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Autore: AthenaKira83    31/03/2019    10 recensioni
La vita di Magnus cambia improvvisamente quando un avvocato si presenta da lui rivendicando, sul figlio Max, il diritto del padre naturale.
Per amore del bambino, l'uomo è disposto a ritornare a casa ed ad incontrare il famigerato individuo che minaccia di frantumare la sua felicità.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Alexander.." sussurrò Magnus, con aria preoccupata, mentre accarezzava la testa del figlio addormentato sulle sue ginocchia. "Per favore, vieni a sederti."
Alec lo ignorò, continuando nervosamente a fare avanti ed indietro, nella piccola saletta d'attesa dell'ospedale. Rafe era in sala operatoria da diverse ore ormai e nessuno si era ancora degnato di dir loro se l'operazione stava procedendo bene o meno. Non erano suoi parenti, questo era vero, né lui era il tutore legale del bambino, ma, per l'angelo, che qualcuno gli dicesse qualcosa! Qualsiasi cosa!
"Papi.. Rafe sta bene?" chiese Max, dopo essersi svegliato, mentre si strofinava gli occhi con il dorso della mano.
"Il dottore lo sta ancora operando, Mirtillo." gli rispose Magnus, sistemandogli i capelli con le dita.
"E quando finirà?" domandò il bambino, impaziente.
"Non lo so, tesoro."
Max sospirò profondamente, poi tornò a farsi cullare dal padre, abbracciandolo stretto.
Alec lo osservò: non glielo aveva ancora detto, ma era molto orgoglioso di lui. Il bambino aveva corso come il vento per arrivare a casa e far sì che i soccorsi si attivassero velocemente. Aveva spiegato al padre, in modo conciso, ma chiaro e preciso, cosa era successo e Magnus aveva chiamato subito il 911. Grazie al suo prezioso contributo, l'ambulanza era arrivata in breve tempo e Rafe era stato prontamente trasportato in ospedale.
La prognosi, però, era più grave di quanto si pensasse: il ragazzino aveva due costole rotte, il braccio fratturato ed un trauma cranico, con conseguente emorragia cerebrale, causato dalla botta in testa. Il dottore che lo aveva preso in cura, prima di entrare in sala operatoria, aveva detto loro che era un autentico miracolo che, in quel corpicino martoriato, il cuore battesse ancora. Alec sorrise appena al ricordo di come Max si fosse intromesso, tra gli adulti, sibilando "Non è grazie ad un miracolo, se è vivo. E' merito di Rafe!", mentre guardava il medico con un'espressione mortalmente seria.
"Rafe ce la farà, vero papino?" chiese Max, con voce flebile.
"Ma certo, scimmietta." lo rincuorò Magnus, baciandogli la testa ed appoggiando poi le guancia sulla sua fronte.
Alec sospirò, pronto ad andare a sedersi di fianco a loro, quando sentì dei passi concitati provenire dal corridoio. Jace arrivò come una furia nella saletta, ansando e sbuffando come una locomotiva.
"Per la miseria, che hai fatto?" gli chiese Alec, sorpreso.
"Ho.. ho corso!" ansimò il fratello, con aria trafelata e rosso in viso.
"Lo vedo." disse Alec, squadrandolo dalla testa ai piedi. "Perché?" gli chiese, sempre più curioso. "La signora Fray sta bene?" domandò subito dopo, preoccupato.
Jace annuì, alzando un indice per dirgli di aspettare, poi mise le mani sui fianchi ed inspirò ed espirò profondamente, piegando leggermente il busto e tossendo più di una volta.
"Non stai per sputare un polmone, vero?" gli chiese Magnus, alzando un sopracciglio, con un sorrisetto canzonatorio, mentre Max si rizzava, improvvisamente interessato ad una tale eventualità.
Jace liquidò entrambi con un'occhiataccia, poi tornò a guardare Alec. "Morgenstern è qui." lo informò, secco. "Si trova nell'ufficio del primario."
"Ah." mormorò Alec, assottigliando lo sguardo.
"E' venuto per avere informazioni sul ragazzo e.."
"Certo che ha davvero una faccia tosta incredibile!" si intromise Magnus, arrabbiato, incrociando le braccia al petto.
"..mentre il primario lo conduceva nel suo ufficio, ho sentito che gli diceva che è molto preoccupato per Rafe perché è uno dei suoi bambini, che è terribile ciò che è successo e bla bla bla." continuò Jace, scuotendo la testa con una smorfia di disgusto.
"Non gli lascerò portare via Rafe!" gridò Max, battagliero, alzandosi in piedi con un movimento brusco e stringendo i pugni.
Magnus e Jace annuirono con approvazione, mentre Alec si massaggiò il mento, pensieroso.
"A cosa stai pensando?" gli chiese Magnus, guardandolo.
"Che più che per il ragazzo, credo che sia qui, in realtà, per la signora Fray. Verlac deve avergli sicuramente detto cosa è successo!" constatò Alec, preoccupato. "Jace, assicurati che ci sia sempre qualcuno con lei."
Il fratello annuì. "Dico alla sicurezza di buttarlo fuori a calci?"
Alec scosse la testa. "Con quale giustificazione? La mia è solo un'ipotesi e non voglio che la situazione degeneri." rispose, appoggiando poi una mano sulla spalla di Max e stringendogliela appena. "Stai buono qui con tuo padre, va bene?"
"Perché? Tu dove vai?" gli chiese il bambino, alzando lo sguardo su di lui.
"Nell'ufficio del primario." gli sorrise, arruffandogli i capelli. "Jace, per favore, tu vai dalla signora Fray!" ordinò al fratello, con un cenno della testa. "Torno subito." disse poi, rivolgendosi a Magnus.
L'altro annuì, alzandosi ed avvicinandosi a lui. "Fai attenzione, d'accordo? Non mi fido di quell'uomo." gli sussurrò, prima che uscisse dalla saletta.
Alec sorrise. "Promesso. Ma tu, per favore, sii gentile e tieni a freno il tuo cucciolo arrabbiato. Non vorrei che piombasse nell'ufficio del primario per dare una lezione anche a Morgenstern."
Magnus gli rivolse un sorriso enorme. "Vedrò cosa posso fare." promise, ridacchiando. "Sai che è molto orgoglioso di te?"
Alec scosse la testa. "Sono io ad essere molto orgoglioso di lui. Verlac è più grande e più forte di lui, ma non ha avuto paura di attaccare quel verme per difendere Rafe. E' davvero un bambino coraggioso!" si complimentò.
Magnus gli baciò una guancia, con slancio. "Fai quello che devi fare e poi torna da noi. Sai dove trovarci."
Alec annuì, dandogli un buffetto sul naso ed allontanandosi, subito dopo, lungo il corridoio.

Valentine Morgenstern strinse, con forza, le dita sul bracciolo della sedia su cui era seduto, furioso. Le nocche sbiancarono e le mani iniziarono a tremare a causa dello sforzo che stava facendo per trattenere la rabbia ed evitare di esplodere nel bel mezzo di quello squallido ufficio in cui il primario l'aveva condotto.
Niente stava andando come previsto. Niente.
Era lì dentro da una mezz'ora buona. Aveva urlato, aveva sbraitato, aveva reclamato a gran voce i propri diritti, ma non aveva concluso nulla. Si era scontrato con un insopportabile ed irritante muro di gomma.
In poche ore era successo quello che era riuscito ad evitare da una vita intera ed ora si trovava nella merda fino al collo. E tutto per colpa di Jonathan.
Gli aveva dato un incarico semplice, per non dire elementare, qualcosa che perfino il più insulso dei suoi scagnozzi poteva portare a termine. A quanto pare, però, l'aveva sopravvalutato. Lui e gli altri due stronzi a cui aveva affidato il compito di sbarazzarsi di quella cagna di Jocelyn.
Ma si poteva essere più incapaci di così? Si poteva, santo Iddio? Sì, a quanto pare si poteva. Cazzo!
Era stato davvero un grandissimo, fottutissimo, pezzo di idiota a credere che suo figlio fosse in grado di combinare qualcosa di decente nella vita e più ci pensava e più non riusciva ancora a capacitarsi di come fosse potuto succedere. Ed alla vigilia dell'udienza conclusiva, per giunta!
Perché non aveva dato retta a quel vecchio proverbio che diceva "Se vuoi una cosa fatta bene, fattela da solo"? Perché? Cazzo!
Lo tormentava l'idea che, forse, era troppo tardi per correre ai ripari. Cazzo! Cazzo! Ed ancora cazzo!
Quando Jonathan gli aveva raccontato per telefono, in modo concitato e confuso, ciò che aveva combinato, Valentine aveva fatto un giro di telefonate, per scoprire dove erano stati portati la donna ed il bambino, e, una volta scoperto qual era l'ospedale, aveva alzato il culo dalla sua costosa sedia di pelle, deciso a risolvere personalmente la faccenda. Avrebbe ucciso entrambi, facendolo passare per un incidente.
Quando era arrivato, però, aveva scoperto che il moccioso era ancora sotto i ferri ed aveva quindi indirizzato il suo interesse su Jocelyn, rintanata chissà dove, sicuramente sorvegliata a vista e pronta a spifferare tutto quello che le era successo. Avrebbe dovuto ucciderla quando ne aveva avuto l'occasione. Perché, dannazione, non l'aveva fatto? Perché?
Con una calma, che non provava minimamente, aveva chiesto informazioni ad un'infermiera, spacciandosi per un parente, ma quella stronza non solo non aveva aperto bocca, ma aveva addirittura chiamato il primario!
La sua unica possibilità, ora, era intercettare il piccolo, lurido, figlio di puttana, prima che raccontasse tutto alla polizia, e minacciarlo di ucciderlo, come a momenti riusciva a fare la settimana prima, o fargli passare le più atroci sofferenze se solo avesse osato dire una parola di troppo e non avesse, invece, raccontato la sua versione dei fatti.
Sì, poteva ancora salvarsi e Jocelyn poteva ancora essere scambiata per una pazza da rinchiudere in manicomio! Doveva solo giocare bene le sue carte.
Fissò, truce, l'uomo davanti a sé. Sì, il suo piano poteva funzionare.. peccato che Luke Garroway, ex migliore amico ed attuale primario del New York Presbyterian Hospital, si stesse rifiutando ostinatamente di dargli informazioni sul vermiciattolo. Quello stronzo! Sapeva perfettamente perché glielo stava nascondendo! Il marmocchio aveva salvato Jocelyn e l'altro, che aveva sempre avuto un debole per lei, ora che ne aveva l'occasione, poteva diventare l'eroe della situazione ed averla tutta per sé! 'Fanculo! Non glielo avrebbe permesso!
"Dannazione, Luke!" urlò, con enfasi, mentre batteva un pugno sul tavolo. "C'è uno dei miei bambini in questo ospedale e non puoi impedirmi di vederlo!"
Il primario sospirò. "Valentine.."
"Valentine un cazzo!" sbraitò Morgenstern, inviperito. "Voglio vedere il bambino!"
"No."
Quel secco rifiuto, inaspettatamente, non era arrivato dal primario, bensì dall'uomo seduto al suo fianco e la parola era stata pronunciata con un tale distacco che la sua rabbia crebbe ancora di più.
"Non si intrometta, avvocato Lightwood!" lo apostrofò Morgenstern, girandosi di scatto verso di lui e fulminandolo con il suo sguardo di ghiaccio.
Uomini della peggior specie avevano tremato sotto quell'occhiata penetrante, ma Alec Lightwood sembrava sorprendentemente non subirne l'effetto. Il suo viso pareva scolpito nel marmo e non aveva mosso un muscolo od emesso un suono durante tutta la sua scenata e questo infastidiva Valentine ancora di più. Cosa cazzo era venuto a fare lì? Cosa cazzo voleva?
"Valentine.." ritentò il primario. "Sai perfettamente che c'è un'indagine in corso e che non puoi né vedere né tantomeno avvicinarti al bambino."
"Luke, porca puttana, non osare dirmi quello che posso o non posso fare!" gridò Valentine, alzandosi bruscamente dalla sedia e puntandogli l'indice contro. "E' tutto un terribile fraintendimento e.."
"No." si intromise di nuovo l'avvocato, duro. "Quello che è successo nella mia proprietà non può essere frainteso in alcun modo."
"Avvocato Lightwood le ho detto di.."
L'avvocato alzò una mano, interrompendolo nuovamente. "Signor Morgenstern non mi interessa quello che ha da dire. In questo momento c'è un bambino che lotta tra la vita e la morte e lei dovrebbe avere la decenza di fare un passo indietro ed evitare di disturbare, con le sue chiassose ed inutili lamentele, il lavoro del personale di questo ospedale."
Valentine divenne paonazzo. Come osava quel pezzente rivolgersi a lui in quella maniera? Strinse violentemente le mani a pugno, accecato dalla rabbia, ed iniziò a tremare. Dio, quanto avrebbe voluto ucciderlo a mani nude!
"Signori.." esclamò il primario, attirando la sua attenzione. "Ho appuntamento con la polizia tra cinque minuti, quindi mi trovo costretto a congedarvi entrambi."
"Cosa?" sputò Valentine, incredulo, tornando a sedersi lentamente.
Il primario scrollò le spalle. "Valentine, sono spiacente, ma non ho proprio tempo di assecondare le tue richieste. Come ti ho già detto, c'è un'indagine in corso e, di conseguenza, un protocollo da rispettare." gli comunicò, alzando una mano per bloccare ogni eventuale protesta. "Ora, se volete scusarmi, devo ragguagliare la polizia sugli ultimi aggiornamenti. Avvocato Lightwood, le auguro una buona giornata. Valentine.. beh.. ciao." lo salutò, con un sorriso sarcastico.
Valentine imprecò mentalmente, stritolando il bracciolo della sedia, mentre l'avvocato salutava con un cenno della testa il primario.
Rimasero in silenzio per diversi minuti, ognuno fissando davanti a sé, poi la voce di Alec Lightwood lo sorprese come una fucilata in pieno petto.
"E' finita." mormorò, a bassa voce. "Lo so io. Lo sa lei. Questa volta, non la passerà liscia. Glielo prometto." concluse, girandosi lentamente per guardarlo con uno strano luccichìo negli occhi.
Valentine non fece in tempo a replicare che l'altro si era già alzato e, senza ulteriori parole, aveva abbandonato la stanza lasciandolo solo con la sua rabbia ed i suoi pensieri.


"Signore e signori della giuria, i bambini dell'orfanotrofio Il Circolo non hanno né una mamma né un papà e, come se questo non fosse già traumatico e doloroso di per sé, sono stati anche picchiati, molestati e rinchiusi in una cantina sporca e buia, senza cibo né acqua, quando osavano ribellarsi. Qualunque sia la vostra decisione, oggi, porteranno per sempre con sé il trauma di questa esperienza. Valentine Morgenstern, l'uomo che li aveva accolti in quell'orfanotrofio e che avrebbe dovuto vegliare su di loro, amandoli e proteggendoli, è responsabile della loro sofferenza. Signore e signori della giuria, vi prego di farvi una sola ed unica domanda: il futuro di quest'uomo merita di essere migliore di quello di questi bambini?"
La sua arringa si era conclusa poche ore prima e, in quel momento, i giurati erano rinchiusi in una stanza, isolati dal mondo, intenti a decidere le sorti di quella lunga, sfiancante, causa.
Alec fissò, con determinazione, il piano del tavolo in legno massiccio, davanti a lui, concentrato, nel tentativo di controllare le emozioni.
Agognava e, al tempo stesso, temeva il momento del verdetto. Nonostante avesse passato interminabili giorni ed interminabili ore chiuso nel suo studio, chino sulla sua scrivania, a studiare fogli su fogli, parole su parole, scervellandosi ed esaurendosi pur di inchiodare quel bastardo di Morgenstern, più i minuti passavano e più dubitava di essere stato sufficientemente persuasivo e di aver fatto tutto il possibile per convincere i giurati a salvare i bambini dall'inferno in cui avevano vissuto fino a quel momento.
Si torturò le mani, nervoso, tentando di regolarizzare il battito del cuore ed il respiro. Non era proprio il caso di farsi venire un attacco di panico nel momento clou, no?
Alzò lo sguardo solo quando udì i giurati rientrare in aula e studiò la loro espressione, alla ricerca di un qualsiasi indizio che gli potesse rivelare l'esito della loro decisione.
Quelle persone, quei dodici, perfetti, estranei, avevano racchiuso il futuro di venti bambini in un foglietto che il giovane portavoce teneva in mano. Lo tenne bene in vista per un lungo momento, prima di consegnarlo al commesso che lo avrebbe poi passato al giudice.
Alla sua destra, Jace era in silenzio, ma aveva iniziato a battere nervosamente la punta del piede sul pavimento ed a tamburellare, senza sosta, le dita sul bracciolo della sedia, mentre sul viso di Imogen Herondale, seduta accanto a suo fratello, non c'era la minima traccia di ansietà e le mani erano appoggiate tranquillamente sul tavolo. Per l'angelo, quanto gli sarebbe piaciuto avere la sua freddezza!
Un leggero senso di nausea iniziò a risalirgli lungo l'esofago, ma lo ricacciò indietro, deglutendo con forza. Se un attacco di panico poteva essere considerato inopportuno, vomitare come la bambina dell'Esorcista era decisamente fuori luogo.
Il giudice, accomodandosi, si sistemò meglio la toga ed Alec si irrigidì. Era venuto il momento della verità.
"La giuria ha raggiunto il verdetto?" chiese il giudice.
"Sì, Vostro Onore." rispose il portavoce.
La temperatura, nell'aula, divenne improvvisamente soffocante ed Alec allargò, con gesto meccanico, il colletto della camicia che pareva soffocarlo e si sistemò meglio sulla sedia. Un rivolo di sudore gli scivolò lungo la schiena e non volle neanche immaginare in che stato erano le sue ascelle. Il cuore iniziò a battere come un forsennato e lui ne ebbe abbastanza. Ordinò al suo corpo di smetterla immediatamente, di darsi una calmata e di tornare ad un bioritmo normale perché, se non era il caso di avere un attacco di panico o rigettare anche il pranzo di Natale, farsi venire un infarto era assolutamente fuori questione!
"Nella causa Stato di New York contro Valentine Morgenstern, la giuria ha riconosciuto l'imputato.."
Alec trattenne il fiato.
"..colpevole." concluse l'uomo.
Il silenzio che ne seguì fu, per certi versi, assordante. Sembrava che il tempo si fosse fermato e che il verdetto aleggiasse nell'aria, quasi fosse un'entità animata di vita propria. Poi fu il caos.
Valentine Morgenstern si alzò in piedi, sbraitando ed inveendo contro giudice e giurati, mentre veniva trattenuto a stento dai suoi avvocati. Il pubblico presente iniziò ad urlare ed ad applaudire, i fotografi scattarono senza sosta foto che, di sicuro, avrebbero rivenduto al miglior offerente già quella sera stessa, il portavoce invece proseguì, come se niente fosse, con la lettura dei diversi capi di imputazione, mentre il giudice continuava a battere il martelletto gridando "Ordine! Ordine!".
Alec non fece in tempo a capire cosa era successo che Jace lo inglobò nel suo abbraccio.
"Abbiamo vinto!" gli urlò nell'orecchio.
Alec si lasciò strattonare dal fratello, come se fosse un pupazzo senza vita, continuando a fissare la bocca del portavoce della giuria che continuava a proclamare "Colpevole." per ogni capo di imputazione. Proseguì a lungo, finché la maggior parte dei presenti smise di ascoltare e si accinse a lasciare l'aula.
Fu solo quando sentì che suo fratello, con un gemito animalesco, gli venne strappato malamente di dosso al suono imperioso di "Togliti dai piedi, Giselle!", venendo sostituito da un altro paio di braccia muscolose, attorno al collo, e da un profumo di sandalo, che gli inondò le narici, che finalmente realizzò appieno l'enormità della situazione.
"Hai vinto, Fiorellino! Hai vinto!" esclamò Magnus, abbracciandolo stretto. "Lo sapevo! Lo sapevo!"
Alec non sapeva se ridere o piangere, quindi fece l'unica cosa che il suo istinto gli disse di fare. Strinse forte Magnus, tra le proprie braccia, ed affondò il viso nel suo collo, inspirando profondamente e lasciando che l'uomo gli arruffasse i capelli e lo sballottasse di qua e di là. Gli stava salendo nuovamente la nausea, ma andava bene così.
Riemerse dal suo nascondiglio solo quando fu sicuro che la sua voce non si sarebbe messa a tremare come una foglia e sorrise raggiante. "Rafe?"
"Non si è ancora svegliato, ma il dottore dice che le funzioni vitali sono buone e che sta rispondendo bene alla terapia." lo rassicurò Magnus, battendogli affettuosamente una mano sul petto. "Max ed Izzy sono con lui."
Alec annuì, desideroso di ringraziare quanto prima quel bambino speciale. Rafe ancora non lo sapeva, ma era grazie a lui se quel giorno avevano vinto la causa e Morgenstern, finalmente, era stato sconfitto. Se non fosse stato per il suo coraggio, infatti, la verità, molto probabilmente, non sarebbe mai venuta a galla.
Quando, il giorno prima, la signora Fray era apparsa come una sorta di fantasma davanti ai suoi occhi, pallida, tremante, sporca e sanguinante, svenendogli poi tra le braccia, ad Alec era schizzato il cuore in gola.
Ricoverata nello stesso ospedale di Rafe, fortemente debilitata nel fisico, ma non nello spirito, Jocelyn Fray aveva raccontato tutto quello che le era successo, aiutando Alec ad incastrare definitivamente Morgenstern.
La donna aveva raccontato di essere stata rapita e tenuta prigioniera dal criminale, che ne aveva ordinato l'uccisione prima dell'udienza definitiva. Per sua fortuna, il furgone, su cui era stata brutalmente caricata, si era fermato momentaneamente all'orfanotrofio per far salire anche Verlac, incaricato di procedere con l'esecuzione. Nel brevissimo momento, in cui nel veicolo non c'era nessuno, Rafe l'aveva vista ed era riuscito a liberarla. Verlac, però, li aveva sorpresi proprio nel momento in cui il bambino era riuscito a togliere i lacci che legavano le mani della donna ed aveva tentato di ucciderli, sparandogli. Rafe aveva afferrato saldamente la mano della signora Fray, trascinandola via e i due erano riusciti a fuggire attraverso lo stretto passaggio nel muro di cinta dell'orfanotrofio, correndo come forsennati fino alla tenuta, dove il bambino l'aveva nascosta nel capanno, assicurandole che quel posto era speciale e che nessuno le avrebbe mai potuto fare del male. Purtroppo, però, non erano riusciti a seminare Verlac che era piombato su di loro come un falco sulla propria preda. Quando era arrivato, aveva scatenato tutta la sua furia sul ragazzino, giurando che poi sarebbe toccata la stessa sorte anche alla donna. Per loro fortuna, come un angelo sceso al cielo, era arrivato Alec, salvandoli da morte certa.
La polizia era riusciva a scovare Verlac e ad arrestarlo con l'accusa di tentato omicidio, rapimento ed aggressione. In attesa del processo, attualmente si trovava nel carcere di massima sicurezza di New York, sotto stretta sorveglianza. Quando l'avevano prelevato dal suo appartamento, dove stava tentando di fare le valigie per scappare, la polizia aveva scoperto, con orrore e disgusto, il macabro hobby dell'uomo. Nel salotto, infatti, troneggiavano diverse teche di vetro in cui si trovavano esposte delle ossa umane disposte in raccapriccianti figure astratte. Le indagini per scoprire a chi appartenevano quei resti erano ancora in corso, ma, memore di quanto gli aveva confidato Magnus, Alec aveva informato la polizia che sospettava che, tra essi, vi fossero quasi sicuramente anche quelli della matrigna di Verlac, Camille Belcourt, scomparsa più di otto anni prima e di cui nessuno aveva più avuto notizie.
Durante il racconto della signora Fray, Alec aveva inoltre scoperto diverse cose, come, ad esempio, che il vero nome della donna era Jocelyn Fairchild e che era niente di meno che l'ex compagna di Morgenstern. I due avevano addirittura avuto una figlia: Clary. Gli venne da ridere al ricordo della faccia di Jace, quando aveva realizzato, con orrore, che suo "suocero" era uno dei criminali peggiori di tutta New York.
Insieme alla sua confessione era arrivata anche quella di Clary, che aveva confidato a Jace i loschi traffici del padre a cui aveva assistito con i propri occhi, la cattiveria del fratello e le violenze nell'orfanotrofio, che aveva sempre tentato strenuamente di fermare. Venuta a conoscenza, per puro caso, del rapimento della madre, però, non aveva mai osato chiedere aiuto a nessuno, temendo le ritorsioni paterne.
La sua testimonianza, insieme a quella di Jocelyn Fray, erano state decisive per l'arringa finale di Alec e fondamentali per le indagini della polizia.
I bambini, nel frattempo, erano già stati tutti affidati ad un altro orfanotrofio, nella speranza di donare loro, finalmente, la gioia di una famiglia amorevole.
Imogen Herondale batté una mano sulla spalla di Alec, attirando la sua attenzione e riportandolo alla realtà. "Ottimo lavoro, ragazzo!" si complimentò, con un sorriso accennato. "Ora puoi rilassarti e prenderti qualche giorno di vacanza. Ne hai davvero bisogno!"
Alec le fece un sorriso storto ed annuì, osservando poi Valentine Morgenstern che veniva condotto, a forza, fuori dall'aula, mentre strascicava i piedi e continuava ad urlare a pieni polmoni ingiurie e frasi sconclusionate.
Questo era il momento che aveva sognato da tutta una vita, che aveva sperato ad ogni esame che aveva dato all'università, ad ogni testo di legge che aveva consultato, ad ogni passo in avanti che aveva fatto nella sua carriera. Era per un momento come questo che si era impegnato come un dannato, che aveva dormito poco o niente, che aveva mangiato quello che gli capitava a tiro, che aveva quasi rischiato di impazzire. Vedere assicurato alla giustizia un criminale di tale portata, e con una colpa del genere, era qualcosa di unico ed Alec si godette appieno quella meravigliosa sensazione.
"Andiamo in ospedale?" chiese poi a Magnus, sorridendo.
L'uomo annuì, prendendolo per mano ed intrecciando le dita alle sue. "Andiamo."

"Non capisco. Sono morto e mi trovo in paradiso?" mormorò Rafe, quando, aprendo gli occhi, vide tutto bianco.
"Solo se ci sono anch'io." replicò Max, saltando sul letto e sedendosi a gambe incrociate. "Ciao!" lo salutò, sorridendo.
"Ciao." sussurrò Rafe. "Dove.. dove siamo?"
"In ospedale!"
"In ospedale?" ripetè Rafe, stupito. "Perché? Cosa è succ.. oddio, devo tornare in orfanotrofio prima che si accorgano della mia assenza!" si agitò.
Max gli strinse piano la mano. "Sanno già che sei qui." lo informò, dolcemente. "Probabilmente non lo ricordi, perché hai preso una gran bella botta in testa! Sei al sicuro, comunque. Nessuno ti farà più del male. I miei papà non lo permetteranno!" lo rassicurò. "Papà Alec non solo ieri ha mandato via il signor Morgenstern, che era venuto a prenderti, ma oggi l'ha spedito anche in galera! Lo so perchè zia Izzy ha appena parlato con zio Jace, che le ha detto tutto! E hanno arrestato anche l'uomo biondo e cattivo!" lo ragguagliò, senza quasi respirare.
"Cosa?" chiese Rafe, stranito.
Max annuì. "Nessuno ti farà più del male, Rafe! Mai mai più!" ripetè, con enfasi.
Rafe si agitò leggermente, incapace di credere a quanto gli aveva appena comunicato l'amico.
"Stai comodo? Vuoi un altro cuscino? Hai fame? Vuoi che ti faccia portare qualcosa? Zia Izzy è andata a prendere qualcosa da bere al distributore. Vuoi qualcosa anche tu? Uhm.. ma puoi bere? O mangiare? Ti fa male da qualche parte? Vuoi che chiami l'infermiera così ti da altre medicine per sentire meno dolore?" domandò Max, parlando a raffica.
Rafe scosse piano la testa, per interrompere quel bombardamento di domande. Il signor Morgenstern ed il signor Verlac era in prigione? Faceva davvero fatica a crederci. Era così malridotto da non sentire altro che dolori lancinanti, ma, nonostante tutto, uno strano senso di benessere iniziò a percorrergli il corpo, come se fosse un balsamo che andava a curare le sue ferite.
"L'avvocato mi ha salvato la vita." constatò, con un filo di voce.
Max annuì. "Avresti dovuto vederlo!" esclamò esaltato, saltando sulle ginocchia. "E' stato grande! Ha tirato un pugno all'uomo biondo e cattivo e poi un altro e poi un altro ancora! Gli ha dato proprio una bella lezione! E se quel verme non fosse fuggito, papà Alec l'avrebbe di sicuro mandato in ospedale!"
Max l'aveva detto per ben due volte. Papà Alec. Rafe avrebbe voluto sorridere e dirglielo, ma pensò che il suo amico sapesse già di aver cambiato opinione nei riguardi dell'avvocato. Senza contare che sorridere gli causava troppo dolore e si sentiva molto molto stanco.
"E.. e adesso?" chiese, con voce impastata.
Max scosse le spalle. "Non so cosa succederà agli altri bambini dell'orfanotrofio, ma so per certo che tu verrai a casa con noi! Papino ha detto che vuole adottarti." esultò, raggiante.
"Adottarmi?" domandò Rafe, stupito.
"Già." confermò Max. "Diventeremo fratelli." esclamò, gettando le braccia in alto e ridendo felice.
Fratelli. Rafe non aveva idea di cosa significasse avere dei fratelli. O una famiglia. I bambini dell'orfanotrofio erano quanto di più vicino a quella definizione, ma non li aveva mai considerati tali.
"Ma.. ma può farlo?" chiese, con un filo di voce, non osando neppure sfiorare un'idea così bella.
"Certo che posso!" esclamò una voce profonda, che fece girare entrambi. Magnus era appoggiato allo stipite della porta, le braccia conserte ed un enorme sorriso sul volto. "Vero che posso?" chiese, girandosi verso Alec, che si trovava di fianco a lui.
"Vedrò cosa riesco a fare." si limitò a rispondere l'avvocato, con un sorriso, alzando gli occhi al cielo.
Magnus gli diede una spallata leggera ed entrò nella camera. "Finalmente ci conosciamo." disse sorridendo, sedendosi sul letto. "Ciao, topolino. Io sono Magnus, il papà alla moda di Max." si presentò, prendendogli la mano e stringendola piano. "Il papà con zero senso dello stile, invece, so che lo conosci già!" ironizzò, indicando con il pollice l'uomo dietro le sue spalle, che stava scuotendo piano la testa ed alzando gli occhi al cielo per l'ennesima volta.
"S-salve, signore." mormorò Rafe. "B-buongiorno signor Lightwood."
Alec lo salutò con la mano, mentre Magnus sventolava la sua, come per scacciare una mosca fastidiosa. "Ohhh per favore. Chiamami Magnus! Signore è per i vecchi ed io non lo sono affatto. Sono giovane e bello!"
Alec si morse l'interno della guancia e si avvicinò al letto. Si piegò e baciò la fronte di Rafe, per un lungo, interminabile, momento. "Grazie." sussurrò grato, quando si staccò.
"P-p-per cosa?" balbettò il ragazzino, rosso come un peperone per l'imbarazzo.
"Per aver salvato la signora Fray e i bambini dell'orfanotrofio. Se non fosse stato per te ed il tuo immenso coraggio, a quest'ora la signora Fray sarebbe morta e io non sarei riuscito a mandare in galera il signor Morgenstern ed il signor Verlac." gli spiegò, con voce incrinata. "Grazie di cuore, mio piccolo, grande, eroe."
Rafe sentì le lacrime pungergli gli angoli degli occhi e tentò di trattenerle con tutte le sue forze, mordendosi forte il labbro inferiore.
"Sei felice?" gli chiese Max, dolcemente, accoccolandosi accanto a lui.
"E' molto vicino." sussurrò Rafe, serio, mentre le lacrime iniziavano a scendere.
"Cosa, tesoro?" chiese Magnus, curioso, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte.
"Il paradiso." rispose il bambino, sorridendo.


New York, 1 anno dopo

La lieve brezza serale scompigliò dolcemente i suoi capelli.
Alec sorrise, mentre osservava il sole che, in un tripudio di colori caldi e rossastri, stava tramontando dietro lo skyline di Brooklyn, dando il meglio di sè, prima di ritirarsi per lasciare il posto alla luna.
Quella vista impagabile era il motivo principale per cui Magnus aveva insistito così tanto per l'acquisto di quell'appartamento e lui, ancora un volta, non poté fare altro che concordare con lui. Era spettacolare.
Appoggiato alla terrazza, con una mano a sorreggergli il mento, sospirò contento, in pace con il mondo, mentre si godeva, tranquillo, quello spettacolo mozzafiato che si stagliava davanti a lui.
Era felice. Totalmente, completamente, felice. Se qualcuno, anche solo un anno prima, gli avesse detto che, un giorno, sarebbe arrivato a quel punto, Alec gli avrebbe riso in faccia. E di gusto anche!
Prima di tutto questo, si era reso conto di essere stato malato a lungo, anche se non lo sapeva, ed aveva accettato ed imparato a convivere con un vuoto affettivo che, simile ad un buco nero, gli aveva risucchiato ogni energia positiva. Poi tutto era cambiato con l'arrivo di Magnus.
Magnus, che parlava sempre troppo. Magnus, che era sfacciato oltre i limiti della decenza. Magnus, che lo metteva in imbarazzo continuamente e che poi, per rabbonirlo, gli dava un bacio sulla guancia e gli sussurrava all'orecchio "Sei delizioso quando arrossisci come un pomodoro maturo!". Magnus, che riusciva a capirlo con uno sguardo. Magnus, che aveva curato la sua anima straziata e che aveva rimesso in sesto il suo cuore dilaniato. Magnus, che l'aveva portato via dalla casa in cui era vissuto per quasi trent'anni, strappandolo da quei ricordi che continuavano a tormentarlo, nonostante lui tentasse di ignorarli. Magnus, che l'aveva costretto a guardare la bellezza di una vita che non conosceva e che non aveva mai neanche osato sognare. Magnus, che gli aveva donato quella vita, insieme al suo cuore.
Prima di conoscere lui, Alec aveva avuto una discreta esperienza amorosa, ma non aveva mai capito cosa fosse l'amore, quello vero. Non aveva mai davvero saputo cosa si prova quando la terra si ferma, il tempo si arresta ed il respiro rimane imprigionato nel proprio petto in attesa di uno sguardo o di una parola del proprio amato.
Perso in quei pensieri, giocò distrattamente con la fede che aveva all'anulare, girandola con il pollice, mentre Presidente si strusciava con energia contro le sue gambe, ronfando a più non posso e miagolando.
"Tranquillo, saranno qui tra poco." gli disse, guardando brevemente l'ora sul suo orologio ed abbassando lo sguardo per sorridergli.
Erano andati a prendere il gelato, da mangiare dopo cena, e sicuramente sarebbero arrivati di lì a poco, spazzando via la pace e la quiete di quel momento. Perché i suoi uomini erano così. Chiassosi, rumorosi ed estremamente chiacchieroni, ma Alec li amava immensamente. Tutti e tre.
Quando sentì il baccano provenire dalla tromba delle scale, sorrise ancora di più. "Parli del diavolo.." pensò, ridacchiando. Si girò, appoggiando i gomiti alla balaustra, e fissò impaziente la soglia della porta di casa. Presidente lo imitò, osservando attentamente nella stessa direzione, con la coda che si muoveva sinuosa.
Magnus spalancò la porta, con foga, proprio nel momento in cui stava sbuffando sonoramente ed alzando gli occhi al cielo. "No. No. E ancora no." sentenziò, categorico.
"Ma papiii!" esclamò Max, sbuffando più del padre e roteando gli occhi.
"Per favore papino!" lo supplicò Rafe, facendogli gli occhioni dolci.
"Ohhh risparmiatevi il papi ed il papino! Non mi incantate, carini!" rispose Magnus, muovendo l'indice in segno di diniego. "N.O. No!" continuò, scuotendo energicamente la testa. "Su, mettete quel gelato in congelatore, prima che si sciolga."
"Ma perché no?" protestò Max, pestando i piedi. "La mamma ed il papà del mio amico James Townsend glielo lasciano fare!"
"Quando a James Townsend cadranno tutti i denti, perché i suoi genitori gli permettono di mangiare dolci dalla mattina alla sera, non solo mi ringrazierete, ma mi costruirete una statua come miglior papà del mondo!" ribattè Magnus, alzando il mento, compiaciuto.
"Ne dubito." si imbronciò Max, incrociando le braccia al petto. "E per il film?"
"No!"
"Ma dici sempre noooo!" rispose Max, esasperato, gettando la testa all'indietro ed allargando le braccia.
"Perché mi fate domande a cui devo rispondere sempre no!" ribattè Magnus, con un sorriso astuto.
"Daddyyyy!" strillò Max, per nulla scoraggiato da quel secco rifiuto, correndo verso l'altro genitore, per afferrargli saldamente un braccio. "Papi non vuole vedere il film Coco." si lagnò, tirandolo e scuotendolo.
"Oh per l'angelo!" sbuffò Magnus, stizzito, chiudendo la porta di casa. "L'abbiamo già visto cinquanta volte! Cinquanta!" esclamò, con esagerata enfasi. "Non si può vedere qualcos'altro? E che è? State tentando di battere il record?"
Rafe ridacchiò, grattandosi il naso. "Veramente l'abbiamo visto solo dieci volte." lo corresse, con un sorriso divertito.
Magnus gli lanciò un'occhiata fintamente severa. "Shhh, pulce! Non essere così pignolo!" lo apostrofò, facendogli il solletico su un fianco e facendolo ridere.
"Daddyyyy!" gridò di nuovo Max, ignorando Magnus. "Possiamo vedere ancora Coco questa sera? Eh? Possiaaaamoooo?" lo pregò, abbracciandolo in vita.
Alec rise e gli accarezzò i morbidi capelli neri. "Va bene." acconsentì, divertito.
"Sìììì!" gridarono i due bambini, alzando le braccia al cielo, dandosi poi il cinque e saltellando verso la cucina.
Magnus emise un gemito strozzato. "Perché?" gli chiese, allibito, mentre lo guardava con uno sguardo offeso e tradito, prima di inciampare in Presidente Miao, che si era intromesso tra le sue gambe. "Presidente!" lo sgridò, abbassando lo sguardo. "Quante volte ti devo dire che non devi attentare alla vita di papà? Eh?" lo ammonì.
Il micio miagolò, indispettito, e sgusciò via, dirigendosi dentro casa, alla ricerca di coccole e cibo che sicuramente i due piccoli umani gli avrebbero elargito, a dispetto dei due adulti che non lo stavano neanche degnando di uno sguardo. Che affronto!
Alec fece un pigro sorriso e osservò il compagno, mentre lo raggiungeva sulla terrazza, senza lasciarsi sfuggire un solo dettaglio di quel magnifico uomo che era solo ed esclusivamente suo.
Indossava dei jeans neri ed attillati, che Alec aveva bocciato, ma che, intimamente, apprezzava davvero molto perché gli fasciavano il sedere in modo divino, ed una maglietta bianca ed esageratamente scollata, che lasciava scoperta buona parte del suo petto, su cui spiccava un'infinità di collane e da cui si vedeva la pelle caramellata, resa ancora più scura per via dell'abbronzatura presa durante la loro vacanza a Bali.
Nonostante l'adorabile broncio, gli occhi di Magnus si posarono su di lui, dolci, carezzevoli ed innamorati e ad Alec si mozzò il respiro, come ogni altra volta che l'altro lo guardava in quel modo.
"Perché, mentre loro si guardano per l'ennesima volta quel film, noi ce ne andiamo in cucina a preparare i pop-corn." mormorò Alec, rispondendo alla domanda, mentre gli arpionava i passanti dei jeans per avvicinare quel corpo tentatore al suo.
"Che c'è di così interessante nel fare i pop-corn?" chiese Magnus, indignato, allargando le braccia con una smorfia buffa.
Alec ammiccò e sorrise, furbo.
"Che c'è?" chiese Magnus, aggrottando le sopracciglia. "Davvero, non vedo cos... Ohhhh." si illuminò, consapevole, quando capì il sottinteso del marito. "Mi piace quello che hai in mente." sussurrò poi, leccandosi le labbra.
Alec ridacchiò e, mentre osservava rapito quel movimento, gli si avvicinò ancora di più. Magnus infilò una mano nei suoi capelli avvicinando il proprio viso al suo.
"Dadd.. Oh per l'angelo!" esclamò Rafe, roteando gli occhi con un sorriso, dopo essere sbucato dalla porta finestra insieme a Max. "Ancora?" domandò, quando li vide così vicini.
"Sparite." grugnì Magnus, senza staccare gli occhi da quelli di Alec e pressando con più decisione il suo petto contro quello del marito. "Non lo vedo da ben venti minuti. Ho tutto il diritto di baciarlo!"
"Beh.. potremmo sparire.." sorrise Max, scaltro. "O potremmo restare qui. Per un po'. O per un tempo un po' più lungo. Molto, molto lungo." rincarò, sbattendo le lunghe ciglia e scrollando le spalle.
Magnus girò repentinamente lo sguardo, alzando un sopracciglio. "Cosa volete?"
"Cioccolata!" si illuminò Rafe.
"E caramelle!" aggiunse Max, battendo le mani, felice.
"Solo un pezzetto. E solo una." concesse Magnus, ammonendoli con l'indice. "E ora, sciò! Via!"
I bambini ridacchiarono, dileguandosi nuovamente dentro casa.
Alec alzò gli occhi al cielo, divertito. "Non avevi detto niente dolci?"
"Shhh, Fiorellino." lo rimbeccò Magnus, con occhi languidi. "Non metterci anche tu."
Alec rise. "Scusa. Dove eravamo rimasti?" chiese poi, afferrandogli la nuca.
"Che ne dici di un viaggio?" domandò Magnus, inaspettatamente.
"Un viaggio?" ripetè Alec, ad un soffio dalle sue labbra, aggrottando la fronte.
Magnus annuì.
"Ma.. siamo appena tornati dal viaggio di nozze." disse Alec, confuso.
Si erano sposati neanche un mese prima, con una romantica e deliziosa cerimonia nell'isola dove era nato Magnus, che l'aveva sorpreso con quella proposta durante la loro vacanza, la prima che trascorrevano loro quattro insieme, dopo la lunghissima e per nulla semplice riabilitazione di Rafe, che era durata mesi.
I suoi fratelli gli tenevano ancora il muso per questo. Alec aveva spiegato loro, più di una volta, che era stata una cosa non programmata e del tutto inaspettata (e che, forse, addirittura non aveva nessuna valenza legale), ma a Jace ed a Izzy non importava e glielo rinfacciavano ogni volta che si vedevano.
Magnus scosse le spalle. "Voglio portarti in un posto. E non è proprio un viaggio.. diciamo una gita fuori porta, ecco." precisò, cingendogli il collo con le braccia.
Alec lo abbracciò in vita. "Dove andiamo?"
"Ad Oheka!" esclamò Magnus, sorridendo.
"Perché?" chiese Alec, sorpreso.
"Beh, da quando hanno ripreso ad andarci, i tuoi fratelli non la smettono più di dire quanto sia meravigliosa quella suite, quanto sia bello il castello, quanto sia spettacolare il parco. E quindi, ho pensato, perché non andiamo a profanare l'eremo di tuo padre, facendo del sesso sfrenato ed assolutamente proibito sul suo letto alla facciaccia sua?"
Alec scosse la testa, incredulo. "Perverso." sentenziò, iniziando a ridere di gusto. Era così tipico di Magnus fargli quelle proposte.
Il sorriso di Magnus si allargò e gli si strinse maggiormente contro, baciandogli la punta del naso. "Aku cinta kamu, malaikatku*."
Alec sorrise, radioso, poi cercò le sue labbra, baciandolo di slancio e sentendo Magnus che rispondeva con lo stesso impeto. Era perfetto.
"Papiiii! Daddyyyy! Presidente ha vomitato sul tappetoooo!" urlò Rafe, dal salotto.
Sì, era davvero tutto perfetto.. o quasi.



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Note dell'autrice

* Malaikatku = angelo mio (tradotto con Google, quindi spero sia la parola corretta!)

E dopo oltre un anno, la fine della storia.. è quiiii! Carramba, che sorpresa! :D

Prima di tutto, chiedo scusa per i tempi biblici che ho impiegato per pubblicare i vari capitoli, ma a causa di impegni e problemi familiari, sorti lo scorso anno, ad un certo punto ho proprio dovuto abbandonare momentaneamente la scrittura e quindi ci ho messo un'eternità per concluderla.

Seconda cosa, dedico la mini-mini-mini, ma davvero mini, scena del matrimonio a Sammynaa91. So che probabilmente non era quello che ti aspettavi, ma prometto che aggiungerò un capitolo extra solo ed esclusivamente per questo momento. Quando, non lo so, ma arriverà! Giurin giurello! ;D

Ed ora permettetemi di dirvi GRAZIE! *___*
Grazie a chi ha commentato, scrivendo parole gentili e recensioni positive. Vi ringrazio per i suggerimenti, i consigli, ma, soprattutto, perché siete stati talmente carini da non farmi notare gli strafalcioni che mi sono sfuggiti (che c'erano e che, probabilmente, ci sono ancora XD) o addirittura le incongruenze (che c'erano, eccome se c'erano, e di cui mi sono accorta solo dopo aver riletto, per l'ennesima volta, la storia dall'inizio per vedere se filava come volevo io! XD Quindi portate pazienza se, dopo aver letto un capitolo, trovate delle aggiunte o delle modiche che prima non ricordavate!) ;D
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite.
Grazie ai lettori silenziosi.
Grazie a chiunque ha perso del tempo per leggere questa fanfiction.
Grazie grazie e ancora grazie.

Un bacio e a presto! ;-*
   
 
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