Libri > Il ritratto di Dorian Gray
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Autore: arisky    01/04/2019    1 recensioni
"Tu sei la prova di quel che sono io, se distruggo te...pace sarà!
Ricominciare senza di te! La libertà! L'angoscia che mi dai
non durerà...Mi fermerò? Mai!"
- Dal testo del brano "Il mostro" (Dorian Gray - la bellezza non ha pietà) -
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dorian Gray, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Gli psicologi dicono che, in certi momenti, la passione per il peccato – o per quello che il mondo chiama peccato – si fa così prevaricante che ogni fibra del corpo e ogni cellula del cervello sembrano imbevute di impulsi furiosi. In momenti simili, uomini e donne perdono il libero arbitrio e come automi vanno incontro alla loro fine fatale.”[1]
 
 
Il Fato… Che entità immensa, incomprensibile!
Contrasto, ironia, sarcasmo, spietata benevolenza, dolce atrocità.
Siamo insieme in questa cupa soffitta, in questo momento che sembra sospenderci e strapparci per un attimo al flusso incessante del Tempo.
Io splendo in alto; tu giaci a terra.
Io sono la luce della purezza; tu la tenebra del peccato.
Io, il tuo ritratto, l’immagine di te nel fulgore dell’innocenza, i colori splendenti della giovinezza immacolata e della vita; tu, Dorian Gray, un tempio di morte: un coltello conficcato nel cuore uccide il corpo, i segni del peccato devastano l’anima e, come la più contagiosa e violenta delle malattie, corrodono la tua stessa carne.
Gli stessi segni orripilanti, ripugnanti che, per una tua fatale e folle preghiera, hanno deturpato e insozzato me per anni, ora, per un tuo gesto ancor più fatale e folle, sporcano il vero peccatore.
Il Fato è stato sempre presente nella tua straordinaria e sfrenata esistenza, per arricchirla di meravigliosi colpi di scena, come la più stupenda opera d’arte. Ma da bravo artista, scultore della statua del tuo essere, scrittore del romanzo della tua vita, il Fato ha riservato la sua qualità più raffinata, l’ironia, per il finale.
L’ironia della sorte è l’unica spiegazione, sensata ed incredibile allo stesso tempo, alla scena che ho sotto i miei occhi di vernice, specchio dei tuoi ormai spenti. E’ la sola risposta che trovo alla muta domanda che non potevo non pormi.
La tua morte…perché qui, ora, così?
Perché in questa stessa soffitta dove mi hai tenuto segregato per anni a sopportare la vergogna della tua depravazione?
Perché proprio quando un fievole barlume di buonsenso, come una minuscola fiammella nella notte più nera, ti  stava portando verso un acerbo proposito di redenzione?
Ma soprattutto, perché a causa tua, della tua vanità, della tua impulsività, della tua follia, con le tue stesse mani già sporche di sangue e lacrime?
Tante volte mi sono chiesto, a seguito di certe tue azioni alle quali non credevo possibile saresti mai arrivato, perché non fosse giunto mai nessuno a punirti, a farti pagare le atrocità che avevi commesso e la freddezza con cui le avevi perpetrate. La giustizia, che talvolta perseguita gli esseri più innocenti, non aveva mai steso la sua severa mano su di te, non ti aveva mai nemmeno sfiorato. Eri anche scampato al sentimento più spietato e insensibile, ossia la vendetta da parte di uomini cui avevi portato via dignità, nome,  futuro, persone care…godendone terribilmente.
Mi sembrava assurdo che l’unica punizione che il Fato ti avesse destinato fosse l’orripilante lebbra del peccato, che consumava centimetro dopo centimetro, implacabile, la mia superficie, tentando di spaventare e scuotere la tua coscienza, o quel che ne era rimasto. Ma tu provavi piacere nell’osservare quelle alterazioni, un piacere dalle radici malate.
E così Sibyl Vane fu solo la prima delle vittime, tue e dell’ironia di quel Destino che, invece di proteggere loro, vegliava su di te, il vero carnefice.
Quel delicato fiore di diciassette anni, che stava aprendo i suoi timidi petali al mondo, è stato reciso dal tuo egoismo e dalla tua brutalità, ed è morto per ciò che è l’essenza stessa della vita: l’Amore. Quell’amore, che sarebbe dovuto essere la linfa in grado di trasformare quel tenero bocciolo in una  rosa rossa di passione e di Donna, è stato avvelenato dalla tua anima impura. Essa allora era solo all’inizio del suo cammino verso la perdizione, e lasciandosi inconsapevolmente scuotere dai primi impulsi dei sensi, trasudando ingenuamente crudeltà e vanità, ha lasciato che queste nere gocce contaminassero la linfa del tuo amore. Le gocce erano premature e acerbe, ma il fiore era delicato e fragile, partorito dall’essenza stessa della purezza, privo della forza di sopravvivere al tuo veleno.
Sì, perché è stato il tuo veleno, il veleno stillato dalla tua stessa anima ad ucciderla! Quello che lei ha accostato alle sue labbra di bambina ha solamente tolto la vita allo splendido scrigno di un cuore già assassinato.
In un primo momento, appena appresa la tragica notizia della morte di Sibyl, ti ho visto sconvolto, disperato. Tuttavia quella fiamma di egoismo che ardeva dentro di te non si decideva ad estinguersi, la percepivo ancora. Avresti potuto fare qualcosa per soffocarla… Invece no, l’hai tenuta in vita! E quando, poco dopo, un insulso alito di vento l’ha sfiorata, essa è divampata con tutta la repentina violenza di un qualsiasi altro fuoco, distruggendo, divorando, polverizzando quel frammento di umanità che avevi mostrato, lasciando dietro di sé nient’altro che sterili terre di indifferenza, di freddezza, di atroce lucidità.
Le parole di Lord Henry hanno fortificato il tuo egoismo, l’hanno solidificato con la loro crudele e cinica logica, gettando così le basi per la costruzione della tua assoluzione. Ti sono bastate la brevità di alcuni istanti e la vanità di poche parole per renderti innocente. L’inchiesta a seguito di questo drammatico evento, trattandosi della morte di “un’attricetta qualunque”, come l’hai definita tu stesso la sera in cui le hai spezzato il cuore, è stata chiusa nel giro di pochi giorni, senza che essa ti sfiorasse, senza che il tuo nome fosse neanche sussurrato.
Io ho assistito, impotente e pieno di ribrezzo, a quel disegno fatale totalmente ingiusto e crudele, che puniva  gli innocenti con la morte e traeva in salvo il sadico assassino.
Ho visto la voluttà e il godimento scintillare cupamente nei tuoi occhi davanti ai raccapriccianti mutamenti che deturpavano la mia superficie, come se fossi tu stesso, con le mani estrose di un artista imbrattate della nera vernice del  peccato, ad imprimerli violentemente.
Negli anni mi ero quasi abituato all’idea che tu fossi un pupillo intoccabile del Fato, all’idea di un mondo che, quando entrava in contatto con te, sembrava stravolgere le sue naturali leggi di giustizia.
Finchè improvvisamente una notte, la mia forzata quiete, frutto della monotonia, della rassegnazione, dell’impotenza, è stata lacerata, dilaniata dal grido straziante della tua anima imprigionata nella mia tela. Un grido che essa non è riuscita a soffocare, che ha spezzato l’assordante silenzio, gettandolo in frantumi, lasciandolo cadere in schegge di angoscia e orrore per ciò che avevi appena fatto. Chissà se quei frammenti erano più acuminati del coltello imbrattato di sangue che ancora vibrava nella tua mano contratta?
L’omicidio… Quella notte sei arrivato ad uccidere con le tue stesse mani!
Non c’è clemenza, né perdono, né pietà possibile per il più infimo, volgare e brutale dei peccati: la pietà è assassinio quando perdona gli assassini.[2]
Questa volta però, la vittima aveva con te un legame più profondo rispetto alle altre, un legame indissolubile.
Basil Hallward, l’uomo che giaceva riverso sul tavolo di questa stessa soffitta, le braccia spettrali e lo squarcio mortale dietro l’orecchio stillante macabre gocce purpuree, era il mio creatore, l’autore del tuo ritratto. E’ stata proprio l’improvvisa consapevolezza di quella  catena tra te e il pittore la causa di quel lampo di odio, di rancore, di follia omicida.
Cosa ti dicevi? Che non riuscivi a perdonargli l’aver realizzato il ritratto che ti  aveva rovinato la vita?
La catena che vi teneva uniti era stata d’oro un tempo, prima che tu la ricoprissi di ruggine… Basil aveva dipinto la tela, è vero, ma eri stato tu ad esprimere quel folle desiderio, a vendermi la tua anima, a sporcarla fino a renderla il volto di un demonio.
E poi cos’altro? Quella notte, prima che tu spezzassi la sua esistenza, Basil ti aveva parlato in modo inaccettabile?
Il tuo orgoglio non è riuscito ad ingoiare le dure parole del pittore perché dentro di te ne sentivi la dolorosa verità. Quelle ingiurie, quelle accuse, quei segreti li credevi nati per essere sussurrati nel buio tra me e te, per non varcare mai i confini della tua mente. Quando ne hai udito per la prima volta l’atroce suono, l’assordante e spietata realtà rivelata dalle taglienti labbra di un altro che non fossi tu, sei impazzito. Lo stridio crudo ed incessante della verità è penetrato nel tuo cervello, e ti ha condotto, privo di lucidità, a quel folle gesto.  
Io ho sempre conosciuto la tua immensa fragilità, e proprio per questo nell’attimo immediatamente successivo, in quell’inquietante silenzio interrotto solamente dal rumore sordo delle gocce di sangue che si infrangevano sul pavimento, ho tentato di comprenderti. Ma è stato solo un attimo…
Non avevi ancora gettato il coltello che già vedevo quella luce così odiosa riaccendersi nei tuoi splendidi occhi: freddezza, lucidità, pieno controllo di te stesso.
 
“Soltanto alle persone mediocri servono anni per liberarsi da un’emozione. Chi è padrone di se stesso può mettere fine a un dolore con la stessa facilità con cui può dare inizio a un piacere. Non voglio vivere alla mercé delle mie emozioni. Voglio usarle, goderne, dominarle.”[3]

Queste parole le pronunciasti anni fa, con superbia e sufficienza, davanti agli occhi increduli di Basil. In quella notte di follia stavi semplicemente mettendo in atto quelle  stesse parole davanti agli stessi occhi, ma ormai violentemente spenti.
Anche dopo quella pazzia eri  sfuggito alla morsa della giustizia, con un’abilità che forse neanche tu sapevi di possedere.
Ma io già intravedevo qualcosa di diverso rispetto al passato. Quell’omicidio avrebbe segnato una violenta e insanabile rottura: era stato troppo anche per te.
In quel momento tutto è diventato improvvisamente chiaro, una chiarezza illuminante e saggia capace di rispondere alle domande che mi tormentavano da anni.
Quella che avevo creduto benevolenza del Fato nei tuoi confronti, in realtà era sadismo, feroce sadismo. Il  suo disegno, che si stava finalmente rivelando limpido ai miei occhi, era crudelmente geniale, architettato nel momento in cui quell’entità suprema, anch’essa disgustata dalla tua depravazione, aveva compreso che nessuna legge, nessuna vendetta sarebbe mai bastata a punire il male che avevi fatto.
Così ti aveva tratto in salvo dalla pena capitale, dall’odio e dalla rabbia dei padri, dei fratelli, degli amici delle tue disgraziate vittime, ti aveva protetto da tutto…tranne che da te stesso.
L’invulnerabilità che a quel punto credevi di possedere ti ha spinto a continuare a dare sfogo a tutte le bassezze della tua anima, senza freni, senza averne mai abbastanza. Il Fato sapeva che prima o poi saresti arrivato al delitto, l’unico peccato talmente ignobile da riuscire a far vacillare anche te, nonostante la tua fredda e cinica logica. Non aspettava altro…
Approfittando di quella debolezza, il Destino aveva preso a giocare con la tua mente turbata senza pietà, come un burattinaio con la sua inerme marionetta. Fino a farti impazzire, Dorian.
Vedevi la punizione per l’uccisione di Basil ovunque e sotto qualunque aspetto, eri terrorizzato e divorato dal rimorso. Tremavi. Piangevi. Abitavi nella morte ormai… I segni del peccato che continuavano ad attaccare me li sentivi sussurrarti di confessare il tuo peccato.
Spesso l’orgoglio ci perde, ci acceca…
Stanotte, dopo avermi urlato contro che mai ti saresti consegnato alla giustizia, che mi odiavi perché ti avevo rovinato l’esistenza, nel disperato tentativo di recuperare il controllo su di essa, di ricominciare una nuova  vita nella purezza e nella bontà, di eliminare l’unica prova rimasta a gridare l’orrore della tua colpa, hai afferrato lo  stesso coltello con cui avevi assassinato Basil e ti sei scagliato come una furia su di me… E mi hai liberato, non ucciso.
Hai ucciso la tua anima. Hai ucciso te stesso.
L’ironia del Destino! Saresti dovuto morire mille volte, per mano di mille persone, per mille ragioni… Chi l’avrebbe mai detto che ad ucciderti sarebbe stata l’unica mano che non provava odio per te?
Quella mano piena di voglia di vivere.
Quella mano piena di adorazione.
Quella mano troppo piena di orgoglio…la tua.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice:
Eccomi con una nuova fanfiction sul mio romanzo preferito. Ogni volta ho sempre qualche dubbio quando devo iniziare una storia ispirata a questo capolavoro, perché non c’è niente che Wilde non abbia già scritto, ed in modo impeccabile. Perciò mi sono limitata a riflettere sugli eventi principali nella vita del protagonista in una visione totalmente soggettiva. Spero vi sia piaciuta…
Grazie per aver letto…e aspetto recensioni e consigli!
 
[1] Dal testo del romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde (cap. 16)
[2] Dal musical “Romeo e Giulietta – ama e cambia il mondo”
[3] Dal romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde (cap. 9)
   
 
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