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Autore: Roscoe24    02/04/2019    5 recensioni
“Buongiorno,” Lo salutò Alec, non appena si voltò nuovamente verso il letto al centro della sua stanza e lo vide sveglio.
“Buongiorno,” Ricambiò Magnus con un sorriso, mettendosi seduto.
“Hai dormito bene?”
“Come un sasso!”
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima cosa che i suoi sensi ancora mezzi addormentati percepirono fu il profumo di Alec. Fu così che si rese conto di essersi spostato nel sonno, fino a raggiungere il lato sinistro del letto – il lato di Alec. Non c’era il suo corpo – e di norma quando Magnus apriva gli occhi la mattina, si ritrovava sempre con il viso appoggiato al petto di Alec, il miglior cuscino umano del mondo.
Quella mattina, tuttavia, dovette accontentarsi di abbracciare un cuscino vero, che aveva ancora l’odore di Alexander impregnato nella federa. Magnus adorava che la pelle del suo ragazzo avesse un odore proprio che però andava a mischiarsi con il profumo al sandalo del bagnoschiuma che gli aveva regalato. Era come se una parte di sé viaggiasse sempre con Alec attraverso il profumo emanato dalla sua pelle – che Magnus reputava bellissima, sebbene il Nephilim non fosse d’accordo con lui: non è bella, Magnus! È piena di imperfezioni e cicatrici! Diceva sempre e Magnus, ogni singola volta, gli ripeteva che erano proprio quelle a renderla bellissima perché erano il segno fisico del suo coraggio. E del fatto che fosse sopravvissuto. Ognuna di quelle cicatrici rappresentava una battaglia da cui Alexander era uscito vivo, da cui aveva fatto ritorno da lui. E se per averlo con sé il prezzo da pagare era qualche cicatrice che ad Alec non piaceva, a Magnus andava benissimo così. Avrebbe amato quelle cicatrici fin tanto che avrebbero significato il ritorno del suo Alexander a casa, al suo fianco. 
Una volta appurato di essere da solo in quel letto, sdraiato a pancia in giù e abbracciato a qualcosa che era decisamente diverso dalla forma longilinea del suo Alexander, decise di sollevare il viso per guardarsi intorno e capire che fine avesse fatto il suo ragazzo. Lo trovò davanti all’armadio, scalzo e con solo un paio di pantaloni neri addosso. Osservò la schiena nuda di Alec, la sua pelle chiara marchiata di quelle rune che, ormai, Magnus conosceva a memoria. C’era quella della flessibilità, sulla scapola sinistra, che Magnus aveva preso come un regalo personale offertogli da Alexander, che non aveva mai avuto una runa simile, prima di conoscerlo. Lo Stregone apprezzava molto, moltissimo, quella runa e i vantaggi che portava con sé. Il suo sguardo scese, percorrendo ogni centimetro di pelle, dove altre rune erano in mostra: la runa di precisione, quella per calmare la rabbia, quella del coraggio in battaglia e quella della resistenza. Erano piazzate su tutta la superficie di quella bellissima, muscolosa schiena forgiata da anni di allenamento e combattimenti. Per questo, lo Stregone visse come un piccolo tradimento il fatto che Alec avesse afferrato una maglietta grigia dall’armadio e la stesse indossando. Per come la vedeva Magnus, il Nephilim avrebbe potuto stare tutto il giorno senza maglietta. Andare a lavorare senza maglietta, muoversi per l’Istituto senza maglietta. Solo per la gioia degli occhi di Magnus. Lo Stregone era ampiamente consapevole della sua avidità, se si trattava della nudità del proprio ragazzo. Più ce n’era e meglio era. Anche se avrebbe volentieri evitato di mostrarlo al pubblico. Ma questo era un altro discorso.
“Buongiorno,” Lo salutò Alec, non appena si voltò nuovamente verso il letto al centro della sua stanza e lo vide sveglio.
“Buongiorno,” Ricambiò Magnus con un sorriso, mettendosi seduto.
“Hai dormito bene?”
“Come un sasso!” Esclamò Magnus e sul viso di Alec si aprì un sorriso così tenero che fece sfarfallare il cuore plurisecolare dello Stregone, come se fosse un ragazzino alla prima cotta. In un certo senso poteva essere così. Alec era il primo di così tante cose, che Magnus non poteva dirsi stupito quando reagiva in certi modi – modi che, prima del Nephilim, gli erano del tutto estranei. Come lo sfarfallio incontrollato del cuore davanti ad un sorriso dolcissimo.
Alec si mosse, avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo, vicino a Magnus. Lo Stregone gli fece spazio e quando furono vicini, Alec gli lasciò un bacio sulla fronte e gli indicò qualcosa alla fine del letto, appoggiato sopra ad un baule che stava ai piedi di esso. Magnus seguì con lo sguardo quella direzione e ci trovò un vassoio, sopra al quale stavano un bicchiere di spremuta, un muffin e un vaso di fiori bianchi. Magnus sorrise all’idea di Alec che preparava quel vassoio, assicurandosi di riempire il bicchiere di spremuta fino all’orlo e di sistemare dei fiori per lui. Era un gesto gentile, impregnato di una premura che Magnus apprezzava moltissimo.
“Il bicchiere di spremuta è pieno.” Gli fece notare, mentre si allungava per prenderlo e berne un sorso.
Alec sorrise. “È uno dei vantaggi di vivere all’Istituto. Ho anche preso in prestito un muffin.” Prese il dolcetto dal vassoio e lo porse a Magnus, il quale lo afferrò e lo assaggiò. Era soffice e sapeva di mirtilli con un retrogusto alla vaniglia. A Magnus piacque.
“Non si prendono in prestito i muffin, Alexander. Lo hai rubato.”
Rubato, che brutto termine, Magnus. L’ho gentilmente chiesto e mi è stato altrettanto gentilmente dato.”
“Nessuno sano di mente direbbe no al Capo dell’Istituto. Stai approfittando della tua carica, per caso?”  Lo punzecchiò Magnus, piluccando il suo dolcetto.
Alec accennò un sorriso. “Il potere mi da alla testa.” Scherzò, sporgendosi per lasciargli un bacio sulla guancia. Alec scherzava principalmente con lui, Magnus questo lo sapeva. Uno dei vantaggi di aver avuto accesso alla parte più recondita di Alexander era il fatto che si lasciasse andare a tal punto da mostrarsi nella sua interezza, arrivando a far vedere anche quelle parti di sé che gli altri Nephilim, educati al rigore e alla disciplina militare, avrebbero definito più deboli. In presenza di Magnus, Alec riusciva a non essere un soldato, ma solo un ragazzo di vent’anni che si concedeva di scherzare e di manifestare affetto ed effusioni a qualcuno che amava con tutto se stesso.
Magnus osservò il proprio ragazzo alzarsi dal letto e guardarlo dall’alto. “Forza,” lo esortò Alec, “Vestiti. Alle nove smettono di servire la colazione!”
“Pensavo che questa fosse la mia colazione.” Affermò, finendo il muffin e appoggiando il bicchiere di spremuta, ormai mezzo vuoto, di nuovo sul vassoio.
Alec negò con il capo. “Questo era un modo per augurarti buongiorno. Dai, in piedi!”
Magnus titubò momentaneamente, rimanendo qualche istante in silenzio. Poi parlò, perché tra di loro doveva esserci trasparenza – se l’erano promesso, dal momento che l’ultima volta che avevano avuto dei segreti l’uno con l’altro non era finita bene – e perché, per quanto svegliarsi nel letto del Capo dell’Istituto lo facesse sentire come la First Lady d’America, anche se nel suo caso gli sembrava più appropriato parlare di First Gentleman (titolo, aveva appena deciso, che avrebbe inventato lui stesso), sapeva benissimo che c’erano delle regole e che gli altri Nephilim erano contrari alla sua presenza in quell’edificio.
“Non avete delle regole che vietano ai Nascosti di vivere nell’Istituto?”
Alec scrollò le spalle, cercando di minimizzare la questione. “Non sono regole, Magnus. Sono suggerimenti. In più non vivi qui, stai visitando l’Istituto per un periodo di tempo che dobbiamo ancora stabilire.”
Magnus apprezzava che Alec facesse ogni cosa per farlo sentire a suo agio. E che era al suo fianco, indipendentemente da tutto: aveva dato per scontato che sarebbe stato all’Istituto con lui non appena aveva appreso che Lorenzo aveva chiesto il suo loft come pagamento per avergli restituito la magia. Alec non aveva titubato un attimo. Magnus si era ritrovato senza dimora e Alexander gli aveva offerto la propria. Ma, per quanto tutto questo fosse estremamente dolce da parte sua, sapeva che i suggerimenti di cui parlava Alec erano in realtà delle vere e proprie regole. E sapeva che, sebbene ad Alec la sua presenza non dava alcun fastidio, gli altri non l’avrebbero pensata allo stesso modo.
“Magnus.” Lo chiamò Alec, avvicinandosi al bordo del letto. Lo Stregone alzò lo sguardo su di lui e il Nephilim gli prese il viso tra le mani. “Non preoccuparti, per ora, va bene? Sei in visita. Ti farò fare persino un tour dell’edificio, se può aiutarti a convincerti.”
Magnus accennò una risata. “Lo fai fare a tutti i Nascosti in visita?”
Alec annuì.
“E se io conoscessi già a memoria la planimetria di questo Istituto?”
Alec si chinò su di lui per baciarlo, accarezzandogli gli zigomi mentre le sue labbra si appoggiavano a quelle di Magnus in un bacio a stampo. “Vorrà dire che ti mostrerò il mio ufficio e staremo lì per un lasso di tempo indeterminato e, in quanto visitatore e appartenente alla comunità dei Nascosti, potrai farmi tutte le domande che vuoi.” Alec lo baciò di nuovo. “Principalmente, con i visitatori, discuto di politica. E degli Accordi. Ti informo, così ti presenti preparato al nostro colloquio.” Gli lasciò un altro bacio leggero e, a quel punto, Magnus approfittò del fatto che Alec fosse ancora chino su di lui per allungare le braccia e circondargli il collo, tirandolo a sé. Alec non impiegò molto ad assecondarlo, finendo sdraiato su di lui. Si sollevò sui gomiti per riuscire a guardarlo meglio e Magnus sentì letteralmente la colonna vertebrale che si accartocciava su se stessa, come se fosse stata carta bruciata dal sole. Questa era una delle sensazioni nuove che Alexander riusciva a fargli provare. La sensazione di provare emozioni solo attraverso uno sguardo, che riusciva ad essere estremamente carico d’amore, in un modo che spiazzava lo Stregone e gli scaldava il cuore. Il Nephilim sollevò una delle mani per accarezzare una guancia di Magnus, che era rimasto in silenzio con gli occhi incastrati in quelli di Alec, come se fosse stato ipnotizzato.
“Allora che dici? Vuoi essere mio ospite, Signor Bane?”
Magnus si sollevò, mettendosi seduto – spronando, di conseguenza, Alec a muoversi con lui. Il Nephilim si sedette sopra di lui, con le gambe aperte  posizionate all’altezza del fianchi di Magnus.
Lo Stregone gli prese il viso tra le mani, gli accarezzò entrambe le guance e scese fino a tracciare il perimetro della runa di blocco che Alec aveva sul collo – forse la sua preferita, se non altro perché aveva una posizione decisamente tentatrice – con l’indice. Successivamente, mentre faceva scivolare le mani lungo il suo petto e il suo addome, ci appoggiò le labbra, prima con delicatezza, poi con più impeto, succhiando lembi di pelle e spezzando il respiro del Cacciatore, che aveva già cominciato a incurvare la testa per lasciargli più spazio d’azione.
“È un sì?” domandò Alec, il respiro affannato.
Le mani di Magnus scivolarono all’interno della maglietta di Alec, accarezzando tutta la sua schiena nuda, percorrendo ogni centimetro di pelle, accarezzando ogni muscolo, riconoscendo ogni cicatrice. La sua bocca lasciò il collo di Alec solo perché fosse in grado di guardarlo in viso e rispondere: “Mi sembrava chiaro fosse un sì, Signor Lightwood.”
Alec gli regalò un sorriso luminoso e poi lo baciò di nuovo. Magnus sentì chiaramente le mani di Alec sotto alla canottiera nera – presa in prestito dal suo ragazzo – che indossava. Capì le intenzioni di Alexander immediatamente e non che gli dispiacesse, ma… “Non dovevamo fare colazione?”
Alec lo spogliò della canottiera e gli lasciò un bacio tra le clavicole. “Abbiamo tempo.”
Magnus sorrise e fece sparire la maglietta di Alec nel modo più umano possibile: sfilandogliela di fretta da sopra alla testa e lanciandola da qualche parte della stanza, prima di posizionargli una mano dietro alla nuca e tirarlo a sé per baciarlo, con più foga questa volta. Lo trascinò in un bacio vero, uno scontro di labbra e lingue e denti, un territorio già abbondantemente esplorato da entrambi, ma che continuava ad avere il fascino delle terre sconosciute associato alla sicurezza di ciò che viene definito casa. Era un controsenso, un ossimoro, qualcosa che non avrebbe potuto esistere, mai. Era un concetto privo di logica, eppure per Magnus l’aveva.
Alec era la sua casa ed era allo stesso tempo qualcosa di nuovo, qualcosa a cui non si sarebbe mai abituato. E mentre continuava a baciarlo e lasciarsi baciare, mentre i loro bacini collidevano e le proprie mani vagavano sulla sua schiena, stringendolo sempre di più a sé, Magnus pensò che, indipendentemente da dove fossero, quello era il suo modo preferito di iniziare la giornata.

 

Se avesse negato di desiderare di essere rimasto nella stanza di Alexander tutta la giornata, Magnus avrebbe mentito. Se non altro perché, messo piede fuori da quella camera, l’idillio era finito e occhi estranei si erano posati su di lui con un sentimento che Magnus, purtroppo, conosceva fin troppo bene: pregiudizio.
Era tipico dei Nephilim guardare chiunque non lo fosse dall’alto in basso e Magnus di certo non si illudeva che da un giorno all’altro intere generazioni di Shadowhunter cominciassero a pensarla come Alec solo perché era lui il Capo, adesso, e gran parte della sua politica si basava sulla comunicazione. Erano ancora molto lontani da quell’idea di parità tra Nephilim e Nascosti che albergava nella mente di Alec e il progresso, quando deve farsi strada attraverso ideali calcificati nel pregiudizio e nel razzismo, fa fatica ad arrivare. Magnus aveva vissuto abbastanza per poterlo affermare con una certa sicurezza.
“Siamo ancora in tempo a fare colazione fuori.” Affermò, al fianco di Alec, sorreggendo tra le mani un vassoio dove giaceva la sua colazione: pancakes e spremuta.
Alec abbracciò la sala mensa con lo sguardo, quasi come se avesse voluto ordinare a tutti di guardare altrove, e poi portò la sua attenzione su Magnus. “E perderci il giorno dei pancakes? Assolutamente no.”
Magnus sapeva benissimo che Alec parlava in quel modo per non farlo sentire a disagio, per non fargli pesare quelle occhiate e lo apprezzava, davvero. Ma non era cieco. Vedeva gli sguardi e ne capiva i significati. Non per questo, tuttavia, avrebbe lasciato che lo abbattessero. Si fece coraggio e seguì Alec attraverso i tavoli fino a che non raggiunsero quello occupato da Clary, Jace ed Isabelle. I tre lo salutarono con calore e lo Stregone si disse che era quella l’accoglienza che gli bastava, l’unica che contasse davvero. Ovviamente, era più facile a dirsi che a farsi perché per quanto Magnus fosse sicuro di sé, secoli e secoli di parole dolorose, di sguardi diffidenti non possono cancellarsi in poco tempo – e non importa quanta esperienza hai alle spalle. Ne ferisce più la penna della spada, recitava un proverbio, e le parole riescono sempre a colpire le parti più recondite del cuore.
“Magnus, che ci fai qui?” Gli domandò Jace, addentando un pezzo di bacon presente nel suo piatto.
“Oh, sono rimasto senza un appartamento e il mio agente immobiliare è morto lo scorso secolo. Starò qui per un po’, solo finché non trovo un nuovo posto in cui vivere.” Il suo sguardo cercò Alec, che annuì accennando un sorriso di incoraggiamento.
“È fantastico!” Esclamò Clary e Jace annuì con vigore, esprimendosi in un concordo a bocca piena.
“Benvenuto all’Istituto!” Aggiunse Isabelle, alzando il suo bicchiere di spremuta come se fosse un flûte di champagne, prima di berne un sorso.
Magnus apprezzava davvero quell’accoglienza, tanto che il loro entusiasmo riuscì a strappargli un sorriso. Decise di accantonare le preoccupazioni, di smettere di pensare a quello che potesse passare nella testa degli altri Shadowhunter e di concentrarsi solo su quelli che erano al tavolo con lui. Vide Isabelle rubare del bacon direttamente dal piatto di Jace, approfittando del fatto che fosse distratto dalla conversazione con Clary.
“Quello è il mio bacon!” Esclamò il biondo ed Izzy cominciò a mangiarlo addirittura con più gusto, proprio davanti a lui.
“Allora proteggi meglio il tuo cibo!” Gli fece persino una linguaccia quando ebbe finito di masticare, a cui Jace rispose con una smorfia.
Era il comportamento più vicino a quello di due ragazzi che avesse mai visto fargli. Era abituato a vederli come i soldati dell’Angelo, compito a cui erano stati addestrati fin da piccoli, e guardarli sotto quella nuova luce, comportandosi come avrebbero potuto fare un fratello e una sorella Mondani, gli fece persino tenerezza.
“Ci sono delle novità su Jonathan?” si informò Alec, mentre tagliava un pezzo di pancake.
“Sappiamo che è ancora a New York, abbiamo pattuglie che perlustrano il territorio.” Rispose Jace.
“E ad Idris?”
Jace sospirò. “Ad Idris hanno ricevuto il comunicato che gli hai inviato. Lo dirameranno a tutti gli altri Istituti.”
Alec annuì, una ruga di preoccupazione si formò tra le sue sopracciglia. “Ho espressamente chiesto che lo catturino vivo, e penso che la Console Penhallow abbia accettato la mia richiesta solo perché abbiamo neutralizzato Lilith, ma…”
“Sarebbe meglio lo catturassimo noi, per primi.” Concluse Jace per lui, schioccandogli un’occhiata d’intesa.
Legame parabatai, qualcosa a cui Magnus aveva assistito molte volte, durante la sua vita. Due esseri viventi legati tra di loro per la vita tramite il potere angelico, in un modo così profondo da sentire le emozioni l’uno dell’altro, il dolore fisico l’uno dell’altro. E quando lo Stregone assisteva a scambi simili tra Alec e Jace, arrivava a chiedersi se, talvolta, la runa non fosse così potente da permettere ad entrambi di leggersi reciprocamente i pensieri. Sapeva che non aveva senso, dal momento che le rune angeliche non donavano la telepatia, ma comunque quel dubbio era affiorato almeno una volta, nella sua mente.  
In ogni caso, capiva la preoccupazione di Alec: aveva avanzato la richiesta di catturare Jonathan vivo solo perché facendo del male a lui, ne avrebbero fatto anche Clary – e nessuno voleva rivivere l’incubo di rischiare di perderla di nuovo. In più, lo Stregone sapeva benissimo che, proteggendo la ragazza, indirettamente Alec proteggeva anche Jace, suo parabatai e fratello, da un dolore che aveva già provato e che aveva rischiato di farlo finire in pezzi, frantumato come un bicchiere di vetro scagliato con forza brutale contro un muro di cemento.
Non tutti, tuttavia, avrebbero potuto avere la stessa premura, trovandosi davanti al primogenito demoniaco di Valentine Morgenstern, aspirante genocida. Non c’era effettiva certezza che, se altri avessero trovato Jonathan, non avrebbero provato ad ucciderlo, ponendo, però, fine anche alla vita di Clary.
Forse per altri Shadowhunters, questo, poteva essere il giusto prezzo da pagare. Ma non per Jace, né tanto meno per le persone sedute a quel tavolo. Magnus questo lo sapeva benissimo.
“Saremo i primi.” Affermò Isabelle, lanciando un’occhiata decisa ai presenti. Magnus notò che Jace aveva allungato una mano sopra al tavolo, fino a raggiungere quella di Clary. La strinse nella sua e lei annuì.
L’attimo a cui Magnus aveva assistito poco prima, quello scambio così genuino tra Jace ed Isabelle, quella parvenza di Mondanità, era svanita alla stessa velocità con cui si era manifestata. Potevano illudersi, talvolta, di poter avere una vita tranquilla, ma la verità era che non sarebbe mai stato così. Non poteva essere così per nessuno di loro, non quando quattro persone su cinque, a quel tavolo, avevano sangue angelico e una – lui, ovviamente – aveva sangue di demone.
Ponendo attenzione solo alla loro parte umana, loro altro non erano che un gruppo di mezzosangue che non avrebbe mai potuto capire la vita Mondana. Sapevano troppe cose ed erano stati dotati, chi per un verso e chi per un altro, di poteri che non potevano fingere di non avere – poteri che portavano degli oneri e non solo onori. Non potevano ignorare il Mondo Invisibile, e mai l’avrebbero fatto, ovviamente. Era quella la loro realtà.
E proprio come se l’Universo avesse voluto manifestare la sua supremazia, mandando ciò che poteva definirsi un segnale divino, i pensieri di Magnus vennero interrotti dal telefono di Clary, che aveva cominciato a vibrare sul tavolo.
Era Luke: il Jade Wolf era stato preso sotto attacco e il suo branco era stato massacrato da dei vampiri. All’arrivo dalla polizia, l’unico presente era Luke, di conseguenza era stato portato in centrale per essere interrogato, ritenuto l’unico sospettato.
E Maia? Fu quella la domanda generale, quella che balenò nella mente di chiunque. Maia stava bene? O era tra le vittime?
E mentre Magnus sperava con tutto se stesso che la licantropa stesse bene, osservò per l’ennesima volta Alexander andare via per scendere in una battaglia da cui sperava sarebbe tornato illeso.


Magnus vorrebbe dire di non essersi rintanato nella stanza di Alec, ma fu esattamente quello che fece. Dopo la partenza dell’unico gruppo di Shadowhunter che non era ostile nei suoi confronti, Magnus era tornato nella camera del suo ragazzo – e lì era rimasto fino a quando Alexander non l’aveva chiamato informandolo che Maia stava bene e stava tornando con loro all’Istituto, insieme a Simon che l’aveva salvata. I tre avevano portato Jordan Kyle al Praetor Lupus per fare in modo che riuscissero a curarlo dall’avvelenamento da argento che una pugnalata, presa al posto di Maia, gli aveva provocato.
Non gli piaceva starsene con le mani in mano, nemmeno un po’, quindi decise di uscire dalla stanza di Alec e cercare qualcosa da fare per rendersi utile. Varcò la soglia e si incamminò per il corridoio. Era illuminato da lampade attaccate al soffitto di pietra che emettevano una luce al neon relativamente forte. Quella luce, mischiata a tutti quegli schermi interattivi che lavoravano ventiquattro ore su ventiquattro, trasmettendo informazioni costantemente, gli facevano venire un’emicrania pazzesca. E no, non dipendeva dal fatto che fosse cresciuto in un’epoca dove la tecnologia non esisteva: era al mondo da abbastanza tempo da aver avuto la possibilità di vivere il progresso tecnologico in tutta la sua gloriosa avanzata, ma ciò non toglieva che la luminosità sempre più intensa di quegli schermi fosse fastidiosa. Chi li usava doveva solamente essere in grado di leggere le informazioni, santo cielo, non era necessario intrappolare tutta la luminosità del sole dentro ad uno schermo. Eppure, i Mondani che stavano dietro allo sviluppo di questo tipo di tecnologia – e se esisteva una categoria di Shadowhunter addetta a questo lavoro, Magnus includeva pure loro – sembravano ossessionati dalla necessità di aumentare sempre di più: dimensioni, resistenza, luminosità. E se per due delle tre cose citate Magnus, in altri contesti, non si era mai lamentato, per la luminosità si lamentava eccome. Troppa luce avrebbe rovinato le sue retine. E non aveva vissuto quattro secoli perché una manciata di schemi rischiassero di danneggiare i suoi occhi.
Magnus stava ancora percorrendo il corridoio, consapevole di quale fosse la sua direzione – e già gli pareva di sentire i bulbi oculari secchi e un principio di mal di testa – quando di scontrò con qualcuno.
“Ehi,” lo salutò Alec, “Stavo per venire da te.”
Magnus, vedendo un viso tanto familiare e amato, sentì il suo corpo – e la sua mente – rilassarsi all’improvviso. Non si era reso conto quale livello di tensione tutto il suo corpo avesse raggiunto fino a che non aveva di nuovo incontrato Alexander. Rimanere in un Istituto con Alec al suo fianco era una cosa, rimanerci da solo era un’altra. Non che temesse una qualche ritorsione fisica, o chissà che, ma i bisbigli, quando era in solitudine, aumentavano inevitabilmente e le occhiate si prolungavano. In presenza di Alec, aveva notato, quei sussurri e quegli sguardi cessavano non appena il Capo guardava chiunque avesse aperto bocca o incrociato il suo sguardo. Da solo, invece, era tutta un’altra musica. Una musica che Magnus avrebbe preferito non udire e che, invece, si trovava quasi costretto a ballare. Riteneva, infatti, che almeno una delle due parti dovesse mostrarsi cortese ed educata – e quello poteva benissimo essere una dimostrazione di superiorità, se non proprio supremazia – e visto che gli Shadowhunters non sembravano propensi a quel comportamento, Magnus decise che spettava a lui fare le veci della parte «cortese ed educata». Infatti, lo Stregone reggeva lo sguardo di chiunque lo guardasse male e rispondeva con un sorriso, quasi come a voler far capire loro che tutto ciò che si immaginavano su di lui era totalmente errato, nato solo dai pregiudizi che i Nephilim provavano nei confronti dei Nascosti. Avrebbe voluto chiamarli stupidi, fare battute sulla dimensione dei loro cervelli, grandi quanto una nocciolina e con l’elasticità neurologica di un cucchiaio, ma aveva deciso di sorvolare. Se non altro, appunto, per non scendere al loro livello, per dimostrarsi migliore. Per comportarsi da persona civile.
“Hai bisogno di qualcosa?”
“Volevo aggiornarti: abbiamo catturato i responsabili dell’attacco al Jade Wolf…”
“Maia li ha riconosciuti?” domandò Magnus.
Alec socchiuse un occhio. “Non proprio… diciamo che è stata Heidi a denunciarli.”
Magnus lo guardò stupito. “Heidi? La stessa che ha preso in ostaggio la famiglia di Simon?”
“Proprio lei.” Sospirò Alec. Isabelle gli aveva fatto notare la stessa cosa, esprimendo abbondantemente il suo disappunto per la scelta del fratello di ascoltare quella squilibrata. “Ci ha dato le informazioni che cercavamo e in cambio ha chiesto che le venisse pulita la fedina dai crimini che ha commesso. L’ho assecondata, pur di evitare una guerra tra Lupi e Vampiri, ma Maia non l’ha presa benissimo.” Alec si massaggiò le tempie con una mano. Sembrava preoccupato, notò Magnus.
“L’importante è che Maia stia bene.”
Alec annuì. “È quello che le ho detto anche io, ma adesso l’unica cosa a cui riesce a pensare è il massacro del suo branco.” Fece un pausa, zittendosi, quasi come se nella sua testa stessero riecheggiando parole che aveva udito e delle quali non riusciva a liberarsi. Magnus si chiese se non fossero proprio uscite dalla bocca di Maia, quelle parole, e riuscì ad immaginare quali: massacro, la mia famiglia, morti. Magnus era convinto che Alexander avesse passato almeno qualche secondo ad immedesimarsi in lei, a cercare di immaginarsi una vita senza la sua famiglia. Sapeva anche che i Nephilim vengono abituati alla morte fin da bambini. Scendere in battaglia con la piena consapevolezza di non poter fare ritorno. Erano soldati, prima di essere persone. E i soldati muoiono. Ma conosceva anche l’uomo con cui stava, che amava. E sapeva che la sola idea di perdere anche solo un membro della sua famiglia, l’avrebbe fatto a pezzi.
Alec parlò di nuovo: “È convinta che in realtà sia stata Heidi a dare l’ordine, ma nessuno l’ha vista. Ho mandato Izzy a fare una perlustrazione, ma gli unici che potrebbero testimoniare sono…”
“Morti.” Finì Magnus per lui. Quella parola aleggiò nell’aria pesante per qualche istante, prima che lo Stregone chiedesse: “E Maia? Lei non può testimoniare?”
“Maia ha riconosciuto quelli che avevamo già arrestato, ma sebbene sia convinta della colpevolezza di Heidi, non l’ha vista.” 
Sembrava un grattacapo senza risoluzione. La convinzione che fosse stata effettivamente Heidi ad ordinare il massacro non bastava per incriminarla. Dovevano esserci delle prove concrete, schiaccianti, che la incriminassero definitivamente, senza che ci fosse la possibilità che venisse scagionata. Magnus lo sapeva e lo sapeva anche Alec che, in quanto Capo, doveva far valere determinare regole – altrimenti se uno Shadowhunter avesse arrestato una Vampira sulla base delle insinuazioni di una Lupa, Alec sarebbe stato accusato di favoritismo. E Magnus non si sentiva nemmeno di escludere che ci fosse la possibilità che un comportamento simile violasse qualche Accordo. Capiva se Alec voleva andarci cauto e capiva anche il motivo della sua preoccupazione.
“Vuoi che ti aiuti, in qualche modo?” si offrì Magnus e Alec gli sorrise, riconoscente.
“Grazie, Magnus, ma non serve. Per ora, l’unica cosa che posso fare è andare a redigere i rapporti delle missioni che poi dovrò inviare al Clave.”
Magnus fece una smorfia, rabbrividendo. “Duh, lavoro d’ufficio.”
Alec riuscì persino ad accennare una risata. “Già, ma devo farlo.” Si chinò per lasciargli un veloce bacio sulle labbra a mo’ di saluto. “Vado. Ah, Underhill ti sta aspettando per inserire i tuoi dati nel nostro server, così i nostri sistemi di sicurezza ti riconosceranno e potrai entrare e uscire dall’Istituto senza problemi. Sarai ufficialmente mio ospite.” Gli sorrise, accennando alla conversione che avevano avuto quella mattina.
Magnus ricordò piacevolmente anche a cosa aveva portato con sé quella conversazione e sentì il suo umore migliorare improvvisamente.  
“D’accordo. Andrò nella sala degli schermi.”
Alec annuì. “Tienimi aggiornato.”
“Anche tu.”
“Certo, è ovvio.” Alec lo baciò di nuovo, prima di dirigersi verso il corridoio che avrebbe portato al suo ufficio. Magnus rimase a guardarlo fino a che non lo vide sparire e poi si incamminò verso la sala piena di schermi. Non potevano darle un nome, accidenti? Sala Piena Di Schermi suonava malissimo, ma del resto gli Shadowhunter non erano famosi per il senso del fashion, o del gusto, ne per avere una fantasia particolarmente spiccata, quindi a Magnus altro non rimase da fare che dirigersi da questo Underhill e sperare di fare in fretta.



Underhill si rivelò essere un tipo piuttosto silenzioso. I suoi occhi azzurri evitavano prontamente la figura dello Stregone, non scollandosi mai dai vari schermi in cui digitava informazioni e inseriva gli scanner facciali di Magnus – che per inciso aveva dovuto stare fermo imitando il Cristo di Rio de Janeiro per più di cinque minuti almeno tre volte. Poi si era spostato, sotto comando di Underhill, verso un altro schermo, che gli aveva scannerizzato non una, ma entrambe le retine.
“Adesso appoggia le mani qui. Tutte e due.” Disse il Nephilim. Aveva una corporatura notevole, dei bei lineamenti e aveva quel connubio fiabesco capelli biondi-occhi azzurri che lo rendeva piacevole da guardare – anche se Magnus aveva sempre preferito i mori – ma i suoi modi così schietti lo facevano assomigliare ad una guardia reale, più che ad un principe. Era serio come le guardie davanti a Buckingham Palace e sembrava che temesse di rischiare di venire decapitato, qualora si fosse concesso un sorriso o una qualsiasi gentilezza.  
Magnus, in ogni caso, assecondò quella richiesta, appoggiando entrambe le mani su un tavolo touch di fronte a sé. L’oggetto emise un rumore acuto, mentre una riga blu comparve sullo schermo e cominciò a muoversi dal basso verso l’alto dove erano appoggiate le sue mani, scannerizzando i suoi palmi e i suoi polpastrelli. Impronte digitali. In quel momento, più che un ospite Magnus si sentiva un sospettato che veniva schedato dalla polizia prima di un soggiorno in galera. Si chiese se tutta questa procedura fosse davvero necessaria, ma poi pensò che Alexander non l’avrebbe mai sottoposto a tutto questo, se non ce ne fosse stato davvero bisogno.
“Finito. Queste sono tue.” Fece scivolare sopra al tavolo un mazzo di chiavi. “Non so bene a cosa servono, ogni Shadowhunter usa una runa d’apertura per le porte e gli armadietti.” Picchettò ancora un po’ sulla tastiera touch apparsa sul tavolo. “Buona fortuna a scoprire cosa aprono.”
Magnus, se avesse dato retta alla sua parte infantile, si sarebbe esibito in una linguaccia seguita da un’imitazione con tanto di vocetta da bambino di cinque anni: buona fortuna a scoprire cosa aprono, gnegnegne. Ma era un uomo fatto e formato, alcuni – non lui, per carità – l’avrebbero definito anche anziano dal momento che era al mondo da quattro secoli, di conseguenza, decise di porsi in un modo più maturo, cavalcando quell’onda di educazione che si era imposto di tenere per tutto il giorno.
“Chiedo scusa, ho forse fatto qualcosa che ti ha offeso?”
La postura di Underhill si rilassò. Magnus vide chiaramente le sue spalle incurvarsi un poco, prima che, finalmente, si voltasse verso di lui e lo guardasse dritto negli occhi.
“No, certo che no!” Esclamò, ma la sua reazione iniziale fu seguita da uno sguardo carico di disagio – lo stesso che aveva provato Magnus. Si guardarono per qualche secondo, nessuno dei due sapeva bene cosa dire. La prima reazione di Underhill, probabilmente, era dettata da una qualche educazione che aveva ricevuto: negare di essersi comportato in modo ostile per evitare una figuraccia. Evidentemente se ne rese conto, perché riprese a parlare poco dopo.
“È solo che…” Si guardò intorno, sospirando. Sembrava stesse ponderando l’idea di essere sincero o meno e Magnus sperò solo che, con la sincerità, non arrivassero anche parole brutali. “…Non credo che trasferirti qui sia una buona idea.”
Ed eccole. Non erano state parole brutali, questo Magnus lo riconosceva – negli anni gli erano state dette talmente tante cose orribili che di certo non poteva reputare le parole appena uscite dalla bocca di Underhill cattive, ma… sapeva leggere tra le righe. Il fatto che avesse usato una parvenza di gentilezza per esprimere le sue opinioni, non toglieva che le sue idee fossero le stesse di chiunque altro, sia che si parlasse delle persone che aveva incontrato nel suo passato, sia che si guardasse all’interno di quell’Istituto. 
“Perché sono uno Stregone.”
Il viso di Underhill si accartocciò in una smorfia confusa. “No, no, a me non importa certo di questo...”
Magnus era confuso tanto quanto il Nephilim di fronte a sé. Se non era per quello, allora, perché cos’era?
E perché, negli anni, era diventato pregiudizievole tanto quanto coloro che lo giudicavano ancora prima di conoscerlo? Aveva dato per scontato che le parole di Underhill celassero un significato diverso da quello che effettivamente avevano: credeva che nascondessero la diffidenza tipica dei Nephilim nei confronti dei Nascosti, quel sentimento di malcelata superiorità che credevano di dover esercitare di diritto, in quanto figli dell’Angelo. Ma forse, in questo contesto, Underhill era un’eccezione. Forse le sue parole erano semplici parole e avevano un unico significato.
“…Ma abbiamo delle regole. Regole che ci garantiscono la sicurezza di cui sono responsabile. Non è un fatto personale con te, cerco solo di fare il mio lavoro.”  
“Tranquillo, non ho intenzione di vivere qui più del dovuto. Amo Alexander, ma questi schermi mi fanno venire l’emicrania.”
A quelle parole, sul viso di Underhill comparve un’espressione dispiaciuta, che Magnus non aveva mai visto sul viso di nessun altro Shadowhunter – se si esclude Alec le volte che avevano discusso e si era scusato con lui.
“Mi dispiace, non avevo capito fosse una cosa temporanea.” Fece una pausa, abbassando momentaneamente lo sguardo per poi riportarlo su Magnus. “Per quello che vale, sono felice che tu ed Alec abbiate sistemato le cose.”
Magnus lo guardò perplesso, convinto di aver capito male. “Di che parli?”
Underhill titubò solo qualche istante, prima di rispondergli. “Mi ha detto che avete avuto delle divergenze, in passato…”
Lui COSA?
“Ah sì? Ti ha detto così?”
“Sì.”
Magnus assottigliò lo sguardo, socchiudendo leggermente gli occhi. “Se vuoi scusarmi, devo andare.” Accennò un sorriso, a cui Underhill rispose con un cenno del capo, e poi si allontanò dalla Sala Piena Di Schermi.
Indovina un po’ chi è nei guai? Alexander Lightwood.
E indovina un po’ chi dormirebbe sul divano, stanotte, se solo Magnus avesse avuto ancora il suo appartamento? Sempre Alexander Lightwood.

La porta dell’ufficio di Alec era aperta, così Magnus entrò senza bussare. La conversazione con Underhill l’aveva turbato, in un modo del tutto nuovo, facendogli provare qualcosa che non aveva mai provato. Era convinto che non facesse parte del suo carattere provare certe cose – e dopo quattrocento anni passati con se stesso, Magnus era convinto di conoscersi alla perfezione. A quanto pare, si sbagliava di grosso.
“Ehi,” lo salutò Alec, alzando lo sguardo da alcuni documenti che stava esaminando. Era seduto su una sedia, dando le spalle alla scrivania. “Com’è andato il tuo primo giorno, hai sistemato tutto?”
Magnus si sedette sulla sedia accanto a quella di Alec. “Il tuo affascinante amico si è preso cura di me e ha registrato ogni cosa.”
Alec si voltò nella sua direzione, un’espressione dubbiosa in volto e un sopracciglio alzato. “Underhill?”
“Credi che sia affascinante?”
“Penso di sì?” Alec sembrava confuso. “È un problema?”
Se era un problema, chiedeva lui. Certo che era un problema e non tanto perché aveva appena detto che Underhill era affascinante, ma perché Alec aveva condiviso qualcosa di personale, che riguardava entrambi, con lui.
“No!” Si affrettò a dire, ma poi si rese conto che negare era inutile: negando non avrebbe smesso di provare un certo fastidio all’altezza dello stomaco, un limo che saliva con precisione chirurgica fino al cuore. “Sì.” Affermò, quindi. “È solo che non mi sento a mio agio, sapendo che racconti i nostri problemi a tutto l’Istituto.”   
Alec abbandonò definitivamente i documenti che stava esaminando e si concentrò interamente su Magnus. “Di cosa stai parlando?”
“Gli hai detto che abbiamo avuto problemi di coppia.”
“Quindi… non mi è permesso parlare con altri dei miei problemi?”
“Sì, certo che puoi, solo che… lui? Lo conosci a malapena!”
Alec fece una pausa. “Mi dispiace.” Si sistemò sulla sedia, voltandosi completamente verso di lui, viso e corpo. “Hai ragione, non pensavo fosse un problema.”
“Non lo è, solo che a volte, io…”
“Aspetta.” Lo interruppe Alec, un sorriso che andava a solcare il suo volto da orecchio ad orecchio, luminoso come il sole estivo. “Sei geloso.” Affermò, con una sicurezza inconfutabile.
“Non sono geloso!” Rispose Magnus, mettendosi sulla difensiva.
Ma Alec non si fece scoraggiare da quel comportamento. Il suo sorriso, se possibile, divenne ancora più ampio e soddisfatto. Sembrava quasi che si stesse crogiolando nella soddisfazione che quella realizzazione gli faceva provare e Magnus, a questo punto, dovette arrendersi all’idea che il suo ragazzo avesse ragione.
Passi quattrocento anni con qualcuno e scopri di non conoscerlo affatto, quando poi quel qualcuno sei tu stesso la cosa diventa ancora più grave. Magnus non era mai stato geloso, di niente e di nessuno. Era un sentimento a lui estraneo. Magnus Bane e la gelosia erano sempre stati agli antipodi, su due poli completamente diversi, opposti.
Eppure… eppure adesso si trovava ad essere geloso di qualcuno con cui Alec aveva parlato, con cui si era esposto, a cui aveva donato una piccola parte di sé e della sua intimità. Razionalmente, non sapeva perché gli desse fastidio perché oggettivamente non c’era niente di male: Alexander aveva il diritto di avere degli amici, ma… la ragione a volte altro non può fare che zittirsi e lasciare parlare il cuore – e il suo cuore una punta di gelosia l’aveva provata eccome. Magnus, dopotutto, era umano –  perciò provava dei sentimenti. E notizia flash: la gelosia era un sentimento.
Arrenditi, Magnus Bane, sei geloso. Ci sono voluto giusto quattro secoli e l’incontro con uno Shadowhunter molto speciale per fartelo capire. Congratulazioni!
“Sei geloso!” Continuò Alec, che non smetteva di sorridere. “Sei davvero geloso!”
“Lo sono, d’accordo?” Magnus venne interrotto dal telefono di Alec, che cominciò a squillare. “Rispondi.”
Alec afferrò il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni e lo portò all’orecchio, senza interrompere il contatto visivo con Magnus. “Pronto.” Disse, ma il suo sorriso svanì, venendo sostituito da un’espressione seria e concentrata.
“Alec, ciao, sono Simon… il Diurno.”
“So chi sei, Simon.” Rispose, pratico.
“Oh, bene, sì. Abbiamo trovato una testimone che può provare che Heidi è colpevole…” A quelle parole, Alec mise il vivavoce, “…Magnus è lì con te?”
“Lei dov’è?” domandò Alec.
“È questo il punto: è in ospedale, Heidi ci ha preceduti. I dottori dicono che è in coma irreversibile, ma forse Magnus può riuscire a guarirla.”
Alec non rispose, guardò semplicemente Magnus. Stava a lui scegliere. Era lui che doveva decidere.
“Vi raggiungo subito.” Affermò e Alec annuì, concludendo la telefonata.
Entrambi si alzarono dalle sedie e Magnus osservò Alec dirigersi verso la scrivania, dove aveva appoggiato la sua giacca.
“Riuscirete a passare dalla porta, tu e la tua immensa soddisfazione?”
Alec finì di vestirsi e si avvicinò di nuovo a Magnus, sorridendogli. “Per quel che vale, a me piace la tua gelosia.” Si chinò su di lui per lasciargli un bacio a stampo.
“Sei sicuro che non sia un problema? Non volevo esagerare, solo che…”
“Non hai esagerato. È stato… dolce.”
“Dolce?”
Alec annuì, un sorriso soffice trasformò di nuovo i suoi lineamenti. Il suo viso, il suo tono di voce si ammorbidivano ogni volta che aveva a che fare con Magnus. E allo Stregone piaceva. Gli piaceva avere la consapevolezza di essere speciale, per Alexander.
“Abbiamo del lavoro da fare.”
Magnus annuì concorde e, insieme, uscirono dall’ufficio.
Quel giorno, in un Istituto in cui non si era sentito propriamente il benvenuto, se si escludono una manciata di persone, Magnus Bane, Stregone plurisecolare, aveva imparato che l’incontro di una persona speciale può arrivare a farci conoscere lati di noi stessi che pensavamo non esistessero. E andava bene così. Sarebbe sempre andato bene così, finché c’era Alexander con lui.





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Ciao a tutti!
Questa OS nasce su richiesta di danim che si è chiesta quali potrebbero essere stati i pensieri di Magnus all’Istituto, durante la 3x15. L’idea è tutta sua, io l’ho solo sviluppata!
Daniela, scusa se ci ho messo tanto e spero che sia almeno un po’ come te l’eri immaginata!
Se vi va, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate (:  
Se siete arrivati fino alla fine, vi ringrazio tantissimo!
Un abbraccio, alla prossima! <3










 


 
   
 
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