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Autore: vali_    02/05/2019    4 recensioni
[Seguito di "Wash Away"]
Sam, dopo aver perso Jessica, è tornato a cacciare con suo fratello, nonostante continui a credere che la sua vita potrebbe essere molto di più che inseguire mostri e un incubo infinito. Dean si sente meglio ora che ha nuovamente suo fratello al suo fianco, ma Ellie gli manca più di quanto voglia ammettere e, quando una persona a lui cara lo cerca per chiedergli di occuparsi di un problema che la riguarda, non esita un istante a prendere l’Impala e correre da lei.
… “«Scusa Sam, ma non andiamo in Pennsylvania».
La smorfia che compare sulla faccia di suo fratello è un misto tra il disperato e lo spazientito, ma a Dean poco importa di come prenderà questo cambio di programma. «Come? Ma se avevamo detto—»
«Non importa quello che avevamo detto» prende fiato e lo guarda intensamente; non ha voglia di discutere, ma almeno deve dargli qualche informazione su questo cambiamento improvviso. Tanto poi sa che, durante il viaggio, Sam lo riempirà di domande comunque
”…
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima stagione, Seconda stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note (Parte 1): Ed eccoci arrivati all’ultimo capitolo. T_T
Come già anticipato, è un epilogo, per questo è moooolto più breve dei precedenti.
Vi aspetto in fondo per le note finali :) (ç____ç)
 

Capitolo 34: How bad we need each other
 
Life is too hard to walk alone
You can't do it on your own
It's like bare hands digging through stone

And if things go down much deeper hills
Even money won't pay these bills
And time will show
That people gonna be OK
Storms never come to stay

They just show us how bad we need each other
How bad we need each other
And the trials of today
They are signs along the way
to remind us how bad we need each other
How bad we need each other

 
(How bad we need each other – Marc Scibilia)
 
 
«Ti piace?»
Dean fissa quel pezzo di stoffa e sorride appena. Si appoggia meglio allo stipite della porta della stanza, osservando con attenzione il risultato.
«Sì, molto. L’unica cosa che non capisco è perché hai preso le lenzuola rosse» Ellie ride a quelle parole, gli occhi luccicanti.
 
È stata a far compere, oggi pomeriggio. E a quanto pare ha svaligiato il negozio di biancheria.
Dean osserva con attenzione la loro stanza – qualcosa si apre al centro del suo petto solo ascoltando questo pensiero, a sentirne il suono così caldo e accogliente; è così ogni volta che ci pensa – e guarda con attenzione il letto: grande e davvero comodo – niente a che vedere con quello dei motel –, ma quel piumone bianco con i fiori rossi e lilla un po’ stona alla sua vista. Per non parlare delle lenzuola rosso bordeaux che ne sbucano fuori e delle federe dello stesso colore che ricoprono i cuscini.
Ellie gli circonda la vita con le braccia e lo stringe, la testa inclinata a guardarlo. «Quelle dei motel erano sempre bianche. Mi sono stancata di quel piattume» Dean le accarezza i capelli e pensa che, in fondo, non ha poi tutti i torti. Questa spiegazione gliele fa piacere senz’altro di più. «Volevo cambiare. Le ho prese anche blu e verdi, per l’inverno. E se non ti sta bene la prossima volta vieni anche tu».
 
Dean sorride divertito e la abbraccia forte, puntando ancora gli occhi su quel letto rifatto con cura. A pensare che hanno passato i primi giorni in questa casa a dormire sul materasso buttato per terra perché non avevano neanche una rete su cui piazzarlo, in confronto adesso gli sembra di vivere un’altra vita. «Ti ricordo che ero a lavorare, io» lei scuote la testa, come a fargli il verso, e Dean storce un angolo delle labbra. «Quando le inauguriamo?»
Ellie alza il mento, guardandolo perplessa. «Stasera, no?» La sua espressione è così innocente che Dean non sa se scoppiare a ridere o mettersi a urlare.
Tira le labbra in una linea sottile, sbuffando aria dal naso «Non pensavo di dormirci… voglio dire, non subito».
Ellie si morde le labbra nascondendo un piccolo sorriso – lo sguardo acceso e birichino – «Aaah… »
Dean piega le labbra in un sorriso malizioso e trova la mano di Ellie per poi intrecciarne le dita, trascinandola con lui qualche passo più avanti.
 
Adesso, almeno secondo Ellie, mancano qualche quadro sul muro, uno specchio e un paio di tappeti su cui poggiare i piedi quando scendono dal letto, cose di cui hanno potuto fare a meno fino adesso in vista di spese più grosse, ma non hanno fretta.
 
Gli occhi di Dean cadono sul pavimento, dove scorge qualcosa di nuovo: un paio di ciabatte a forma di gatto. Sono grigie e pelose, con tanto di musetto e baffi di micio disegnati sopra e solo a guardarle a Dean viene da starnutire, per quanto sia ovviamente cosciente del fatto che non siano fatte con del pelo di un gatto vero.
Piega le labbra in una smorfia storta. «E queste?»
Ellie sorride, visibilmente divertita «Sono le mie ciabatte nuove! Ti piacciono?»
«No!»
Lei lo guarda negli occhi, mettendo su un finto broncio. Si scosta dalla sua presa e si abbassa per prenderle in mano «Ma dai, sono bellissime! Un po’ invernali, ma mi piacevano. Mi ricordano un po’ Mufasa. Ti ricordi, no? Che Janis sarebbe d’accordo se volessimo andare a prenderlo e—»
Dean stringe le labbra in un sorriso ironico «E ti ricordi che ti ho già detto che non se ne parla, no?»
 
Per quanto Janis sia gentile e accomodante, l’idea di trasportare un gatto da Buckley a qui che sarà almeno a millecinquecento miglia di distanza [1] non è esattamente geniale. Il problema è che Ellie si è messa in testa che le piacerebbe avere un micio, come quando viveva da sola – anche se stavolta non lo è – e sarà dura farle cambiare idea. Per fortuna Dean è allergico al pelo di gatto, altrimenti sicuramente ne avrebbero già uno in casa. È poco ma sicuro.
 
Ellie incrocia le braccia al petto e sbuffa appena «Uffa»; fa così ogni volta che parlano di adottare o meno un animale domestico. «Comunque, dicevo, queste le ho trovate al supermercato… sono calde e comode, le avevo molto simili quando ero bambina».
Dean stringe gli occhi «Appunto! Sono da bambina!» e lei sorride con quel fare innocente che lo manda sempre su di giri «Sono belle per questo!» per poi fargli la linguaccia.
 
Sorride e sta per dirle qualcosa, quando un leggero toc toc alle sue spalle lo costringe a voltarsi.
A guardarlo con gli occhi di un bambino felice c’è un sorriso genuino e limpido, sereno, incorniciato da una cascata disordinata di capelli castani.
«Abbiamo fatto un ottimo lavoro, non trovi?»
 
Dean stringe le spalle, cercando – invano – di mantenere un’espressione tipica della sua faccia da schiaffi. «Sì, ma potevate fare di meglio… tipo evitare di comprare lenzuola fosforescenti».
Ellie gli dà una manata su un braccio «Anche lui le ha prese colorate: gialle e blu».
«Oh, lo immaginavo. Perché è una femminuccia come te» e anche Sam, la spalla destra appoggiata contro lo stipite della porta, sorride, dopo aver roteato gli occhi col suo solito modo di dirgli che è un cretino.
 
Vive anche lui qui, adesso. Da un paio di settimane circa.
Dopo quella sera che hanno passato insieme qui, a mangiare pizza cucinata da Ellie e a bere birra fino a quasi le due del mattino – in un’atmosfera che era a dir poco serena, quasi innaturale dopo tutto quello che era successo –, Sam è tornato spesso a trovarli. A volte li avvisava – tipo la prima volta che è venuto a fargli visita, arrivando dopo cena per portargli un pensierino: un orologio da muro; lo hanno appeso in cucina –, mentre altre si presentava a casa all’ora di cena con qualcosa preso d’asporto – per lo più hamburger – o improbabili sformati di patate fatti da lui. A volte, a dire la verità, non erano nemmeno molto commestibili – tra i due, è sempre stato Dean che se l’è cavata meglio tra i fornelli, il che è tutto dire –, ma sia lui che Ellie hanno sempre apprezzato il gesto. Soprattutto lei, che al solo vederlo entrare dal portone di casa le si illuminavano gli occhi.
 
Dean ha sempre fatto finta di niente, seppellendo l’ascia di guerra e trattando il fratello con il massimo rispetto e riguardo – consigliato anche da Ellie, che se c’è una che l’ha sempre tenuto a freno in queste situazioni sicuramente è stata lei. Poi una sera, di punto in bianco, Sam ha tirato fuori il rospo: le sue ricerche su Occhi Gialli e sul sangue che gli aveva messo in corpo non lo stavano portando da nessuna parte, che tutti gli amici di papà su cui fare affidamento erano morti e che si era stancato di rincorrere un fantasma – per una volta nel senso figurato del termine. Più che lavorare, gli sarebbe piaciuto tornare a studiare; magari non a Stanford, ma dalle loro parti, così da poter rimanere al fianco della sua famiglia – testuali parole, roba che a Dean stava per venire un infarto dalla contentezza – e aiutarli in caso di bisogno.
Ricorda ancora ogni singola parola, perfino l’espressione del suo viso e il tono con cui le stava pronunciando, per quanto ne era entusiasta: «Ho cominciato a pensarci sul serio quando sono stato qui la prima volta e ho visto la stanza vuota, quella che… che sarebbe stata mia nel caso avessi accettato di venire con voi. Ne sono rimasto sorpreso e… e ho pensato che mi piacerebbe tanto occuparla, quella stanza. Sempre se è ancora disponibile».
 
Il cuore gli si è bloccato in gola in quel preciso istante ed è rimasto lì, immobile, a fissare il fratello come uno stoccafisso. Ricorda lo sguardo di Ellie addosso, quel luccichio negli occhi tipico di quando è felice, e il suo correre incontro a Sam e stringerlo in un abbraccio. Ha stampato in testa il suo sorriso, dopo, mentre con le sue grandi braccia le stringeva la schiena.  
 
Ha ben in mente anche le parole che Sam ha detto poi, dopo che Ellie ha smesso di fare il koala e lui ha recuperato un minimo la salivazione. Ha cambiato espressione, cercando di mascherare l’enorme sorriso che gli era affiorato sul viso – sicuramente dovuto alla contentezza che ha generato in loro il suo annuncio: uno come lui, che si è visto sbattere la porta in faccia da papà, sa bene cosa significa essere accolti. «L’unica cosa che non voglio è sentirmi di troppo. Non voglio fare il terzo incomodo e non voglio che cambiate le vostre abitudini per me. Mi conosco e probabilmente continuerò a fare delle ricerche, saltuariamente, perché voglio arrivare alla verità, ma… ma la cosa non deve toccarvi. Se avete chiuso con la caccia, non voglio essere io a ributtarvici dentro».
Ellie ha stretto le labbra a quelle parole, rimanendo in silenzio, e a quel punto è stato Dean a parlare, confessando che lui, a caccia, qualche volta ci va ancora – più per aiutare Bobby che perché ne sente una vera e propria mancanza –, anche se è comunque fermo nella sua idea, ma che Sam era libero di fare quello che voleva. E le ricerche, come le faceva da Bobby poteva farle lì, quindi sicuramente non gli avrebbe dato fastidio. «C’importa solo che vuoi venire a stare qui con noi» e non ha aggiunto altro, ritenendosi anche troppo melenso per i suoi standard di uomo integerrimo.
 
Da lì, Sam ci ha messo poco a traslocare: il tempo di tornare da Bobby e prendere le sue cose per lui e quello di dare una sistemata a quella che sarebbe diventata la sua stanza per tutti e tre. Ellie doveva rinunciare al suo angolo da stiro e riporre lo stendino da un’altra parte, ma lo avrebbe fatto – e lo fa tutt’ora – più che volentieri.
 
Sam non ha ancora ben chiaro cosa vuole fare “da grande”, se trovarsi un lavoro vero o uno che possa mantenerlo negli studi, a patto che si deciderà a riprenderli – anche se Dean pensa che propenderà per questa ipotesi, alla fine –, ma va bene così. In fondo, è arrivato da poco, ha tempo per ambientarsi e decidere.
 
Lo guarda adesso, mentre suo fratello sorride in modo nuovo, sereno e tranquillo: Dean lo percepisce e cazzo se ha passato tutta la vita a sperare di vederlo sorridere così. Svia lo sguardo per non farsi beccare e torna a guardarsi intorno, osservando ancora quel letto ben fatto.
Avverte lo sguardo di Ellie su di sé e sospira appena. «Va beh, dai, diciamo che potevate fare di peggio con queste lenzuola. Però la prossima volta forse è meglio che vengo anch’io, almeno eviti di comprarti cose stravaganti».
 
Ellie si mette a ridere e Dean la guarda raggiungere Sammy, prenderlo a braccetto e raccontargli che le ciabatte che hanno scelto insieme sono bellissime ma non piacciono a Dean mentre si avviano al piano di sotto; Dean ascolta il loro chiacchiericcio diventare sempre più lontano e si siede sul letto con un sorriso stampato sulle labbra.
 
Gli viene automatico ripensare alla sua vita, a quanto è stato difficile a volte tirare avanti nonostante tutte le ferite che si portava nel cuore e nel corpo e non pensava che sarebbe riuscito ad essere così felice e sereno, un giorno.
Lo fa spesso, ultimamente, quando si ritrova a chiedersi perché il pensiero di suo padre ogni tanto torni a tormentarlo, nelle rare, rarissime volte in cui ha qualche dubbio sul passo importante che ha compiuto. Poi ripensa ai giorni in cui aveva il cuore a pezzi, perché dopo la partenza di Sam per Stanford si sentiva come una barca priva della sua ancora, incapace di attraccare al porto; allo stesso padre che lo voleva ancora schiavo della sua vita da cacciatore ma che non c’era mai e le rare volte in cui era presente era solo per dargli degli ordini o rimproverarlo di qualcosa. A quando è arrivata Ellie, che pian piano ne ha rincollato insieme i pezzi e l’ha aiutato a leccarsi le ferite – e non solo quelle, ma questa è un’altra storia.
In poco tempo, lei ha stravolto tutto quanto: il suo modo di vedere le cose, il suo presente e soprattutto il suo futuro. È rimasta a combattere al suo fianco quando aveva già sconfitto i suoi fantasmi, ha portato dolcezza nella sua vita amara e oggi, ancora una volta, gli ha riportato indietro suo fratello. Di questo Dean le sarà sempre terribilmente grato.
Per questo non può avere dubbi: solo la speranza di vivere in quest’isola felice che qualcuno a cui deve andare parecchio a genio ha deciso di donargli il più a lungo possibile.
 
Si guarda nuovamente intorno e sorride più convinto, lo sguardo lucido di chi ha ancora tanto da fare ma sente di poter riuscire a costruire qualsiasi cosa con poco sforzo, perché è così appagato da quello che ha che non lo affatica nulla.  
 
A distrarlo c’è il dlin dlon del campanello che suona e non ha bisogno di sentire quella voce calda e bassa provenire dall’ingresso per sapere che si tratta di Bobby. E quella di Ellie che si lamenta del fatto che si è presentato con un vassoio pieno di pizze fumanti quando poteva cucinare lei lo fa sorridere più convinto al pensiero che certe cose sono davvero destinate a non cambiare mai. E, per una volta, ci tiene che sia così.
 
Si alza scuotendo la testa e pregando che continui a lungo, che certe abitudini è bene mantenerle, e si decide a lasciare la stanza e a scendere di sotto per raggiungere la sua famiglia, coloro che sono sempre riusciti a tenerlo in piedi e a restargli accanto qualunque cosa accadesse.
 

[1] Per andare da Brookings, situata nel South Dakota, a Buckley, nello Stato di Washington, sono sufficienti quasi ventiquattro ore di macchina. La distanza azzardata da Dean è giusta: secondo Google Maps, la strada più breve – per così dire – misura 1527 miglia. 
 
 
Note (Parte 2): … beh, che dire… stavolta è davvero dura concludere. Sarà che questa storia è più lunga della precedente, che ci ho messo anni a scriverla o non so, ma so che ne sentirò particolarmente la mancanza, ora che è davvero conclusa.
Ho in mente vari spin-off, cosine brevi e alcune un po’ più lunghe (non così tanto, state tranquilli XD), ma ahimè la vita vera ultimamente sta risucchiando più dell’85% delle mie energie e non so quando riuscirò a buttare giù qualcosa. So solo che Ellie passerà ancora da queste parti, di questo potete stare certi :) Ci sarebbe anche un mezzo seguito nella mia testa, chissà che io non riesca a metterlo su carta, prima o poi.
Spero di non aver trasformato il miracolo di Wash Away in qualcosa di stucchevole e troppo banale. Non volevo dare un finale brutto o triste, perché ci tenevo che i protagonisti vivessero un percorso di crescita e che arrivassero a questo punto non perché costretti dagli eventi (com’è successo a Dean e a Lisa, per esempio), ma perché lo volevano fortemente. Dean ha subito un notevole processo di maturazione, in questa storia, è cambiato molto, ma spero di essere riuscita a conservare la sua vera natura.
Io non posso far altro che ringraziare tutte le persone che mi hanno seguito con tanto entusiasmo, che mi hanno scritto le loro impressioni e con cui è sempre nato un dialogo costruttivo e appagante. Ringrazio chi mi ha esposto le sue perplessità e chi si è preso la briga di commentare capitolo per capitolo, scrivendo con novizia di particolari idee, paure e desideri. Non saprei come avrei fatto senza tutti voi.
Grazie anche a coloro che si sono solo affacciati alla storia, che l’hanno letta e che sono rimasti nell’ombra: siete tutti preziosi, per me.
Vi mando un forte abbraccio e vi ringrazio ancora tantissimo. Spero di rifarmi viva presto, da queste parti. Magari con Ellie insieme a me.
Vi abbraccio fortissimo,
Vali :)
  
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