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Autore: Bloody Wolf    08/05/2019    5 recensioni
AU | Dante & Vergil | Devil May Cry
Due gemelli che non sanno di esserlo, un poliziotto e un criminale che uccide la gente senza alcuna pietà, due fratelli, sangue dello stesso sangue con un passato burrascoso alle spalle e l'incoscienza del non sapere dell'altro.
Cosa succederà?
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dante, Vergil
Note: AU | Avvertimenti: Incest
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Salve a tutti ed eccomi qui a pubblicare questo secondo capitolo!
T.T Bhe mi fa tutto schifo ciò che pubblico quindi auguri a chi legge T.T


Missione 2.

Giorno quattordici di prigione.

“Dante, oggi il direttore ha chiesto di poter parlare con te. Mani sulla testa, devo ammanettarti, non fare storie.”

Ubbidì, lasciandosi limitare quei movimenti che non intendeva fare, sapeva quanto era importante il direttore in quella prigione, forse perchè il destino aveva fatto in modo che finisse in una delle prigioni più controllate della città, là dove i tre quarti dei prigionieri venivano da raid o da fermi capitanati da lui stesso, forse perchè aveva sempre saputo cosa succede a chi si ribella agli ordini o forse perchè il suo gradasso modo di fare stava scemando assieme a quella voglia di rivalsa...

Era lui, solo contro tutti: le guardie lo odiavano, i prigionieri organizzavano battute di caccia per andargli contro nonostante, il più delle volte, si ritrovavano gonfi di botte facendolo andare nei casini…

Come stai? Gli aveva chiesto sua madre tre giorni prima quando era venuta a trovarlo, lui aveva sorriso ma dentro di sè aveva solo oscurità…

 

Aveva portato le mani ad incrociarsi dietro la testa giocando a fare l’equilibrista seduto su quella sedia di plastica, si stava dondolando con un sorriso falso stampato su quel volto circondato da una leggera peluria bianca. Doveva fingere affinchè lei non si preoccupasse...

“Puoi ingannare chiunque con quell’aria da mascalzone, Tony… ma non me, sono tua madre.”

Dante spostò lo sguardo dalla figura materna e si ritrovò a fissare le fronde degli alberi che si muovevano al di fuori da quelle sbarre e da quel luogo che somigliava fin troppo ad un ospedale con i suoi muri bianchi e quelle divise patetiche.

“Non devi preoccuparti per me, so cavarmela.”

La donna ridacchiò annuendo a quelle parole, aveva gli occhi lucidi carichi di quella sensazione spregevole che l’aveva accompagnata fino a lì.

“Non si fermeranno alle botte, figliolo… i poliziotti non fanno mai una bella fine in carcere, ho paura per te.”

Chiuse gli occhi smettendo di dondolarsi su quella sedia, poggiò i gomiti sulle ginocchia e semplicemente rimase immobile, fermo ad attendere altre parole provenire da quella donna che lo aveva amato forse più della sua stessa vita.

“Non abbandonarmi anche tu, ti prego....”

Spalancò gli occhi Dante, alzò il capo e fissò quello sguardo, carico di lacrime malinconiche e addolorate, in quello della madre che sapeva di disperazione e di rammarico.

“Costi quello che costi, ti prometto che tornerò da te, non sono più un ragazzino che si lascia picchiare, mamma.”

 

Lo legarono al muro quel giorno, il primo pugno se lo aspettava, lo aveva visto arrivare con foga, fu violento e diretto contro il suo stomaco, si ritrovò a mordersi la lingua per trattenere qualsiasi imprecazione che la sua mente stava elaborando.

Il secondo gli colpì lo sterno e, per alcuni secondi, Dante andò in apnea dalla forza che quel colpo aveva avuto su di lui, annaspò prima di riuscire a percepire nuovamente l’ossigeno raggiungere i propri polmoni.

“Confessa che sei stato tu! Il direttore ci ha chiesto di andarci giù pesante con te, ci divertiremo…”

Un altro colpo arrivò, secco e ricoperto da ferro, l’impatto con il suo zigomo fu feroce, aggressivo e lo portò a sanguinare; lente le goccie di sangue iniziarono a scorrere sul suo viso, goccia dopo goccia, tormento dopo tormento.

Aprì la bocca e mosse di poco quella carne lesa per capire se ci fossero stati dei danni all’osso ma, oltre all’indolenzimento facciale, sembrava stesse bene.

Il ginocchio di quell’uomo si conficcò nel suo fegato con violenza inaudita, si ritrovò privo di sensi.

Si riprese solo quando dell’acqua fredda gli finì in faccia, fece fatica ad aprire un occhio, forse gonfiatosi dopo uno dei primi pugni che aveva avvertito su di sè, rantolò un poco prima di iniziare a ridere con la faccia pesta e il petto dolorante che si lasciava scuotere da quella risata amara ma crudele, sembrava folle in quel preciso istante e quelle guardie, difatti, si guardarono incuriositi e spaventati da quel risvolto.

“Non sono io l’uomo che cercate, potete picchiarmi quanto volete ma sappiate che mi vendicherò.”

Strattonò le catene che stridettero in maniera sinistra, si tesero e produssero un rumore sordo quasi che esse stessero per cedere sotto quella furia inaudita…

“Riportatelo in cella.”

 

Giorno diciassette.

“SMETTILA DI RIDERE!”

Il volto di Dante era una maschera di sangue, alcuni tagli si aprivano sugli evidenti ematomi, grondavano linfa rossa ma lui, incurante di quella sofferenza che si auto infliggeva con quella risata meccanica e soddisfatta, continuava infastidendo quelle guardie con tutto se stesso.

“Signore cosa dobbiamo farne? Sembra fuori di sè.”

L’uomo valutò le pessime condizioni in cui il prigioniero 021 versava, lo avevano ridotto male, doveva avere qualche costola incrinata e di sicuro andava messo qualche punto qua e là per suturare le ferite.

“In infermeria, se fanno domande mandatele da me.”

 

Aprì gli occhi gemendo di dolore, si portò subito una mano al costato cercando di alzarsi intorpidito e incapace di capire dove fosse.

“Prigioniero 021 stai nel tuo letto.”

Dante si ritrovò ad osservare quella donna che gli aveva parlato, sorrise allargando i lati delle labbra cercando anche di emettere un leggero fischio di apprezzamento ma una fitta dolorosa lo obbligò a cedere nel suo intento.

“Se sapevo che c’era una graziosa fanciulla come te qua dentro avrei finto prima di svenire, infermiera mi curi ho un leggero male…”

La donna sbuffò, scuotendo la testa divertita da quell’espressione da cucciolo che l’uomo era riuscito ad indossare nonostante quei lividi e quelle ferite che aveva dovuto curare sui tre quarti del corpo.

Aveva i lunghi capelli rossi legati in una coda bassa che le ricadeva mollemente sulla spalla, aveva un bel corpo e degli occhi verdi che sembravano trasmettere tutta la bontà che essi contenevano.

“Ti hanno conciato proprio male eh… hanno detto che non hai detto nulla, forse ti conveniva mentire no?”

Dante la guardò serio, sbuffò e senza nemmeno pensarci troppo negò con il capo facendo dei piccoli movimenti che da destra andavano a sinistra.

“Non gli permetterò di rovinarmi la vita.”

Il sorriso della donna si mostrò timido e accogliente in quel posto che sapeva solo di grigio e di sporco, sospirò prima di appoggiargli sul volto una confezione di ghiaccio istantaneo facendolo immediatamente gemere di dolore.

“Io sono Lucia e devo dire che ammiro la tua caparbietà anche se il tuo volto ne sta risentendo…”

 

Giorno diciannove.

Dante tornò nel braccio dei detenuti con passo sicuro e con la testa alta, aveva un ematoma a colorargli la zona offesa dello zigomo, aveva una ferita che da sopra al sopracciglio scendeva fino sopra alla palpebra che rimaneva ancora leggermente gonfia obbligandolo a tenere l’occhio socchiuso.

“Prigioniero 021, non ci sono andati giù leggeri con te eh…. Devi avere una capacità tutta tua di farti odiare.”

Le due guardie che lo stavano scortando non avevano assistito al suo pestaggio ma era certo che tutti, all’interno di quelle mura, sapessero cosa facevano in quella sala degli “interrogatori”, se  così potevano essere chiamate quelle brutalità.

“Sai, guardia, è un’abilità preziosa la mia e gli è andata bene che ero legato con delle catene, volevo divertirmi anche io che ingiustizia eh.”

L’uomo si ritrovò a guardarlo con occhi per nulla stupiti, sbuffò e lasciò che Dante entrasse nella cella prima di parlare con tono basso mentre guardava attorno a sè per evitare di essere ascoltato da terzi.

“Questo carcere è una merda, succedono cose che non dovrebbero accadere, non mi stupisce che ti abbiano cercato di estorcere una confessione in questo modo… davvero avrebbe bisogno di una ripulita questo posto.”

 

Giorno ventisette.

Si era seduto a giocare a carte con alcuni carcerati, aveva le gambe poggiate sull’angolo del tavolo e in testa aveva calato un cappello che aveva appena “vinto”, era un logoro cappello in stile western ma ne andava davvero fiero...

“Avanti, Joshua, vediamo chi vince tra noi quattro, cosa mettiamo in palio questa volta?”

L’uomo ridacchiò estraendo dalla tasca un coltellino a serramanico e poggiandolo nel centro di quel tavolino, alzò le sopracciglia fischiando in approvazione per quella violazione di regole.

“Accetto il gioco, amo le sfida dopotutto.”

Peter si fece strada tra gli spettatori di quella partita e, una volta giunto alle spalle di Dante, si sporse per parlargli nelle orecchie con tono agitato.

In quei lunghi giorni avevano avuto modo di parlare, di conoscersi meglio e di sapere ognuno la storia dell’altro ascoltandone ogni singola sfumatura.

“Dante… devi vedere una cosa al notiziario, il killer per cui ti hanno intrappolato qui ha colpito ancora.”

L’attenzione dell’albino venne calamitato da quell’amico che era corso da lui per dirgli quella cosa che, vista da fuori, poteva sembrare irrilevante.

Si alzò dal tavolo con un gesto meccanico, non chiese nemmeno scusa per quell’improvviso e brusco cambio di idea, si mise a camminare con passo deciso fino a raggiungere la televisione che le guardie tenevano perennemente accesa e si piantonò lì davanti in attesa di quel servizio.

“Le forze dell’ordine hanno risposto ad una chiamata di soccorso ma, giunte sul luogo indicato, si sono trovati di fronte ad uno scenario impressionante e sconfortante: il famigerato killer che sembrava essere stato arrestato quasi un mese fa ha colpito ancora.”

Dante si ritrovò a stringere i pugni con forza, quella reporter stava registrando in diretta mentre alle sue spalle i coroner [1] stavano facendo foto e supposizioni riguardo a quel caso.

“Un’intera banda è stata trucidata durante la notte, si contano circa tredici vittime, l’arma del delitto sarebbe stata riconosciuta come una lunga lama, forse si parla di una spada giapponese...”

La donna tornò a commentare i vari nomi che erano stati certificati dai morti, Dante poggiò il capo al muro lì vicino, aveva il respiro corto e le lacrime gli avevano colmato gli occhi, era davvero così difficile iniziare a pensare che, forse, qualcosa stava ricominciando a girare per il verso giusto?

“La domanda che le persone si stanno iniziando a fare è se questo assassino sia davvero un mostro oppure se sia un salvatore silenzioso…”

Si lasciò cadere sul pavimento lasciando che le proprie mani andassero ad accarezzarsi i capelli come se quello fosse un antistress più che efficace. Sarebbe arrivato in fondo a quella storia, non sarebbe solo uscito da quella prigione ma avrebbe indagato su quel killer a tutti i costi.

Si poteva davvero considerare libero oppure qualcosa lo stava forse incatenando maggiormente a quell'uomo misterioso che gli assomigliava?

“Tutto bene Dante?”

Peter gli era di fianco, gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, il suo tocco era tiepido e pesante.

“Cosa farai ora?”

L’albino si ritrovò a sorridere verso quell'uomo che aveva semplicemente accettato tutto quello schifo e che, grazie a lui, Dante aveva accettato quella prigionia con maggior trasporto.

Negò con il capo e sospirò.

“Voglio trovarlo… voglio guardarlo negli occhi e tirargli un pugno dritto in volto.”

Il sopracciglio del cuoco si inarcò, non era molto sicuro di ciò che aveva sentito, aveva davvero dichiarato “guerra” ad un serial killer? Quanto era folle quel giovane dai candidi capelli?

“Non mi toglierai dalla testa questa idea, devo restituirgli quello che mi hanno fatto qui dentro… è colpa sua dopotutto.”

Incrociò le braccia al petto e sorrise soddisfatto di sé mentre Peter scuoteva il capo e alzava gli occhi al cielo sicuro che al giovane mancasse qualche rotella.

“Ti farai uccidere, prima o poi.”

 

Giorno trentuno.

“Sei libero… una delle telecamere ha ripreso quell'assassino quindi per legge non possiamo incriminarti. Sappi che ti terremo d'occhio.”

Dante indossò il suo amato cappotto rosso e, una volta afferrato anche il piccolo sacchetto con i suoi effetti personali, si incamminò verso l'uscita, alzando la mano in segno di saluto verso quell’uomo.

“Sarà un piacere lasciarsi guardare allora… adios.”

Una volta fuori dalla centrale, camminò per qualche isolato prima di accendere il proprio cellulare e, dopo aver fatto scorrere la rubrica, fece partire una chiamata.

“Klaus, sono appena uscito e avrei bisogno che tu mi recuperi quei file sull'assassino…”

L’uomo inizialmente si rifiutò ma, successivamente, memore dei mille favori che Dante gli aveva fatto, si ritrovò ad accettare…

“Dante dovrai tenerteli per te, non dovrà saperlo nessuno, chiaro?”

Si chiuse così quella conversazione breve e concisa, con un monito come avvertimento per quella sciocchezza che stava facendo, un monito che sapeva che sarebbe stato ignorato.

 

Aveva recuperato quei documenti qualche giorno dopo quella telefonata, era rientrato nel suo appartamento serrandosi dentro, abbassò le persiane e, una volta afferrata una birra dal frigorifero, si sedette a terra iniziando a spulciare quei fascicoli.

Ogni singolo cadavere aveva un fascicolo abbastanza corposo, pagine e pagine di crimini dai più innocui fino a quelli più perseguibili tra cui spiccavano maggiormente: spaccio di droga, spaccio di organi umani, omicidio e pedofilia.

Incrociò le gambe e sbuffò, li aveva sfogliati tutti ed era rimasto sorpreso dal fatto che, nel fascicolo di questo famigerato killer, non ci fosse nulla…

C’era un semplice foglio con scritte quelle tre o quattro righe che i detective avevano percepito da quelle foto rubate dalle telecamere di sicurezza.

Afferrò una di quelle foto e la guardò, come diavolo era possibile che quell’uomo fosse così identico a lui?

Dante sapeva di essere stato adottato quando era piccolo ma non ricordava nulla di quel periodo, l’unica cosa che ricordava con certezza era che si sentiva solo in quel periodo ma null’altro…

“Fanculo.”

Si alzò da quel pavimento bestemmiando tra i denti stretti, si fece una doccia rinfrescante e si ritrovò a sdraiarsi sul letto con i capelli umidi e il petto nudo.

Lasciò che la propria mano scorresse sugli addominali e si toccò distrattamente una di quelle lievi cicatrici che non ricordava come si era fatto, si girò sul fianco e con lo sguardo guardò quelle foto di quello sconosciuto che gli sembrava, così a pelle, quasi familiare.

“Chi diavolo sei tu?”

Un lieve sussurro stanco prima di allungarsi ad afferrare uno di quei pezzi di carta che lo raffiguravano in quel modo così diverso ma uguale a sè, stessi occhi, stessi lineamenti, stesso modo di muoversi e stesso colore di capelli…

Chiunque fosse aveva dovuto studiare bene per imitarlo così bene eppure…

nel suo quadro aveva dimenticato che era riuscito a mandarlo in prigione, a scagionarsi, perchè mai avrebbe colpito nuovamente dopo averlo fatto catturare? Quella non avrebbe dovuto essere la mossa finale, lo scacco matto? La fine dei giochi?

Aveva anche visionato il breve video che ritraeva quello sconosciuto che, dopo aver ucciso due di quegli uomini con una spada, afferrava la pistola dal cadavere e sparava allungando il braccio lungo il corpo in un’armoniosa movenza che lo aveva fatto rimanere scioccato da tanta bravura nell’usare un’arma appena trafugata ad un morto.

Sembrava adattarsi a qualsiasi arma, a qualsiasi situazione come se fosse un professionista, come se lo facesse da sempre e gli riuscisse esattamente come riusciva a respirare.

Era tutto così sbagliato e vago che gli stava venendo mal di testa, sentiva il bisogno fisico di una bella pizza e di una bella dormita, avrebbe sistemato quel bordello dopo.

 
[To Be Continued...]

[1] Coroner = sono medici oppure avvocati che agiscono da ufficiali giudiziari, indagano su casi di morti sospette. Sono coloro che indagano e che studiano sia la causa del decesso e sia le circostanze di esso.

 
   
 
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