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Autore: SSJD    08/04/2019    8 recensioni
"Ho cercato di sottolineare che nelle nostre vite il caso può avere un'influenza sorprendente e, se posso offrire un consiglio al giovane operaio di laboratorio, sarebbe questo: non trascurare mai un'apparizione o un avvenimento straordinario. Può essere - di solito lo è, in effetti - un falso allarme che non porta a nulla, ma potrebbe d'altra parte essere l'indizio fornito dal destino per portarvi ad un importante progresso."
Primo classificato al contest “Ero lì quando…” indetto da Ghostmaker sul forum di EFP.
Genere: Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature
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Capitolo III
 
 
 
Poco più tardi, ci rendiamo conto che gran parte del lavoro è già stato compiuto. La scrivania è tornata al suo ordine e splendore, per quanto possano essere splendidi accumuli di Petri contenenti batteri mortali, e la scatola di cartone è praticamente piena di ogni genere di materiale: carta, Petri, provette, basamenti in legno.
Finalmente ci alziamo dalle nostre postazioni ed entrambi ci stiracchiamo per riattivare un pochino la muscolatura.
Il dottore si piega in avanti invitandomi a fare lo stesso.
“Cerchi di toccare le dita dei piedi con le mani: in questo modo la sua colonna vertebrale si allungherà un pochino e si sentirà subito meglio!” mi consiglia.
Lo assecondo cercando di imitarlo.
Faccio per risollevarmi, ma il mio movimento è brusco e non fluido come il suo.
“Piano!” mi rimprovera, “Altrimenti il beneficio non si sente!”
Mi rimetto giù e ci riprovo, risalendo molto più lentamente. Lascio la testa a penzoloni, come mi ha consigliato di fare. Da questa posizione guardo attraverso le mie gambe, lasciando il mio sguardo perdersi sotto la scrivania.
Sto per risollevarmi di nuovo, quando vedo un dischetto, che riflette la luce proveniente dal corridoio, in un angolo buio vicino al calorifero.
Mi sollevo lentamente, questa volta, in modo tale che il dottore non mi sgridi di nuovo, per poi accovacciarmi e allungare il braccio per raccogliere il dischetto che ho notato.
“Cosa fate?” mi domanda Mr. Fleming un po’ perplesso.
“Un P-petri è f-f-finito qui s-s-sotto…” gli dico mentre riesco con la mano finalmente ad afferrarlo.
Sto per uscire da sotto la scrivania, quando noto che in realtà ce ne sono altri due incastrati sotto al calorifero. Riesco ad estrarli, con non poca fatica.
“P-perché c’-c’-c’è un p-panno s-so-sotto al ca-ca-calorifero?” chiedo mentre mi ritraggo tenendoli in mano.
“Il calorifero perde acqua, a volte. Porgetemeli, così fate meno fatica ad alzarvi.” Mi esorta il dottore prendendo contemporaneamente i Petri tra le sue mani, in modo tale da lasciare le mie libere, per consentirmi di rialzarmi.
Mi sollevo e mi pulisco i palmi nella tuta da lavoro, prima di alzare lo sguardo di nuovo su Mr. Fleming.
Quando lo faccio rimango un po’ basito.
Se ne sta lì, con in mano uno dei tre dischetti che gli ho appena passato e lo fissa con due occhi quasi allucinati. Se lo rigira fra le mani e lo avvicina più volte agli occhi per poterlo osservare con maggiore attenzione, per poi allontanarlo di nuovo.
Dopo un paio di minuti di quello che a me sembra essere un attimo di follia del dottore, finalmente alza lo sguardo ed esclama:
“Mr. Cohen, l’ha trovato!”
‘Io? Cosa?’ penso tra me e me. Il mio pensiero deve essersi trasformato in un’espressione di perplessità perché d’un tratto chiarisce:
“Vedete questo Petri? Vedete che non è giallognolo come gli altri? Vedete questa macchia più scura? Vedete…
“Dottor Fleming, sono b-b-balbuziente, non c-c-cieco… C-cosa st-st-state dicendo?” lo interrompo solo per cercare di farlo calmare.
Fa un sospiro e riprende con più calma:
“Questo Petri contiene la medicina. La macchia nera che vedete altro non è che una muffa, che ha distrutto la famiglia di batteri che voleva crescere in questo Petri. Capite la mia gioia?” Mi domanda depositando il prezioso contenitore con cura sulla scrivania e mettendomi le mani sulle spalle, come per volermi abbracciare.
La presa è forte.
Gli sorrido.
Non ho capito molto bene cosa sia successo, ma comprendo tutto il suo entusiasmo e la sua gioia, quando vedo delle lacrime comparire nei suoi occhi chiari.
Afferro le sue spalle a mia volta con le mani, come per fargli capire che sì, qualsiasi cosa sia successa, penso sia positiva e sarà positiva per il futuro, se lui mi conferma che è così. Se non altro capisco che è positiva per lui e per la sua vita.
“Grazie, Mr. Cohen! Senza di lei non avrei mai trovato quel Peltri, o magari lo avrei trovato troppo tardi! Avete trovato la medicina!” mi dice mentre una lacrima gli riga il viso.
Sciolgo l’abbraccio distaccato e gli sorrido.
“Io l’ho t-trovata, ma v-voi l’avvv-ete sc-scoperta!”
“Sì. A volte si trova ciò che non si sta cercando… Salverà molte vite, questa muffa, amico mio!” afferma ancora commosso, dopo una breve pausa.
“Qu-quindi, v-vuol d-d-dire che il mio l-lavoro è anche im-importante!” gli dico per farlo tranquillizzare un pochino.
“Essenziale, direi!”
“E v-v-voi m-mi v-v-volevate p-p-portare a m-mangiare all-a m-m-mensa? D-d-dobbiamo f-f-festeggiare! A casa ho un o-o-o-ottimo v-v-ino…” lo prendo di nuovo in giro.
“Perfetto! Dobbiamo festeggiare assolutamente, questo è un giorno importantissimo per tutti noi! Devo assolutamente chiamare mia moglie per informarla… e poi devo andare dal rettore e devo dirlo a Wright e poi a chi altro? Ah, sì! Devo trovare qualche chimico che mi isoli il principio attivo e cercare altri finanziamenti per proseguire gli studi… Accidenti quante cose! Meglio che inizi su…
“Mr. Fleming! Si calmi! Respiri per favore! Tu-tutte q-queste cose le p-p-potrà fare nel po-pomeriggio. Ora andiamo a p-p-pranzo e, quando t-t-torniamo, col telefono avv-vviserà tutto il mondo. Va bene?” glielo dico con il cuore, mi sembra davvero un po’ troppo agitato per avvisare tutte le persone, che sicuramente dovranno essere avvisate. Non sono un medico, ma non è difficile comprendere che è necessario che si calmi un pochino prima di continuare il suo lavoro. Mi guarda negli occhi stranito.
“Andiamo? Mia moglie ci aspetta…” dico tutto di un fiato, riuscendo a non balbettare, finalmente.
“Sì… sì, c-certo. Sssolo metto via il Petri, v-va b-bene?” mi dice quasi intimorito.
“Guardate che la bal-buzie non è c-contagiosa… Dottore.” Lo prendo in giro di nuovo.
“Scusate, sono troppo emozionato.” Si giustifica mentre ripone il Petri in un cassettino, che poi si premura di chiudere a chiave.
Infila la chiave nella tasca interna della giacca, si leva il camice, i guanti di gomma e, come un pupazzo si infila il cappotto.
Sciarpa.
Guanti.
“Andiamo?” domanda come se i suoi pensieri fossero in un altro mondo.
“Certo, passo a riporre il c-carrello nello sg-sg-sga-mhmm!”
‘Dannazione, SGABUZZINO!’ riesco solo a pensare.
Si ferma nel corridoio e mi guarda.
“Respirate profondamente.” Mi suggerisce.
Lo faccio.
“Bene, dicevate?”
“Sgabuzzino.” Concludo.
Con calma, tutto viene.

 
****
 
Agosto, 1942
 
 
Odoraccio.
L’odore di etere negli ospedali è sempre stato un mio punto debole. Non lo sopporto.
Sento le palpebre muoversi e, a poco a poco, sollevarsi. Una fioca luce riempie la camera in cui mi trovo.
La mia mente deve essersi già resa conto da tempo che il mio corpo si trova in un ospedale, mentre la mia memoria sta facendo letteralmente cilecca, visto che non ricordo nulla di quando e come sono arrivato qui.
Richiudo gli occhi e faccio un sospiro.
“Dottore, si è svegliato! Ha aperto gli occhi per qualche istante!” sento una voce, che riconosco essere quella di mia moglie, chiamare qualcuno.
Mi sforzo di riaprire gli occhi, quando sento dei passi non troppo leggeri avvicinarsi al mio letto.
“Alexander? Sei davvero tu?” domando con un filo di voce, quando riesco a mettere a fuoco la persona in camice bianco, che mi è a fianco.
“Sì, Meir, sono io…” mi risponde prendendomi una mano e stringendomela forte.
“Cosa è successo? Mi ricordo un fortissimo mal di testa, mia moglie era preoccupata per la febbre alta che avevo… Non ricordo più nulla.” Gli spiego confuso.
“Meningite, la diagnosi era pressoché certa. Non avevi nessuna speranza, Meir…” mi spiega con la sua consueta calma.
Vedo comparire una lacrima all’angolo dei suoi occhi.
“Piangi perché sono ancora vivo?” lo canzono benevolo.
“Sì, hai appena dimostrato che la mia medicina funziona. Per la seconda volta nella mia vita, mi hai donato la gioia di poter continuare con sempre maggiore entusiasmo il mio lavoro! Ricordi quel giorno, di tanti anni fa?” mi domanda come se volesse testare gli effetti della meningite sulla mia memoria.
“Certo, come posso scordarlo? È da allora che mi perseguiti, informandomi di tutte le tue scoperte, o non scoperte…” gli rispondo con sarcasmo.
“La perseveranza è la base della scienza! Sono felice che la tua memoria non abbia subito danni, ma, vedi, ciò che volevo dire è che quando mi sono svegliato poco dopo l'alba, il 28 settembre 1928, non avevo certo intenzione di rivoluzionare tutte le medicine, scoprendo il primo antibiotico o battericida del mondo... Ma immagino che sia esattamente quello che ho fatto! E tu me lo hai confermato, amico mio!” afferma commosso.
Lo guardo male.
Se i nazisti sapessero che ha salvato la vita ad un ebreo in piena guerra contro gli ebrei, probabilmente lo fucilerebbero.
Ma prima dovrà fare i conti con me:
“Alexander. Fammi capire. Hai iniettato nel mio corpo quella muffa schifosa, che avevi in quell’orribile laboratorio?”
Si asciuga le lacrime e torna a sorridere:
“No, veramente l’hai deglutita con un po’ d’acqua, mentre eri semicosciente…” mi dice con una punta di sadismo nel tono di voce.
“Che schifo… Spero almeno tu ne abbia abbastanza ‘sta volta… Non vorrei finire come quel poveraccio di poliziotto che hai fatto fuori l’anno scorso…” gli rimprovero.
“Ah! Che insolente! Ti ho appena salvato la vita! Ma, a parte gli scherzi, ti garantisco, amico mio che, a costo di andare in America a nuoto a prenderne dell’altra, questa volta non rimarrò senza!” mi rassicura con un sorriso sincero.
Salvato da una muffa.
Se i tedeschi ne venissero a conoscenza, la condannerebbero per alto tradimento, mentre gli americani hanno avuto il coraggio e la volontà, nonostante siamo in piena guerra, di trasformarla in farmaco, dopo aver letto della quasi guarigione del poliziotto di Oxford, riportata su tutti i giornali.
 
Era stata una sfortuna, allora, che la quantità di Penicillina disponibile fosse scarsa. Quell’uomo si sarebbe davvero potuto salvare.
Allo stesso tempo però, il miracoloso miglioramento, che le condizioni di salute del poliziotto avevano avuto in seguito al trattamento con la medicina proposta da Alexander, ha portato alla produzione massiccia del farmaco, negli Stati Uniti.
A questo punto mi chiedo quante persone dovrò ringraziare.
Il poliziotto, gli americani…
 
Guardo mia moglie che abbraccia Alexander e lo ringrazia, mentre le lacrime le rigano il viso, e i miei pensieri si spostano sulla mia famiglia.
Se i miei figli fossero qui sarebbero sicuramente venuti a trovarmi. Per fortuna sono emigrati in America, prima che le cose in Europa si mettessero male.
Sono rimasto solo con mia moglie. Non potevo lasciare Alexander, dopo che quel giorno di quattordici anni fa, siamo diventati amici.
Sono diventato la sua spalla, una delle prime persone a cui ha sempre confidato i suoi dubbi, come quello di trovare il nome giusto della muffa che aveva scoperto essere battericida; i suoi rammarichi, come quando cercava qualche chimico che gli isolasse il principio attivo e non lo trovava. Ma anche le sue gioie, nel constatare che quella schifezza, come mi ostinavo e ancora non desisto a chiamarla io, in quel Petri, poteva essere efficace contro diversi tipi di batteri.
C’ero per lui, quando la commissione a cui Alexander presentò la Penicillina lo guardò con aria scettica e lo trattò con sufficienza. Ero lì fuori ad aspettarlo, mentre spazzavo il corridoio, e ricordo le sue lacrime di delusione e di forte rammarico, per non essere riuscito a convincere tutti che la sua scoperta era eccezionale, come lui, ed io e molti altri sapevano che fosse.
Sono rimasto al suo fianco, in tutti questi anni, perché ho creduto in lui, molto più di quanto abbiano fatto i suoi colleghi illustri che, accecati dalla magnificenza e dalle aspettative, che la più grande industria farmaceutica dei nostri tempi abbia mai fornito loro, non hanno voluto aiutare Alexander nel suo progetto.
Quando ai tempi gli dissi che lo avrei sempre supportato in tutto e per tutto, ascoltando costantemente tutti i suoi propositi di portare avanti le sue idee, mai, mai e poi mai avrei pensato di diventare un giorno il punto di partenza dei suoi futuri riconoscimenti.
Vedo le sue lacrime di gioia infinita, mentre parla con mia moglie, e storco il naso. Immagino di dovergli essere grato, nonostante mi abbia appena ridotto di ruolo: da amico di lunga data a cavia…
“Alexander, grazie.” gli dico solamente richiudendo gli occhi, prima di appisolarmi.
 
 
FINE
 
 
 
NA:
- La vera storia di Alexander Fleming la trovate qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Alexander_Fleming
- Di quanto ho scritto, di vero c’è il fatto che Fleming abbia trovato realmente per caso il Petri contenente la famosa Penicillina. Ergo, Mr. Meir Cohen è un personaggio frutto della mia sola fantasia (Meir in ebraico significa: “Colui che porta la luce”). Ma è vero anche che nel 1942 Fleming abbia salvato un amico malato di meningite, testando per la prima volta la medicina che aveva scoperto. Ciò gli valse in Nobel per la medicina, che gli venne assegnato in piena guerra, nell’ottobre del 1945.
- Le frasi nel testo che trovate scritte in corsivo e di colore blu, sono vere citazioni di Fleming.
- Per puro patriottismo, vorrei infine sottolineare che il primo scopritore della Penicillina fu un italiano: Vincenzo Tiberio, che la studiò e scoprì già nel 1895. (https://it.wikipedia.org/wiki/Vincenzo_Tiberio).
Ma il caso volle che i suoi studi venissero pubblicati solo su una rivista italiana, ai tempi poco conosciuta.
Dopo la prima guerra mondiale, quando finalmente avrebbe potuto riprendere gli studi sull’azione battericida delle muffe, morì d’infarto lasciando a Fleming, di fatto, l’onore della scoperta.
Fleming seppe solo due anni dopo aver preso il Nobel, delle eccezionali scoperte di Tiberio e ne parlò con rammarico, affermando che con le ricerche già svolte dal suo collega italiano, si sarebbero potute salvare centinaia di migliaia di vite in più.
 
N.F.A.: Ringrazio anche io Fleming, senza la Penicillina all’età di dieci anni probabilmente sarei morto pure io di polmonite.
Già che ci sono ringrazio tutti coloro che hanno letto e hanno speso qualche minuto del loro tempo per lasciarmi un commento. Questa è la prima minilong che scrivo tra le originali. Ho scoperto che è stato un divertimento, per me, scriverla e spero sia stato un po’ interessante per voi leggerla!
Alla prox!
SSJD

 
 
   
 
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