Anime & Manga > Yuri on Ice
Segui la storia  |       
Autore: Tenar80    11/04/2019    5 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L'ANGOLINO DELL'AUTRICE: ...E siamo arrivati in fondo.
Quando sono arrivata a scrivere la fine di questa storia ero stremata come se le olimpiadi le avessi fatte io e se avessi appena terminato una gara. L'ho amata, questa storia, quasi quanto l'ho odiata e mi sono tremate le mani nel momento di condividerla qui.

Vedere il numero dei lettori che cresceva via via, con qualcuno che andava a recuperarsi anche le mie storie precedenti, quindi, è stato il regalo più bello che poteste farmi. Vorrei ringraziare ad uno a uno coloro che hanno letto fin qui, anche se non conosco i vostri nomi. E un GRAZIE ancora più infinito ai miei commentatori. A Siyla, che è stata con me fin dall'inizio, a Chrystal, che si è aggiunta in corsa e a tutti gli altri. Ogni commento è stata una mano tesa a cui aggrapparsi e ha dato un senso a questo mio scrivere.

Un GRAZIE ENORME va alla persona che ha permesso a questa storia di esistere: ElinaFD (correte a leggere le sue storie, svelti!). Lei ne sa millemila volte più di me di pattinaggio, ma mi ha sempre offerto consulenza senza farmelo pesare, rispondendo alle mie domande praticamente a qualsiasi ora del giorno e della notte. In modo particolare, a lei devo il contenuto tecnico del programma libero di Victor, che è stato soppesato in ogni dettaglio ed è diventato il famoso "pizzino del pattinaggio". La sua consulenza tecnica, infatti, è arrivata come messaggio vocale in apparente codice segreto nel bel mezzo di una sessione di gioco di ruolo. E quindi, mentre in un mondo immaginario, ma assai tangibile, degli eroi stavano ammazzando orde di orchi, io trascrivevo cose come "3t+2S, passi...". Le altre persone intorno al tavolo hanno iniziato a fare le ipotesi più disparate, fino a che un giocatore ha esclamato "ma sono salti di pattinaggio!". Dal momento che non ho assolutamente voluto rivelare a cosa mai servissero, aleggia su di loro ancora il mistero del "pizzino del pattinaggio". 



Yuri non era mai stata tanto preoccupato per la gara di qualcun altro. O, meglio, era stato spesso preoccupato per le prestazioni degli altri, per la paura che facessero un punteggio migliore del suo. Non aveva mai desiderato con tanta forza che qualcun altro pattinasse bene. No, non bene, neppure benissimo. Meglio di qualsiasi altro.

    Con quel suo terribile ottavo posto nel corto, Otabek non era nel loro scaglione. Faceva quasi male vederlo riscaldarsi in pista con con il cinese e l’americano, ragazzi simpatici, per carità, ma che a livello atletico non avevano nulla a che spartire con il kazako. Oltre tutto tutto lo staff del Kazakistan aveva una faccia… Se fosse andato male cosa avrebbe passato? 

    Yuri sapeva che Otabek non aveva un gran rapporto con la dirigenza della nazionale. In realtà, da quel che ne sapeva il ragazzo, Otabek non era stato un gran che fortunato con gli allenatori. Si era allenato a lungo con il padre di J.J., in Canada, salvo poi essere più o meno messo alla porta nel momento in cui rischiava di scavalcare il figlio.

    Fino a che non ho rischiato di perderlo, ho dato sempre per scontato Yakov, senza capire quanto sia fortunato ad averlo…

    Adesso Otabek era tornato a fianco del suo allenatore che, a quanto pareva, gli stava dando un bella strigliata. Il Kazakistan non aveva molti atleti con cui potesse ben figurare alle olimpiadi. Dopo l’argento ai mondiali, ovviamente, c’erano delle aspettative su di lui. Ma non era piaciuto il suo terribile 86.80 nel corto, né il suo coinvolgimento nell’aggressione del giorno prima né, sospettava Yuri, la sua amicizia con il ragazzetto russo. Gli veniva chiesto di essere un soldatino devoto, senza sentimenti e, forse per la prima volta, durante quelle olimpiadi Otabek non ci era riuscito.

    Fregatene di loro, pattina per me.

    Come diavolo facevano Yuuri e Victor a reggere quel tipo di tensione? Non era una cosa piacevole tenere così tanto a una persona.

    Non è per niente bello. Io non so se la voglio questa cosa. Sarebbe meglio, davvero, bastare a se stessi. 

    Ma ne ho bisogno.

    Il riscaldamento del penultimo gruppo era finito.

    Il cinese fece una prova talmente incolore da finire dietro all’altro giapponese, il compagno di stanza di Yuuri, che aveva pattinato nel gruppo prima. Il coreano fece un pochino meglio, ma il suo  totale di 270.20, per quanto accolto da un boato del pubblico, del resto gareggiava in casa, era lontanissimo dal limite dei 300 punti che solo un pugno di atleti era in grado di raggiungere.

    E, maledizione, tu sei tra questi, Otabek.

    Certo, serviva un mezzo miracolo, partendo da 86.80. Il suo punteggio migliore, fino a quel momento, era stato il 214.30 con cui aveva preso l’argento mondiale dietro a Yuuri. Probabilmente, se Yuuri, Chris e J.J. avessero mantenuto il livello del giorno precedente, non sarebbe bastato per portarlo in zona medaglia…

    E io?

    Cosa diavolo mi hai fatto se neppure me ne frega di batterti?

    È proprio una cosa stupida questa dell’amore…

    Eccolo.

    Aveva il suo sguardo duro e concentrato. 

    Bene.

    O forse no, perché appena Yuri alzò un braccio per farsi vedere, ecco ricomparire il sorriso un po’ ebete, così fuori posto nella sua faccia.

    Iniziò la musica. 

    Pattinava su una musica kazaka che raccontava di sacrificio e di guerra.

    Smettila di sorridere! Non ci azzecca niente con quello che stai raccontando!

    O forse sì. Forse era quello che sentiva di essere. Un soldato in una guerra che non voleva più combattere. Il quadruplo Loop iniziale fu una delle cose più belle che Yuri avesse mai visto. Un salto fatto con la gioia selvaggia di chi si oppone all’orrore che lo circonda.

    Vai così, Otabek.

    Yuri sentì la preoccupazione che si scioglieva, sostituita da qualcosa di nuovo, un misto di gioia per l’altro e carica per se stesso.

    Allora forse sì, ne vale la pena.

    Cambiò leggermente il finale.

    È proprio un’altra storia, questa.

    Non era più il sacrificio eroico di un soldato per la propria patria. Era una fuga personale nel sogno interrotta da una pallottola. 

    Con una sorta di terrore, Yuri si rese conto che quello poteva non essere solo un finale recitato.  Aveva lui, in qualche modo, la pallottola che poteva abbattere Otabek.

    Ti sei esposto così tanto con me? Sì, suppongo di sì. Non è che in Kazakistan certe cose funzionino in modo diverso che in Russia. E la tua famiglia, da quel che mi hai raccontato, non la pensa in modo così diverso da mio nonno.

    Yuri scosse il capo, per reagire alla forza di quei pensieri.

    Sono così importante per te?

    Non c’era altro tempo per pensare a quello. 

    Otabek era già andato con il proprio allenatore a scoprire il punteggio. Yuri aveva tenuto il conto… Lo aveva fatto?… 210 come minimo…

    216

    Il che lo portava a un totale di 302.80

    Il sorriso del kazako, nel maxischermo, non aveva più quella nota un po’ ebete. Era il sorriso del cacciatore soddisfatto. Adesso lo avrebbero portato nell’area dove i primi in classifica guardavano le esibizioni degli altri da comodi divanetti.

    Sarebbe stato maledettamente difficile schiodarlo da lì.

 

*
 

    Otabek aveva pattinato benissimo. Victor era contento sia del risultato che dello sguardo estasiato con cui il suo compagno di stanza aveva seguito l’esibizione. Quanti anni aveva il kazako? ventuno? Ventidue? Eppure sembrava aver già capito quello che lui ci aveva messo così tanto a realizzare…

    Ancora due esibizioni, Crispino e Nekola, e in qualche modo avrebbe dovuto affrontare il ghiaccio. Per l’ultima volta.

    Non era certo così che se l’era immaginata. 

    Eppure, erano senza dubbio gli antidolorifici, si sentiva leggero. Il sapere, per una volta, che non era umanamente possibile mantenere i propri standard gli toglieva del tutto il peso della prestazione. Lo aveva portato per così tanto tempo da non farci più caso, quasi. Eppure in quel momento sentiva la differenza.

    Quindi ci sarà anche questo, dopo… Un senso quasi di liberazione.

    Non dover più essere, ad ogni costo, Victor Nikiforov, il più grande di tutti.

    Con la coda dell’occhio, cercò Yuuri. Stava parlando con Tamura. Chissà se si rendeva conto di quanto fosse stato in realtà fortunato ad essere cresciuto atleticamente solo negli ultimi anni. Raggiungere il successo quando ormai aveva la maturità per reggerlo. Yuuri viveva ogni vittoria come un dono inatteso, non come un dovere da assolvere.

    E forse per questo esprimi meglio di come mai ho potuto fare io lo spirito di questo sport.

    – Guarda qui – la voce brusca di Yakov lo riscosse dai propri pensieri.

    L’allenatore gli mise sotto gli occhi un foglio con degli appunti che Victor guardò un istante senza capire.

    – Lo schema dei salti aggiornato alle tue possibilità. Pensi di riuscire ad arrivare in fondo?

    La gara, giusto…

    Victor non aveva davvero pensato a cosa fare sul ghiaccio. Non aveva fatto l’allenamento pre gara, limitandosi a qualche esercizio per sciogliere i muscoli. Il suo libero, La saga della primavera, era in potenza il programma più forte, con l’aggiunta del quadruplo Axel sarebbe stato inarrivabile. Non aveva mai pensato di poterlo eseguire al meglio, ma, come sempre, non aveva preparato un piano di riserva.

    – Non possiamo permetterci una caduta – disse Yakov.

    In linea generale, Victor preferiva cadere, salvando le rotazioni di un salto, piuttosto che abbassare le difficoltà. Se avesse giocato al ribasso, non sarebbe mai diventato quello che era. Era buffo constatare come da allenatore dicesse a Yuuri l’esatto contrario. E Yakov aveva ragione.

    Non c’era un punto del suo corpo che potesse permettersi un impatto col ghiaccio. Da una caduta, quel giorno, non si sarebbe rialzato. Era stato portato via in barella il giorno prima, ma dalla pista voleva uscirne con le sue gambe. Si guardò le mani. Meglio evitare anche doverle usare come sostegno. Doveva proprio guardare quel foglio, quindi.

    – Yakov, posso farli tre quadrupli! – protestò.

    – No, non puoi. Dimmi se puoi fare questo, in tutta sincerità, in caso contrario abbassiamo ancora le difficoltà.

    Una parte di lui voleva contraddire l’allenatore. Negare ogni oggettiva difficoltà, sorridere e andare avanti. Ma non poteva. Ormai, non poteva essere altro che se stesso.

    Combinazioni triplo e doppio. Da quanto tempo era che non faceva più dei doppi in una gara internazionale? Eppure la sua caviglia li avrebbe sentiti tutti. Il respiro affannoso, alla fine, sarebbe stato una sofferenza, con le costole rotte. E in caso di caduta si sarebbe letteralmente frantumato.

    – Ascolta, Vitya – aggiunse Yakov. – Tutti qui hanno letto di quanto è accaduto e vedono la tua faccia. Quelli che hanno qualche notizia più precisa si dividono in due gruppi. Quelli che non si capacitano del fatto che tu non ti sia ritirato e quelli che non vedono l’ora di vederti cadere. Io non voglio dare soddisfazione né agli uni né agli altri. Il pattinaggio non è solo muscoli e salti. È grazia e interpretazione. E per quanto bravi siano gli altri, su questo piano, persino adesso, tu sei ancora il migliore. Io voglio che tutti si dimentichino dei salti, della tua faccia coperta dalla medicazione, di quello che hanno letto. Voglio che ti guardino pattinare e pensino solo a quanto sia bello farlo. Puoi riuscirci per me, Vitya? È la nostra ultima gara.

    Victor annuì.

    – Posso farlo.

    Non solo per te, Yakov. 

    Per Yuuri. Mi esibisco prima di lui, se cadessi e mi facessi male non potrebbe mai scendere sul ghiaccio sereno. Per Yuri, che non lo ammetterà mai, ma ieri si è spaventato tantissimo e deve avere la prova che il suo coraggio non è andato sprecato. Per Chris, che è da questa mattina che mi manda messaggi scemi per farmi sentire meglio, lui che più di tutti aveva cercato di mettermi in guardia. Per me stesso. Non so nulla del coraggio. Ma forse posso ripartire da qui, dall’ascoltare chi è più saggio di me.

    – Allora corri a scaldarti e fai le tue prove tenendo a mente questo programma – disse Yakov.

    – Sì – annuì Victor, alzandosi.

    Appena le lame iniziarono a scorrere sul ghiaccio, da tutto il palazzetto si levò un applauso. Aveva ragione Yakov, naturalmente, quel giorno non poteva nascondersi. Non erano solo gli spettatori. Yuuri, Yuri, Chris, Phic e J.J., che si sarebbero esibiti nell’ultimo gruppo, ed erano già pronti a scaldarsi, si erano tutti fermati per applaudirlo.    

    Non sono solo. In realtà non lo sono mai stato. 

    Se solo lo avessi capito prima…

    Fece per provare almeno la sequenza di passi, ma dopo un istante tornò da Yakov.

    – Cosa…

    – Grazie – gli sussurrò.

    – Torna a scaldarti, idiota!


*
 

    Yuuri attese di sentire il punteggio di Phic.

    201.20

    Bene. Era stata un’ottima prestazione per lui. Con un totale di 291.70 era improbabile che andasse sul podio, ma da come sorrideva ne era soddisfatto. Yuuri avrebbe voluto avere la sua capacità di godersi le cose. C’era anche da dire che la sua sarebbe stata la migliore prestazione di sempre di un atleta tailandese in un’olimpiade invernale. 

    Lui non ha in casa, per dire, uno che considera normale vincere cinque titoli del mondo.

    Yuuri sorrise di quel pensiero. Il solo fatto che l’avesse formulato voleva dire che tutto stava andando per il meglio. Victor aveva pattinato bene nel riscaldamento. Certo, sembrava un po’ spento, con uno sguardo sperso che non era proprio da lui e che Yuuri supponeva non fosse dovuto solo ai farmici, eppure il semplice fatto di riuscire a muoversi sul ghiaccio aveva contribuito a farlo tornare un poco se stesso. E se Victor riusciva a pattinare, lui non poteva essere da meno.

    Il costume copriva del tutto i punti che aveva sul braccio. Era strano come un evento durato meno di cinque minuti cambiasse del tutto la prospettiva. Ieri mattina Yuuri, per quanto infinitamente più sicuro di se stesso di due anni prima, aveva comunque sentito tutto il peso del palazzetto olimpico, delle reti televisive di tutto il mondo, dei dirigenti giapponesi venuti a vederlo. 104 poteva essere un punteggio dignitoso, in termini assoluti, ma per l’impegno che aveva profuso in quel corto per tutto un anno, era piuttosto deludente. Adesso nulla di tutto ciò che lo circondava lo intimoriva. Che lo guardassero. Era lì per quello, no? Farsi ammirare. Quel mediocre pattinatore giapponese che avrebbe lottato per una medaglia olimpica. Perché alla fine era lì per quello, no? Non era venuto in Corea per farsi tagliare un braccio e vedere pestare il proprio fidanzato. Non aveva più senso nascondersi, a quel punto. E neppure avere paura.

    J.J. stava per iniziare.

    Yuuri non aveva mai provato sentimenti tanto violenti e negativi nei confronti di qualcuno. Anche quella era una cosa del tutto nuova. La rivalità agonistica, prima, non era mai sfociata in rancore personale. Forse era per quello che gli faceva così male. Non era pronto a qualcosa di tanto meschino da parte di uno di loro. Avevano gareggiato insieme, mangiato insieme, si erano fatti i complimenti a vicenda. Maledizione.    

    Lo sapevo che volevi vincere. Ma non così. Maledizione, non così.

    Quando durante il riscaldamento Victor era entrato in pista, J.J. si era fermato come tutti gli altri e aveva applaudito. Yurio era stato sul punto di saltargli alla gola. Di tutti quelli sul ghiaccio in quel momento, ad eccezione di Phic, che non era stato coinvolto per pura fortuna, il canadese era l’unico a non avere dei lividi da tirapugni sotto il costume. 

    Come fa a far finta di niente?

    Aveva iniziato.

    Yuuri spiò Victor. Non gli aveva detto niente del coinvolgimento del canadese e il giapponese sperò che fosse troppo intontito per arrivarci da solo.

    Intanto J.J. si preparava al primo salto. 

    Il suo quadruplo Axel, ovviamente.

    Partì bene.

    Una rotazione, due, tre… C’era un motivo per cui era un salto che fino al giorno prima nessuno aveva mai eseguito in gara. Yuuri si accorse che non lo stava controllando prima di lui.

    Cadde senza riuscire a minimizzare i danni, con il pattino sotto al proprio corpo.

    Nonostante tutto, Yuuri fu sollevato nel vederlo rialzarsi subito. 

    Ormai, però, aveva perso ritmo e concentrazione. E una parte di Yuuri sperava che avesse un livido enorme sulla coscia, dove aveva picchiato contro il pattino. Cadde di nuovo, meno rovinosamente, sul secondo quadruplo, anche se riuscì a completare le rotazioni.

    Non si può pattinare bene con l’anima sporca.

    Fece 179.68, del tutto insufficiente a far alzare Otabek dalla propria poltrona. 

 

*
 

    Le note di Schubert riempirono il palazzetto. In qualche modo, era come se facessero risuonare il ghiaccio. Davano un senso di pienezza. Come una coperta da cui si può essere avvolti.

    Yuri non ci aveva mai pensato. Non aveva mai provato il libero pensando che il realtà quella musica, così diversa da lui, gli piaceva.

    Chissà se si vedeva il livido sulla sua fronte? Quando si era alzato era di un bel blu violaceo. Poi era passata Mila ad aiutarlo a truccarsi, ma supponeva che un simile capolavoro, come l’aveva definito Otabek? Astratto, non potesse sparire del tutto.

    Il primo quadruplo. Partiva con un Flip. Quanto lo aveva odiato!

    Ma, insomma, non poteva essere più difficile che cacciare le dita negli occhi a un tizio che pesa il doppio di te e ti vuole pestare? O di baciare Otabek. No?

    No, non lo era.

    Atterrò perfettamente. Il miglior atterraggio che avesse fatto da mesi a quella parte. Ora combinazione, poi passi e trottola.

    Questa cosa di cui stanno cantando, io non ce l’ho.

    Che ne so io di religione? Mio nonno ha ancora i busti di Lenin e di Stalin in salotto. Yakov, se prega, lo fa davanti a un altare a forma di pattino.

    Ho sempre pensato di non poter credere in altri che me stesso. Non è vero. Nessuno di noi è solo.

    Sono caduto un sacco di volte negli ultimi due anni. In ogni modo possibile. Ma c’erano sempre braccia pronte a sostenermi. Il nonno, Yakov, ma anche Victor, Yuuri, Mila… E Otabek, naturalmente…

    Combinazione.

    Non è perfetta.

    Il ragazzino che sono stato, che non era consapevole di poter cadere, pattinava meglio. Era la gioia dell’incoscienza.

    Ma poi si cresce. Cos’era quella stupida storia? L’albero della conoscenza del Bene e del Male?

    Non potrò mai più essere quel ragazzino.

    Si cresce. Si cade. Si scoprono le mani pronte a sorreggerti.

    Questo Loop ha un altro valore ora che so quanto male fa cadere.

    Questo sono il me stesso di adesso. E devo ancora scoprire fin dove posso arrivare.

    Arrivò in fondo al proprio programma, con le ginocchia sul ghiaccio e i polmoni che sembravano voler spaccare la gabbia toracica. Aveva chiuso gli occhi e non riusciva ad aprirli. Ma sentiva gli applausi. Anche il pubblico aveva mani tese per lui.

    Con uno sforzo di volontà si rialzò a salutare.

    Era un gesto che aveva sempre fatto malvolentieri. Non ne aveva mai capito il senso. Ma erano gli sguardi del pubblico, le grida degli ammiratori, la soddisfazione delle persone che credevano in lui le mani che lo avevano sostenuto. Il minimo che potesse fare era ringraziarli.

    Sia Yakov che Victor lo attendevano all’uscita ed entrambi stavano sorridendo.

    – Non sono mai stato tanto fiero di un mio compagno di squadra – gli disse Victor.

    Per la prima volta, Yuri si rese conto che era da quando aveva undici anni che attendeva che l’altro glielo dicesse.

    221.60

    Il che portava il totale a 321.40. Aveva staccato Otabek di quasi venti punti.

    Un po’ si sentiva in colpa. Ma in realtà non riusciva a smettere di sorridere.

 

*

 

    Chris si esibiva subito prima di Victor e la cosa gli dispiaceva.

    Il russo aveva l’assoluta necessità di sciogliere e scaldare il più possibile il suo corpo maltrattato se voleva riuscire a portare a termine il programma da esordiente che Yakov gli aveva imposto. Perché peggio dell’idea di chiudere la propria carriera con delle combinazioni con dei doppi c’era solo quella di cadere su un salto doppio. Ipotesi tutt’altro da scartare. Eppure avrebbe proprio voluto fermarsi a guardarla, l’ultima esibizione olimpica di Chris.

    Quanto duro doveva essere stato essere per così tanto tempo il secondo al mondo?

    Ognuno di loro, lì, in qualche modo meritava di vincere. Nessuno arrivava nei primi posti di una finale olimpica senza dedizione e sofferenza. Ognuno era consapevole, lui solo, delle proprie lacrime versate, dei propri dolori e delle proprie rinunce. Eppure il pubblico si sarebbe ricordato solo del vincitore, a malapena del secondo e quasi per nulla del terzo. E nel giro di pochi anni anche gli eroi di un tempo sarebbero stati dimenticati, sostituiti dalla nascita di nuovi dei. Si erano votati a un mondo crudele, che esigeva più di quanto non desse in cambio. E che tuttavia sarebbe mancato loro come una parte di loro stessi.

    Interruppe gli esercizi almeno per vederlo entrare in pista e gridargli un incoraggiamento.

    Lo rivide con la sua stampella in mano, che intercettava uno degli aggressori prima che potesse arrivare fino a lui.

    Se era lì, più o meno in grado di gareggiare, lo doveva a Chris, Yuri e Otabek, ma sopratutto a Chris. Quanti pugni si era preso al posto suo? Quella mattina lo svizzero aveva minimizzato, dicendo che non era in grado di distinguere i lividi dovuti all’aggressione da quelli causati dalle cadute in allenamento…

    Adesso, pensò Victor, il rancore che provava per lui Max, il compagno di Chris, aveva molto più senso di esistere. A proposito, dov’era Max? Possibile che si perdesse l’ultima finale olimpica di Chirs? Eccolo lì, in uno dei posti migliori, a sventolare la bandiera della Svizzera. Victor gli sorrise, anche se di certo Max non stava guardando lui. Li aveva sempre invidiati. Per la naturalezza con cui potevano vivere il loro rapporto, per l’indulgenza che avevano l’uno nei confronti dell’altro… 

    Quanto si era arrabbiato quattro anni prima, quando, dopo una serata di follia, Chris gli aveva detto che avrebbe dovuto sentirsi lusingato, perché in fin dei conti era stato lui lo sfizio che Max gli aveva concesso? La colpa non era di Chris. Il problema era stato ammettere con se stesso che il massimo che poteva essere per qualcuno, e per qualcuno che gli era caro, era lo sfizio di una sera. Constatare che, pur con tutti i suoi difetti, Chris aveva trovato qualcuno che gli si adattasse perfettamente, mentre in tutto il mondo non sembrava esserci nessuno disposto a tenersi Victor per più di un paio di notti bollenti o che lui fosse disposto a tollerare più a lungo… 

    Adesso, però, augurava loro, di cuore, una serata più interessante della sua… No, forse interessante non era la parola giusta. Anche l’incontro che Victor avrebbe avuto con l’ortopedico sarebbe stato interessante. Quello che  augurava loro era una serata piacevole.

    Con un sospiro, Victor staccò gli occhi dalla pista, dove Chris aveva preso a muoversi, per tornare a concentrarsi su se stesso. Prese un respiro, che gli fece dolere le costole.

    – Tutto bene? – chiese Yuuri.

    La sua presenza, lì al suo fianco, gli infondeva calma. 

    – Sì… Dimmi come sta andando Chris.

    – Bene… Non precisissimo, ma bene.

    Era strano vivere quella situazione a ruoli invertiti, come se l’allenatore fosse Yuuri e lui quello da rassicurare. In qualche modo, aveva l’impressione che facesse bene a entrambi. Yuuri era più calmo di quanto mai l’avesse visto, come se la finale olimpica fosse il suo ambiente naturale.

    Lo è. Bisognava solo che se ne rendesse conto.

    – Ahh…

    – Cosa? – si allarmò Victor.

    – Niente, stava per… Ma ha recuperato. Continua con gli allungamenti.

    – Sembri Yakov.

    – Dici? Lo prendo per un complimento. Come va il braccio sinistro?

    – Non lo sento per niente. Non so cosa mi hanno iniettato, poco fa, penso che andrà dove vorrà lui… Che cosa imbarazzante…

    – Victor?

    – Sì?

    – Sarai bellissimo lo stesso.

    – Non farmi sorridere. Mi fa male la faccia.

    – Ha finito, sei pronto a scendere in pista?

    Victor prese un respiro.

    – Sì… Quanto ha preso Chris, secondo te?

    Yuuri ci pensò su, mentre lo svizzero salutava il pubblico. C’erano moltissimi applausi anche per lui. Che arrivasse o meno primo, era impossibile non apprezzarlo.

    – Sui duecento, credo – rispose il giapponese. – Secondo me come totale se la gioca con Otabek sul filo dei trecento punti.

    Victor annuì.

    – Tu puoi fare di meglio.

    – In realtà anche tu, anche con i salti che ti ha suggerito Yakov. Che ti piaccia o no sei ancora uno dei protagonisti, qui.

    Victor non sapeva bene come prendere quell’affermazione. Aveva fatto i suoi calcoli, naturalmente. C’era una parte della sua mente che lavorava ancora, nonostante tutto, in funzione della gara. Nella sua carriera, ovviamente, non aveva sempre vinto. Aveva perso la sua buona dose di primi posti. Per lui non arrivare primo era sempre e solo stata una sconfitta. In alcuni casi anche il primo posto, raggiunto con un livello che non lo soddisfaceva, era stato una sconfitta. Non aveva mai lottato davvero per un secondo o un terzo posto. Quella era una prospettiva del tutto nuova. Beh, a quanto pareva era ora di provare.

    Si avvicinò Yakov.

    – È ora di andare in scena – disse.

    – Sì – annuì Victor.

    – Vitya?

    – Sì?

    – Non cadere. Non ho alcuna voglia di perdermi la premiazione di Yuri per correre con te all’ospedale e il ragazzo, qui, deve ancora gareggiare. Non cadere.

    Victor annuì.

    – Farò del mio meglio.

    Si comincia. Per l’ultima volta.

 

    Si mosse con cautela sul ghiaccio, mentre l’altoparlante annunciava il terzo posto temporaneo di Chris. Le gambe andavano. La caviglia lo reggeva, per il momento. Respirare era una brutta faccenda che sarebbe peggiorata andando avanti. Le braccia e le mani erano dei pezzi di legno pronti a farlo urlare di dolore se solo avesse sfiorato… Beh, qualsiasi cosa. La medicazione allo zigomo gli toglieva parte di visuale e lo faceva sentire ancora più goffo e sbilanciato di quanto non fosse, oltre che orribile.

    Ma sono qui.

    Del resto è questo che sto mettendo in scena. Oggi si muore sul ghiaccio. Era questa la vicenda, no? La ragazza che balla fino a morire di sfinimento per propiziare la primavera. Io, però, non sono un’innocente vittima sacrificale. Com’era quella storia che mi ha raccontato Yuuri? I vecchi re del nord Europa, non ricordo di dove, che accettavano di venire uccisi in sacrificio perché un altro, più degno potesse regnare. Ecco. Un altro, più degno… Yuri o Yuuri? Quanta differenza nell’allungare una vocale. Chi lo avrebbe mai sospettato, una volta… Vorrei tanto che fossi tu, Yuuri, ma immagino che neppure quei sovrani potessero scegliere.

    Basta. È ora di andare.

    Facciamo vedere a tutti come muore un re.

    Con calma, raggiunse il centro della pista. Lo stavano già applaudendo. In realtà, suppose, nessuno pensava che potesse pattinare. 

    Fare il contrario di quello che pensa la gente. Beh, questo è sempre stato il mio modo di stare sul ghiaccio.

    Sempre con calma, nonostante le proteste di braccio e mano, si portò alle labbra l’anello, anche se questa volta era Yuuri a non poterlo guardare. Di certo si stava scaldando… No?

     Maledizione, Yuuri, è la finale olimpica! Pensa a te stesso, non a me.

    Beh, non poteva farci molto.

    Cercò Yakov con lo sguardo e annuì al suo cenno. L’allenatore aveva in mano il suo portafazzoletti a forma di cagnolino e lo stava sventolando. Era dall’ultima gara da juniores di Victor che Yakov rifiutava di farlo.

    Le note di Stravinskij presero possesso del palazzetto, del ghiaccio e della sua mente.

    Senza un pensiero consapevole, Victor iniziò a muoversi.

    No. Non posso semplicemente lasciare fluire la musica. Non questa volta. 

    La mia esibizione migliore con il minor punteggio tecnico degli ultimi dieci anni. Se non è una sfida questa.

    Il quadruplo Axel però lo avrebbe fatto. Dopo tutto, era ora o mai più.

    Dimostriamo che non è stato un caso.

    Poca elevazione.

    Fatto comunque.

    Lo faranno altri. Lo faranno meglio. Ma per adesso è mio.

    Anche la sua caviglia se n’era accorta. Adesso le due combinazioni. Quelle le avrebbe sofferte. 

    Si danza fino alla fine. Senza che nessuno possa togliermi gli occhi di dosso.

     Triplo Toe Loop e poi un doppio. Passi, trottola. Respirare stava diventando un affare complicato. Ma la musica lo teneva stretto. 

    Ripensò alle vecchie illustrazioni che Yuuri gli aveva fatto vedere, la danza come l’aveva pensata il compositore. Selvaggia e bellissima anche se votata alla morte. Quella era l’ultima volta, l’ultima volta davvero davanti a tutti quegli sguardi puntati su di lui, con il palazzetto intero e chissà quanta altra gente a casa che tratteneva il respiro. Triplo Luzt e doppio Flip.

    Non guardate le rotazioni. Dimenticatevene. Guardate me.

    Da quando l’aria si era fatta così densa, così difficile da attraversare? Yakov aveva ragione, come sempre. La prima parte sarebbe stata facile. Una combinazione con due doppi. Non importava, non finché la musica lo sosteneva. Iniziava a non avere più idea di cosa sarebbe accaduto dopo. Triplo Axel e doppio Salchow. L’aveva fatta da juniores quella combinazione. Eppure adesso sentiva il sudore e le braccia iniziavano a non rispondere più. Adesso l’ultima parte coreografica e poi la combinazione e il salto finale. Il re stremato che attendeva l’ultimo colpo. La ballerina che stava per cedere, ma che ancora danzava. L’ultima combinazione… Tremava. Aveva pensato, ancora pochi minuti prima, di riuscire a chiudere con un quadruplo. Il Salchow non era davvero difficile… Ma era troppo. Poteva reggere le rotazioni, ma non l’atterraggio. Anche il triplo… Sentì il piede scivolargli sul ghiaccio, in condizioni normali avrebbe appoggiato una mano sul ghiaccio… Con uno sforzo si rimise in posizione. La fitta che gli arrivò dalla caviglia, nonostante gli antidolorifici, gli disse che qualcosa aveva ceduto. Non importava. Quello che doveva essere fatto era stato fatto.

    Il programma terminava con lui accasciato sul ghiaccio. Non fu parte della coreografia. Qualche centesimo di secondo in anticipo sulla musica, si piegò sulle ginocchia. Non poteva lasciarsi cadere. Si afflosciò, mentre ogni respiro era una fitta che andava in sinergia con quelle alla caviglia.

    Io da qui non mi rialzo più.

    Vagamente, sentiva gli applausi. Aveva una vaga percezione dei peluche e dei fiori che venivano lanciati sulla pista.

    Sto per vomitare. Questo sì che sarebbe imbarazzante.

    Provò ad alzarsi, ma non c’era un punto del suo corpo dove potesse fare forza. Il piede sinistro, da solo, non bastava a metterlo in piedi.

    No… Se qualcuno non mi viene a prendere non posso muovermi.

    Beh, anche quella era un’esperienza nuova.

    C’era un modo di avvisare del problema senza allarmare tutti?

    Dopo un certo tempo, che a lui parve infinito, ma che probabilmente non era neppure un minuto, una delle ragazze che raccoglievano i fiori arrivò da lui per chiedergli qualcosa in un inglese incerto.

    – Prendimi al polso destro – sussurrò.

    In qualche modo si rimise in piedi. La ragazza era uno scricciolo, ma fece del suo meglio per trainarlo all’uscita.

    Yakov dovette afferrarlo.

    – Fai piano – sussurrò Victor. – Come sono andato? Yuuri?

    – Beh, ne hai ancora di fiato… Qual è il braccio messo meglio?

    – Il destro.

    – Ok, allora così dovremmo riuscire a farcela.

    – Dimmi il resto.

    – Il ragazzo si sta scaldando, è quasi svenuto un paio di volte, ma questa è colpa tua.

    – Come sono andato?

    – Allora davvero non stai così male… Il quadruplo Axel deve insegnarlo più presto a Yuri, al mio Yuri, anche al tuo, se vuoi. Perché come lo hai fatto tu è piuttosto imbarazzante. Non che qualcuno se ne sia accorto, giudici compresi. Erano troppo stupiti dal fatto che stavi pattinando, ma quando ti rivedrai nelle registrazioni vorrai morire.

    Victor sorrise. Per dare una scusa anche alla guancia di lamentarsi.

 

    190.80

    – Come diavolo hanno fatto a darmi 98 di punteggio artistico?    

    – Consideriamolo un premio all’incoscienza – borbottò Yakov.

    Poi il vecchio allenatore sorrise.

    – Hai il bronzo assicurato. Neppure questa volta sono riusciti ad abbatterti.

    Victor non replicò. C’erano due problemi da considerare. Non sapeva come alzarsi da dov’era seduto. E Yuuri stava per iniziare.


*

 

    Ed eccomi qui. Quel mediocre pattinatore giapponese che alla fine ha raggiunto quel sogno così grande che neppure riusciva a formulare. Lottare per una medaglia olimpica.

    Aveva rischiato di non arrivare sul ghiaccio. Per infarto. Nella la seconda metà del programma di Victor era invecchiato di dieci anni. L’ultimo salto, con quell’atterraggio incerto salvato all’ultimo gli era quasi stato fatale. Ma ce l’aveva fatta. Ce l’avevano fatta. Mancava solo la sua esibizione. Un’inezia.

    Amava quel programma. Amava il costume. Mentre studiava la coreografia, Victor gli aveva fatto vedere il video di un’esibizione del 2006 di Lambiel, sempre sulle Quattro Stagioni di Vivaldi. Il costume tigrato del pattinatore svizzero era entrato nei suoi incubi. Yuuri si era fatto ricamare sul proprio una decorazione di rami e di foglie che si avvolgeva intorno al suo busto e alle sue braccia, passando dall’arancione dell’autunno al verde dell’estate piena. L’albero che rimaneva, nel tempo che cambiava. Il suo tempo e quello di Victor sarebbe inevitabilmente cambiato dopo quel giorno, ma rimaneva l’albero, l’amore e la vita. Era a quello che voleva pensare, mentre pattinava.

    No. Voleva pensare solo all’esibizione. Alla velocità. All’estasi dei salti. A quanto amasse pattinare.

    E poi, dopo quello che ha appena fatto Victor, devo essere più che splendido, per catturare l’attenzione di tutti.

    Yakov aveva ragione. Non gliene è importato nulla a nessuno della difficoltà dei salti, dopo il primo. Nessuno riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Beh, io dovrò anche saltare.

    Guardatemi. Io solo il tempo che cambia. Sono la tempesta d’inverno e l’alba d’estate. Guardatemi.

    Era facile. Adesso che era sicuro di cosa doveva fare, della giusta successione degli elementi, non doveva neppure pensare. Lui era l’albero che attraversava le stagioni, scosso dai venti, doveva solo assecondare l’aria.

    Il quadruplo Flip iniziale, poi la combinazione. Il vento improvviso che gelava la nascente primavera. Si inarcò all’indietro, fino a toccare il ghiaccio con la punta delle dita. Improvviso, il clima cambiava. Trottole come fiori che si aprivano. E poi i salti della tempesta dell’estate. Questo rappresentava l’anno precedente, con tutte le sue tensioni. Era liberatorio poterlo mettere in scena. Sperò che lo stessero guardando tutti. I dirigenti federali che avrebbero voluto la testa di Victor. Quelli che avevano organizzato l’agguato del giorno prima. No, non lo sperava. Lo stavano guardando, proprio come lo guardava J.J.

    Guardate. L’unica cosa che avete ottenuto è farci pattinare così.

    Era nella seconda parte, ma non era così stanco. Yuri quando aveva terminato era a un passo dall’infarto. Ma lui poteva dare ancora qualcosa. Victor aveva avuto ragione. Era una questione di bilanciamento. Una combinazione non troppo complicata. Una parte coreografica. E terminare con il quadruplo Lutz. Non lo aveva fatto nessuno quel giorno.

    Terminò con un ginocchio sul ghiaccio e le mani protese verso l’alto.

    Com’era andato?

    Tutti erano in piedi ad applaudirlo.

    Questo doveva essere un buon segno, no?

    Dov’erano le persone che gli interessavano?

    Tamura lo aspettava. Stava applaudendo. Yakov era al suo fianco e anche lui applaudiva. Nel maxi schermo si vedeva l’area riservata agli atleti primi in graduatoria. Anche Yuri era in piedi e applaudiva. Victor no, ma sorrideva e si passava l’indice della mano destra, una delle poche dita sane, sugli occhi. Era un buon segno, no?

        

*
 

    Yuri si alzò in piedi per applaudire il suo omonimo con un istintivo moto di ammirazione. E capì che mister cotoletto gli aveva appena portato via l’oro olimpico.

    Va bene così.

    Non lo so se è stato più bravo di me, oggi. Ma di sicuro lo è stato ieri. Lui è il più forte, adesso. Ma io… Io lo sono di nuovo.

    Quell’argento che ancora non aveva al collo, ma che presto sarebbe arrivato, aveva un sapore del tutto diverso rispetto a quello della gara a squadre. Quanti giorni erano passati? Cinque giorni. Gli sembrava che fosse passato un anno o un secolo. Che si fosse risvegliato di colpo da un lungo incubo iniziato quando il muscolo della sua coscia si era lacerato. Negli ultimi cinque giorni aveva accettato il fatto che sarebbe caduto, ancora e ancora, ma che ci sarebbe stato sempre qualcuno pronto ad aiutarlo a rialzarsi. Aveva scoperto di avere il coraggio di cacciare le dita negli occhi a un tizio che pesava il doppio di lui e di avere anche il coraggio di baciare la persona che gli piaceva davvero. E aveva vinto la medaglia d’argento alle olimpiadi. Poteva essere soddisfatto da quello che aveva fatto in cinque giorni, no?

    – Ha fatto il record? – chiese Victor.

    Non si era alzato ad applaudire, quello era chiedergli troppo, ma si stava sforzando di non scoppiare a piangere. E che male c’era se l’avesse fatto? Yuri pensò che non sarebbe stato brutto essere accolti, dopo un’esibizione, da lacrime di gioia.

    Otabek scosse il capo.

    – Secondo me te lo tieni per mezzo punto. Però non mi ci affezionerei troppo, al mondiale se lo prende – disse. Poi considerò Yuuri, ancora in attesa del risultato – Io però devo lasciarvi. È evidente che sono arrivato quarto.

    Lo disse sorridendo e Yuri pensò che aveva visto poche cose belle come quel sorriso, che non conteneva un briciolo di astio, il sorriso di un uomo del tutto soddisfatto di ciò che aveva fatto e di ciò che aveva visto. Senza pensarci, Yuri superò con un balzo i pochi metri che li dividevano e gli afferrò ciascun polso con le mani.

    – Resta! – disse. – Chissenefrega del protocollo. Queste medaglie non le abbiamo vinte oggi, ma tutti e cinque ieri, davanti alla mensa.

    – Sì – annuì Victor. – Dobbiamo chiamare anche Chris.

    Sotto la soddisfazione e la gioia iniziava a farsi strada la stanchezza e di secondo in secondo aveva un aspetto sempre più esausto.

    L’attenzione di Yuri, però, era tutta per Otabek che, con ancora i polsi stretti nelle sue mani, avvicinò il viso al suo per sussurragli all’orecchio.

    – Avrai la camera libera tutto il pomeriggio. Credi che potremo riprendere il discorso che abbiamo iniziato in bagno?

    Yuri sperò con tutto se stesso che le telecamere di mezzo mondo non stessero inquadrando lui, perché era sicuro di essere color porpora.

    – Sì – sussurrò.

    – È uscito il punteggio – li richiamò Victor.

 

POS

ATLETA

PUNTEGGIO TOTALE

PROGRAMMA CORTO

PROGRAMMA LIBERO

1

Yuuri Kastsuki

326.68

104.58

222.10

2

Yuri Plisetsky

321.40

99.80

221.60

3

Victor Nikiforov

303.40

112.60

190.80

4

Otabek Altyn

302.80

86.80

216

5

Christophe Giacometti

301.90

105

196.90

6

Phichit Cualanont

291.70

90.50

201.20

7

Jean-Jacques Leroy

286

106.32

179.68

8

Lee Sung-il

270.20

88.30

181.90

9

Michele Crispino

268.18

85.10

183.08

10

Emil Nekola

262.30

83.40

178.90

11

Kenjirou Minami

259.72

81.20

178.52

12

Guang Hong Ji

257.80

83.10

174.70

 

*

    Mentre sui maxischermi appariva il punteggio e poi la graduatoria finale, Victor sentì l’ultimo nodo di tensione sciogliersi del tutto.

    Perché possa regnare un sovrano più degno… Sì. 

    È il re che volevo.

    Yuuri, inquadrato subito dopo, aveva quel suo particolare sguardo tra lo stupito e il sognante di chi non riesce ad accettare del tutto che stia capitando a lui. Una parte di Yuuri si identificava ancora con il ragazzo che si chiudeva nel bagno per piangere dopo una sconfitta. Egoisticamente, Victor sperò che non cambiasse mai del tutto. Non solo egoisticamente. Lui non aveva mai guardato un punteggio con quella sorpresa felice. Il punteggio della scorsa olimpiade, quello del suo oro, lo aveva guardato con odio.

    Anche il mio sguardo è cambiato, in questi anni.

    Sentì il suo corpo che si afflosciava. Gli faceva male tutto. Per il momento un dolore sordo, diffuso, ma di sottofondo, con la notevole eccezione della caviglia. Non erano male quelle poltrone. Magari gli avrebbero permesso di restare lì per sempre.

    – Victor…

    Doveva aver chiuso gli occhi. 

    Quando li riaprì c’era davanti a lui lo sguardo preoccupato di Yuuri. Era un peccato. Il giapponese era bellissimo, con ancora le guance arrossate, i capelli sudati e la bandiera giapponese sulle spalle. Era così che aveva sempre sognato di vederlo. 

    – Sei stato bellissimo… Bravissimo. Ma anche bellissimo.

    – Anche tu.

    – Non è vero.

    – Dobbiamo andare.

    Cosa si faceva se si vinceva una medaglia olimpica? Sì… Il giro di pista con le bandiere.

    – Io da qui non mi alzo. Neppure per i tuoi begli occhi.

    Da dietro le spalle di Yuuri fecero capolino le teste di Otabek e di Chris.

    – A quanto pare questa volta siamo invitati anche noi alla festa – disse Chris. – Ce la fai a stare in piedi?

    Victor scosse il capo.

    – Non ne ho idea.

    – Tu cerca di farlo e noi ti portiamo in giro per la pista.

    Qualche minuto dopo Victor scoprì, con sorpresa, che era divertente. 

    Yuuri pattinava davanti a tutti, con la bandiera che sventolava sulle spalle, come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Yuri era subito dietro, con la bandiera olimpica. Qualcuno aveva provato a passargli quella russa, ma lui aveva scosso il capo. Dopo quanto era accaduto il giorno prima, il ragazzo aveva un’idea assai meno romantica della propria patria. Infine arrivava lui, con Otabek che lo teneva per il braccio destro e Chris dietro, pronto a prenderlo nel caso fosse caduto. Tutto il palazzetto li stava applaudendo, in piedi. Stavano dicendo qualcosa in inglese sul perché fossero in cinque sulla pista, ma nessuno ne aveva bisogno. Era il suo ultimo giro di pista. Era così strano. Eppure era bello.

    Se avessi potuto scegliere, avrei scelto un finale diverso?

    Beh, forse uno con meno fratture.

    Di certo questo è memorabile. Nessuno qui se lo dimenticherà.

    Si fermarono tutti e cinque. Era ora di sistemarsi prima della premiazione. Yuuri aveva gli occhi che brillavano così tanto… Era inappropriato baciarlo proprio in quel momento?

    – Victor, Yuri, devo dirvi qualcosa – iniziò il giapponese. – Tutto sommato credo che questo sia il momento giusto.

    No, pensò Victor, non lo era. Anche Otabek si stava chiedendo se fosse un buon momento per un bacio… Forse, però, proprio per quello era il momento giusto.

    – Victor, tu hai bisogno di agonismo. È una parte di te – disse Yuuri. – Io… Non voglio ritirarmi adesso, ma prima o poi dovrò farlo. Yuri ha davanti a sé almeno dieci anni di gare. Io penso che tu voglia allenare anche lui. E io lo vorrei come compagno di allenamento. E se Yakov, come ha detto, vuole prendersi un periodo di riposo, mi sembra per tutti la soluzione migliore.

    Victor sbatté le palpebre.

    Adesso però non potevano pretendere che non piangesse.

    – Yuuri, ne sei sicuro? Non pensavo che volessi che allenassi qualcun altro.

    Il giapponese si strinse nelle spalle.

    – Non volevo. Ero stupido. Ma in realtà mi piacerebbe. Penso che potrebbe essere stimolante.

    – Yuri? – chiese Victor.

    – Se Yakov vuole andare per un po’ a pescare salmone, qualcuno devo trovarmi – replicò il ragazzo. – Al momento, dai risultati del tuo allievo, sei il meglio sulla piazza. Ma guarda che ti mollo, se non ottengo quello che voglio.

    – Sono io che ti caccio a pedate, se entro sei mesi non fai il quadruplo Axel come si deve. Perché ti avviso, Yuuri ci riuscirà in quattro.

    Yuri si girò un istante verso Otabek, ma il kazako mise le mani avanti.

    – Non posso permettermi di venire ad allenarmi in Giappone. Devo stare con la mia famiglia, adesso. Però, se Victor organizzasse qualche sessione intensiva in estate…

    – Ragazzi, per quanto sia divertente stare qui a chiacchierare in mondovisione, tre di noi devono andare verso quella formalità della premiazione – si inserì Chris. – E bisogna pensare qualcosa per il galà…

    Otabek sorrise e poi scosse il capo.

    – A cosa stai pensando? – chiese Yuri.

    – Pensavo… Potremmo far fare una sorta di slitta a forma di cagnolino e metterci su Victor.

    L’idea era tanto assurda e tanto incongrua con i soliti modi marziali e seri di Otabek che tutti scoppiarono a ridere.

 

*

Eccomi qui. Quel mediocre atleta giapponese che ha vinto un oro olimpico.

    La mia unica olimpiade.

    Ci sono stati momenti in cui mi sono odiato per essere venuto qui.

    Ho vissuto il momento peggiore della mia vita. Non mi ero mai spaventato tanto. Ma alla fine non è andata così male, no?

    In piedi sul blocco più alto, Yuuri cantava il proprio inno nazionale, mentre la mente vagava. Strano. Aveva sempre pensato che gli atleti fosse del tutto concentrati sul proprio dovere, in quel momento. Al mondiale, in effetti, era stato così. Ma l’olimpiade era un’altra cosa. E poi… Una parte di Yuuri continuava a controllare Victor, che era in piedi, dritto, con la faccia metà coperta dalla medicazione, ma il giapponese non aveva idea di quanto potesse ancora reggere. Quando erano venuti a consegnare la medaglia, l’autorità coreane preposta aveva fatto per stringergli la mano, poi l’aveva vista e aveva desistito. Non importava. Stando lì, in piedi, con una medaglia di bronzo che si era guadagnato al cento per cento, Victor stava dimostrando a tutti, anche a se stesso, di essere più forte di chiunque avesse provato ad abbatterlo. E Yuuri era fiero, estremamente fiero, di essere al suo fianco. 

    Non poteva esserci un momento migliore per suggellare il ricordo della sua unica olimpiade.

    Unica?

    Aveva promesso a Victor di ritirarsi prima di portare il proprio corpo al limite. E, in tutta sincerità, non ci teneva a provare lacerazioni muscolari, fratture, articolazioni che andavano in pezzi. I prossimi mesi si prospettavano interessanti da un punto di vista ortopedico. Aveva il sospetto che la caviglia di Victor andasse rimessa letteralmente insieme e la riabilitazione non sarebbe stata divertente per nessuno dei due. Gli avrebbe ribadito la necessità di ascoltare il proprio corpo e di fermarsi in tempo. Ma al momento stava bene. Alla sua età Victor si era già rotto la caviglia due volte. Aveva  quattro anni più di lui e, con l’aggiunta di quanto era accaduto il giorno prima, aveva vinto un bronzo che nessuno gli aveva regalato. Tra quattro anni Yuuri poteva essere a Pechino. Magari a lottare per una medaglia. Perché no?

    E dopo?

    Beh, Victor era un agonista nato. Viveva per la competizione. Avrebbe allenato, sempre, atleti potenzialmente vincenti per spingerli a dare il massimo. In cambio, avrebbe dato loro tutto ciò che aveva da dare, come aveva fatto Yakov. Quanto a lui… Yuko aveva iniziato a seguire i bambini, al palazzetto. Non gli sarebbe dispiaciuto, più avanti, quando si fosse ritirato dalle gare, occuparsi dei più promettenti. Non poteva farcela con gli adolescenti, ma gli sarebbe piaciuto davvero lavorare con i ragazzini. E andare nelle scuole a raccontare cosa fosse il pattinaggio. E girare per i tanti palazzetti del Giappone per individuare i ragazzi più promettenti e fare modo che non dovessero andare dall’altro capo del mondo per migliorarsi. 

    Non era una brutta idea di futuro.

    Le cose cambiano. Ci sono tempeste inevitabili. Non si può cercare di volare senza cadere.

    A volte, però, si può assecondare il cambiamento, farsi portare dal vento.

    Perché non è detto che domani debba per forza essere peggiore di oggi.






ULTIMISSIME NOTE: grazie di essere arrivati fin qui. Spero che vi sia piaciuto il viaggio, che la gara vi abbia emozionato. Le avventure dei miei "pattinini", però non sono venute. Chi vorrà potrà ritrovarli in un momento non ancora definito dopo il 25 aprile (spero non troppo dopo, però) con la FINALE DEL GRAND PRIX 2018. Il 2018 è decisamente un anno di cambiamento per tutti, che vale la pena di essere raccontato.
A presto.
Nel mentre, tra le tante belle fic del fandom, mi sento di consigliarvi di cuore Marsiglia 2016 di ElinaFD. I suoi personaggi sono diversissi dai miei (curiosamente tranne Otabek, quello di cui si sa meno), ma le emozioni che regalano sono vivide ed estremamente realistiche.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yuri on Ice / Vai alla pagina dell'autore: Tenar80