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Autore: vas_happenin09    28/04/2019    0 recensioni
Dove Harry ha scoperto da poco di essere un padre single e lavora nella Tomlinson Corporation e Louis è il capo burbero che fa finta di odiarlo, portandolo così a creare fin troppi malintesi.
Larry, accenni Ziam e Zerrie.
La storia è scritta da me, è stata pubblicata anche su Wattpad, vi lascio il nick Vas_happenin09
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno.

La mattinata era partita bene per Harry. Era stato strano per lui alzarsi dal letto senza nessuna lamentela per il freddo che gli entrava sotto pelle non appena scostava le coperte, o senza imprecazioni contro se stesso per non essersi alzato quei cinque minuti prima che gli permettevano di fare le cose con calma, di poter fare colazione con una tazza di caffè e qualche biscotto fatto in casa avanzato dalla sera prima, ma soprattutto di non fare tardi a lavoro. Ormai tutti erano a conoscenza delle poche regole basilari per potersi tenere stretto un lavoro: puntualità, efficienza, diligenza. Queste erano le parole chiave per poter fare successo nel mondo lavorativo; Harry mancava sempre ad una di queste poche regole, la puntualità. 

Era cresciuto in una famiglia in cui ogni minuto della propria vita era sempre programmato: sveglia alle 6:58 per poter essere in piedi alle 7 e fare colazione fino alle 7:15, poi di corsa in bagno a fare la doccia e a vestirsi, alle 7:45 fuori di casa pronto a prendere l'autobus che lo portava a scuola dalle 8:00 fino alle 15:30. Doveva essere a casa alle 15:50 o la madre lo avrebbe riempito di telefonate per accertarsi che stesse tornando e non si fosse cacciato in qualche guaio. Alle 16:00 doveva essere davanti ai libri di scuola e studiare fino alle 19:00 perché alle 19:15 ci sarebbe stata la cena, il loro programma serale preferito iniziava alle 20:00 e una volta finito, alle 21:30 si andava a letto per avere un buon riposo e poter dare il massimo il giorno dopo. Così tutti i giorni. 

Ad un certo punto Harry si sentiva quasi in trappola. Andando avanti con gli anni, già ai sedici, Harry e la madre ebbero molte discussioni in merito alle uscite serali con gli amici, che la madre gli negava puntualmente. Ai diciassette anni riuscì a strappare qualche consenso alla madre e iniziò ad uscire di più, a frequentare i suoi amici non solo fra i banchi di scuola ed iniziò a fare le sue prime esperienze. I primi baci alle ragazze, le prime palpatine, i primi segnali che forse il seno di una ragazza non bastava per farselo alzare completamente e infine la consapevolezza di preferire il corpo tonico di un ragazzo ad uno più morbido di una ragazza. Che poi non gli dispiaceva nemmeno passare una notte di fuoco con una ragazza è un altro conto. 

Tutta questa disciplina lo portò ad essere puntuale, efficiente e diligente in tutto ciò che faceva. Il vero problema nacque quando se ne andò di casa. E' facile seguire una routine imposta da un'altra persona, non hai molta libertà di scelta; ma quando Harry, all'età di ventuno anni, decise che Holmes Chapel gli stava stretta, comprò un biglietto di sola andata per la capitale. Era spaventato dall'idea di partire solo per una città che non aveva mai visitato, senza un amico o un conoscente che avrebbe potuto aiutarlo. La prima abitudine che perse era proprio quella della puntualità. Per lui era un abitudine programmarsi gli orari con ogni spostamento per poter arrivare puntale agli appuntamenti, ma quando arrivò a Londra le cose cambiarono, a partire dalle sue condizioni di vita. Con i pochi risparmi riuscì ad affittare un misero appartamento costituito da una sola piccola stanza con un fornello elettrico che si poteva usare solo se il letto ribaltabile era chiuso, un mini-frigo, un gabinetto e quella che sembrava una doccia. Era il massimo che poteva permettersi, ma sapeva anche lui che una cella in carcere era più grande del suo pseudo-appartamento. 

La prima cosa che fece, fu trovare un lavoro in un bar poco distante da casa, mandando nel frattempo curricula in giro per la città a numerose aziende, piccole e grandi. Lavorando in un bar era normale finire tardi la sera, avendo sempre l'ultimo turno, perciò perse l'abitudine di alzarsi presto al mattino e fare tutto con calma; iniziò a svegliarsi tardi e ad avere sempre sonno non riuscendo a riposare correttamente. Ma a distanza di un anno, ancora non riusciva a riacquistare la forza di alzarsi di buon ora e prepararsi per andare in ufficio. 

Perciò era strano che Harry, quella mattina, si fosse svegliato abbastanza riposato e che avesse aperto gli occhi ancora prima che suonasse effettivamente la sveglia. Si preparò con calma e riuscì a passare a prendere un caffè prima di entrare in ufficio, con ben tre minuti di anticipo rispetto all'inizio dell'orario di lavoro. Il suo collega, Liam Payne, ne rimase stupefatto. 

"Il grande Harry Styles che ci degna della sua presenza addirittura prima dell'inizio dell'orario di lavoro. Sto per caso sognando?" si strofinò gli occhi con entrambe le mani per prenderlo in giro, accennando poi una lieve risata mentre guardava l'espressione compiaciuta del collega.

"Non so cosa sia successo questa mattina, mi sono semplicemente svegliato prima e sono riuscito a fare le cose con calma. Ho persino preso una tazza di caffè prima di arrivare! - alzò le spalle in un gesto noncurante, sorridendo soddisfatto- Sono certo che oggi sarà una giornata splendida, niente e nessuno riuscirà a rovinarmi l'umore!" esclamò soddisfatto, regalando al collega un sorriso contornato di fossette prima di avvicinarsi alla sua scrivania e sistemarsi prima di iniziare il suo lavoro. 

Le parole del ragazzo rispecchiarono il vero almeno fino a fine giornata, quando il ragazzo si alzò dalla sua scrivania e raccattò tutte le sue cose per tornarsene a casa. La prima bella notizia fu che il suo capo quel giorno non si sarebbe presentato a lavoro per un appuntamento importante con qualche cliente pelato e panciuto, perciò almeno per quella giornata poteva respirare aria di libertà. La seconda bella notizia arrivò da sua sorella Gemma che, rimasta ad Homes Chapel con la madre, lo chiamò  a pranzo per comunicargli che il fidanzato le aveva chiesto di sposarla con uno dei suoi gesti plateali; al suo racconto non mancarono di certo numerosi gridolini che quasi fecero esplodere il timpano al povero ragazzo, ma questo piccolo inconveniente non guastò il suo umore ottimo, migliorato poi dalla bella notizia. Harry era così preso ad ascoltare la sorella che non si accorse nemmeno di non aver mangiato per tutta la durata della sua pausa e fu costretto a mangiarsi una mela mentre riprendeva il suo lavoro. 

Le belle notizie per quel giorno erano finite, come anche l'orario di lavoro, così Harry si affretto ad uscire dall'ufficio e prendere la metropolitana che lo avrebbe portato nel suo appartamento. 

***

Quando Harry si addormentò sul divano non erano nemmeno le nove di sera, ma era troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa, come lavare le stoviglie con cui aveva cenato o anche solo guardare un programma alla tv; non si rese conto che ore fossero, sentì solo bussare più volte prepotentemente alla porta, svegliandosi di soprassalto. Non si soffermò nemmeno a guardare l'ora, si precipitò alla porta passandosi una mano sul viso per svegliarsi del tutto ed aprì la porta; sentiva di avere il fiato corto, il panico scritto negli occhi e l'ansia che fosse successo qualcosa. Ma quando aprì la porta, non trovò nessuno. Nessuno a cui chiedere cosa fosse successo, nessuno con cui confrontarsi e a cui chiedere il perché di tutta quella urgenza. Tutto quello che trovò fu un seggiolino per auto con dentro una bellissima bambina addormentata e coperta da una copertina rosa tirata su fino al mento per non farle prendere freddo. Harry si chiese di chi fosse quella neonata, avrà avuto massimo sei mesi. 

Chi diavolo aveva lasciato una bambina davanti alla sua porta? Senza nemmeno avere la cura di toglierla dal seggiolino e metterla in un passeggino. Che razza di genitore farebbe mai una cosa del genere? 

Il ragazzo si strofinò gli occhi più volte, giusto per essere sicuro di non star sognando. Si affacciò oltre la porta e guardò prima a destra, poi a sinistra, appurando che nel corridoio non ci fosse proprio nessuno, a parte quella piccola creaturina addormentata. Un pensiero attraversò la sua mente: magari l'avevano lasciata lì fuori solo per pochi istanti, giusto il tempo di andare a prendere in macchina qualcosa, come la spesa o i pannolini puliti appena comprati. Ma perché a quell'ora? E perché avrebbero dovuto suonare proprio a lui e sparire prima di poter chiedere un simile favore al vicino? No, non poteva essere. Si maledì anche solo per averci pensato; la cosa peggiore fu che pensò pure di chiudere la porta e far finta di non aver mai visto nulla. La risoluzione di misteri non era il suo forte, ovviamente. 

Prima che il suo cervello addormentato suggerisse qualche altra idea idiota, si allungò e prese delicatamente il seggiolino fra le braccia, portandolo dentro casa e poggiandolo sul divano. Osservò il viso rilassato della bimba dormiente e sospirò piano. Cosa avrebbe dovuto fare? Chi diavolo era quella splendida bambina? 

Si ricordò di sua cugina, diventata madre meno di quattro anni prima, che quando andò a trovarlo a casa di sua madre con il bambino, prima di tutto spogliò il bimbo per evitare che sudasse per il cambio di temperatura e il suo essere tutto coperto con strati di vestiti addosso. Perciò, con tutta la delicatezza di cui era provvisto, le sfilò la coperta e notò una busta bianca con sopra il suo nome. Inutile negare che perse un battito e il suo unico neurone svegliò gli suggerì già cosa stesse succedendo, ma si rifiutò di crederlo. Decise che fosse meglio pensare prima alla bambina, così mise da parte la lettera e si preoccupò di sfilarle lentamente il giubbettino, il cappellino, la sciarpetta, i guantini e le scarpette, lasciandola con la tutina e le calzine. Si premurò di metterle addosso la copertina per non farle comunque prendere freddo e si sedette vicino a lei, riprendendo a respirare quando notò con soddisfazione di non averla svegliata. Da quando aveva smesso di respirare? Non era certo se fosse dal momento in cui aprì la porta o quando iniziò a toglierle tutte quelle cose pesati che aveva addosso. 

Si prese qualche istante per pensare a cosa fare. Sapeva fin troppo bene di essersi messo nei guai, ma avrebbe preferito una chiamata, una visita durante un giorno di sole, qualsiasi altra cosa in qualsiasi altro momento. Si fece forza e afferrò la busta, aprendola lentamente e con mani tremanti. 

Più leggeva e più sentiva la gola chiudersi, gli occhi bruciare e il respiro sempre più corto. Questo voleva dire solo una cosa. Attacco di panico. 

La cosa più intelligente che gli venne in mente di fare, fu chiamare qualcuno. Il primo numero che gli venne in mente fu quello dei soccorsi, ma nessuno era ferito, senza tener conto del suo cervello sprovvisto di cellule celebrali vive e funzionanti, inoltre la bambina non piangeva ancora e la cosa poteva solo significare che non aveva fame e non doveva essere cambiata. Dormiva ancora e non serviva chiamare i pompieri, non in quel momento almeno. 

Pensò di chiamare Zayn, il proprietario del bar in cui aveva lavorato per un anno una volta arrivato a Londra. Gli aveva permesso di trovare un tetto sotto cui ripararsi, gli aveva permesso di stare da lui quando il suo appartamento era diventato invivibile, gli aveva dato la possibilità di vivere dignitosamente finché non trovò un nuovo lavoro con un salario più alto e più possibilità di fare strada nel mondo del lavoro. Era diventato un buon amico, quello che potresti chiamare in qualsiasi situazione e in qualsiasi ora della notte, ma pensò non fosse giusto aggrapparsi di nuovo a lui. Erano rimasti in ottimi rapporti, si vedevano tutte le volte che potevano, ma non poteva essere così egoista da chiamarlo alle quattro del mattino quando era certo fosse tornato a casa solo due prima, crollando sulla prima superficie morbida disponibile. 

Pensò di chiamare sua madre, ma sapeva che l'avrebbe fatta morire di infarto se l'avesse chiamata a quell'ora, con la voce strozzata e il respiro irregolare; gli avrebbe chiesto se fosse tutto apposto, se fosse successo qualcosa e lui non era in grado di parlare in quel momento. Aveva solo bisogno di qualcuno che venisse nel suo appartamento ad insegnargli come tornare a respirare. Perciò pensò a Liam. Quel collega che fu gentile e disponibile già dal primo giorno; l'unico che gli avesse indicato la strada per l'ufficio del capo per fare il colloquio quel giorno e l'unico che l'avesse rassicurato quando era uscito, dopo un'ora, da quel maledetto ufficio con le lacrime agli occhi. Sapeva che l'uomo fosse una bestia assetata di sangue, pronta a rendere la vita un inferno ai suoi dipendenti e strillare al minimo errore. Ma non pensava che si sarebbe trovato davanti i due occhi azzurri più profondi e inquisitori, nonché belli, che avesse mai visto. Non poteva negare che il suo capo fosse bello, nessuno poteva farlo, ma non si aspettava di trovare un uomo così cattivo e stronzo. Liam lo aveva subito consolato quando lo aveva visto uscire con la testa bassa e le mani che ancora tremavano, lo aveva condotto nel bagno e gli aveva sussurrato parole di conforto come "pretende molto dai suoi dipendenti, se verrai a lavorare qui capirai che ancora non hai visto niente". 

In effetti non erano molto di conforto, ma almeno ci aveva provato. Per smorzare un po' la tensione che persisteva nel ragazzo aveva anche sussurrato "almeno tu non hai pianto, come tutti gli altri candidati. Una cosa che non bisogna mai fare con lui è piangere. Non sai quanto ha urlato quando uno dei pretendenti si è messo a frignare, è dovuto scappare via dal suo ufficio, il capo stava diventando una bestia". Che poi Harry si era messo a dire "perché, non è già di suo una bestia?"e il capo era entrato nel bagno proprio in quel momento, sentendo il suo commento, era un'altra storia. Iniziò tutte le sere a pregare che non avesse sentito o capito niente. 

Quindi, si. Liam era quello giusto da chiamare. 

La conversazione non fu delle più lunghe. Liam era un ottimo amico e una persona che capiva al volo quando qualcosa non andava, perciò, nonostante fossero le quattro del mattino, si alzò dal letto e, senza nemmeno cambiarsi, si mise le scarpe e andò direttamente alla macchina, partendo il più velocemente possibile fino a casa di Harry. Non lavoravano da molto insieme, ma avevano subito legato e quando Harry cambiò appartamento, trovandone uno più spazioso e decente grazie al nuovo stipendio, Liam fu il primo ad entrare e aiutarlo a renderlo più suo. Perciò non fu difficile ricordare la strada per arrivare all'appartamento e una volta parcheggiato, salì i pochi piani a piedi e bussò alla sua porta. 

Liam non sapeva cosa aspettarsi. Era morto qualcuno? Harry aveva rapito il fantomatico ragazzo di cui aveva una cotta e lui era scappato? Si domandava perché diavolo lo avesse chiamato alle quattro di notte senza dire una parola, respirando con affanno come se avesse corso per chilometri interi e come se stesse per svenire da un momento all'altro. Doveva esserci un buon motivo. O ci sarebbe stato davvero un morto in quella casa. Era pronto a trovarsi di tutto, ma non una bambina dormiente e Harry seduto per terra con la schiena poggiata contro il divano che si teneva la testa con le mani e rantolava qualche parola confusa. 

Non sapeva proprio come comportarsi. Doveva scuoterlo? Doveva dire qualcosa? Andare a prendergli dell'acqua? Fargli domande su domande finché non avesse risposto? Non sapeva come l'avrebbe presa, ma se l'aveva chiamato significava che aveva bisogno di lui. Era la prima volta che lo vedeva così perso e impaurito; nemmeno quando era uscito dall'ufficio del capo dopo una rumorosa sgridata e una conseguente umiliazione davanti ai suoi nuovi colleghi, il primo giorno di lavoro, era così afflitto e mortificato. Lui era come un sole, con il suo grande sorriso, le sue fossette e gli occhi verdi sempre luminosi, splendeva di luce propria e non potevi non ricambiare quel sorriso e sentirti meglio anche solo dopo una chiacchierata di due minuti con lui. Doveva essere qualcosa di veramente devastante per lui, se era così giù; non lo riconosceva neppure. 

Chiuse la porta alle proprie spalle e si tolse il cappotto con calma e senza far rumore, come se avesse avuto paura che quella fosse solo la calma prima di una tempesta. Andò a sedersi al fianco del ragazzo e gli posò una mano sulla spalla, rimanendo sorpreso quando il riccio scivolò lentamente contro di lui e posò la testa contro il suo petto, iniziando a piangere; era come se con solo quel tocco, il ragazzo fosse crollato. Liam lo lasciò sfogare, stringendolo contro di sé e sussurrandogli parole di conforto, anche se non sapeva cosa pensare. 

Dopo interminabili minuti di singhiozzi e tirate su con il naso, Harry smise di piangere e alzò la testa dal petto del collega, si asciugò le lacrime e senza dire una parola passò una busta a Liam, tornando poi a prendersi la testa fra le mani. Il ragazzo ci mise pochi istanti per aprire la busta e scoprire che Harry gli aveva dato una lettera indirizzata a lui, visto che il "Caro Harry.." era un indizio più che valido.  

Liam diede un'occhiata veloce alla lettera ma non la lesse, captò solo numerosi "mi dispiace Harry.." e altrettanti confusi "non ce l'ho fatta" . Non se la sentiva di leggerla per intero, gli sembrava di invadere la sua privacy, di rubare un pezzettino dell'anima di quel ragazzo che in quel momento sembrava distrutto. Chiuse la lettera e la poggiò sul pavimento vicino ai suoi piedi, si girò verso il riccio e gli posò due dita sotto il mento per fargli alzare il viso e guardare i suoi occhi, seppur arrossati e lucidi, ancora profondi e bellissimi. 

"Mi vuoi dire cosa sta succedendo, Harry? Perché c'è una bambina sul tuo divano?" sussurrò piano, accennando un sorriso d'incoraggiamento. Il ragazzo esitò, ma prese subito un respiro profondo e ingoiò quel groppo alla gola che gli era subito tornato.

"Si chiama Aurora Diana Roberts, dovrei andare a riconoscerla visto che è mia figlia e da oggi dovrò crescerla io". Furono poche parole, ma piene di significato, di domande ed incertezze. Dal suo tono si poteva intendere che si stesse domandando quel disperato "come farò?" che tutti si chiederebbero. 

"Non c'è bisogno che mi racconti i particolari, dimmi solo se posso fare qualcosa per te." mormorò Liam, afferrandogli una mano per stringerla fra le sue e sorridergli calmo, facendogli capire che alla fine tutto sarebbe andato bene e che lui sarebbe rimasto al suo fianco sempre e comunque, per qualsiasi cosa.

Harry si sentì meno solo, meno spaesato ed impaurito; pensò che magari, avrebbe potuto farcela. 

"Avrò bisogno di un aiuto per decidere quale latte comprare, dovrei prendere una culla, dei vestiti, i pannolini, imparare a cambiarli e io.." la sua voce si spezzò e tirò su col naso, asciugandosi frettolosamente una lacrima che scendeva lunga la sua guancia. "Non sono pronto a fare il padre, non sono pronto a tutte queste responsabilità. Come crescerà questa bambina? Io non sono adatto a tutto questo" mormorò sconfitto, abbassando il viso mentre sospirava sconfortato. Era solo un ragazzo di ventitré anni dannazione, come avrebbe fatto a crescere una bambina?

"Crescerà circondato da amore e con un padre fantastico, perché tu sei una persona fantastica, Harry. All'iniziò sarà difficile, ma puoi farcela. Ti aiuterò io, ti aiuterà Perrie, sono sicuro che anche il tuo amico Zayn sarà pronto ad aiutarti. Siamo tutti qui per te Haz, possiamo farcela" lo rassicurò con un piccolo sorriso, allungandosi per avvolgerlo con le braccia e dargli un po' di conforto. "Mia sorella ha avuto un bambino circa sei mesi fa, possiamo chiedere a lei le cose migliori da comprare e come si cambiano i pannolini, possiamo chiederle in prestito il marsupio per trasportare la bambina finché non riuscirai a comprare un passeggino. Sono sicuro che ci aiuterà, Haz" 

"Grazie Liam, non saprei che fare senza di te" mormorò il ragazzo, riuscendo finalmente a sorridere sinceramente al collega. "Nella lettera ha scritto che l'ha allattata poco prima di lasciarla qui, perciò verso le quattro. Avrà di nuovo fame per le sette, se sono fortunato. Questo significa che devo andare a comprare il latte e il biberon prima che si svegli e inizi a piangere" biascicò, passandosi una mano sul viso stanco. 

"Sono già le cinque meno un quarto, che ne dici di venire da me per queste poche ore rimaste? Chiamerò mia sorella per le sei e mezzo e gli chiederò tutto. -Harry lo guardò male scuotendo la testa, pronto a protestare per non svegliarla così presto, ma lui fu più veloce a parlare- non ti preoccupare, di solito si sveglia alle sei per andare a lavoro, non sarà un grosso problema per lei" 

Harry fu costretto ad annuire ed accettare la sua proposta. Che altro avrebbe potuto fare? 

Non era una soluzione che prendeva a cuor leggero, ma Liam sembrava sapere quello che faceva e diceva e lui, con le sue facoltà cognitive compromesse, non poteva che affidarsi a lui e permettere che per una vola fosse qualcun altro a prendersi cura di lui. 

Gli anni gli avevano insegnato che si poteva affrontare le cose anche da soli, perché prima poi tutti ti deludono, tutti se ne vanno, tanto vale imparare fin da subito a cavartela da solo e non aver bisogno di nessuno. Ma per una volta era bello lasciarsi andare e sapere che c'era qualcuno lì pronto a sorreggerti, nel bene e nel male.

Era bello sapere che per una volta non sarebbe caduto al suolo e non si sarebbe fatto male.

  
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