Anime & Manga > Inuyasha
Segui la storia  |       
Autore: elerim    08/04/2019    10 recensioni
Rin doveva ammettere di aver investito una quantità di pazienza considerevole per conseguire quell'obiettivo. Quanti saluti ignorati, sospiri infastiditi, porte sbattute davanti al naso, occhiate arroganti aveva dovuto sopportare in risposta ai suoi tentativi – sempre allegri e garbati – di approccio? A palate.
Ma perché, poi? Eh. Qui si arriva al punto. Perché se lo fosse posto, l'obiettivo di andare d'accordo con Sesshomaru, era tanto semplice quanto sconcertante: Sesshomaru non era ignorabile.
Quando si chiude una porta si può aprire di nuovo
perché di solito è così che funzionano le porte.
Albert Einstein

PUBBLICATO EPILOGO A PARTE, RATING ROSSO!
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Slamming Doors'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo cinque ovvero Mutatis mutandis (*)

 

 

 

 

« Happiness often sneaks in through a door you didn't know you left open. »

« La felicità spesso si insinua attraverso una porta che non sapevate di aver lasciato aperta »

(John Barrymore)

 

 

 

 

 

Confusione.
Questa era senz'altro la sensazione dominante in lei nell'ultimo mese.
Era stata catapultata in un mondo ampio e pieno di contraddizioni, quello delle relazione problematiche fra umani e demoni, e stava cercando di sviluppare un suo personale punto di vista, ma non era per nulla semplice. Ayame era stata più che disponibile a soddisfare tutte le sue curiosità – e a metterla in guardia in mille e più modi – ma la sua visione era comunque parziale, benché molto più equilibrata di quelle esposte nei media dalle fazioni antagoniste.
Da quando aveva cominciato a prestarci attenzione, si era accorta che gli argomenti dei titoli di giornale, delle trasmissioni televisive, dei discorsi intercettati per strada e nei mezzi di trasporto pubblici, convergevano con frequenza sul problema della convivenza fra gli umani e gli altri (indicati con termini più o meno dispregiativi, indizio dell'opinione dell'interlocutore: Demoni, Mezzi-demoni, Ibridi, Sotto-demoni, Sangue-misto, Sangue-sporco e via dicendo), perlopiù sottolineandone le caratteristiche di incompatibilità, di ferocia, di immoralità.
Eppure, a lei la soluzione sembrava così semplice e, cosa più stupefacente, era sotto gli occhi di tutti. Si era informata: alla quinta generazione di distanza da un progenitore demoniaco, la componente di sangue non umano era irrilevabile da esami di routine, sarebbe potuta emergere solo con un'analisi completa del DNA. Delle specifiche capacità del demone originale, nei pronipoti rimaneva traccia come abilità, spiccata tendenza, predisposizione. Per lei era ovvio che popolazione demoniaca fosse in estinzione come individui “puri” e con il tempo si sarebbe amalgamata, arricchendola, con la popolazione umana, come accade per le altre specie viventi.
Contrastare questa tendenza, dall'una e dall'altra parte, le sembrava futile e controproducente, per questo non riusciva ad avere un'opinione netta sui singoli aspetti o episodi di attualità: le pareva tutto falsato in partenza.
Di certo non la aiutava a far chiarezza il fatto che la dicitura “relazioni problematiche fra umani e demoni” fosse perfettamente calzante anche alla sua personale situazione, fonte di confusione quotidiana a crescita esponenziale.
Sesshomaru. Avrebbe potuto pronunciare quel nome dieci volte con dieci inflessioni diverse, legate ad emozioni forti e contrastanti.
La serenità iniziale causata dalla sua richiesta di perdono era stata rapidamente sostituita dal dubbio e dal sospetto, che le teorie di Ayame alimentavano come benzina sul fuoco. Ella diceva che i demoni stavano cercando una soluzione per sopravvivere, che tutti si stavano organizzando e che di sicuro anche i Cani avevano delle mire e che l'apparente vita solitaria 'del bastardo del suo ex-vicino' – lo chiamava sempre così – era un a sospetta anomalia.
Eppure.
Eppure lui a lei sembrava una persona diversa. Nei suoi confronti si era comportato in modi che mai avrebbe utilizzato prima, che riusciva a spiegarsi solo supponendo che provasse un vero rimorso. Un dignitoso rimorso, poiché non si era lasciato andare a scene patetiche, ma non riusciva a vedere nei suoi atteggiamenti un doppio fine perché... beh, cosa ne avrebbe guadagnato a ri-ottenere la sua fiducia? Lei non aveva nessun ruolo nel conflitto generale, era una ragazza umana qualsiasi.
Fece spallucce al suo riflesso nello specchio. Oggi ci teneva ad essere meno “qualsiasi". Aveva indossato un vestito color pervinca leggero ma non troppo corto, truccato gli occhi – un velo di ombretto e un'idea di rimmel, sufficienti a regalare intensità allo sguardo – indossato i sandali nuovi, inserito i libri in una borsa estiva invece che nel solito zaino e, per una volta, avrebbe abbandonato la bicicletta a favore dei mezzi pubblici.
Tutto questo perché, dopo le lezioni, sarebbe andata a prendere un gelato con Sesshomaru?
Nooo, mica.

 

 

Controllò il telefono l'ennesima volta, avviandosi verso il luogo dell'appuntamento, un'anonima pensilina dell'autobus presso l'uscita ovest del complesso universitario. Nessuna smentita dell'ultimo momento. Sarebbe venuto davvero, quindi? Lei aveva davvero accettato di vederlo ancora, da soli?
Era accaduto pochi giorni prima. Si erano incontrati per caso nei corridoi dell'Università, erano entrambi soli. Lui l'aveva salutata e avrebbe tirato dritto, ma lei non aveva ancora avuto l'occasione – né il coraggio per crearsela – di rispondere alla sue richiesta di scuse e poiché il destino gliene aveva fornita una, aveva deciso di fermarlo.

« Sesshomaru, aspetta »
Si era bloccato sul posto, rigido come una statua di sale, senza proferir parola.
« Forse non è il momento né il luogo, ma volevo dirti, ecco... » si era impegnata a trovare le parole al più presto, ma il risultato era comunque traballante, « riguardo alla tua richiesta di scuse, io volevo dirti... »
« Appunto, non è il momento né il luogo » l'aveva stroncata lui. Imbarazzo alle stelle. Neuroni impegnati in cori da stadio “Scema! Scema!” e ormoni piegati a pulire il pavimento da colate di sudori freddi. Due settimane prime aveva visto un film di animazione americano e da allora non poteva fare a meno di immaginarsi amene scenette avvenire nei propri centri di controllo. Tuttavia.... « Potremmo vederci fuori di qui, se ti va » aveva aggiunto. Posizioni invertite in cabina di comando: ormoni in indecente esultanza e neuroni a lavar per terra.
« Oh. Ah. »
« Sarebbe un sì o un no? » Lui l'aveva studiata con una punta di apprensione nello sguardo, che si era tramutata in divertimento quando lei aveva emesso l'ennesima vocale: « Eh... »
Aveva sorriso anche lei e aveva distolto lo sguardo.
« Va bene » aveva espirato.
« Non ho capito » aveva risposto lui seccamente.
« Hai capito benissimo, invece, tu e il tuo super-udito! » aveva ribattuto, prima di guardarlo in faccia e scoprirlo seriamente indispettito.
« Siamo in Università », le aveva detto e quella era la spiegazione che si sarebbe dovuta far bastare. Università, demoni, sistemi di individuazione... giusto.
« Oh. Me ne ero dimenticata. » Lui non aveva mosso un muscolo, in attesa. « Va bene, comunque. Per vedersi » aveva aggiunto e lui aveva annuito brusco.
« Guarda che non sei costretto. Me l'hai proposto tu! » con la mano sul fianco aveva dato voce alla proprio ira latente. Questo – l'ennesimo – stentato colloquio stava risvegliando qualcosa in lei e non era nulla di cui andare orgogliosi. « Un po' di entusiasmo suvvia » lo provocò. « Hai appena ottenuto un'appuntamento con una piccola ed insignificante umana, sono soddisfazioni. »
« Da dove ti arriva tutto questo sarcasmo? » aveva ribattuto lui, incrociando le braccia al petto.
« Forse, finalmente, sono CRESCIUTA! » gli aveva urlato contro e se n'era andata voltandogli le spalle. Rabbia, rabbia, dolore. Un'ondata furente di sentimenti negativi aveva premuto dietro i bulbi ma Rin l'aveva ricacciata indietro. Niente pianti.

 

Il giorno dopo aveva ricevuto un messaggio: “Posso invitarti a prendere un gelato domani, alle 17.00?”.
Aveva risposto solo: “Puoi. Ma dopodomani, domani lavoro.”
In perenne oscillazione fra il congratularsi per il coraggio avuto due giorni prima e il dispiacere per essersi fatta dominare dalla rabbia, sperava sarebbe stato il suo volto, il suo atteggiamento a suggerirle come comportarsi. Era imbarazzante, doveva ammetterlo. Aveva sempre pensato fosse sufficiente essere sé stessa, anzi, non l'aveva pensato affatto, lo era stata e basta. Invece al momento “sé stessa” era un groviglio di sentimenti in perenne contraddizione e le occorreva un movente esterno per indirizzarli. “Molto matura, signorina”, si complimentò.
Lui fu puntualissimo. Lo vide arrivare da lontano, dalla direzione opposta rispetto a quella da cui era giunta. Mentre si avvicinava lo osservò con curiosità crescente. Diverse cose stonavano nella sua figura: il capello corto cui non si era ancora abituata, le tinte chiare dei vestiti – grigio il pantalone, immacolata la camicia, la macchia colorata all'altezza del petto. Quella soprattutto. Cosa diamine era?

 

 

 

Aveva temuto e sperato che accadesse. In diverse occasioni, negli sporadici incontri dei mesi precedenti, aveva riconosciuto in lei il sospetto, il rancore strisciante, la rabbia latente. Aveva atteso che fuoriuscissero e che, finalmente, lei lo attaccasse. Lei si sarebbe liberata e – egoisticamente pensava – avrebbe liberato anche lui. Riteneva, a ragione, di saper gestire un attacco frontale ma non aveva previsto potesse accadere in una situazione in cui era costretto all'umanità.
Digrignò i denti al ricordo della sensazione di impotenza derivante dal non poter percepire le sue sensazioni dall'odore né dalle sfumature di intonazione della voce e dell'umiliazione nel dover ammettere di non aver sentito. A disagio, oltremodo infastidito, costretto alla cautela per non destare l'attenzione di eventuali Cacciatori, era risultato impreparato all'attacco ed esso l'aveva colto dritto al centro del petto, nel punto esatto in cui soleva colpire la sua adorabile genitrice. Femmine.
Quel “devi crescere” con il quale, mesi prima, aveva immaginato di tranciare di netto il loro agonizzante rapporto gli si stava rivoltando contro, rivelandosi per quello che era: una vergognosa bugia, un demone-serpente di cui temere sia il veleno che le spire asfisianti.
Aveva ponderato a lungo se farsi avanti a rilanciare l'invito rimasto in sospeso o lasciar passare del tempo e infine aveva optato per la prima opzione. Non solo, aveva stabilito che si sarebbe esposto completamente. Questo sì che sarebbe stato un avvenimento più unico che raro: gli era assai più congeniale attendere che fosse l'avversario a esasperarsi e scoprire il fianco, invece con Rin si sentiva costretto a tentare il tutto per tutto. Non voleva lasciare nulla di intentato, da una parte, dall'altra le riconosceva il diritto ad essere informata delle sue intenzioni con onestà e chiarezza. Nessuna ambiguità, nessun ammaliamento per il solo gusto della conquista. Rin non meritava nulla di tutto questo. Forse meritava anche uno che fosse meglio di lui, uno che le potesse regalare la serenità e la sicurezza che aveva detto di desiderare, ma il suo altruismo non si spingeva così in là. La voleva ancora, per sé, con sé, più di ogni altra cosa. E, se c'era una cosa in cui si riteneva davvero eccellente, era la capacità di impegnarsi con assoluta dedizione, caparbietà e cura al fine di raggiungere un obiettivo.
Altrettanto unico era l'acquisto che stava or ora ritirando e pagando. Sperava – ardentemente – che avrebbe capito e apprezzato. Aveva attraversato la città per trovare il negozio che fornisse una scelta ampia e ora gli toccava affrettarsi per non arrivare in ritardo.

Giunse in tempo e si avviò a passo sostenuto, fin impaziente.
Notò che lei ne stava seguendo l'avvicinamento con lo sguardo già da quando era apparso in lontananza e man mano che la distanza fra loro diminuiva, la sorpresa nel suo sguardo fu sempre più palese. Infine l'imbarazzo che le tinse le guance, quando realizzò che quello che teneva in mano era esattamente quel che sembrava: un grande mazzo di variegati e coloratissimi fiori di carta. Per lei.
« Per me...? » sussurrò incredula quando glieli porse. Allargò le braccia e lui ve li depose, come fossero un neonato. Lei li osservò in silenzio per diversi istanti e il suo accorato “grazie” le giunse da dietro uno svettante tulipano giallo e arancio.
« Grazie davvero » ripetè alzando lo sguardo « sono meravigliosi. »
« Mhm » rispose solamente, perché se già era destabilizzante ricevere un ringraziamento, figuriamoci il ribattere. « Sono felice che ti piacciano » e questa era una sacrosanta verità.
« Perché...? » lasciò in sospeso lei. Era ovvio che lei volesse saperlo, ma non era assolutamente pronto a dare spiegazioni. Parola d'ordine: dissimulare.
« ...Perché siamo ancora sotto questa squallida pensilina? Hai ragione, andiamo » e si diresse deciso dall'altra parte della strada.
Lei sgambettò veloce al suo seguito « Ehi, rallenta, trampoliere ».
La spiò di sbieco, il suo vestito aveva il colore delle campanelle dei prati e il suo volto scompariva fra i fiori. Era serena e lui... perduto.
« Dove andiamo? A quella all'angolo con l'insegna azzurra? Non ricordo come si chiami »
Non lo ricordava nemmeno lui ma sapeva quale intendesse e si avviarono.
« Se adesso ti dico terribili cattiverie così piano, mi senti? » sussurrò lei.
« Forte e chiaro » sogghignò.
« Accidenti » esclamò lei con finto disappunto. « Ma quindi » indagò poi, titubante: « i sistemi di individuazione sono davvero così sofisticati? »
Era decisamente un argomento che avrebbe preferito dimenticare, ma non aveva senso nasconderle la realtà dei fatti: « Non ne sono sicuro, ma preferisco non rischiare. »
« Sei iscritto regolarmente però. L'università conosce la tua identità, no? Non dovresti avere conseguenze. »
« Questo no, ma mi è già capitato una volta di far scattare un allarme per errore e non voglio ripetere l'esperienza. »
« Davvero? E come è successo? » chiese lei con enfasi, poi aggiunse, per cortesia: « Se ti va di dirmelo, naturalmente. »
Oh, naturalmente, mai desiderato altro: « Ero distratto ».
« Distratto...? » lo reputava improbabile anche lei, come darle torto.
« Da te. »
« Cosa?! » lei ci pensò su appena qualche istante: « Dici quella volta al supermercato? Eri tu, è per te che è scattato? »
« Già » confermò con fastidio.
« Oh. Capisco. » Sembrò un “capisco” molto ampio di significati, che ben si guardò dall'indagare. Per fortuna erano già presso la gelateria e l'attenzione di Rin virò sul chilometrico bancone variopinto.
« Voglio tre gusti! Anzi, quattro! » esclamò e si lanciò nella scelta, che fin da principio si annunciò lunga e travagliata. Si accomodò paziente ad un tavolino.
Quando infine Rin si decise ad ordinare e la commessa pose sul banco l'enorme coppa, mancava poco che iniziasse a saltellare.
« Vieni a sederti » le disse.
« Ci sediamo? » chiese, incredula. Come ad un vero appuntamento, pensava di certo lei. Come se potesse anche solo figurarsi di tenere in mano il mazzo e la coppa, aveva pensato lui.
Roteò il dito in un eloquente indicare tutto il suo ingombrante insieme, lei comprese l'ovvio e si accomodò docile, sistemando con cura il mazzo su una sedia libera.
Si alzò, ordinò per sé una coppa piccola di sola crema e portò tutto al tavolo.
Mangiarono in silenzio per qualche minuto. Lei ogni tanto emetteva dei mugolii di apprezzamento, che solo a sentirli gli si rizzavano tutti i peli sulla schiena. Dannata ragazzina, era rovinato.
« Vuoi assaggiare? » gli chiese, quando ormai ne aveva divorato oltre la metà. E lui che non credeva nemmeno che ci sarebbe arrivata, a metà: mai sottovalutare l'imprevedibilità di fronte al cibo delle femmine di qualsiasi specie.
« Mi vuoi morto » le rispose, osservando il contenuto della ciotola.
« Mmh, sono ancora indecisa a riguardo, ma perché lo dici? »
« Perché è zeppo di cioccolato » spiegò.
« Ah, sei allergico? »
« Come per tutti i cani» calcò appositamente: « è un veleno. »
« Vero » assentì lei, incurante del riferimento: « ricordo di averlo sentito dire da mia madre. » Poi assunse un'espressione spietata che su di lei calzava ridicola: « Buono a sapersi. »
« Nel caso decidessi di sopprimermi? » sogghignò.
« Nel caso. »
Calò di nuovo il silenzio e ovviamente fu lei a romperlo: « Senti, l'altro giorno ti ho fermato perché dopo quel giorno nel cortile, sai... » lo guardò per avere conferma che intendesse il riferimento e lui annuì: intendeva ed attendeva, eccome.
« Ecco, non ti avevo più detto niente. Io... per me è stato molto importante, che tu mi abbia chiesto scusa. » Rin fissò lo sguardo sul cucchiaino, prese un respiro e partì in quarta – pronta finalmente a svuotarsi, sperò lui.
« È come se mi avessi sollevata da un peso, come se mi avessi restituito l'immagine di me stessa che mi avevi strappato. Mi hai dipinta come una ragazza superficiale che vuole il ragazzo perfetto, una che non sa andare oltre le apparenze, ma quella non sono io, » la vide serrare le dita intorno alla posata e strizzare gli occhi. « Ti ho sempre trattato con gentilezza, ti sono venuta incontro, ho sempre voluto andare oltre la tua scostanza, ignorare la tua scontrosità, passar sopra alle tue fissazioni e rigidità. Anche alle tue critiche sul mio essere ingenua, patetica, insicura. » Ora la voce le tremava e a lui si era seduto un elefante sullo sterno.
« Ho voluto pensare che, se avevi piacere della mia compagnia, era perché comunque ti andavo bene così. Non ho pensato di indagare chi fossi e da dove venissi, questo è vero, ma pensavo sarebbe venuto pian piano, che se mai fossimo entrati in confidenza avrei potuto capire un po' più di te. » Sentiva l'odore delle sue lacrime ma non le vedeva, il volto era ostinatamente abbassato.
« Non mi fidavo, Sesshomaru, è vero. Non credevo possibile che tu fossi seriamente interessato a me. Ma avevo ragione, capisci? » Rin sollevò lo sguardo e fu decisamente peggio. « Non ero io la ragazza egoista che hai dipinto qual giorno sulle scale, ero io quella ingenua, patetica, insicura che hai ingannato! »
Sesshomaru deglutì. Aprì la bocca e così restò, con l'aria calda a seccargli le fauci. Non gli era mai stato facile trovare parole, figuriamoci quelle mai dette e quasi mai pensate. Ancor più un'impresa fu inanellarle e convogliarle alle corde vocali: prima di uscire si incagliarono in ogni anfratto e infine, quando tacere ancora sarebbe equivalso ad una condanna definitiva, riuscì a farne emergere un sunto parziale e ambiguo, che come tale sarebbe stato frainteso.
« Non è così. » Signori: il genio.
« Non è così cosa? » sbottò lei, gli occhi in fiamme, i palmi piantati sul tavolino, pronta ad alzarsi.
Di istinto – di disperazione – le afferrò una mano, per fermarla: « Aspetta! »
Lei si irrigidì, ritirò velocemente la mano dalla sua e si appoggiò allo schienale a braccia incrociate. Non disse nulla e attese, furiosa e implacabile. D'altronde, aveva imparato dal migliore.
Decise di partire da lontano, era più sicuro. « Mio padre ebbe una relazione con una donna umana. Una lunga relazione, praticamente un altro matrimonio, poiché finché lei visse abitò con lei. Ebbero anche un figlio. Io e mia madre li abbiamo ostacolati in tutti i modi ma nonostante tutto so che furono felici. » La guardò di sottecchi ma lei, pur attenta, mantenne la stessa granitica espressione.
« Quando morì fu peggio. Mia madre macchinò fino a che lo costrinse a tornare a vivere con lei, rinsaldò la famiglia per necessità ad opportunismo ma si prese ogni tipo di rivalsa. Mio padre è ormai l'ombra di quello che era, sopravvive in una civiltà che ci è ostile e vive di ricordi. »
« L'altro figlio? » la sentì chiedere, ed era l'ultima domanda che si sarebbe aspettato, l'ultima cui avrebbe voluto rispondere.
« Non so. »
« Come “non sai”? È morto? »
“Magari”, avrebbe voluto risponderle, ma il genio stavolta ebbe la buona creanza di tacere. « No, è vivo. Abita in un altra città. Non l'ho quasi mai visto, ha rari contatti e solo con mio padre. »
« Si sarà sentito tradito anche lui, come te. E abbandonato. Tuo padre deve avere un tal carico di sensi di colpa... ci credo che è infelice. » Rin lo disse con nonchalance, guardando dall'altra parte della strada, come se non avesse appena delineato, in poche frasi, il sunto perfetto delle loro ormai vuote esistenze.
« E questo cosa c'entra con me? » Tornò poi alla carica, piantandogli gli occhi addosso. Non se la ricordava così temibile. Forse perché era lui in posizione di netto svantaggio, già dalla partenza. Stava tentando un'impresa disperata, per lo scarso oratore che obiettivamente era. Avrebbe potuto utilizzare trucchetti affascinanti che aveva appreso e sperimentato in questo ultimo mezzo secolo, ma aveva la netta impressione che gli si sarebbero ritorti contro.
« Non è facile accettare di essere come lui. » confessò infine.
« Come lui chi? »
Ma era ovvio.
« Come lui chi? » ripetè lei, visibilmente irritata. « Come tuo fratello? Come tuo padre? »
« Quale fratello, non ho un fratello » digrignò i denti.
« Oh sì che ce l'hai! Lascia che te lo dica: tu hai un fratello, fratellastro se vuoi, e prima o poi dovrai fare i conti anche con lui. »
« Lascialo fuori da questo discorso per favore! » Sbottò. Era irritato che lei continuasse a nominarlo e che non capisse invece cosa cercava di dirle.
« Ma quale discorso, non capisco nemmeno dove vuoi arrivare! »
Stavano alzando la voce entrambi, in pubblico, ed era una cosa che lui detestava alla follia. Cercò di quietarsi e di focalizzarsi sull'obiettivo.
« Voglio dire » sospirò e continuò con tono grave « che non mi sei mai stata indifferente e non lo sei tutt'ora. Non è stato solo un'inganno. Ovvero, il primo che ho voluto ingannare è me stesso. »
La vide traballare assorbendo il colpo. « Spiegati. Di più. » ordinò.
Collezionando i sospiri emessi oggi avrebbe potuto scatenare uno tsunami. « Non mi sono forzato a corteggiarti. L'ho voluto. »
Rin lo guardò a lungo, come a volerne saggiare la sincerità e gli intenti: « Ma non hai voluto assumerti le conseguenze. Non volevi metterti insieme ad un'umana, non volevi compiere l'errore di tuo padre. » completò infine lei, incapace di trattenere la propria empatia, un'arma dal doppio taglio affilato e impietoso.
« Ho sbagliato, Rin. » ammise senza esitazione: « E ti chiedo un'altra possibilità. »
Rin sbarrò gli occhi. Era chiaro che avesse scelto il momento sbagliato, il posto sbagliato, il tono sbagliato. Ma era stanco e sfibrato da questa guerra di posizione e doveva tentare, a modo suo.
« Cosa intendi dire...? »
Si alzò e le andò accanto, si alzò anche lei per non sentirsi sovrastata. Era appena più vicino del consentito e lei non indietreggiò. « Voglio dire che vorrei poterti corteggiare, se me lo concedi. »
« Cosa?!? » Rin era incredula, aprì la bocca e la richiuse, poi si voltò verso il mazzo di fiori scuotendo la testa e cominciò a ridere sommessamente. A ridere. Sesshomaru rimase interdetto per pochi istanti, poi l'irritazione si fece strada in lui a spallate.
« Perché ridi? » chiese, sforzandosi di mantenere un tono neutro.
« No, stai tranquillo » rispose lei, cercando di trattenersi e ricomporsi: « Non rido di te o di quello che mi hai chiesto. Rido per l'imbarazzo, credo, e perché sei così assurdo... » gli rivolse un mezzo sorriso quasi affettuoso: « così assurdo che mi sorprendi sempre. Forse è una delle cose che più mi piace di te, l'essere così anticonvenzionale e imprevedibile. »
« Vale anche il viceversa » si sentì di dover puntualizzare.
Lei rise ancora, più apertamente: « Come è possibile che ci parliamo due volte dopo mesi e dopo che ci ha divisi un fatto... drammatico, orribile, e tu ogni volta mi faccia una richieste importante e impegnativa? Ancora non ti ho risposto alla prima e già mi chiedi di... oh insomma. Non giova alla tua credibilità, signor Sesshomaru! » sentenziò infine, raccogliendo la borsa e piantando la mano sul fianco. Ma non era arrabbiata, un po' sorrideva ancora.
Non la degnò di risposta, piccola impertinente, le lanciò un'occhiata in tralice e si avviò alla cassa. Quando lei vide che i suoi lazzi erano andati a segno, sollevò il mazzo e gli si accostò, tentando inutilmente di pagare la sua parte.
Si avviarono in silenzio verso le fermate della metro.
« Non c'è tempo » rispose infine, destandola dai suoi pensieri: « Mi affretto perché non c'è tempo, sei umana e io ne ho perso già troppo. » Avrebbe avuto secoli per rimpiangerla, come suo padre. « Il tempo che vorrai concedermi è prezioso » concluse.
Lei si fermò e lo fronteggiò con sguardo incredulo. « Sul serio mi stai dicendo che hai fretta perché ti preoccupa il mio orologio biologico? Fammi capire, hai sempre corteggiato così con le tue precedenti mogli o fidanzate? »
La fissò inorridito. Quali mogli? Quali fidanzate? « Ma di che parli? »
« Di quelle che hai avuto prima » spiegò, già meno convinta: « Non... hai...? »
« No, Rin. Nessuna Compagna. »
« Davvero? Solo... relazioni occasionali? » lo spettro di quella notte orribile in cui l'aveva costretta a sentire la sua vendetta aleggiava nero e minaccioso. Bisognava correre ai ripari.
« Sì, Rin. Non mi ha mai interessato nessuna, in oltre cinque secoli di vita. » le disse, guardandola fissa negli occhi. Funzionò, lei arrossì e distolse lo sguardo. D'altronde era la pura verità.
« Comunque devi rivedere i tuoi metodi di approccio » la sentì borbottare con il muso fra i fiori.
Forse sì, forse no.

 

 

Quando raggiunsero la fermata, era in uno stato di confusione che non poteva definire altro che globale. Il risultato era che si sentiva allo stesso tempo leggera e satura.
Era ora di lasciarsi quel pomeriggio alle spalle, far sedimentare tutto, infarcirlo di voli pindarici e paturnie condivise con Ayame e provare a mettere ordine al caos di quella... relazione? Mah. Quella strana cosa che aleggiava tra loro. Tutto poteva dirsi, ora, tranne che fosse conclusa.
Si fermò presso le scale mobili, ad indicare che si sarebbero salutati lì.
« Beh, ecco... grazie per il pomeriggio. » Erano convenevoli standard, ma non avrebbe saputo come agire altrimenti: « E per i fiori, sono davvero stupendi. »
Lui annuì. Era strano con quei capelli corti, ma era molto, molto carino ugualmente. Eddai, Rin, ben più che carino. La luce della sera filtrava tra i capelli e gli rendeva gli occhi cangianti come quelli di una fiera notturna. Bello, intrigante, misterioso, imprevedibile: il perfetto bad-boy da rotocalco, altro che devoto corteggiatore. Doveva assolutamente distaccarsene e riflettere con calma.
« Allora ci vediamo in Università » concluse, arretrando di un passo.
Lui annuì ancora e quando già stava per andarsene la richiamò « Rin »
« Dimmi »
« In Università non dovresti più parlarmi. »
« Oh... » sentì una sgradevole fitta verso lo sterno, non capiva il perché di questa richiesta ma le stonava e la infastidiva. Non voleva essere visto con un'umana? Ma non le aveva appena chiesto...
« Non è prudente. Per te. » aggiunse lui.
Capì allora che doveva esserci una motivazione legata alla questione poilitica umani-demoni, ma non ebbe la forza né la voglia di indagare.
« Come vuoi » liquidò in fretta la faccenda e si volse con un cenno della mano libera: « Ciao, alla prossima! »
Il suo: « Ci sentiamo, Rin! » la raggiunse quando era già a metà scala.

 

 

***

 

 

« Ehi, guarda un po' chi arriva? » Ayame richiamò la sua attenzione e lei sollevò lo sguardo dallo schermo del cellulare. Nel corridoio, dalla direzione opposta, sopraggiungeva Sesshomaru affiancato da un luminare altezzoso di cui non ricordava il nome.
Alzò le spalle e finse di concentrarsi nuovamente sulla chat con sua mamma.
« Che ti prende? » sussurrò Ayame quando li ebbero superati: « Hai detto che non sai ancora se accettare le sue attenzioni, se fai così la tua risposta è ben poco fraintendibile » osservò l'amica: « Per carità, sai che sarei solo felice se si levasse di torno, ma mi sembrava che ieri la pensassi diversamente... »
« Mi ha detto che è meglio se non ci parliamo, all'Università » mugugnò Rin senza alzare la testa.
« Uh? Perché? »
« Non so. Mi ha detto “Non è prudente, per te”! » lo scimmiottò: « Ma non capisco e penso sia perché non vuole farsi vedere con un'umana. »
Ayame tacque qualche istante. « Può essere. Ma forse teme anche che tu possa essere infastidita da fanatici per il fatto che frequenti demoni. Anche io l'ho pensato» confessò a voce più bassa: « E poi ci sono i Cacciatori. »
« I Cacciatori? »
« Io... ne ho solo sentito parlare, non li ho mai visti davvero in azione, ma lui dice che ce ne sono tanti. »
« Lui chi? »
« Il tuo dannato Cane. » Ayame fece un cenno verso l'angolo dietro il quale aveva svoltato.
Una vibrazione avvertì Rin di un nuovo messaggio e lei lo scorse distrattamente mentre incrociava le braccia e chiedeva: « E tu quand'è che chiacchieri con- oh, è Lui!» fissò lo schermo incredula.
« Ti ha scritto? » sbirciò l'altra.
« Sì » osservò ancora l'unica parola presente: « Mi ha salutata. »
« Oooohhh, che romantico! » la canzonò l'altra.
« Smettila » la rimproverò, consapevole del rossore che le aveva tinto le guance. Rispose al messaggio di saluto e mise il telefono in tasca. « E comunque non mi hai risposto »
Ayame grugnì: « Mica ci chiacchiero. Me l'ha detto quella volta, sai, quando abbiamo avuto quella... discussione »
« Aaahhhhh la discussione in cui ti ha fatto a fettine » calcò lei, ghignando.
« Smettila tu, adesso. Comunque sembra siano davvero temibili. »
« Questi Cacciatori? Ma cosa sono, una specie di Forza Speciale? »
« Sì, credo una cosa del genere. Un gruppo paramilitare che si atteggia a difensore dei deboli contro le angherie dei demoni, apertamente disconosciuto dalle istituzioni ma in realtà tollerato. Nella pratica sono teppisti assassini, ben addestrati e ben armati, » tuonò irata per poi aggiungere sovrappensiero: « Un po' come gli antichi Sterminatori... »
« E potrebbero attaccare voi? O me? Ma qui, in un luogo pubblico? »
« Non so cosa dirti, ma... »
Più tardi si sarebbe data dell'idiota, perché sembrava se la fossero cercata. Ayame non aveva terminato la frase che due ragazzi massicci svoltarono nel corridoio dirigendosi dritti verso di loro. Gli anfibi scricchiolavano sul pavimento e l'incedere era minaccioso e calibrato.
« Ma tu guarda che fortuna... È un po' che ti punto » esordì il più basso dei due seguito e l'altro sogghignò. Canottiere aderenti e muscoli ben in vista, braccia distese lungo il corpo. Le movenze e gli sguardi non promettevano niente di buono.
Ayame le si parò davanti « Dici a me? » rispose, spavalda.
« E a chi, Lupa? Non certo al topolino alle tue spalle! »
« Non è un topolino, è un ratto di fogna. » intervenne l'altro « Quella gira anche con il Cane di medicina, il bastardo Intoccabile. » L'attenzione di entrambi si focalizzò su di lei e Rin sentì la paura paralizzarle le membra.
« Ah, ci sono anche i demoni Intoccabili? » sentì intervenire Ayame: « Ma è un ordine superiore o siete voi che ve la fate sotto? »
« Stronzetta, se avessimo potuto toccarlo, sarebbe già un tappeto in casa di mia nonna! Sai, quelli con le fauci belle spalancate! » mimò il gesto per terrorizzarle e con lei ci riuscì benissimo.
Con orrore sentì Ayame ridere apertamente. « Che idioti! » affermò: « Voi non sapete niente, ma qualcuno sopra di voi evidentemente ha un cervello!» Poi si incupì: « Vi farebbe fuori in pochi istanti. »
« Oh, grazie dell'avvertimento, bellezza! » la presero in giro sogghignando: « Siamo davvero intimoriti! »
Durante quel teatrino c'erano stati dei movimenti, lenti ma dall'evidente significato. Il più alto si era spostato lateralmente, aggirando Ayame e portandosi più vicino a lei. Quando se ne avvide, arretrò di istinto verso il muro. Anche Ayame se ne accorse e fece un passo indietro, torcendo il busto e protendendo un braccio verso di lei, ma proprio in quel momento i due, secondo uno schema evidentemente consolidato, attaccarono contemporaneamente. Ayame si trovò a dover contrastare l'iniziativa del più tarchiato e lei fu sguarnita di difese.
Tentò di opporre resistenza ma il ragazzo la afferrò per un braccio e la trascinò lontano dalla portata di Ayame. Si dimenò, ma ottenne come unico risultato un incremento della presa sul suo polso, provò a lanciarsi di lato per sfuggirgli ma fu tirata indietro con violenza e impattò contro il muro. Scivolò al suolo sulle ginocchia e di istinto si coprì la testa con le mani. Quella bestia le afferrò i capelli e la costrinse ad alzare la testa per incrociare il suo sguardo. Era furioso ed esaltato allo stesso tempo, uno sguardo da folle. Lei ansimava, aveva paura, da morire, una paura che non aveva mai provato. Cercò Ayame di sfuggita e la vide in piedi, per fortuna: contrattaccava con vigore ma non avrebbe potuto aiutarla. Un altro strattone la costrinse a riportare l'attenzione sul disgraziato che la fronteggiava.
« Ti faccio passare io la voglia di stare coi demoni » sputò fuori lui fra i denti: « Sai che fine facciamo fare alle puttane dei demoni? »
Singhiozzò un « Lasciami » e chiuse gli occhi davanti alla sua espressione di goduto scherno, ma li riaprì allarmata, poiché il suo assalitore aveva emesso un inspiegabile gemito strozzato.
« Era ora! » sentì esclamare da Ayame, la voce affaticata.
Il sollievo che provò nel vedere la figura imponente di Sesshomaru non era esprimibile a parole. Lui non la guardava, rivolgeva tutta la sua attenzione all'essere immondo davanti a lei. Con una mano stringeva il polso di quella che le bloccava i capelli, con l'altra aveva agganciato l'aggressore su collo, dietro la nuca e lo spinse a terra, impedendogli di rialzarsi.
Vide il volto dell'altro diventare cianotico prima che mollasse la presa sui suoi capelli e lei arrancò affannata lungo la parete, per allontanarsi il più possibile da quell'orrore. Sesshomaru rifilò una ginocchiata sotto la mandibola al suo avversario, che ricadde all'indietro e crollò a terra incosciente. Rin urlò e si coprì il volto con le mani, aveva sentito con chiarezza il rumore di ossa frantumate.
Il demone venne verso di lei, le si inginocchiò davanti e le sfiorò la testa. Indietreggiò di istinto, aveva male dappertutto. « Sei ferita » gli sentì dire con una voce profonda, spaventosa: « Ti porto via. »
Le infilò un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena, pronto a sollevarla. « N..No! » balbettò, ma lui non bloccò il movimento. « C'è Ayame, devi aiutarla! »
« Se la cava da sola » rispose lui mentre si avviava di corsa lungo il corridoio.
« Bastardo! » sentì rispondere l'amica da lontano, ma proprio quando si sporse oltre la sua spalla per vedere, Ayame sferrò un calcio in pieno petto al suo avversario e lo mandò a terra rantolante. L'amica ne approfittò per raccattare le loro borse e correr loro dietro.
« Filiamo » esclamò, superandoli e posizionandosi in avanscoperta, per controllare i corridoi ad ogni angolo.
Fu solo allora che si accorse del suono insistente che si propagava in tutti i corridoi. Un allarme.
« Destra » comandò Sesshomaru e Ayame spalancò una porta di servizio; si fiondarono dentro e percorsero il lungo corridoio poco illuminato.
« Sinistra, giù ». Questa volta Ayame frenò la corsa, spinse il maniglione antipanico e sporse la testa prima di aprire del tutto, controllò rapidamente le scale e diede il via libera: solo allora Sesshomaru attraversò la soglia e si lanciò sulle scale dietro la Lupa.
Aggrappata alle spalle del demone, aveva freddo, male alla testa e si sentiva un peso. « Lasciami qui, dico che sono caduta dalle scale » propose. Era un'umana incensurata, le avrebbero fatto al massimo qualche domanda .
Lui non la degnò di uno sguardo.
« Dico davvero, così pot...»
« Zitta »
« Ma... »
« Lascia stare, Rin, quello non ti molla » intervenne Ayame, che si era fermata davanti ad una porta con la scritta “Cucine”. « Qui? » chiese al demone.
« No, ma apri la porta e lasciala socchiusa» le rispose superandola. Scesero ancora due rampe, poi Sesshomaru si arrestò davanti ad una porta metallica. Ayame spinse sull'uscio ma era bloccato.
« È solo un saliscendi. Vediamo se i tuoi artigli servono a qualcosa, Lupa. » la provocò Sesshomaru e Ayame ringhiò in risposta. La sua capigliatura divenne di un rosso ancora più vivo e le unghie divennero spaventosamente lunghe e affilate. Si appoggiò con la spalla alla porta e spinse, per aprirla quanto più possibile, poi infilò gli artigli nella fessura.
« È più in alto » la avvertì lui.
Ayame grugnì una parolaccia e poi un'altra ancora quando si sentirono dei rumori e delle voci provenire dall'alto, ma in breve riuscì a sollevare la spranghetta metallica e a liberare la porta. Si trovarono in un corridoio sotterraneo illuminato solo da luci di emergenza.
« Richiudi » ordinò ancora Sesshomaru.
Ayame sbuffò ed eseguì, ma prima di far ruotare la spranghetta rimase in ascolto a porta socchiusa.
« Cosa dicono? » chiese lui.
« Han preso per le cucine, sei stato astuto, lo ammetto » disse l'amica, di certo a malincuore. Quando ella si voltò verso di loro aveva ancora i canini sporgenti e le unghie sfoderate e Rin non potè trattenere un piccolo sussulto. Sentì la presa di Sesshomaru su di lei accentuarsi.
« Come conosci questo posto? » chiese ancora Ayame.
« Sono previdente » le rispose oltrepassandola: « Muoviamoci. »
« Adesso puoi smetterla di darmi ordini » ribattè la sua tostissima amica.
Sesshomaru si voltò ed emise un ringhio profondo e gutturale. Sentì i capelli rizzarsi in testa e la pelle d'oca diffondersi per tutto il corpo mentre Ayame, d'istinto, portò il busto indietro e indietreggiò di mezzo passo. Nel silenzio più assoluto, il demone riprese a camminare.
Si muoveva con sicurezza per i corridoi e quando giunsero ad un atrio nel quale la luce del giorno filtrava da due grate sul soffitto, Rin si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
Lo sentì chinare il volto verso il suo e sussurrarle: « Non avere paura. »
Sospirò ancora « Come posso? Non sono come voi, non so combattere! Se non fossi arrivato tu... »
La interruppe: « Non avere paura di me» spiegò.
Rin capì e tacque. Lui aveva percepito la sua paura durante il combattimento e poi prima, quando aveva ringhiato ad Ayame. Ma realizzò che era stata una risposta istintiva del suo corpo, di fronte alla violenza e alla prova di forza: non aveva paura di lui per sé stessa, per la sua incolumità, aveva paura come un animale che, a prescindere, riconosce la temibilità di un altro.
Intanto erano giunti in un secondo atrio, più grande e poco illuminato, ma da esso si dipartiva un corridoio il cui fondo pareva luminoso di luce esterna. Lui la depose delicatamente a terra.
Si rivolse ad Ayame senza nemmeno guardarla: « Dammi la giacca. »
Ayame eseguì in silenzio e lui la piegò in metà e la pose a terra, invitando Rin ad appoggiarvi la testa, lateralmente. Si inginocchiò accanto a lei e avvicinò le mani ai suoi capelli: « Posso guardare? »
« Che cosa? » chiese Rin, senza capire.
« Probabilmente sei ferita, c'è odore di sangue » spiegò Ayame.
« Davvero? » fece per sollevarsi e tastarsi la nuca ma una mano di Sesshomaru glielo impedì con delicata fermezza.
« Tranquilla » anche Ayame le si accostò e le sorrise: « Dev'essere solo una piccola ferita ». Le prese la mano e lei la strinse: non aveva più gli artigli. Intanto Sesshomaru le scostava i capelli con cura, quando giunse alla ciocca che era stata afferrata da quel... quello lì, Rin gemette e il suo tocco si fece ancora più leggero.
Arrivò in un'altra zona dolente, probabilmente quella della ferita. Vi si soffermò brevemente, il tempo per stabilire che non fosse grave, pensò Rin, poi si ritrasse con quella che avrebbe potuto essere una stentata carezza e lei sentì con chiarezza le sue mani fremere.
« Hai male da altre parti? » le chiese.
« No, tutto bene » mentì, perché non gliela stava raccontando giusta. Ayame così sottomessa e collaborativa e Sesshomaru così freddo e composto, lasciavano intendere che il demone fosse una bomba ad orologeria.
« Come è successo? » questa volta Sesshomaru formulò la domanda guardando Ayame fissa in volto.
« Sono venuti dalla stessa direzione da cui eri giunto tu con il professore. Pensa che stavamo giusto parlando di loro. »
« Quelli erano... Cacciatori? » si intromise Rin levandosi a sedere. Ayame fece il gesto di riportarla sdraiata ma lei fermò la sua mano con fastidio: « E basta, dai. Sto bene, non sono un vaso di cristallo. Voglio capire. »
« Sì, erano Cacciatori » le rispose Sesshomaru, poi tornò a guardare Ayame ad intendere che continuasse il racconto.
« Cercavano me, hanno detto che mi puntavano da un pezzo. »
« Debole, incauta e stupida » sentenziò il demone, bloccando con un gesto della testa la la replica di Ayame. « E come mai hanno aggredito anche lei? » chiese, indicandola
Ayame tentennò e lei venne in suo aiuto: « Mi hanno vista con te. Ti hanno chiamato l'“Intoccabile di Medicina” e a me » stentò a dirlo: « la “puttana dei demoni” »
Quasi non lo vide alzarsi, tanto era stato fulmineo: « Seguite quel corridoio e siete all'esterno, già fuori dal perimetro dell'Università. Non ci sono telecamere. C'è una cancellata ma dovreste riuscire a superarla. » Aveva parlato ad Ayame, non l'aveva guardata, ma non ci voleva molto a capire che fosse fuori di sé.
« Dove vai? » gli chiese, ma lui aveva già voltato loro le spalle. Fu presa dall'angoscia, perché la sua presenza la faceva sentire protetta e sicura, le mancava la forza di tornare all'esterno e inoltre aveva paura che commettesse qualche sciocchezza.
« Dove vai? Resta! » lo richiamò. Lui si fermò, fece due passi indietro e la fissò a lungo, come fosse incerto di quale fosse il suo posto, ma poi si risolse a riprendere la sua strada e sparì nel corridoio.
Le sfuggì un singhiozzo ed Ayame fu pronta ad abbracciarla: « Siamo al sicuro qui, non c'è pericolo. Ti riaccompagno io fino a casa » la rassicurò. « Lui deve andare. »
« È... arrabbiato? »
« È furioso, Rin. Tu non hai idea di quanto possa essere furibonda la sua ira e fa una fatica immane a contenere la sua aura demoniaca. »
« È suonato un allarme, prima » rammentò: « Sei stata tu? »
« No, io sono riuscita a controllarmi » affermò Ayame con orgoglio: « E ho battuto quel miserabile solo con le mie forze umane. È stato lui, quando ti ha scoperta ferita; è durato appena un attimo ma l'hanno rilevato. Va fuori di testa, quando si tratta di te, hai visto. »
« Ma bisogna fermarlo, allora! Si metterà in pericolo! »
Ayame la guardò fissa negli occhi e le carezzò il viso: « Non è in pericolo, puoi starne certa. »
Rin sospirò, affranta. « Andiamo a casa. »

 

 

« Non è in pericolo, puoi starne certa » aveva detto a Rin. Già, al massimo sarebbe dovuto emigrare in qualche isola sperduta del Pacifico, per disperdere la scia di sangue che si sarebbe lasciato alle spalle. Perché era certo che si sarebbe vendicato di quei disgraziati, non era certo quando si sarebbe saziato.
Fermarlo, lei? Manco per idea. Aveva visto il balenare del rosso nei suoi occhi quando Rin aveva detto “puttana dei demoni” e il tremolio della sua aura le aveva fatto rizzare il pelo. Quando prima l'aveva richiamata all'ordine aveva provato un terrore che nemmeno suo padre le aveva mai suscitato, nemmeno la coppia alfa del suo Branco, quando era cucciola. Mancava solo che si rotolasse sulla schiena, Dèi che vergogna.
Scavalcarono il cancello con qualche intoppo, ma Rin era un fuscello e non ebbe difficoltà a sostenerla nei passaggi più complicati. Non aveva più parlato e lei rispettò il suo silenzio.
D'altra parte, anche lei aveva parecchie cose su cui riflettere. Era stata davvero incauta a sottovalutare il pericolo Cacciatori, lui l'aveva avvisata e anche gli atteggiamenti protettivi di Koga avrebbero dovuto insospettirla. Invece aveva affrontato la sua conquistata libertà dalle leggi del Branco con troppa spavalderia e, se non fosse arrivato lui, Rin ne avrebbe pagato ancor più le conseguenze. Forse era il caso che rivalutasse la necessità di rapporto con il Branco. Non si sarebbe sottomessa a leggi arcaiche ma era evidente che quella che si prospettava non fosse una battaglia da affrontare da sola.
Ormai erano giunte sotto casa di Rin. Si abbracciarono. « Hai bisogno di aiuto per la medicazione? » le chiese.
« No, tranquilla, faccio da sola. »
« Allora ci sentiamo più tardi, ok? »
« Va bene. Senti... » la vide incerta per un momento: « se hai notizie di lui, me le fai sapere? »
« Io? Certo » mentì. Lei al massimo avrebbe saputo quanti morti si sarebbe lasciato alle spalle nella notte, non era proprio il caso che la informasse. « Ma puoi chiederglielo anche tu, no? Più tardi, quando avrà sbollito. »
« Magari è arrabbiato con me » confessò l'amica.
« Assolutamente no. Mi fa male dirlo, ma stravede per te. »
« Oh... »
Le fece l'occhiolino e scappò via di corsa. Anche lei era ansiosa di tornare nella sicurezza della propria casa, era già stata una giornata abbastanza avventurosa. Era stata costretta anche a rivalutare Sesshomaru, e questo la infastidiva non poco. Era forte, abile, intelligente, strategico. E, non l'avrebbe mai detto se non ne avesse avuto prova schiacciante, era pazzo di Rin. Un sentimento incredibile per uno yokai di tale lignaggio, ma assolutamente autentico. Non era convinta che ne sarebbe venuto fuori qualcosa di buono, per Rin s'intende, ma non poteva più sospettare delle intenzioni di lui.
Quando arrivò in vista di casa sua si bloccò a distanza: c'era qualcuno ad aspettarla. Ci mise poco a riconoscerlo e riprese la sua marcia a passo sostenuto.
« Cosa vuoi? » lo aggredì quando fu a portata di voce.
« Ho saputo dello scontro » rispose Koga.
« Chi ti manda? » si fermò a fronteggiarlo, mantenendo due metri di distanza.
« Nessuno » replicò lui, poi distolse lo sguardo: « Volevo vedere come stavi. »
Rimase interdetta per un istante. « Sto bene. »
« E Rin? »
« Anche lei, l'ho appena accompagnata a casa. »
« Come siete uscite dall'Università? È tutto blindato. »
« È stato l'Inu-Yokai. È venuto in soccorso di Rin... » vide Koga aggrottare le sopracciglia: « e conosce i sotterranei. Siamo sbucati in un'ala non più utilizzata, a ovest. »
« E lui dov'è, ora? »
« A fare una strage, immagino » sogghignò. Gli raccontò di come lui avesse reagito alla vista di Rin ferita e della sua aura carica di rabbia quando se n'era andato.
« Le è così legato? »
« Non sai quanto » replicò e, onestamente, provò una bella dosa di invidia.
« Eppure l'ha fatta soffrire. »
Sollevarono lo sguardo l'uno verso l'altra. « Capita » rispose e si avviò verso il cancelletto d'entrata.
« Mi manchi, Ayame » lo sentì dire quando era ormai alla porta. Ecco, le mancava proprio la bordata finale, quest'oggi.

 

 

Uscirono presto dalla Casa-base, dopo aver fatto rapporto. Non vedeva l'ora di tornare a casa, era a pezzi, fisicamente prima di tutto. E a lui era ancora andata bene, il suo compare faticava ancora a camminare diritto, probabilmente aveva un trauma cranico. Domani gli avrebbero mandato un medico di fiducia.
Il Cacciatore non sentì niente, percepì appena il singulto del suo compagno e quando si girò verso di lui non distinse altro che un ammasso di carne e sangue. Intravide un balenìo di artigli e due occhi rossi come il fuoco e poi, solo un dolore straziante.

 

 

 

***

 

 

 

Ayame l'aveva tempestata di attenzioni, dopo l'aggressione. Chiamate, messaggi, inviti.
Rin aveva risposto con piacere ai primi e ai secondi, nicchiato sui terzi. Uscire le dava ancora qualche apprensione, il ricordo della paura provata era ancora vivido e le inibiva ogni iniziativa.
Sapeva inoltre di camminare su un cornicione, che presto sarebbe finito e avrebbe dovuto saltare, o di qua o di là. Doveva prendere una decisione, sul suo rapporto con i demoni, sul suo rapporto con Sesshomaru. Essere stata chiamata “la puttana dei demoni” era una cosa cui non riusciva a passare sopra: erano i suoi amici, erano le persone con cui aveva condiviso tanto, era la sua vita, le sue scelte. Possibile che qualcuno fosse così ostile ai demoni da volerla punire per una cosa che in fondo riguardava solo lei stessa? Frequentando dei demoni non aveva fatto male a nessuno – tranne appunto a lei stessa, considerando Sesshomaru.
Lui poi era un chiodo fisso. Le mandava un messaggio tutti i giorni e il giorno precedente avrebbe giurato di averlo intravisto per strada, celato dietro un cartellone pubblicitario. La seguiva? Voleva accertarsi che stesse bene? Prese un cambio dal cassetto e si avviò verso il bagno. Beh, poteva farsi avanti, non l'avrebbe mica scacciato. Tutto questo macchinare alle sue spalle la infastidiva ben di più.
L'aveva detto ad Ayame e lei le aveva dato una spiegazione plausibile, che tuttavia non la liberava del fastidio, anzi.
« Penso non voglia metterti ulteriormente in pericolo facendosi vedere con te » le aveva detto l'amica: « E forse ha anche paura che tu sia arrabbiata perché ti ha lasciato sola, là sotto. »
« Mica ero sola. E poi stavo bene » aveva ribattuto.
Ayame aveva sospirato: « Valli a capire, i maschi. »
Anche lei aveva i suoi bei grattacapi. Non aveva ben capito come, ma questa vicenda l'aveva riavvicinata a Koga, o meglio, lei gli stava “permettendo di frequentarla”, così diceva Ayame, suscitando la sua ilarità.
Era appena uscita dalla doccia quando sentì il telefono squillare.
Si avviò verso la sua camera svolazzando nel temibile accappatoio azzurro – no, non l'aveva ancora cambiato – ed ebbe un fremito nell'accettare la chiamata, era Sesshomaru.
« Ciao Sesshomaru. »
« Ciao Rin » pausa di riflessione: « Stai bene? »
« Benissimo » rispose, confermando con uno starnuto.
« Non sembra... » le parve di vederlo, il suo sorrisetto ironico.
« Sono solo appena uscita dalla doccia. »
« Ti chiamo dopo, se vuoi. »
« No, tranquilla mammina, mi metto una coperta »
« Come vuoi » concesse beffardo, ma poi assunse un tono grave: « Senti, quello che sto per dirti non ti piacerà... »
Sai la novità, pensò lei. « Continua » lo invitò.
« Sono... non è sicuro il posto in cui vivi. »
« Mmh? »
« Non sono tranquillo » riprese: « dovresti trasferirti »
Rin raccolse tutta la sua pazienza, anche i pezzetti più piccoli: « Sei preoccupato per me, Sesshomaru? »
« ... »
« Mi hai seguito in questi giorni, vero? Ti ho intravisto. »
« Ti dispiace, lo so. »
« Altroché se mi dispiace, mi infastidisce parecchio! E devi smetterla! »
« Dovevo farlo. »
« Ma perché, Sesshomaru? »
« Non voglio che ti succeda qualcosa. » sputò finalmente.
« Mi sono successi già parecchi “qualcosa” da quando ti conosco! Questo non è proteggermi, è una persecuzione! » gli urlò.
Sesshomaru tacque e Rin capì di aver colpito duro.
« Scusa, non volevo accusarti » provò a rimediare: « Sono molto confusa anche io. »
Dall'altra parte permaneva il silenzio, così continuò, provò ad assecondarlo: « Dimmi, dove pensi che sarei più al sicuro? »
« Forse con i Lupi, oppure... » lo sentì prendere fiato: « L'alloggio dove abitavi è rimasto vuoto da allora, » a Rin si bloccò la salivazione, « l'ho rimesso a posto e... »
« Basta » lo bloccò: « Basta così, Sesshomaru. »
« Pensaci invece » replicò lui, ma il tono non era sicuro come al solito.
« Devo andare, ci sentiamo » inventò e chiuse la telefonata senza dargli il tempo di replicare. Lui non richiamò.
Uscì dalla camera sbattendo la porta e tornò verso il bagno mentre Kohaku apparve sulla soglia della sua camera.
« Ehi, Rin, tutto a posto? »
« Poco, a dire il vero, ma pazienza » rispose, asciugandosi una lacrima ribelle.
« Senti, » cominciò incerto e continuò tutto d'un fiato: « è più di una settimana che fai vita da reclusa. Perché non esci con noi stasera? Andiamo all'inaugurazione di un locale nuovo, ci sarà da bere, da mangiare e buona musica. Ti distrai un po' e siamo in gruppo » abbassò la voce, imbarazzato: « Sto attento io a te. »
Eccone un altro. Perlomeno lui era stato gentile, la sua offerta sapeva di premura, non di prevaricazione. E poi sì, decisamente aveva bisogno di uscire.
« Va bene, Kohaku. Grazie » rispose e vide il volto del ragazzo illuminarsi.
« Partiamo verso le dieci, va bene? »
« Sì » gli urlò dal bagno.

 

C'era qualcosa di terribilmente sbagliato in quel che stava facendo, ma forse era per l'alcol, o forse per un assurdo senso di rivalsa, o solo perché non aveva idea di come gestire la situazione, fatto sta che lasciò che Kohaku la baciasse ancora, con più passione.
Aveva iniziato lei, in macchina. Stavano per scendere davanti a casa e lei gli aveva afferrato il volto. Voleva solo dimenticare, o al contrario ricordare cosa si provasse. O dimostrare a sé stessa e a tutti i dannati demoni che lei era padrona della sua vita e delle sue scelte, che se voleva divertirsi e flirtare con qualcuno era libera di farlo, come tutti gli altri, come Ayame, come Sesshomaru che si era fatto quell'altra di fianco a lei.
Kohaku era rimasto interdetto per un tempo brevissimo e poi aveva ricambiato, confermando i suoi sospetti: era davvero infatuato di lei. O forse era ubriaco anche lui, o entrambe le cose.
Si erano staccati ridendo e si erano diretti alla porta barcollando come idioti.
Lì lui l'aveva bloccata contro lo stipite e stavolta aveva preso l'iniziativa, cingendole con un braccio la vita e con l'altro sostenendole la testa. Era stato dolce, dapprima, poi era subentrata la passione. Per lui, per lei invece erano arrivati il turbamento, la nausea, la voglia di essere da tutt'altra parte. E il senso di colpa, il pensiero che per Kohaku significasse qualcosa di bello mentre per lei significava solo che era perduta.
Le mani di Kohaku cercarono la sua pelle al di sopra della cintola, percorsero lente e affamate il bordo dei pantaloni e si addentrarono leggere sulla schiena, ma fu solo quando si rese conto che stava immaginando altre labbra, altri capelli e altre mani che trovò il coraggio di staccarsi. Il senso di nausea si acuì, provò ribrezzo per sé stessa, per quello che cercava di negare, per quello che non riusciva a dimenticare. Negli occhi lucidi per l'alcool di Kohaku lesse stupore e preoccupazione e fu per il vigliacco bisogno di non spiegare nulla che lo scostò da sé e fuggì di corsa.
Sentì che la chiamava, che la inseguiva per un pezzo, sentì la sua stessa voce gridare « Lasciami stare! Lasciatemi stare, tutti! » e i passi che scomparivano dietro di sé. Corse a lungo e senza meta, svoltò a caso cercando il buio, poi sopravvenne l'affanno ed infine la nausea. Rallentò e si diresse verso una macchia scura: piante, lampioni, un parco. Liberò lo stomaco all'albero più vicino, con le mani aggrappate alla corteccia. Schifo, provava schifo e vergogna.
Quando riuscì a sollevare lo sguardo vide una fontana e pensò che se non avesse avuto una bocca immonda avrebbe elevato una preghiera di ringraziamento. Si sciacquò le bocca, la faccia, le mani, finché il freddo non le risvegliò i sensi.
Prese a girovagare per il parco, priva di pensieri poiché aveva cura di scacciarli tutti. Si sedette su una panchina, albeggiava. Riconobbe il parco e non si capacitò di aver corso così tanto. In ogni caso, non aveva nessuna intenzione di tornare a casa.
Tirò fuori il cellulare e la foto di screensaver la fece precipitare a terra. Lei e Ayame, belle e sorridenti, in una foto di un anno fa. La sua àncora di salvezza solida e rossa, quella a cui, in definitiva, si sarebbe aggrappata anche oggi. Con gli occhi offuscati dalle lacrime richiamò l'ultimo numero, perché tanto era con lei la sua telefonata serale di rito.
Rispose dopo pochi squilli, forse era già nel dormiveglia.
« Ayame, sono io, sono disperata. Posso venire da te? »
Le rispose un grugnito.
« Lo so che ti ho svegliata e mi stai maledicendo in tutte le lingue demoniache ma davvero non so che fare, sono a pezzi! Ho voluto provare, ho voluto uscire, divertirmi, rilassarmi come fanno tutti, ho bevuto, l'ho baciato, mi ha baciata! Kohaku capisci? » era un fiume in piena, dall'altra parte l'amica non riusciva nemmeno a parlare: « Ma io non volevo lui Aya, io pensavo a Sesshomaru! Penso a lui, sempre, penso che mi ha fatto soffrire infinitamente ma mi è entrato dentro, capisci? E non riesco ad estirparlo, vorrei ma non riesco! » balbettò.
« Rin » la interruppe una voce dall'altra parte.
Dèi, no.
Questo no.
« Non sono Ayame. »
Staccò il telefono dall'orecchio e guardò lo schermo senza respirare. “Sesshomaru” era scritto.
No, questo no.
Come era potuto-? Dannazione, l'ultima telefonata era stata con lui, quella sera.
Le lacrime strabordarono e si sciolse in singhiozzi.
« Dimmi dove sei » sentì dire, ma non riuscì a rispondere.
« Rin per favore » incalzò lui: « Dimmi dove sei ». Aveva una voce calma, pareva una carezza sulla testa, pareva di potercisi abbandonare. « Non ti chiederò niente e ti porterò da Ayame, lo prometto. »
Il fato si stava prendendo gioco di lei, ma lei non aveva più forza per giocare. Si asciugò lacrime e naso come potè, gli disse il nome del parco, chiuse la telefonata e si sdraiò sulla panchina, esausta.
Provò a chiudere gli occhi ma girava tutto vorticosamente e si costrinse a tenerli aperti.
Sesshomaru arrivò dopo pochi minuti e Rin rinunciò a chiedergli come fosse stato possibile. Come promesso lui non disse niente, le porse la mano per aiutarla ad alzarsi, le mise un capotto pesante sulle spalle e con il palmo dietro la schiena la invitò a camminare.
Fu lei a rompere il silenzio, come di consueto: « Ma sei venuto a piedi? »
« Sì, era il modo più veloce. »
« Scherzi? Ci vorrà mezz'ora da casa tua a qua. » Le venne un sospetto: « O eri già in zona? Per caso mi seguivi ancora? »
« No, Rin. Ero a casa » sospirò. « Mi posso spostare velocemente. »
Ancora una volta rinunciò a chiedergli spiegazioni. Camminarono in silenzio e lei lo spiò da dietro il bavero alzato. La luce dell'aurora lo rendeva un personaggio spettrale, irreale, ma manteneva un fascino inaudito.
« Siamo quasi arrivati. Ce la fai? »
« Certo. Come te lo devo dire. Non sono così debole, fragile, inetta come credi. »
« Non penso questo di te. »
« Non voglio sapere cosa pensi di me » esplose come uno di quei giochini a carica: « Voglio sapere cosa ho fatto per meritarmi così tanta sofferenza! »
Si fermò a fronteggiarlo: « Voglio sapere perché tu sia riuscito a portarti a letto una qualunque a un metro da me e io non riesca nemmeno a baciare un amico che mi viene dietro da anni senza sentirmi schifosamente in colpa! Voglio sapere perché non riesco a liberarmi di te, cosa abbia la mia testa che non va! »
« La tua testa non ha niente che non va, Rin! » ribattè lui, alzando la voce, gli occhi fiammeggianti. « Tu continui a pensare di non essere abbastanza, te ne convinci e vorresti che te lo dicessi ancora. Ma non te lo dirò mai più, poiché non era vero allora e tantomeno lo è adesso: tu sei la cosa più bella che ho incontrato. Sono io che non l'ho capito in tempo! »
Rin tacque. Non ebbe cuore di rispondere nulla, il tormento di Sesshomaru era palpabile, autentico, come lo era il suo. Si cercavano, si desideravano ancora, nonostante il fallimento del passato. Non sapeva dire se fosse un bene e se da tutto questo sarebbe potuto nascere qualcosa di buono, ma non c'era più motivo di negare l'evidenza.
Avevano ripreso a camminare. Gli si accostò e gli prese la mano. Lui la accolse nella sua, grande e liscia. Le parve un gesto così naturale che si stupì che non fosse mai avvenuto prima.
Giunsero sotto casa di Ayame che l'aurora era ormai alba.
« Cosa vuoi da me? » si decise a chiedergli.
« Vorrei che tu tornassi ad essere la ragazza solare e felice che ho conosciuto. »
Sbuffò. « Non credo sia possibile. Tu pensi che potrei esserlo con te? »
« O senza. Io non lo so. »
« Non lo so nemmeno io » ammise, liberando la mano dalla sua.
Giocherellò con il lembo della maglia, poi si decise ad aprire il cancelletto della palazzina dell'amica.
« Lasciami spazio. Non mi cercare. Non mi seguire, non mi telefonare, non mandarmi messaggi. Puoi farlo? » gli chiese.
« Posso. »
« Prometti? »
« Sì » lo sentì affermare a fatica.
Fece qualche passo e poi lo richiamò con voce rotta: « Mi aspetterai? »
« Sempre. »

 

 

***

 

 

Erano trascorse due settimane esatte da quella sera e lei, dopo aver riempito la testa ad Ayame fino a farla sbottare esasperata, aveva preso la sua decisione. Palpitante, con le mani sudate, suonò il campanello.
« Sì? »
« Buongiorno,» imbastì una voce professionale « ho saputo che lei è il proprietario di un alloggio vuoto, volevo chiederle se fosse possibile vederlo. »
« Non è in affitto » lo sentì rispondere.
« Questo non è per niente carino da parte sua, signor Sesshomaru » cinguettò: « Solo due settimane fa me lo offrì spontaneamente ed ora già ritratta? »
« Rin...?! » lo sentì sussurrare.
Il portone venne aperto immediatamente e Rin si trovò a salire di nuovo quelle scale, depositarie di tanti ricordi. Non fece in tempo a completare la prima rampa che se lo trovò dinnanzi, in t-shirt e pantaloni della tuta, senza scarpe.
Non riuscì a trattenere un sorriso « Diamine, le sembra il modo di presentarsi ad un possibile inquilino? »
Lui la osservò come si guarda un fantasma, lasciò che si avvicinasse e quando furono sullo stesso gradino le si accostò e le avvicinò una mano al viso. Si fermò, come temendo di compiere un gesto sbagliato e si accontentò di sfiorarle una ciocca di capelli.
« Sono vera, eh. »
Annuì e salirono insieme.
« Vado a prendere le chiavi » affermò lui una volta giunti al pianerottolo.
Rin rimase ad osservare la porta del suo vecchio appartamento, cercando di non pensare a quali sensazioni le avrebbe suscitato varcare nuovamente quella soglia.
Ma non era per nulla preparata a quello che successe sul serio, ovvero alla totale meraviglia. Quella che la accolse era una casa diversa. Lo capì dalla cucina, tinteggiata di fresco con un delicato giallo, allo stesso tempo tenue e caldo. Il mobilio più danneggiato era stato sostituito seguendo lo stile che avrebbe adottato in casa propria – se mai avesse avuto abbastanza soldi – gli accessori, le tende, i cuscini delle sedie, tutto era nuovo e perfettamente di suo gusto.
Si spostò nel corridoio, ammirata. « Ma, Sesshomaru... » iniziò senza terminare.
Il bagno era stato ampliato e rifatto completamente, dai sanitari alle piastrelle. Su tutto spiccava un box doccia che per dimensioni e ampiezza della pulsantiera, pareva una navicella spaziale.
Presa dalla frenesia si fiondò in camera da letto e lì rimase folgorata.
Era stata anch'essa ritinteggiata di una delicata sfumatura arancio ma l'elemento di sorpresa era il tripudio di fiori dai colori tenui e variopinti che pareva sorgere da ogni anfratto. Da sotto il letto, dagli stipiti della porta, dagli angoli del soffitto, da dietro l'armadio...
L'armadio. Era stato spostato ed ora era visibile un'altra porta, che ad altro non poteva condurre che al suo appartamento.
Sesshomaru intercettò la direzione del suo sguardo e le porse una chiave sul palmo: « Ne ho una sola copia, l'altra la conserva mia madre. Se vorrai stare qui, questa la tieni tu. »
La prese e la strinse nel pugno.
« Sesshomaru. Ma come hai fatto? È... è semplicemente perfetta, è la casa fatta apposta per me! »
« Sì » confermò lui.
« Sì, davvero? » lo guardò incredula: « L'hai fatta per me? »
« Certo Rin, per nessun altro. »
Distolse lo sguardo da lui perché era davvero commossa.
« Io ci vengo sul serio, se mi vuoi ancora » sussurrò infine.
Non ottenne risposta e si voltò a guardarlo.
« Lo sai, Rin » le disse.
« Sì, lo so » ammise e non resistette oltre: gli si fiondò fra le braccia, prima che se ne potesse accorgere, prima che gli venisse anche solo l'idea di opporre resistenza. Ma non sembrò proprio che volesse opporsi, anzi, le circondò le spalle e la tenne stretta.

 

 

Tre giorni dopo varcò la soglia piena di pacchi, per l'ennesima volta.
« E che sia l'ultima » aveva sbuffato Ayame ad ogni singola chiusura di scatola. Ora si aggirava nelle stanze emettendo fischi di soddisfazione.
« Diamine Rin! Dannato cane, ti ha proprio costruito la tana! »
« Che scema che sei » ribattè, ma aveva ragione.
Sesshomaru, Koga e Kohaku si affannavano con i restanti pacchi, guardandosi in cagnesco, lupesco ed umanesco.
« Sei riuscita a chiarirti con Kohaku? » le sussurrò Ayame.
« Sì. In fondo aveva già capito tutto e ben prima di me » dovette ammettere.
« Come lui ciascuno, cara » la canzonò Ayame.
Quando ebbero finito, l'amica fu l'ultima ad andarsene. Si abbracciarono forte, poi Ayame si rivolse a Sessomaru, che stazionava a debita distanza, vicino alla propria porta d'ingresso.
Si guardarono duramente e pur senza parole Rin non faticò ad immaginare quali orrende minacce stesse esprimendo l'amica e con quale altrettanta determinazione lui le stesse respingendo.
« Buoni cucciolotti, su, su » finse di ammansirli per stemperare la tensione, guadagnandosi ben due ringhi di stizza.


Lui le aveva chiesto se avesse bisogno e al suo diniego l'aveva lasciata sola. Segno di grande rispetto, che ora, come prevedibile, cominciava a dispiacerle. Sì, insomma, era un peccato essere così vicini e rimanere soli. Ma non sapeva come cambiare la situazione senza risultare invadente o troppo accondiscendente.
La stanchezza decise per lei: appena si mise orizzontale, piombò in un sonno profondo.
Fu svegliata dal secco craaak di un tuono e si accorse che era in corso un nubifragio da manuale. Rotolò di lato il tanto che bastava per infilarsi sotto la coperta e tirarsela fin sopra i capelli, ma tuoni e lampi imperversavano in un susseguirsi continuo e non riusciva a trovare pace.
D'improvviso, un boato più forte degli altri la fece saltare fuori dal letto e si ritrovò a bussare frenetica alla porta di divisione fra il suo alloggio e quello di Sesshomaru.
« Rin, cosa c'è? » sentì chiedere dall'altra parte.
« Ho... » deglutì saliva e orgoglio: « Ho una paura matta, Sesshomaru. Puoi... puoi aprire per favore? »
« Hai tu le chiavi Rin » le ricordò.
« Oh, già, accidenti... » dove diamine le aveva messe?
Sesshomaru dovette capire il problema: « Aspetta, passo da fuori. »
Si precipitò alla porta di ingresso e lo attese rannicchiata contro lo stipite.
« Gra... grazie » balbettò quando entrò.
« Stai tremando » osservò lui: « Siediti, vado a prenderti una coperta. »
Rin si accucciò sul divano e lui tornò con due trapunte invernali che le sistemò addosso.
Sobbalzò ad un nuovo tuono e lui le chiese: « Vuoi che mi sieda con te? »
« Diamine, sì! » gli rispose brusca, mica l'aveva chiamato perché piantonasse il divano!
Quando si sedette Rin non ci pensò due volte a ridurre la distanza fra loro, gli si adagiò addosso e lui fu costretto a spalancare le braccia per accoglierla.
Nonostante tutto, il temporale non dava segno di passare e la paura rimaneva, dunque si rizzò e lo guardò, sbuffando un muto rimprovero.
« Non riesci proprio a tranquillizzarti? Guarda che non ti può succedere niente » la redarguì.
« No, niente da fare. Tu piuttosto » lo guardò con aria di sfida « dovresti provare a distrarmi. »
« A distrarti? » le chiese, ma dall'espressione che si stava formando sul suo volto seppe per certo che sapeva già dove si sarebbe andati a parare.
« Ma sì. L'escamotage classico che voi uomini utilizzate in tutti i film hollywoodiani. »
« Quello che ha la duplice funzione di distrarre e zittire? » chiese sornione, stringendola e avvicinandola a sé.
« Mmh, probabile. »
Fu lei ad accostarsi ancora, ma colmarono la distanza contemporaneamente e le labbra cozzarono scomposte. Un bacio dapprima titubante che presto divenne urgente e ad ogni nuovo tuono lei si fece più vicina. Aderì al suo petto e venne circondata dalle sue braccia, che le carezzarono la schiena e si infilarono fra i suoi capelli. Sentiva, dal tremito dei suoi muscoli, che Sesshomaru si stava trattenendo e fu lei a sfiorargli per prima le labbra con la lingua. Dovette ripetere la provocazione due volte prima che lui rispondesse, ma la mano con cui le bloccò la nuca mentre affondava finalmente la lingua dentro di lei non dava adito a dubbi su quanto l'avesse desiderato. Non si fece pregare questa volta, non si discostò, anzi, lo inseguì quando le sembrò che lui volesse smettere, provò anche lei a penetrare con la lingua la barriera delle sue labbra e venne accolta con un gemito roco che la colmò di orgoglio.
Si baciarono così a lungo che quando si staccarono il temporale si era tramutato in una pioggerella sottile.
Con il respiro corto, si lasciò scivolare giù fino ad appoggiare la testa sulle sue gambe.
Sesshomaru le accarezzava i capelli e la guardava con... devozione? Si sentì confusa ma nemmeno per un momento dubitò di aver fatto la cosa giusta.
Gli mise una mano sul petto ed espirò tutto d'un fiato: « Dunque, accetto il tuo corteggiamento, Sesshomaru. »
Lui continuò ad accarezzarla e sorrise, beffardo: « Non vorrei sembrar pignolo, ma mi pare che sia una fase già superata. »
Non aveva torto.
« Sì, giusto » convenne: « Allora diciamo che sei in prova »
« Come? » il demone aggrottò le sopracciglia, questa non se l'aspettava.
« Hai capito bene, ti tengo in prova per un mese. »
« Ah. E se non supero la prova? »
« L'armadio ritorna davanti alla porta » rispose prontamente. « Ma l'appartamento lo conservo, sia chiaro, c'è un contratto regolare.»
« Bene allora, piccola approfittatrice » le disse catturandole il mento che teneva altezzosamente rialzato « vedi solo di non consumarmi troppo. »
Rin si guardò bene dall'accordarglielo. Al contrario, si aggrappò a suo collo e lo tirò verso di sé.
Il mattino li trovò avvinghiati, le labbra separate di appena un soffio.

 

 

 

Non c'era nulla che valesse quanto il suo sorriso, la sua risata che rimbombava per le scale, i piccoli fiori che tornarono a popolare tavoli, divani e pavimenti.
Forse solo la faccia di sua madre quando una domenica si presentò al pranzo consueto con Rin e perfino suo padre rischiò di strozzarsi con lo champagne.
Ma questa è un'altra storia, e non c'è tempo da sprecare a raccontarla.

Souviens-toi de vivre, Sesshomaru.

 

 

 

 

Quando si chiude una porta, si può aprire di nuovo,
perché di solito è così che funzionano le porte.

Albert Einstein

 

 

 

 

-----------------------------------------------

 

(*) Mutatis mutandis è una locuzione latina che si traduce con 'Una volta che siano cambiate le cose che dovevano cambiare' e non 'Una volta cambiate le mutande', come disse qualcuno.
Che poi, se bastasse cambiarsi le mutande per accaparrarsi Sesshomaru, cosa non saremmo disposte ad indossare, pure le paperelle.
Il 'film di animazione americano' cui mi riferisco ad inizio capitolo è “Inside Out”. Immaginarmi amene scenette nei miei centri di controllo risale ad “Essere John Malkovic” e questo cartoon mi ha dato il colpo di grazia.
Dal tenore di queste tre frasi non faticherete a credere che tutto il mio spirito sentimental-romantico sia stato completamente risucchiato dalla storia, pertanto vi saluterò con convenevoli di base.
Vi ringrazio per la costanza e la pazienza, 5 capitoli in due anni è una vergogna. Ma è andata così. Una fatica immensa per ricacciarli uno nelle braccia dell'altra.
Se Sesshomaru vi pare un po' OOC perché troppo verboso, è perché ho considerato che in cinque secoli qualche abilità-base di conversazione avesse potuto acquisirla.
Se Ayame vi sembra strafigah è perché lo è.
Se il tutto vi pare un po' incoerente è perché nel tempo pensieri e prospettive si modificano. Spero solo di non avervi delus*.
Vi abbraccio tanto e vi rimando all'epilogo a rating rosso che concluderà la vicenda “come si deve”.
A presto. E Souviens-toi de vivre, ricordati di vivere.
elerim
Ps: se volete passare a far due chiacchiere, ho una pagina su fb, a nome 'Elerim' (guarda un po') .

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: elerim