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Autore: Miryel    20/04/2019    17 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 5774 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





•  •  •
«
The long and winding road, that leads to your door
Will never disappear, I've seen that road before
It always leads me here, lead me to you door
»
•  •  •


 

Epilogo. The Long and Winding Road


 

Aveva preso la decisione più coraggiosa di tutta la sua vita, e quando era successo, Tony Stark si era sentito fastidiosamente meglio. Non tanto perché, finalmente, era riuscito a mettere da parte l’orgoglio, ma per il fatto che, l’idea stessa di averla presa, gli sembrava già un gigantesco passo verso la redenzione. Steve lo aveva preso di petto, il giorno prima. Gli aveva detto di reagire, di smetterla di far finta di niente e che, dopo l’ultimo fallimentare tentativo andato più che male, di parlare con Peter e chiarire, avrebbe dovuto tirare fuori le palle e dimostrarsi un uomo e non una ragazzina di due anni che fa i capricci. Si erano quasi picchiati. Gli si era scaraventato addosso, chiedendogli cosa accidenti ne volesse sapere lui, di quello che voleva davvero; e quando Steve gli aveva risposto: «Peter. Tu vuoi lui. Vattelo a riprendere e smettila di fare la vittima sacrificale. Hai rotto, Tony», si erano scambiati un’occhiata intensissima e Banner li aveva divisi, prima che potesse tirargli un pugno.

Lo stesso giorno le aveva quasi prese anche da MJ, l’amica di Peter, quando si era deciso ad andare da lei e Ned per ricavare qualche informazioni su dove accidenti fosse finito Spider-Man e, dopo aver ammesso loro che il motivo per cui lo stava chiedendo, era quello di chiedergli scusa, alla fine i due si erano decisi a dargli un indirizzo, sebbene Tony avesse paura che fosse solo una gigantesca bufala di cattivo gusto, data dal fatto che lo odiavano a morte.

Salem, ecco dove si era rintanato. Quando andò alla stazione centrale a comprare i biglietti del pullman, quasi gli venne un infarto all’idea che avrebbe dovuto percorrere più di quattro ore di autostrada. Un tragitto infinito, il cui tempo speso lo avrebbe portato solo a tessere paranoie nella mente e a sentirsi sempre più annichilito da quella situazione. Avrebbe fallito, lo sapeva già, ma provarci era un tentativo. Passò tutto il viaggio a pensare a quei mesi appena trascorsi, al lutto che ancora non aveva del tutto superato, ma che pian piano stava raggiungendo una sua stabilità. Faceva male, era vero, ma come aveva detto anche Peter, la vita va avanti lo stesso.

Quando il viaggio finì – ed era stato quasi infinito, una vera tortura – si ritrovò a camminare lungo una statale alberata, con alcuni capannoni che costeggiavano la carreggiata ben asfaltata e, quando arrivò di fronte al civico che Ned gli aveva scritto su un foglietto, Tony aggrottò le sopracciglia, leggendo l’insegna che campeggiava sopra all’edificio: Officina Meccanica.

MJ gli aveva detto che Peter stava frequentando una nuova scuola pubblica, di quelle ordinarie, aperte a chiunque e che, in quel periodo, si stava dedicando ad uno stage in una officina. Tony non avrebbe mai creduto che si trattasse di meccanica, piuttosto che uno stage di scienze termonucleari o di nanotecnologia o chissà quale altro campo in cui Peter eccelleva, ma semplici autoriparazioni. Entrò e, non appena varcò la soglia, venne accolto da un uomo in tuta, basso e tarchiato, tutto sporco di grasso e un sorriso sdentato, che gli rivolse, non appena gli si avvicinò.

«Giovanotto, ti serviva qualcosa?»

Tony non perse tempo. Si alzò gli occhiali sulla testa e, cercando di risultare il più tranquillo possibile – mentre si guardava intorno alla ricerca di Spider-Man, annuì. «Sto cercando qualcuno. È un mio amico, che a quanto pare sta facendo uno stage qui da voi. Si chiama Peter. Peter Parker.»

Il viso dell’uomo si illuminò subito di un sorriso entusiasta, e gli fece cenno di seguirlo. «Ah, Pete! Certo, come no! Aspetta, sta lavorando sul retro. Vieni, che lo chiamiamo! Intanto guardati pure intorno e non fare complimenti.»

«È una gran bella officina! Di che vi occupate, di preciso?» chiese, quando raggiunsero poi un enorme garage pieno di ponti per auto, attrezzature meccaniche, pneumatici e altri marchingegni interessanti che lo affascinarono, siccome erano la sua passione.

«Oh, beh. Forse non sembra chiaro, ma ripariamo autovetture, ma solo quelle di un certo tipo. Per esempio quelle della Stark industries. Conosci?» chiese l'uomo, e Tony represse un sorrisetto.

«Di nome. E Peter che fa, qui?»

«Molte cose. La giovane promessa, come lo chiama mio fratello», si impettì quello, e Tony sì sentì pervaso da un senso di orgoglio, nei riguardi del suo ex – che si spense subito quando l'uomo continuò, «Cambia batterie, pasticche dei freni, candele. Pensa che l'altra settimana abbiamo provato a fargli sostituire un motorino d'avviamento. Impeccabile, il nostro Pete! Impara in fretta!» Tony si rabbuiò.

Cosa? Solo quelle stupide e semplici cose? Uno come Peter? Quello che aveva progettato quei bracciali per tirare le ragnatele, limitato al garzone di bottega, elogiato per due bulloni avvitati? No, non poteva essere. Non poteva essere davvero felice, lì. Era impossibile da credere.

«Okay, è laggiù. Ehi, Pete! Pete! Hai visite!» urlò quello, in una direzione che Tony seguì poi con lo sguardo. Gli saltò un battito al cuore, quando lo vide: era piegato accanto ad un'auto, nel visibile tentativo di sostituire dei dischi a tamburo. Aveva addosso dei vecchi vestiti di jeans tutti sporchi di grasso, una piccola torcia stretta tra i denti. L'espressione concentrata e adorabile che Tony non vedeva da troppo e che gli fece sciogliere il cuore di tenerezza e di dolore.

«Pete!» urlò ancora l'uomo, e Peter si voltò, alzando una mano per dirgli che aveva capito, poi la torcia gli cadde dalla bocca, quando incrociò gli occhi di Tony. Rimase chino, immobile a fissarlo negli occhi, cercando forse di carbonizzarlo con uno sguardo. Sapeva che non gli avrebbe mai negato il suo tempo, ma Tony era certo che non fosse felice di vederlo lì. Eppure Peter si avvicinò comunque. Controvoglia, ma lo fece. Perché Peter era così.

«Vedi che la gente ti vuole bene, Pete? Ti vengono a trovare da tutta l'America. Prenditi una pausa, okay? Un'oretta, te la meriti, e che cavolo! Hai lavorato bene, oggi! Bravo!» lo elogiò quello, e Peter gli riservò un sorriso talmente infelice che appesantì l'aria di tristezza. Tony gli aveva puntato gli occhi addosso, e ricevette i suoi – gelidi, solo quando il meccanico se ne andò e li lasciò soli.

«Che ci fai qui?» gli chiese subito, e nelle lunghe sedute dedicate ad immaginare cosa avrebbe mai detto Peter una volta che lo avrebbe visto, c'era anche quella frase d'esordio. Si era preparato tante di quelle risposte da dargli che avrebbe potuto tirare avanti un discorso per ore; eppure, dalla bocca gli uscì l'unica, stupida frase che aveva scartato a priori, subito.

Si infilò le mani nelle tasche dei jeans, alzò le spalle e sorrise arrogante. «Passavo di qui.»

Peter rise senza entusiasmo. «Certo, a quasi trecento miglia da New York.»

«Allora dimmelo tu, cosa ci faccio qui. Non mi sembra così difficile da immaginare.»

«Sei qui per parlare? È l'unica spiegazione che mi viene in mente ma, sinceramente, dopo il tuo ultimo tentativo che risale a qualcosa come due mesi fa, direi che riprovaci sarebbe solo l'ennesimo buco nell'acqua.» Era stato difficile, riservargli quell'ostilità, Tony lo sapeva. Non era capace di fare la parte del cattivo. Non gli competeva, eppure sembrava che a differenza sua, fosse riuscito a dirgli esattamente ciò che si era preparato nell'eventualità di quella discussione.

«Ho viaggiato quattro ore su un sudicio pullman, per venire qui. Ho mentito ad Happy, ho quasi picchiato Steve, ho stalkerato il tuo amico Ned per farmi dare questo indirizzo…» esordì, contando tutti quei fatti sulla punta delle dita. «Direi che, un'ultima possibilità di parlare, me la merito, no?»

«E anche ti dessi la possibilità di farlo? Che cosa risolveresti?» domandò, alzando le spalle.

Tony sospirò, frustrato. «Peter, senti… non ti sto chiedendo di tornare con me, di restare amici o altre cazzate del genere. Voglio solo chiarire. Se dobbiamo chiudere, vorrei che lo facessimo nel modo migliore. Come abbiamo sempre affrontato i nostri problemi.»

«Ovvero incapaci di farlo?»

Scosse la testa. «No, con sincerità.» Peter era rimasto spiazzato, glielo si leggeva negli occhi che aveva appena sbarrato. Si morse un labbro, pensieroso. Incastrò le mani sui fianchi e infine tornò a guardarlo, e grugnì.

«D'accordo. Vado a darmi una lavata. Tu… tu aspettami fuori.» Aveva accettato. Di controvoglia ma lo aveva fatto. Era già qualcosa. Non molto ma era meglio di un rifiuto, che Tony aveva temuto con tutto se stesso.

 

 

Tony aveva aspettato una decina di minuti, nervosissimo, fuori dal grande capannone dell'officina, controllando l'orologio da polso almeno ogni trenta secondi, prima di vederlo spuntare dalla porta, intento a legarsi in vita una specie di marsupio da lavoro, pieno di cacciaviti e chiavi inglesi.

Non riuscì a fare a meno di sorridere. Malgrado tutto, Peter rimaneva adorabile sotto ogni punto di vista. Forse per quello sentì una fitta al cuore. «Lo hai preso davvero seriamente, questo stage.»

«Ci metto il massimo lo stesso, anche se non è questo granché. È pur sempre un'esperienza», gli rispose, gelido, senza riservargli lo stesso gesto, anzi.

«Perché allora hai lasciato la Midtown, se l'alternativa era questa? Perché hai deciso di andare via, scegliendo una scuola che non ti dà le stesse possibilità?»

«Perché non avevo altra scelta, Tony», sbuffò, laconico.

Tony si ritrovò a ridere senza alcun entusiasta e a puntargli un dito contro. «Oh, certo! Lasciare una certezza per una scuola pubblica e accontentarti di uno stage in un'officina. Una scelta saggia, la tua. Sbagliata, ma sicuramente saggia. Tutto perché non riuscivi a sopportare di condividere il tuo spazio vitale con me? Andiamo, è ridicolo!»

Peter alzò un sopracciglio, fingendosi colpito. «Sono felice che almeno a te la cosa diverta,  ma come ti ho già detto, non sei l'unico motivo per cui me ne sono andato. Non sei quello scatenante, ce ne sono molti altri, Tony. Non sentirti il centro di tutto, stavolta non lo sei.»

«No? Eppure se non fosse stato per quello che è successo tra di noi, sono convinto che saresti rimasto. So che è così.»

«Hai fatto la tua buona parte, lo ammetto, ma non voglio parlare di questo. Se devi dirmi qualcosa, fallo ora. Ti ascolto.» Spider-Man incrociò le braccia al petto, e indurì la mascella. Lo sguardo duro, un piede frettoloso già rivolto verso l’entrata del capannone. Lui, che il suo tempo insieme lo aveva sempre reso una magia.

«Se ti chiedo scusa, torni a scuola?» gli chiese, solo perché non era in grado di dire quella parola – scusa, senza infarinare la reale intenzione di farsi perdonare con altre sciocchezze che ne rovinavano l'obiettivo finale: la redenzione.

Peter alzò gli occhi al cielo, scocciato. «Perché dobbiamo per forza parlare di questo? Perché ti preme tanto l'idea che io non sia più lì?»

Tony lo indicò con un gesto teatrale. «E me lo domandi? Perché mi fa rabbia, cazzo! Sei sprecato, qui! Che accidenti vuoi fare, nella tua vita? Il garzone d'officina?»

«Ovvio che no, ma non ho altra scelta! Non ho altra scelta e non so in che altra lingua dirtelo!»

«Avevi una scelta, ed era quella di rimanere alla Midtown, senza rifugiarti quassù, nel nulla assoluto, dove uno come te non dovrebbe stare!»

«Perché non riesci a capire che non è così semplice come la vedi tu?»

«Forse perché sei tu che non me lo vuoi spiegare?» domandò, retorico.

Peter allora si passò le mani tra i capelli, isterico, e grugnì. «Okay, d'accordo, come vuoi! Te lo dirò! Ho perso la borsa di studio, ecco perché me ne sono andato! Sei soddisfatto, ora?» sbottò, e calò il silenzio, che ferì le orecchie di Tony e gli fece salire il battito del cuore, sotto al palato.

Sbarrò gli occhi, e deglutì aria. «Cosa?»

«Ho smesso di studiare come prima. Ho… ho passato quattro mesi a discutere con i professori che hanno provato di tutto per fare in modo che non la perdessi e, alla fine… alla fine, la mia media era talmente calata che non hanno potuto fare altrimenti! Mi hanno cacciato da scuola, Tony, solo perché senza borsa di studio, io non me la posso permettere. Se così non fosse stato, non me ne sarei mai andato. Non per te! Non l'avrei mai fatto.»

Spiazzato. Di nuovo. Come si sentiva ogni accidenti di volta che Peter gli diceva qualsiasi cosa che implicasse l’esternazione di un qualsiasi sentimenti. In quel caso la rabbia. Una freccia accuminata gli perforò la gabbia toracica. Frammenti allegorici di ossa e carne gli ferirono il cuore, come schegge. «Ed è tutta colpa mia, non è così?»

«Senti, non è per questo che siamo qui. Se devi dirmi qualcosa, dimmela ora. Non ho tutto il giorno e tu devi tornare a New York. È un lungo viaggio e…»

«E allora dillo, senza perdere altro tempo.»

«Cosa?»

«Dillo. Quello che pensi. Dillo.»

«Cosa, Tony?» La voce di Peter vibrò. «Che avrei voluto tanto rimanere alla Midtown? Che odio a morte questo posto? Che la scuola dove sono finito è tutto fuorché quel che immaginavo? Che mi manca casa? Cosa?» Represse chiaramente l'istinto di urlargli contro. Represse molto altro, nelle dita strette vicino ai fianchi; forse un pugno, forse uno schiaffo. Chissà quale altro gesto, che Tony sapeva di meritare...

«Dillo», ripeté, calmo e fu un attimo, ritrovarsi Peter a spintonarlo, nel solo tentativo di allontanarlo. Doveva odiarlo e aveva tutte le ragioni per farlo. Lo spintonò ancora, e ancora e ancora, finché Tony lo prese per i polsi e lo fermò. Il tempo allora parve bloccarsi tutto d'un tratto, e tutto ciò che poteva vedere, era la nuca castana, abbassata dell'altro; gli occhi puntati verso l'asfalto, per nulla intenzionati a dargli la loro attenzione. Forse per paura di lasciar andare cose che, pur essendo ancora infilate dentro l'umida gabbia delle sue pupille, non voleva mostrargli. Tony se lo spinse contro e per quanto Peter avrebbe potuto scansarsi con una facilità disarmante, non lo fece. Approfittò di quel silenzio per annaspare il suo profumo e imprimerlo nel cervello, ben sapendo che forse quella sarebbe stata l’ultima occasione per farlo. Poi Spider-Man alzò la testa; le sopracciglia aggrottate e una disperazione troppo evidente per non fargli male. Gli bruciò l'anima.

«Dillo», ripetè. Un sussurro appena udibile, una nota tremante nella voce, di pura rassegnazione. Seguì un silenzio schiacciante, tagliente come un bisturi – gelido allo stesso modo, contro la carne viva.

«È colpa tua», ammise Peter, infine, e fu un sollievo e allo stesso tempo una condanna, sentirlo riconoscergli quella colpa. «È tutta colpa tua. Se sono qui, se ho smesso di studiare, se ho perso la borsa di studio e mi sono dovuto accontentare di questa scuola. È colpa tua. Solo tua, di nessun altro.»

Tony sbuffò l’ansia dalle labbra. «Già. È così. Lo hai ammesso, finalmente.»

Peter si liberò da quella presa, brusco, ferito, inerme eppure sempre così dannatamente coraggioso, a differenza sua… Tony avrebbe voluto abbracciarlo, anche solo per dimostrargli che gli dispiaceva davvero, che non aveva idea di aver creato quel casino, di averlo distrutto dentro così tanto da spingerlo a non impegnarsi più, a non dare più se stesso. Peter… proprio Peter, che sembrava quasi che, certe cose, gli venissero naturali. Senza sforzo. E forse era così, ma era assurdo. Assurdo. Così ingiusto...

Si odiò.

«Sì Tony, è così ma non serve a un accidenti ammetterlo. Non ora. È andata così. Non posso cambiare le cose. Nessuno può.»

«Parlerò con i professori, vedrai che troveremo una soluzione per farti tornare. Te lo assicuro, lascia fare a me», cercò di rassicurarlo, ben sapendo che quella non era la soluzione; che avrebbe dovuto pensarci molto prima.

Peter cacciò fuori una leggera risata spenta, trovando sicuramente ridicolo quel tentativo. «Non servirebbe a nulla e forse è meglio che tu non ci provi nemmeno. Hai già fatto abbastanza, credimi…» si bloccò e aggrottò tristemente le sopracciglia. Cambiò tono di voce e fu di nuovo il suo Peter, solo per un istante. «Eppure ti bastava così poco, Tony… sarebbe bastato venire da me, e dirmi: Peter, non è colpa tua. Non li hai uccisi tu. C'ho provato, a darti delle possibilità e tu hai preferito aggrapparti all'orgoglio e ignorarle. A volte penso che tu ed io non abbiamo provato la stessa cosa, stando insieme. A volte penso che tu… che tu…» farfugliò e si bloccò, puntandogli gli occhi addosso.

Penso che tu non mi abbia amato tanto quanto io ho amato te, aveva sicuramente pensato, e se già quella situazione era destabilizzante, sapere che Peter potesse pensare una cosa del genere, gli disintegrò ogni speranza che, in un remoto angolo del suo cuore, avesse tutte le intenzioni di perdonarlo, di riallacciare i rapporti e, perché no, tornare insieme, un giorno. Quella piccola speranza che covava nel cuore, però, morì insieme alla luce negli occhi di Spider-Man. Gli aveva portato via anche quella. Anche l’entusiasmo. Lo aveva annullato. Si sentì così schiacciato dal peso di quella responsabilità, che fece istintivamente un passo verso di lui, fermandosi quando di riflesso Peter ne fece uno indietro. Lo ferì a morte vederlo ricercare una distanza, che mesi prima non avrebbe nemmeno mai lontanamente pensato di riservargli, per come era fatto.

«Peter, io non ho mai pensato che fosse colpa tua… ero devastato da quella perdita. Ero fuori di testa!»  

«Credi che non lo sappia? Per questo ho aspettato tanto, che tu venissi a parlarmi. Tony, senti… pensi che non mi dispiaccia sapere che hai sofferto e stai ancora soffrendo anche tu? Ovvio che so che non lo pensavi davvero. Non ti avrei aspettato così tanto, se non fosse stato così.»

«E non mi stai più aspettando, immagino.»

Peter serrò le labbra; indurì la mascella. La sua espressione dura, si addolcì, imbrattata però da quella schiacciante malinconia e tristezza che faceva più male di qualunque altra cosa. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, e sospirò.

«È tardi. Mentre ti aspettavo sono successe troppe cose irreparabili. È colpa tua, ma non ce l’ho con te… non più. Sapevo che non pensavi davvero quelle cose. Volevo che trovassi il coraggio di dirmelo. Non lo hai fatto.» Allargò le braccia, rassegnato. Un sorriso amaro a piegargli le labbra. «Ed eccoci qua.»

Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!, avrebbe voluto dirgli, ma a che accidenti serviva? Se n’era andato da casa, da scuola, da tutto per colpa sua e lui aveva avuto il coraggio di presentarsi lì, e sperare pure che tutto potesse tornare come prima. Tutto superato, dimenticato. Un superficiale, ecco cosa era stato. Quel maledetto orgoglio di merda era stato la bomba che aveva generato quell’effetto domino devastante. Aveva rovinato la vita di Peter e, di conseguenza, aveva fatto lo stesso con la propria.

Si fissarono per un tempo infinitamente lungo; Tony incapace di dire qualunque cosa, Peter con la speranza che potesse riuscirci. Di nuovo la stessa, medesima situazione che si era presentata due mesi prima. L’incomunicabilità, data dall’ego e dalla paura di far peggio. Peggio di così?, si domandò.

«Peter, senti i-»

«Devo rientrare», sbottò Spider-Man, guardando l’orologio. Tony ebbe l’impressione che lo avesse interrotto di proposito. «Mi dispiace molto, ma devo. Sarebbe meglio che anche tu ti avviassi. È un lungo viaggio, fino a New York. Ti ringrazio comunque per essere venuto fin qui. Apprezzo il tuo tentativo di averci almeno provato.»

«La stiamo davvero chiudendo qui?»

Peter scosse la testa e gli poggiò una mano sulla spalla, che Tony osservò con una certa confusione e riluttanza negli occhi. Un gesto talmente innaturale che trovò ridicolo. «Tony, ascolta… è stato bello, il tempo passato insieme ma… quello che c’è stato tra di noi non mi permette di vedere il nostro rapporto regredibile ad una semplice amicizia. So che per te è lo stesso», disse, mordendosi il labbro inferiore, chiedendogli tacitamente una conferma con uno sguardo.

«Se non fosse lo stesso, non sarei qui», ammise Tony. Lo guardò insistentemente negli occhi, e Peter stavolta gli permise di farlo, come se gli stesse concedendo l’ultima occhiata della sua vita e forse era così. Avrebbe voluto fare e dire tante cose, ma non aveva più senso. Non era bravo a parole e, a quanto pareva, nemmeno più con i gesti.

«Buona fortuna con tutto», disse Tony, solamente. Peter lasciò scivolare la mano lontano dalla sua spalla, poi si voltò e se ne andò via, augurandogli lo stesso e un buon ritorno a casa. Salutami New York, gli aveva detto, con un mezzo sorriso, poi era sparito e lasciò di nuovo un vuoto da colmare.

 

...

 

L'irreparabile. Tony ci aveva pensato un sacco, a quella parola, nei giorni successivi il suo ritorno a New York. Si era messo a pensare a quanto davvero potesse essere irrisolvibile quella situazione e quanto, più nello specifico, fosse irrecuperabile quel rapporto con Peter. L'amore, di sicuro quello c'era stato e probabilmente c’era ancora, da parte di entrambi; quel pensiero non era un arrogante certezza, ma una speranza che sperò potesse valere un tentativo finale. L'ultimo.

Non era bravo a parole, ma nei gesti forse preservava ancora un minimo di talento. Peter era tornato a casa, siccome era il quattro luglio e aveva una settimana di vacanze per il giorno dell'Indipendenza. Una fortuna che Ned gli avesse girato quell'informazione, quasi con l'intento di dagli una mano. E forse era stato davvero così. Lo aveva poi chiamato, Peter. Aveva trovato il coraggio di farlo e, malgrado non lo avrebbe mai sperato, Spider-Man aveva risposto. Sapeva che, stavolta, non avrebbe ricevuto la stessa attenzione che gli aveva dedicato fuori da quell’officina; fu per quello che gli aveva semplicemente detto che, durante quei mesi, aveva apportato delle modifiche alla sua tuta e che aveva piacere nel consegnargli il software, promettendogli poi, che dopo quell'incontro, non si sarebbero visti mai più. Si chiese se, il fatto che avesse accettato, fosse stato proprio grazie a quel presupposto.

Quando Peter varcò la soglia del laboratorio, il cuore di Tony iniziò a battere all'impazzata, sebbene la sua paura più grande fosse quella che, da un momento all'altro, potesse smettere di farlo. Gli sorrise, malgrado l'altro non fece lo stesso, ma alzò una mano comunque per salutarlo. Spavaldo. Doveva comportarsi come se nulla fosse accaduto; come se non lo avesse accusato di aver ucciso i suoi genitori. Come se ogni occhiata che gli lanciava, non gli ricordasse troppe notti insonni a farci l’amore fino a crollare.

«Questo posto non è cambiato di una virgola», notò Spider-man, guardandosi intorno mentre Tony, seduto alla sua scrivania da lavoro, si alzava dalla sedia, accantonando quei ricordi ormai andati, nel cassetto segreto infilato nella gabbia toracica. Lo raggiunse.

«Non si sbattono a dargli una rinfrescata, anche se gli servirebbe proprio», asserì lui, poi infilò le mani nelle gigantesche tasche del suo camice bianco, due taglie più grandi.

Peter annuì meccanico, poi sospirò. «Senti, Tony, vorrei fare presto, se non ti dispiace. Zia May ha prenotato un tavolo al ristorante Tailandese stasera, e ci tiene che arrivi puntuale.»

«Sarò celere», promise, poi tirò fuori dalla tasca un foglio A4 piegato in due, e glielo porse, tutto sorridente, nascondendo il tremore della mano sinistra ancora nella tasca. Quando Peter prese – con un certo scetticismo, lo aprì e iniziò a leggere. La sua espressione si indurì e, quando alzò gli occhi sui suoi, Tony sperò di non aver fatto un ulteriore danno, perché in quelle pupille ci vide di tutto, tranne la redenzione che tanto bramava.

«Che cos'è?» chiese Spider-Man, ma sembrò saperlo benissimo, cosa fosse.

«La tua tassa d'iscrizione alla Midtown!» Lo disse come se fosse ovvio. Cercando di mantenere un tono tranquillo e pacato – allegro, solo per non ricadere in quelle discussioni che ormai, con Peter, erano diventate l’unico modo per comunicare con lui. E pensare che, quando erano stati insieme, non avevano litigato nemmeno una volta, paradossalmente...

Spider-Man sbuffò, e alzò gli occhi al cielo. «Tony…»

«Che c'è? Tanto che vuoi che sia, per me? Ho ereditato tanti di quei soldi, che non sarà di certo la tua tassa, a mandarmi in rovina!»

«Ma non era quello che volevo facessi! Tony, così non risolverai niente! Mi fai solo più… più… più rabbia!» sbottò Peter e, con ancora il foglio tra le dita, si coprì il viso, visibilmente frustrato da quella situazione e, malgrado Tony avesse immaginato che la reazione sarebbe stata quella, non riuscì a trattenere un sospiro deluso.

«Peter, senti: non sto cercando né di comprarti né di farmi perdonare. Te lo dovevo. Quindi… accetta questo mio tentativo di rimediare almeno a questo errore, no? Non mi vuoi più vedere? Bene, rispetto la tua decisione, ma almeno permettimi di darti la possibilità di proseguire gli studi dove vuoi tu.»

«Santo cielo, ma perché? Non ne avevi alcun motivo. Non ne avevi alcun diritto! Avresti dovuto parlarne prima con me!»

«Te l'ho detto, sei sprecato, lì dove sei andato a finire! Peter, sei una risorsa! Vederti in quella merdosissima officina mi ha fatto una rabbia, che non ne hai idea. Spider-Man ridotto a cambiare candele e filtri delle auto? Non suona ridicolo?»

«Sì, suona ridicolo ed è ovvio che non è quello che voglio fare, ma… non avresti dovuto! Mi sentirò in dovere di ricambiare, così.» Peter poi sospirò, ma la sua espressione fu tutt'altro che accusatoria, per quel motivo Tony si sentì con un peso in meno sullo stomaco, che gli si rovesciò quando Spider-Man continuò, timidamente, «Non avresti dovuto ma… ormai quel che è fatto è fatto, quindi... ti ringrazio

Tony avrebbe voluto dire tante di quelle cose… avrebbe voluto dirgli che, quel ringraziamento, non serviva a un accidente; che era il minimo che potesse fare, siccome il danno lo aveva causato lui e lui soltanto. Avrebbe voluto dirgli che, quel leggero sorriso che gli stava rivolgendo, era più di quanto avesse sperato di ricevere e che, ogni ruga del suo viso, piegata da quella leggerezza che gli tornò a splendere negli occhi – ancora velata di delusione e tristezza, smorzate dalla riconoscenza, bastava e avanzava.

Avrebbe voluto dirglielo, ma stava puntando sui gesti e, sebbene avesse l’impulso malsano di premere le labbra contro le sue e ricordargli cosa erano stati, si limitò a godersi quell’istante, poi sorrise.

«Comunque non ti ho chiamato solo per questo. Anzi, per tutt'altro. Vorrei mostrarti una cosa.»

Peter aggrottò le sopracciglia, infilando nella tasca dei jeans il foglietto della sua tassa pagata. «Ti ricordo che ho una cena con zia May e ch-»

Tony lo prese per un polso e lui si bloccò, strabuzzando gli occhi. «Sì, sì ho capito! Faremo presto, te l'ho detto! Due minuti concedimeli. Ormai sei qui.» Non aspettò nemmeno una risposta, troppo impaurito all'idea che potesse dirgli che non aveva alcuna intenzione di seguirlo. Lo tirò verso il fondo della stanza, dove un ascensore circolare attendeva già al piano. Premette il tasto e le porte si aprirono. Lo trascinò dentro e spinse il tasto del piano -2.

Passarono il breve tempo di quella discesa in silenzio, mentre Peter cercava di evitare il suo sguardo, trovando spaventosamente interessante il pavimento, piuttosto che i suoi occhi. Un velo di rosso gli bagnava le guance. Tony non riuscì a reprimere un guizzo divertito e, quando le porte si spalancarono, rivelando una stanza grigia, con due grosse capsule al centro, lo prese di nuovo per il polso e lo portò di fronte ad una di quelle. Lo sguardo di Peter cambiò. Il suo nervosismo mutò in curiosità e Tony sperò solo che quello potesse essere un potenziale buon segno.

«Non avevo idea che esistesse una cosa del genere, sotto al tuo laboratorio», rise leggermente Spider-Man, studiando la capsula con una certa luce negli occhi, inclinando la testa come un bambino che sbircia i doni sparsi sotto ad un albero di natale.

«C'è anche un piano -3, ma è il mio mondo segreto. Piuttosto,» esordì Tony e avvicinò il dito ad un pulsante rosso, con un sorriso sornione, «non vuoi sapere cosa c'è qua dietro?»

«Immagino tu mi abbia portato qui per questo… o almeno credo. C'è una bomba nucleare?» chiese Peter e Tony rise, scuotendo la testa, poi premette il bottone. La capsula si aprì, lentamente, rivelando poi un costume luccicante, che brillò un secondo alla luce dei neon. Scese il silenzio. Peter fece un passo avanti; la bocca spalancata di fronte a quel risultato che Tony aveva ottenuto in mesi di lavoro, segretamente, e di cui non aveva fatto parola con nessuno. Il suo ultimo capolavoro, la nuova tuta di Spider-Man.

«È… è… mia?» domandò Peter, senza staccare gli occhi da quel nuovo modello, che si rifletté nelle sue pupille castane, splendenti. Tony si concesse un secondo per osservarlo, soddisfatto, poi girò lo sguardo anche lui verso la tuta.

«Ovvio! È un prototipo. Devo ultimarla ma… è praticamente finita. Ha delle cosette in più che dovrebbero piacerti abbastanza.»

«È di ferro?» domandò ancora Peter, e si voltò a guardarlo con un sorriso infantile. Tony si sentì sciogliere il cuore.

«Titanio. Rinforzato, oltretutto. La centralina che dà potenza è più piccola, ma la ricarica è maggiorata e le funzioni sono triplicate. Si ricarica a energia solare e con i battiti cardiaci. Ovviamente, solo se hai un cuore. Ce l'hai?» chiese, ridendo poi quando Peter spense il suo sorriso per riservargli un'occhiataccia, per nulla minacciosa. Faceva male e bene allo stesso tempo, vederlo così spensierato. «Ti faccio vedere un'altra cosa.»

Peter lo seguì di qualche passo e lo affiancò di fronte all'altra capsula.  Tony non perse tempo ad aprirla e, quando rivelò al suo interno un'armatura rossa, voluminosa, fatta dello stesso materiale con cui aveva progettato quella di Spider-Man, Peter non riuscì a trattenere un «Wow». Tony si impettì.

«Immagino che questa non sia mia. Di chi è?»

«Sono estremamente felice che tu me l'abbia chiesto, Peter! Beh…» si bloccò e, dopo aver mantenuto lo sguardo a lungo su quel suo lavoro che, sinceramente parlando, durava da quasi due anni, si voltò a guardarlo con le mani ai fianchi. «È mia.»

«Tua? Non… non avrai deciso di… tu…» balbettò Peter, sbottando poi in un'adorabile risata imbarazzata e, a quanto pareva, entusiasta.

«È qualche anno che ci penso, in realtà. Tutta questa cosa degli Avengers, io che progetto per gli altri e sto dietro ad un computer... Non fa per me. Non mi si addice. Non credi anche tu?»

«Conoscendo il tuo ego spropositato, mi sono domandato spesso perché non fossi parte di qualcosa di più grande ma… a quanto pare bolliva in pentola da un po’... quindi? Ti unisci agli Avengers?»

«Vedremo», sospirò, fingendo una modestia che non gli si addiceva un granché. «Devo solo capire se il nome che ho scelto si confà a un genio, playboy, miliardario, filantropo come me.» Si posò una mano sul mento, pensieroso; gli occhi curiosi di Peter puntati addosso. Avrebbe voluto farsi guardare così per sempre, fu per quel motivo, che non riuscì a far altro che voltarsi e affogare nel suo sguardo. Fece un passo verso di lui. Alzò una mano, che bloccò a mezz'aria, esitando per un secondo, con la sola e tremante paura che l'altro potesse scansarlo. Peter però non lo fece. Accorciò le distanze facendo un passo avanti; si fece accarezzare una guancia, chiudendo gli occhi e assecondando il movimento della sua mano, con la testa. Tony gli posò le dita libere su un fianco, non esitò più e lo baciò, quando fu sicuro che anche l'altro volesse lo stesso. Inglobò le labbra tra le sue, le spinse contro le proprie. Cercò la sua saliva e i  sapori persi nei meandri di ricordi lontani, che risalivano ormai a sette mesi prima. Sette mesi senza Peter. Senza i suoi baci. Senza la sua risata, la sua parlantina e la sua dolcezza. Sette mesi di vuoto assoluto, dove si era dolorosamente privato di una vita.

L'aveva appena ritrovata nel calore di quel bacio. Sperò che per Peter fosse stato lo stesso.

Quando si divisero, Tony gli sorrise contro uno zigomo, prima di tornare a guardarlo e specchiarsi in quelle iridi sorridenti, che sembrarono esplodere di troppe cose, e nemmeno uno straccio di tristezza. Si sentiva un po’ come se lo avesse comprato, con tutti quei regali, ma non era così. Peter ci aveva visto di sicuro un tentativo, l'unico che Tony avesse e che poteva risultare vincente: i gesti. Qualcosa che, a differenza delle parole, difficilmente ferivano se non avevano quell'intento.

«Il nome?» chiese Peter, sulle sue labbra, prima di reclamare un bacio a stampo che ricevette subito, per nulla intenzionato ad allontanarsi da lui.

Tony si sentì confuso. «Il che?»

«Il nome che hai scelto. Il tuo alter-ego», rise Peter, frizzante.

«Oh, sì. È di titanio, ma Titan-Man fa abbastanza schifo, così ho pensato ad Iron-Man. Che te ne pare? In realtà ho già scelto, quindi la tua opinione è del tutto marginale, ma fingerò di prenderla in considerazione, Parker», sbottò. Gli accarezzò le braccia e Peter rise, prendendogli le mani e stringendole tra le sue. Fu dolce.

«Mi piace abbastanza.»

«Iron-Man e Spider-Man. Suonano decisamente bene, vicini.»

«Sì, è vero. Non posso negarlo. No», ammise l'altro, poi sospirò. Gli puntò gli occhi addosso e, carezzandogli il naso con il proprio – ferendogli il cuore con una pugnalata ricolma di troppo amore trattenuto da un tempo che era sembrato infinito, gli sorrise. «Mi mancava tutto da morire. Mi mancava davvero da morire. Non sai quanto. Speravo di poter tornare di nuovo a godermi tutto questo. Speravo ci avresti provato ancora, sai?»

Tony lo guardò reprimere dagli occhi troppe cose, o forse semplicemente la sua felicità le stava nascondendo e, perché no, magari annullando. Sapeva che ci sarebbe voluto del tempo per tornare ad ingranare. Sapeva che, malgrado tutto, avrebbero dovuto parlare e chiarire ancora troppe cose, ma stavolta era disposto a farlo. Niente orgoglio, niente paure, non ora che era riuscito ad averlo di nuovo indietro. Tutto per sé. Suo. Solo suo, di nessun'altro. Gli baciò le labbra con un trasporto che sapeva di speranza e, passandogli una mano tra i capelli, spostandogli una ciocca da davanti al viso, sorrise.

«Bentornato a casa, Spider-Man.»

Peter gli strinse le braccia intorno al collo e gli poggiò tra le mani il suo cuore, tornando a fidarsi senza alcuna paura e Tony lo prese in custodia, sperando di non romperlo di nuovo. «Sì,» mormorò, «sono a casa».



 

Fine

 

 
 
-

«S
till they lead me back, to the long winding road
You left me standing here, a long long time ago
Don't leave me waiting here, lead me to your door
»  
The Long and Winding Road - The Beatles


_______________________________________
 
Angolo angoloso angolare di Miryel, che ad ogni finale piange come una piccola deficiente:
Buonasera/Buongiorno/Buonpomeriggio,
Come va? Siete arrivati fin qui? Siete salvi? Il cuore? Vi regalo un check up completo o siete apposto così? È mezzo chilo in più, che faccio, lascio?
No, la verità è che, quando finisco una storia, e so di dover premere il pulsante "completa", il mio cuore si spacca in due come se mi stesse partendo un figlio per l'Erasmus in Vietnam, durante la guerra. Insomma, sono pur sempre una mamma; di scritti, ma lo sono.
Cazzate a parte, so di non essere in grado di scrivere note decenti, quando si tratta di una conclusione, ma voglio almeno ringraziare tutti coloro che sono arrivati fin qui, che sono sopravvissute a questa long che, lo dico col cuore in mano, ho amato scrivere. Adoro questi due in tutte le salse possibili. Amo muoverli nelle situazioni più disparate e, Tony giovane, è come un figlio vero. Una parte di me che ho interpretato, che ho studiato, che ho infine tentato di mettere su carta e sono felice del riscontro ricevuto; sono felice di sapere che, pur giovane, lo abbiate riconosciuto come il Tony Stark che, in futuro, sarà Iron-Man (e, a quanto pare, un futuro non troppo lontano).
Grazie quindi per tutte le recensioni, a chi l'ha messa tra le seguite/ricordate/preferite e a chi continua a sostenere questa vecchia bacucca innamorata dell'amore, sotto un treno per questi due ♥
Spero che il finale abbia chiuso il cerchio e che, dopo tanta sofferenza, l'Happy Ending possa essere il mio dono pasquale, in procinto poi di farci spaccare il cuore dall'uscità di End Game. 
Anyway, so che non ne potete più di me, che sono un accollo, come diciamo a Roma, ma tornerò presto su questi lidi. Prima di quanto possiate immaginare (minacce velate, me stanno a dì, muhahauhau).
Se vi va, lasciatemi un pensiero, mi riempirebbe il cuore di gioia.
Nel frattempo, alla prossima,
Grazie per aver intrapreso questa avventura con me ♥
Miry



 

   
 
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