angosciato per i ricordi del suo passato, tenta di tenere Alexander lontano da sé per poterli affrontare da solo, ma Alec è preoccupato per il suo amato stregone, perciò non si farà fermare da niente e da nessuno dall'aiutarlo, nemmeno dalla testardaggine stessa del suo fidanzato.
L'unico modo in cui possono superare tutto? Insieme, e stanno per scoprirlo.
Tratto dal primo capitolo:
Un piccolo sorriso triste gli nacque sulle labbra. Avrebbe voluto Alexander vicino, ma l'idea di raccontargli il motivo dei suoi tormenti lo riempiva di terrore.
No, molto meglio tenersi per sé quei fantasmi che lo tormentavano da secoli.
Pesavano sul suo vecchio cuore con tutto il peso dato dalla loro gravità e lui a malapena poteva sopportarlo, lui che quei demoni li aveva visti nascere e dava loro dimora nella sua anima.
Come poteva chiedere ad Alexander, un giovane dall'anima innocente di nemmeno vent'anni, di vivere con simili tormenti?
Lo amava troppo per fargli un torto simile.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Da solo contro il passato







C'era aria di tempesta quella notte.

Il profilo di Brooklyn risaltava come un filo di luce in mezzo all'oscurità del cielo, carico di nubi nere e pesanti di pioggia. Aveva avuto decisamente buon gusto a scegliere quel luogo come sua dimora, persino quel panorama notturno e uggioso si addiceva molto a una tale urbana scenografia, tanto sublime e suggestiva da attrarre lo sguardo di uno stregone ultracentenario.

Magnus Bane era stato definito in moltissimi modi dai più disparati generi di persone, alcuni avevano usato termini offensivi e crudeli, altri maliziosi e divertenti, pochissimi affettuosi; senza dubbio, uno dei suoi titoli preferiti era la sua carica di Sommo Stregone, che lo riempiva di orgoglio malcelato per la responsabilità di proteggere la sua gente e... sì, perché no, anche per il fatto che palesasse al mondo intero il potere che abitava le sue vene.

Anche l'aggettivo "edonista" lo trovava piuttosto calzante, a dire il vero: con un bicchiere di un drink decisamente ad alta gradazione alcolica in mano, la vestaglia in velluto viola e porpora adagiata mollemente sulle spalle tornite e circondato dagli oggetti che aveva scelto per arredare quell'appartamento, si sentiva quasi un re. 

Un re solo.

Strinse appena le labbra, cercando di non pensarci, per poi cambiare idea e posare le labbra sul bicchiere che teneva in mano da almeno venti minuti per buttare giù tutto d'un fiato il suo contenuto. Nemmeno ricordava di preciso cosa avesse mescolato lì dentro, ma il sapore era ottimo, amarognolo e corposo come piaceva a lui e soprattutto lo teneva occupato, impedendogli di compiere qualche gesto di cui la mattina dopo si sarebbe vergognato tanto da morirne.

E sono un immortale, non è proprio la più semplice delle imprese.

Ma era certo che l'indomani, con la luce del sole a svelare al mondo le idee che bussavano birichine alla porta della sua mente con un piccolo aiutino da parte di tenebre e alcol, non avrebbe concordato con il se stesso di quella notte se avesse deciso davvero di incamminarsi verso l'Istituto, mettendosi a bussare come un forsennato per chiedere del suo Alexander ben sapendo che entrambi i suoi genitori erano in città.

No, non era mai una mossa saggia entrare volutamente in contatto con Maryse e Robert Lightwood, nossignore, se esisteva una qualche possibilità nell'universo di poter limitare i loro incontri ai minimi storici, e solo per amore di Alexander, allora tutti e tre l'avrebbero colta e assecondata con immane sollievo.

Perciò no, non era ancora così ubriaco da andare a infrangere una regola cosmica solo perché gli mancava da morire il suo ragazzo, che tra l'altro non sarebbe tornato in città prima dell'indomani.

Ragazzo che non vedeva da giorni, preso com'era da alcune missioni estremamente delicate che coinvolgevano diverse razze del Mondo Invisibile e una non discreta dose di demoni. Quella non era mai una buona accoppiata e capiva perfettamente che le doti da leader del suo fidanzato fossero richieste, specialmente perché le sue vicende personali parevano essersi estese a macchia d'olio portando molti Nascosti a fidarsi più di lui che degli altri compagni Nephilim con cui Alec andava in missione.

Il risultato era che Magnus non era riuscito a passare un po' di tempo da solo con lui ultimamente, aveva evitato di ubriacarsi per ammazzare il tempo perché sapeva che al suo Alexander non piaceva, ma quella era una notte diversa.

Poteva percepire la sua magia scalpitare in risposta al suo nervosismo, ma poteva controllarla... lo faceva da più di quattrocento lunghi anni.

Per questo quella mattina, a differenza delle altre, aveva limitato i contatti al minimo con il suo ragazzo, di tutti i giorni quello era l'unico in cui non voleva assolutamente vederlo, perciò aveva iniziato a bere per cercare di tenere le mani impegnate ed evitare di aprire un portale proprio nella camera da letto di Alec per aspettarlo e avere un minimo di conforto. 

Dopo un intero pomeriggio a mescolare alcolici si sentiva leggermente stordito, tanto che per un po' aveva davvero pensato di infrangere la promessa che si era fatto di restarsene da solo, per quel particolare giorno, cercare riparo e sollievo tra le braccia forti e gentili del suo Alexander...

Ma non era ancora tanto ubriaco da non ricordare le probabili conseguenze. Se lo avesse chiamato, se lo avesse avuto accanto a lui nulla avrebbe impedito a quei meravigliosi occhi blu di scandagliare la sua anima immortale per capire che qualcosa lo stava tormentando e sarebbe stato costretto a vuotare il sacco, perché a quelle iridi oltremare non avrebbe mai e poi mai mentito. Forse omesso, ma con tutto l'alcool che aveva in circolo non era certo che se la sarebbe cavata con la sua solitamente impeccabile retorica.

Se Alexander avesse saputo tutto quello che era stato e aveva fatto... 

E di nuovo, dopo aver tentato inutilmente di arginarli, i ricordi lo assalirono.

I campi di battaglia delle centinaia di guerre che aveva calpestato si fusero, facendogli quasi percepire l'odore caratteristico misto di polvere da sparo e sangue. I volti degli uomini che aveva ucciso volteggiavano intorno a lui come fantasmi privi di requie, infiltrandosi nella sua vita anche al di fuori degli incubi in cui abitavano.

I volti degli amanti cui era sopravvissuto, invece, apparivano più vividi, quasi che la colpa per averli abbandonati al loro destino mortale- cosa per la quale era consapevole di non avere responsabilità alcuna, ma il cuore segue le sue convinzioni con una testardaggine maggiore della ragione - fosse il suo peccato capitale.

Gli amici che aveva tradito, gli ideali che aveva permesso venissero calpestati, gli anni di solitudine e quelli di sregolatezza senza limiti...

Tutto questo e molto altro abitava la sua anima, ma per poter sopravvivere a un tale peso doveva obbligarsi a non pensarci, a dimenticare il sangue che gli macchiava le mani e i morti che gravavano sulla sua coscienza.

Tirava fuori tutti i suoi ricordi solo per quel determinato giorno all'anno, in una data impossibile da scordare per lui.

Era l'anniversario del suicidio di sua madre.

Nonostante lo aspettasse sempre, il momento in cui gli tornava vivido nella memoria quel particolare ricordo, chiaro come il momento in cui lo aveva vissuto, Magnus avvertiva sempre l'urgenza di vomitare per il dolore e al tempo stesso di rannicchiarsi a piangere come un bambino.

Non fece nessuna delle due cose, non quella volta.






Alla fine era uscito di casa, ma non si era diretto all'Istituto: pur a un passo dall'essere ubriaco, ancora manteneva quel barlume di ragione che lo tratteneva dal dirigersi volontariamente incontro alla sua disfatta.

Doveva solo superare le ultime ore di quella giornata, quell'unica giornata che si era concesso per ricordare con tutto se stesso gli errori e le perdite, le ferite e le guerre.

Aveva bisogno di passare qualche ora a crogiolarsi in quel dolore nella solitudine della sua mente, ma a poche ore dalla fine del giorno, con il ricordo del corpo ormai freddo e immobile di sua madre stampato a fuoco nella mente, la sua magia si era fatta talmente irrequieta e violenta da necessitare uno sfogo per poter essere nuovamente imbrigliata.

Quando delle scintille erano partite a razzo contro la sua volontà, andando a rompere metà dei soprammobili del suo salotto, aveva capito che era il caso di uscire e sperare che la leggera brezza autunnale lo aiutasse a darsi una calmata.

Adorava il suo appartamento e voleva averne ancora uno in cui vivere l'indomani mattina, quando tutti i demoni cui aveva dato dimora nella sua mente si fossero nuovamente assopiti per un altro anno.

Perso com'era nei suoi pensieri aveva prestato ben poca attenzione alla strada che aveva percorso e al tempo che era passato, indifferente a lui come era sempre stato.

Lo sorprese non poco perciò ritrovarsi davanti ad uno dei locali preferiti di Alexander. Avevano avuto moltissimi appuntamenti in quel luogo, perché al giovane cacciatore piaceva l'atmosfera quasi familiare data dal legno scuro e dalle luminarie bianche, ma soprattutto apprezzava la discrezione data dai vari paravento in vimini sparsi ovunque e dalla clientela mediamente tranquilla e rilassata.

Magnus aveva sempre preferito luoghi più vivaci e pieni di suoni e luci, ma da quando si era messo insieme a quel ragazzo che gli aveva fatto perdere la testa aveva iniziato ad apprezzare maggiormente anche atmosfere simili.

Un piccolo sorriso triste gli nacque sulle labbra. Avrebbe voluto Alexander vicino, ma l'idea di raccontargli il motivo dei suoi tormenti lo riempiva di terrore.

No, molto meglio tenersi per sé quei fantasmi che lo tormentavano da secoli.

Pesavano sul suo vecchio cuore con tutto il peso dato dalla loro gravità e lui a malapena poteva sopportarlo, lui che quei demoni li aveva visti nascere e dava loro dimora nella sua anima.

Come poteva chiedere ad Alexander, un giovane dall'anima innocente di nemmeno vent'anni, di vivere con simili tormenti?

Lo amava troppo per fargli un torto simile.

Un drink... Aveva bisogno di altro alcool nelle vene in cui annegare il dolore e la magia che stava scoppiettando fremente.

Stava per entrare in quel bar che per lui e il suo ragazzo aveva tanta importanza, ma un uomo di mezza età proprio in quel momento stava per uscire, finendo per prendersi una violenta botta sul naso per la veemenza con cui Magnus aveva spalancato l'anta del pub.

L'uomo avrà avuto più di quarant'anni, i capelli castani erano corti e ricci e la corporatura massiccia indicava una forma straordinariamente buona per la sua età. Una mano era corsa a coprirsi il viso dove era stato colpito, quindi Magnus non riusciva a vedere nessun altro dei suoi lineamenti.

Ma poi egli emise un grugnito dolorante, mostrandogli uno sguardo scuro fiammeggiante di dolore e irritazione, dovuti probabilmente al naso sanguinante.

Il Sommo Stregone si rendeva conto che avrebbe probabilmente dovuto chiedergli scusa e defilarsi, ma l'espressione assolutamente sconvolta e i versi che stava emettendo, soffocati dal sangue, erano abbastanza buffi da provocare in Magnus solo una sonora risata.

Quasi non sentì il colpo arrivargli sullo zigomo, tanto si stava sbellicando... ma poi si ritrovò per terra, sul cemento di quella piccola stradina quasi deserta a quell'ora della notte, senza essere del tutto consapevole di come fosse stato possibile.

L'uomo che aveva colpito per sbaglio troneggiava su di lui e gli occhi liquidi, uniti alla postura un po' traballante, fecero capire allo stregone che quella specie di armadio a due ante era decisamente ubriaco.

E provocare una persona fuori dal pieno controllo delle sue facoltà mentali non era mai una buona idea.

Quattrocento anni e ancora non aveva capito quella semplice lezione...

-Hai aggredito un pubblico ufficiale, stronzo!-

Ora che glielo faceva notare, l'uomo portava il distintivo del dipartimento di polizia di New York appuntato alla cintura, nonostante non fosse in divisa.

Probabilmente era venuto a cercare di dimenticare una brutta giornata di lavoro in quel bar, finendo per alzare un po' troppo il gomito.

Siamo in due, amico.

Avrebbe provato empatia per quell'uomo, se gliene avesse dato il tempo, ma un altro colpo al viso lo distrasse dall'analisi delle sue emozioni per farlo concentrare sul suo atteggiamento, tutto teso in una posa aggressiva e nervosa.

Si trattava di un semplice mondano, non poteva andarci troppo pesante con lui, ma si preparò comunque a difendersi con la sua magia, sperando che non sfuggisse dal suo controllo proprio in quel momento, dopo tutta la giornata passata a cercare di tenerla imbrigliata.

Non ebbe bisogno di preoccuparsene troppo, però.

Una mano pallida, dalle dita forti si era serrata in una morsa d'acciaio intorno al polso dell'uomo, bloccando il pugno che stava per abbattersi su Magnus, il quale guardò con sincero stupore il suo salvatore.

Alexander, fasciato nella sua divisa nera da Cacciatore, con arco e faretra in spalla e un paio di lame angeliche agganciate alla cintura, se ne stava lì, in piedi, alto e fiero con il braccio destro scoperto teso a bloccare il poliziotto ubriaco, le rune che spiccavano come inchiostro nero su quella pelle pallida che a malapena conteneva la furia che emanavano i suoi muscoli tesi.

Null'altro però rivelava la rabbia che aveva provato a trovare quell'uomo a incombere sul suo fidanzato, il suo volto rimaneva impassibile, gli occhi come laghi ghiacciati fissi sul poliziotto. L'espressione sul suo viso diceva chiaramente che il cacciatore aveva agganciato la sua preda.

-Sparisci dalla mia vista.-

Alexander aveva praticamente sibilato mentre serrava le dita intorno al polso del poliziotto, torcendolo in un movimento tanto veloce che un occhio umano non avrebbe potuto vederlo. Magnus sentì un urlo a seguito del rumore delle ossa che si rompevano, prima di capire che il suo ragazzo aveva rotto il braccio dell'uomo e l'aveva lanciato contro il muro dall'altro lato della strada.

Alec fissò ancora per un secondo l'uomo che aveva osato importunare lo stregone, decretando che da svenuto e ridotto com'era non sarebbe più stato un pericolo per nessuno; inoltre, da quel momento in avanti ci avrebbe pensato su due volte prima di molestare la gente da ubriaco.

Soddisfatto per aver sfogato la rabbia che gli era ruggita nelle vene quando aveva assistito a quella scena, si chinò verso lo stregone, controllando che non avesse ferite oltre all'ematoma sul volto.

Avrebbe dovuto disinfettarlo e metterci sopra del ghiaccio, ma a parte quello non notò ulteriori ferite. Non fisiche, per lo meno.

-Alexander, che ci fai qui?-

Lo Shadowhunter lo guardò come se la risposta fosse ovvia, ma vedendo che lo stregone non ci arrivava si decise a rispondere a parole.

-Ti cercavo, ovviamente.-

-Ma non eri in missione? E come mi hai trovato?-

-Che ne dici di parlarne all'Istituto, dove potrò curarti e staremo al caldo?-

Alec gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi, aiuto che Magnus accolse con piacere e da cui non aveva alcuna intenzione di staccarsi.

Perché quando le loro dita si erano intrecciate, i fantasmi del suo passato si erano volatilizzati dalla sua mente, messi a tacere dal calore di quella stretta gentile e protettiva.








 
  
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