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Autore: Ryo13    15/04/2019    2 recensioni
Verso la fine della Seconda Guerra mondiale una giovane donna fugge dal lager di Dachau. Viene soccorsa da un medico tedesco da sempre innamorato di lei che la nasconde in casa propria.
❈❈❈Seconda classificata e vincitrice del premio speciale "Sliding Doors" al contest "Coincidenze perdute, appuntamenti mancati, scelte difficili: Sliding Doors Contest" indetto da missredlights e Shilyss sul forum di EFP❈❈❈
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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8. Il canto dei morti

Maggio, 1990
 

«Lei è la signorina Faith Haller?», domandò una voce alle spalle della donna.

Faith si voltò e quasi finì addosso a un uomo che indossava una camicia azzurra arrotolata alle braccia. Questi l’afferrò, aiutandola a mantenere l’equilibrio.

«Sì, mi perdoni. Sono io. E lei sarebbe…?»

«Andreas Keller», rispose prontamente, allungandole la mano.

Gliela strinse, mentre recuperava il bagaglio a mano. «Oh, lei è il dottore con cui ho parlato al telefono.»

«Sì, esatto», confermò con un sorriso. «Sono davvero contento che sia riuscita a venire, signorina Haller...»

«Mi chiami pure Faith.»

«Faith, allora» approvò. «Dicevo che sono molto contento che tu sia venuta. So che deve essere stato tutto improvviso e che magari non hai ben chiara la situazione.»

«Oh, non ti preoccupare. In effetti, ho passato la settimana a interrogare mia nonna Brigit. È incredibile quante cose non sapessi. La tua chiamata mi ha dato modo di conoscere una parte importante della storia della mia famiglia.»

Nel frattempo Andreas la condusse nel parcheggio e l’aiutò a posizionare i bagagli nell’auto. Parlarono a lungo delle ricerche di lui e di quello che Faith aveva scoperto a casa. La situazione era così affascinante che, nell’entusiasmo, si trovarono subito a proprio agio l’una con l’altro.

«Dunque, ti dicevo che non c’è quasi alcun dubbio che siamo noi gli Haller che cercavi.» Tirò fuori dalla borsa un plico di documenti mentre l’uomo guidava tranquillamente nel moderato traffico cittadino. «Ho qui i registri di immigrazione della mia famiglia, quando è arrivata in America nel 1945 e, eccezionalmente, persino i certificati di nascita dei miei parenti da parte di padre. Nonna mi ha raccontato che avevano preso tutte le cose più importanti in vista del viaggio. Purtroppo il nonno non riuscì a superare i controlli.»

Faith raccontò dell’attacco subito dal bisnonno nella sua bottega. «Questo spinse la famiglia a considerare con urgenza l’evenienza di una fuga. Erano già stati perseguitati nemici politici e le altre minoranze: capirono in fretta che l’odio razziale stava per scatenarsi anche contro gli ebrei.»

Il bisnonno Albert aveva convinto i figli a seguirlo ma, prima che fossero riusciti ad allontanarsi abbastanza, era stato ucciso assieme a loro.

«Nonno Hans e il prozio Joshua persero la vita per proteggere le donne», continuò. «Sopravvissero solo la bisnonna Cecilie, la prozia Hannah e nonna Brigit assieme a mio padre, Stefan Haller, che al tempo aveva solo tre anni. Però solo mia nonna e mio padre riuscirono a salire su una nave diretta in America. Per tanti anni non seppe cosa ne fosse stato né della suocera né della cognata; solo dopo la fine della guerra riuscì a fare alcune ricerche e a scoprire che erano state portate in un Campo di concentramento. Nonna credeva che fossero morte entrambe lì.»

«Non esattamente», disse Andreas.

«Sì, è quello che hai detto al telefono, ma temo di non avere capito cosa tu abbia scoperto.»

«Secondo i dati che ho raccolto, Hannah riuscì non so come a evadere. Poi ho scoperto che era stata soccorsa da un medico, il quale la tenne nascosta per mesi: Ezra Kruger, te ne ho parlato, se ricordi.»

«Oh! Sì… hai detto che saremmo andati a trovarlo. Dunque lui l’ha salvata?», disse con un tono meravigliato. «La nonna sarà felicissima di saperlo! Ogni volta che parla di loro si commuove. Noi non volevamo turbarla, per questo molti dettagli non li conoscevamo.»

«Se preferisci ti porto subito da lui, anziché andare in albergo.»

La proposta venne accolta volentieri.

Andreas spiegò che il signor Kruger era un tipo particolare e che non si sarebbe dovuta impressionare se l’avesse visto fare cose strane. Ma Faith conosceva la fragilità di chi aveva vissuto una guerra sulla propria pelle, e sarebbe stata delicata.

Andreas guidò per una strada alla periferia della città: tuttavia non distava molto dal centro abitato. Posteggiò la macchina e l’aiutò a scendere, prendendole di mano i documenti.

«Mi raccomando», le disse in prossimità della porta, «lo vengo a trovare regolarmente ma non credo abbia capito di preciso quale sia il mio lavoro. Per non agitarlo mi presento come un amico. Introdurrò anche te allo stesso modo.»

Suonato il campanello, la porta venne aperta senza indugio. Si profilò la figura di una donna sulla cinquantina, piuttosto in carne. Doveva essere un’infermiera a giudicare dalla divisa.

«Dottor Keller, buonasera», lo salutò la donna. Dedicò un sorriso anche a Faith e si presentò come Marga. «Qui avrei finito, quindi lo lascio alle sue cure», disse. Ma non se ne andò prima di avere indicato dei dolci sul tavolo del salottino e di averli invitati a mangiarne.

Seduto su una poltrona, vicino la finestra, c’era un uomo sull’ottantina: aveva i capelli bianchi ordinatamente pettinati, un vestito dai colori coordinati di una stoffa un po’ pesante rispetto alla stagione, e teneva un plaid a motivo scozzese sulle gambe.

Accolse con un cenno il dottore mettendo da parte la maschera per l’ossigeno.

«Signor Keller», disse, «che piacevole sorpresa. Hannah sarà contenta di vederla.»

L’uomo si girò chiamando ad alta voce il suo nome. «È di sopra, tra poco scende», spiegò.

Andreas presentò Faith come una sua recente conoscenza.

Ezra la fissò corrugando la fronte, senza rispondere alle domande di cortesia del dottore.

Fece un cenno alla ragazza di avvicinarsi. Lei, perplessa, lanciò un’occhiata ad Andreas il quale scrollò con un sorriso le spalle. Se voleva, si poteva avvicinare.

«Più vicino, più vicino...» disse spazientito quando lei fece pochi passi avanti. Quando le fu a portata di mano le afferrò saldamente un braccio e la costrinse a inginocchiarsi ai suoi piedi.

Faith non era allarmata, ma non sapeva che cosa dire.

«Parla», le ingiunse.

«C-che dovrei dire?», chiese confusa. Quando capì che non l’avrebbe lasciata andare se non l’avesse accontentato, si presentò col suo nome e gli disse il motivo della sua visita, omettendo certi dettagli.

«Hai proprio la sua voce...», sussurrò, con una strana espressione. «hai detto che ti chiami Haller

«Sì, signor Kruger.»

«Anche il cognome della mia Hannah è Haller», specificò.

«Lo… lo so, signor Kruger. In effetti siamo parenti: vede, Hannah sarebbe la mia prozia da parte di padre.»

Questo fece impensierire Ezra. Andreas tentò di distogliere la sua attenzione da questioni troppo complicate e lo dirottò verso argomenti più tranquilli.

Finalmente Faith riuscì a rialzarsi e si allontanò leggermente confusa: Andreas l’aveva avvisata che poteva fare qualcosa di strano ma non si aspettava certo questo comportamento.

Comunque la conversazione proseguì pacificamente.

Ezra raccontò al dottore le sua attività quotidiane, soprattutto il fatto che Hannah adesso aveva cominciato a leggergli un nuovo libro. Sembrava entusiasta.

Dopo un po’, diede i primi segni di stanchezza e Andreas si congedò con la promessa che sarebbero tornati il giorno dopo.

Anche se insistette perché rimanesse comodo al suo posto, Ezra si alzò comunque per accompagnare gli ospiti alla porta. Quando però furono in prossimità delle scale, si raddrizzò, il volto illuminato.

«Hannah, Eccoti! Hai fatto tardi, i nostri ospiti se ne stanno per andare.»

Le si avvicinò allungando una mano e prendendo quella della donna nella sua e, come faceva ormai da anni, si chinò a baciarle il palmo con tenerezza. «Mia adorata...», sussurrò.

Faith, commossa, si portò una mano al viso, presa all’improvviso dalla voglia di piangere. Aveva sentito l’amore che quell’uomo provava verso la prozia ogni volta che la nominava ma vederlo così le toccava una corda nel cuore. Non aveva mai visto una forma tanto tangibile di affetto.

Ezra la presentò a Faith, spiegandole che era la sua pronipote. Colta alla sprovvista, non sapeva bene cosa fare e chiese di nuovo aiuto al dottore, il quale aveva sicuramente più esperienza di lei. Questi infatti si avvicinò di un passo e tese una mano per salutare. Disse qualche frase di circostanza che permise a Faith di avere il tempo di raccogliere i propri pensieri. 

Quando si sentì pronta, lo imitò, ostentando calma.

Non si trattennero a lungo perché Andreas aveva intuito lo sconvolgimento emotivo della ragazza. Salutarono ancora una volta prima di andare via.

Nell’abitacolo della macchina regnò il silenzio fino a metà strada. Poi, con un colpetto di tosse, Andreas si decise a chiedere: «Come ti senti? È stato troppo forte come prima volta?».

Lei lo fissò muta, cercando le parole per esprimere ciò che provava.

«N-non so… è stato strano.» Dopo qualche altro momento, continuò: «Mi avevi detto che hai in cura il signor Kruger da diversi anni, e mi avevi anche spiegato di che tipo di patologia soffrisse, eppure non avevo capito fino in fondo».

«Pensavo avrebbe parlato generalmente di lei, un po’ come ha fatto all'inizio: con lui che la chiamava dalla scala, ma non mi aspettavo che… che ‘scendesse’, ecco.»

«Capisco. Sì, immagino tu non abbia pensato che ti saresti trovata nella situazione di dover fingere di interagire con una persona che non esiste. Quello che cercavo di dirti è proprio questo: il signor Kruger vive in un mondo tutto suo; la sua mente si è convinta da tempo di vedere Hannah perché non tollerava la sua scomparsa. Riesce a rapportarsi anche col mondo reale —  per anni ha condotto un’esistenza quasi normale — ma fino a un certo punto. È un caso che hanno studiato numerosissimi dottori, i quali hanno sempre tentato di dare una definizione al suo disturbo... ma non cade esattamente in una categoria definita.»

Detto questo, le raccontò che era stato trovato a vagare nella stazione di Ulm nel 1944, in mezzo alla macerie degli edifici crollati dopo il lancio delle bombe.

Era in chiaro stato confusionale, ricoperto da strane ferite: i testimoni dell’epoca avevano riferito che continuava a ripetere certe frasi: “Se fossi arrivato in tempo all’appuntamento...”; “Non doveva succedere”; “Posso rimediare”; “Non me la porteranno via”; e che chiamava il nome di una certa Hannah.

L’avevano ricoverato per qualche tempo, arrivando a sedarlo pur di impedirgli di tornare alla stazione a cercare tra i morti. Solo più tardi era sembrato riprendersi, salvo poi scoprire che parlava con una persona immaginaria. A ogni modo, non era in pericolo di vita e, con le dovute precauzioni, venne dimesso. I medici continuarono a seguirlo a distanza.

Il signor Kruger divenne famoso tra gli studenti di psichiatria: alcuni svolgevano parte del proprio tirocinio dedicandosi a delle sessioni in casa sua.

Col tempo, la storia su chi fosse ‘Hannah’ venne ricostruita e, negli ultimi tempi, Andreas che aveva continuato a lavorare al suo caso anche nel post-laurea aveva avviato una ricerca storiografica. Attraverso molti documenti e grazie ai racconti dello stesso paziente, era riuscito a trovare i giusti Haller in America, coi quali si era poi messo in contatto.

«Sono davvero sbalordita… non immaginavo neanche lontanamente tutto questo. Quando mi hai parlato di un uomo che aveva conosciuto da vicino la mia prozia ho immaginato che fosse una vecchia fiamma, qualcuno che poteva raccontarmi qualche storia da riportare in famiglia. Anche se mi avevi avvisato del suo problema con la realtà, dicendomi che fosse convinto che Hannah non era morta, io davvero non… non immaginavo una storia simile.»

«Ha dell’incredibile, lo ammetto. Proprio per questo la mente è così affascinante: ha il potere di creare universi. Personalmente sono sempre stato attratto dalla sua vicenda.»

Parlarono del più e del meno nel restante tratto di strada. 

Andreas accompagnò Faith in albergo dove la lasciò a riposare. Rimasero d’accordo di tornare dal signor Kruger l’indomani, in modo che lui potesse raccontare qualcosa della sua amata Hannah alla pronipote. La famiglia di lei, in America, sarebbe stata consolata nel conoscere gli ultimi momenti della sua vita.

Faith crollò sul letto con un pesante sospiro. Non riusciva a togliersi dalla mente l’esperienza che aveva appena vissuto e il pensiero di quell’uomo che da oltre quarant’anni viveva un amore disperato e solitario, dentro la sua testa. Era qualcosa di estremamente romantico da un lato, eppure profondamente inquietante e sbagliato dall’altro. Ma chi era lei per giudicare? Probabilmente era stato l’unico modo per sentirsi consolato.

L’ultimo pensiero, prima di addormentarsi, andò alla zia: chissà cosa aveva sofferto rinchiusa in quel luogo orribile. Sperò che anche lei avesse trovato alla fine un po’ di consolazione nell’amore di quell’uomo così insolito e caparbio.

«Hannah, hai visto la ragazza che è venuta a trovarci oggi? Ti somigliava tanto. Aveva la tua stessa voce, quella con cui cantavi un tempo mentre stendevi i panni sul retro di casa. Ha i tuoi capelli, una tonalità appena appena più chiara, ma pressoché lo stesso colore. Che belli… lo ricordo, sai, come brillavano al sole. Una sfumatura di rame e di bronzo fuse insieme. Quando eri sudata li scostavi con un gesto dalla fronte, come se fossi impaziente. Io non sarei stato impaziente, te li avrei tolti dagli occhi soffiando. Sarei stato così vicino da contarti le lentiggini, mi sarei preso il tempo per baciarle a una a una.»

«...»

«Hannah… mi dispiace di essere arrivato tardi quel giorno. Dovevo correre più in fretta, trovare un modo per evitare German. Non sopporto il pensiero di te sola durante le esplosioni. Se fossi arrivato prima… dimmi...»

«...»

«Se fossi arrivato in tempo... mi avresti portato con te?»

«...»

«Come mi hai baciato quella mattina… sembravi un uccelletto spaurito, così delicato. Sei sempre stata delicata, Hannah, dovevo aspettarmi che il tuo bacio sarebbe stato così fragile.»

«…»

Rise. «…so che mi avresti portato.»

Ma ella andava alla mano di quel dio,
e il passo le inceppavano le lunghe bende funebri,
incerta, mite e senza impazienza;
chiusa in sé come grembo che prepari una nascita,
senza un pensiero all’uomo innanzi a lei,
né alla via che alla vita risaliva.
Chiusa era in sé. E il suo essere morta
la riempiva come una pienezza.
Come d’oscurità e dolcezza un frutto,
era colma della sua grande morte,
così nuova che tutto le era incomprensibile.
Ella era di una verginità nuova
ed intangibile. Il suo sesso chiuso
come un giovane fiore sulla sera,
e le sue mani erano così immemori
di nozze che anche il dio che la guidava
col suo tocco infinitamente lieve,
come un contatto troppo familiare l’offendeva.
[...]Ormai era radice.

Rainer M. Rilke: Orfeo. Euridice. Ermete
(Estratto)

 

17 Dicembre, 1944
 

Le esplosioni cominciarono dalla periferia verso il centro.

Hannah capì immediatamente di cosa si trattava. Il loro rumore riempì la terra facendola tremare. Non era solo la detonazione a rimbombare nella gabbia toracica in folli vibrazioni, ma anche l’inquietante stridore delle pietre e dei mattoni che si sgretolavano sotto il loro stesso peso, piombando sulla strada. Come i frammenti delle ossa di una persona, scricchiolando venivano giù come ghiaia.

Quanto era fragile, dopotutto, il mondo.

Il fuoco e le fiamme avanzarono fino a rischiarare l’aria attorno.

Hannah non sentiva nemmeno più le grida della folla. Quando il pavimento le mancò sotto i piedi, si lasciò scivolare. Il suo corpo fu colpito tante, tante volte, ma ormai il dolore le era familiare. E quando si trovò schiacciata in un antro al buio, senza più poter muovere le gambe, capì che presto tutto avrebbe avuto fine.

Perciò attese con pazienza, chiamando a sé i volti della propria famiglia.

Sapeva che presto le voci sarebbero venute a prenderla.

Le aspettava, in trepidante attesa.


“Vola, Hannah, amore… come lo spatz”, udì la voce del padre.

 E lei spiccò il volo.

 
 

FINE


 


NOTE CONCLUSIVE

In questo racconto alcuni punti di riferimento sono reali: ho cercato di mantenere una certa correttezza storiografica. Non c’è dubbio che abbia ricamato riguardo gli aspetti logistici quali le sistemazioni del Tenente Sievers: di fatto, non so a che abbiano adibito il vecchio Campo di concentramento, dopo che avevano trasferito i detenuti a Dachau; come non so a che ora del giorno furono lanciate le bombe su Ulm: pur essendo vero che distrussero più dell’80% della città, ho piegato le tempistiche ai miei scopi.

Vorrei fare un accenno sulla struttura della storia.
Ho provato a creare un racconto ‘corale’: le Guerre senza dubbio cambiarono il volto del mondo quindi sento che ogni storia ambientata in quel periodo non può che farsi carico delle esperienze e del vissuto non tanto dei singoli ma di intere generazioni. Per questo i titoli dei capitoli sono evocativi di una storia molteplice, in cui le singole voci confluiscono, al capitolo finale, nel “canto dei morti”.
La storia del passero, simbolo di libertà, è la storia di ciascuno: vittima e carnefice, a mio avviso, hanno condiviso forme diverse di orrore. Non che voglia paragonare il dolore di coloro che sono morti nei lager alla tragedia delle persone che hanno perpetrato tanto male: dico solo che l’efferatezza è stata tanto intensa che i motivi di certe decisioni e azioni devono essere indagate molto, molto a fondo.
Ho cercato di rispettare una tragedia che non è mia scegliendo di non raccontare morbosamente la vita dei campi di concentramento: non gli avrei certo reso giustizia.

I miei personaggi sono intrecciati tra loro: si possono leggere le situazioni in parallelo o per contrapposizione. Spero di essere riuscita a mostrare almeno un pochino come ognuno di loro fosse in un certo grado ‘vittima’: non ci sono eroi - tranne forse il signor Haller che è un modello paterno positivo, sebbene non sia riuscito a proteggere la propria famiglia dalla persecuzione e dalla guerra.
I principali protagonisti sono in un certo modo ‘personificati’ (anche se in maniera tangente): Ezra è un nome di origine biblica che significa  'soccorritore, colui che aiuta', ed è chiaro il riferimento al suo ruolo, sebbene nel racconto agisca e pensi in maniera enigmatica e a tratti inquietante; Hannah significa ‘grazia’ e spero che sia riuscita a rappresentare la dignità del dolore di una creatura distrutta. È l’unico personaggio che non parla negli avvenimenti ambientati durante il conflitto: la sua voce la si ode solo quando è ancora un’innocente bambina, non segnata dagli orrori del mondo; in un certo senso, è a prezzo della sua voce che può mantenere una certa purezza interiore… purezza che ha sempre attirato Ezra, nonostante le sue tenebre. Anzi, si può dire che lui si nutrisse della sua luce.
German è un nome dal significato immediato: simbolo del peccato di tutta una nazione, la quale, in quel dato momento storico, ha dato sfogo delle principali debolezze umane costruite sulla cattiveria, l’indifferenza e la paura. Purtroppo non sono stati né saranno mai gli unici: siamo tutti potenzialmente colpevoli, a secondo degli eventi.
Faith, invece, è la fede nel futuro, di una storia che continua e non si interrompe, ma che non è detto sia destinata a commettere sempre gli errori del passato. Siamo qui per imparare.

Le linee guida del Contest mi hanno molto interessato.
Il riferimento a Sliding Doors che mostrava come sarebbe andata la vicenda in un caso o in un altro ha ispirato, in parte, la fine del mio racconto; si può infatti leggere il finale come la rappresentazione di due linee temporali opposte ma contemporaneamente presenti: Ezra, nei fatti, ha fallito nel tentativo di salvare Hannah, ma ha creato una psicosi che gli ha permesso di vivere la situazione alternativa. Dunque possiamo immaginare grossomodo tre finali:

  1. Hannah muore, Ezra vive (quello presentato);
  2. Ezra raggiunge Hannah e muoiono assieme;
  3. ​Ezra raggiunge Hannah ma entrambi si salvano.

Il fatto è che le ultime due opzioni sono allo stesso modo presenti nel racconto: Ezra dopo la morte di lei non è stato più lo stesso, quindi ha vissuto come ‘morto’ dividendo la sua vita con una donna che non c’era più; eppure, nel mondo che ha creato con la sua mente, sono entrambi ‘vivi’ e hanno condiviso la vita.
Nonostante questo intreccio, Ezra continua a qualche livello a vivere il rimorso del proprio fallimento: si interroga lui pure su quale altro finale avrebbe potuto avere la sua storia.


Ringrazio Missredlights e Shilyss per aver organizzato questo bel contest. È stato davvero stimolante. Mi auguro con tutto il cuore che la mia storia possa esservi rimasta nel cuore.

Da ultimo ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia e che l'hanno commentata, facendomi conoscere le loro impressioni.

PS. Non ho accennato nulla dell'estratto di poesia che ho inserito alla fine del testo perché se dovessi farlo, aprirei un capitolo di commento. Chi conosce il poema capirà con più profondità la pertinenza della poesia con la fine di questa storia, altrimenti consiglio un'attenta lettura delle parole e dei personaggi cui fa rimentimento (Orfero, Euridice, Ermete). 
Rainer Maria Rilke fu un poeta austriaco che scrisse in tedesco e che visse tra XIX e XX secolo: lo consiglio a chiunque ami il genere.

 

 
 
   
 
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