Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summer_time    09/05/2019    2 recensioni
Avvertenze: pesanti spoiler 8x04 e leggero linguaggio scurrile.
I mastini sono bestie feroci ma leali, verso il padrone che li nutre o verso poche persone che riescono ad avere la loro fiducia incondizionata. Sandor Clegane è il Mastino per eccellenza, e lui non è tanto diverso dai cani da cui ha preso in prestito il nome: ma siccome lui ora è una persona libera, la sua lealtà è ormai legata solo a due figure. E la sua è una lealtà incondizionata, anche se a primo impatto non sembri.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Arya Stark, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Avvertenze: la storia che seue ha pesanti spoiler sul quarto episodio dell'ottava stagione. Se non avete visto ancora l'episodio, evitate di leggere la storia per non rovinarvi l'esperienza televisiva. Inoltre è presente del leggero linguaggio scurrile, tipico del carattere di cui ho preso le parti. Se non vi piace o se vi dà fastidio, siete invitati a non leggere la storia. I dialoghi presenti sono frutto della mia traduzione, perciò avvisatemi pure se ho sbagliato o mi sono persa qualche parola lungo strada. Lievi accenni alla coppia Sandor/Sansa.

 
MASTINI

C’era finalmente odore di festa. Dopo mesi interi di angosce, dopo la lunga serata di veglia dell’imminente battaglia, seduto al freddo in compagnia di Beric, ormai morto e bruciato; dopo aver resistito tanto a lungo, in quella battaglia che - ne era sicuro – avrebbe perso, finalmente ci si poteva rilassare un po’. Neanche lui sapeva come cazzo era riuscito a sopravvivere ai morti, alle fiamme, alla notte, alla battaglia. Ma era ancora vivo, e tutto questo gli bastava: era al coperto e al caldo, aveva un letto dove dormire, c’era da mangiare, c’era vino a volontà e persone che non gli stavano rompendo le palle.

Avevano appena visto il fabbro venir elevato a fottuto Lord di Capo Tempesta, con tanto di brindisi e urla concitate: non si era alzato per lui, di Lord e cavalieri ne aveva avuto abbastanza per tutta la sua miserabile vita, e Gendry Baratheon non avrebbe fatto un’eccezione. Lo seguì con lo sguardo mentre, dopo aver stretto la mano a chi si complimentava con lui, fuggì dal banchetto per cercare quel demonio della Stark: a sentore di ciò che gli diceva l’istinto, la foga del fabbro avrebbe mandato all’aria qualsiasi proposta avrebbe fatto ad Arya. Ma alla fine, erano problemi loro e non suoi.

Era ormai al terzo piatto di zuppa, avrebbe approfittato fino all’ultimo di tutto il cibo che il suo stomaco poteva contenere, mescolato a tutto il vino che poteva bere. Non avrebbe lasciato sul piatto o sul bicchiere niente di fottutamente commestibile. Era nuovamente da solo e ciò gli stava andando più che bene, quando il bruto dai capelli rossi, quel pazzo così rumoroso e logorroico, si sedette vicino a lui e per sua sfortuna, cominciò a parlare.

- E dopo tutto quello che ho fatto, questo cazzone arriva e la porta via da me. Se la prende in quel modo. Dico davvero Clegane, il mio cuore è in pezzi. -
- Non toccarmi. –     

Vorrebbe togliere le sue mani dalle sue spalle e tagliarle con la sua ascia. Odia essere toccato da gente che non conosce, anzia, odia venir toccato e basta.                                                                                                                                              
- Puoi toccare me. Non ho paura dei bruti. -
- Forse dovresti. -

Lo sente ridacchiare a una delle tante servette che tentano di prendersi un uomo - e di generare un figlio da questi per soldi -, ripresosi velocemente dalla sua cotta per Brienne di Tarth. Ma poi, come diamine si può pensare di scopare quella stronza? Crede non avrà mai risposta e per ora non vuole neanche averla.

- Beh, Clegane, è tempo di affogare i nostri dispiaceri. –
- Non ho ancora finito di bere. –

Lo vede allontanarsi con la sua nuova dama mentre beve un altro bicchiere, per scacciare il ricordo del bruto dalla sua mente e per riavvicinarsi al torpore che aveva all’inizio, prima che lui gli venisse a rompere le palle. Una tizia si siede vicino e lo guarda, anche se vede solo la parte buona del suo viso.

- Sei pronto ora? –
- La caraffa è ancora piena. –

Le indica la caraffa colma di vino che ha in mano, sperando colga il messaggio e se ne vada. Invece prova a toccarlo, così falsa nei movimenti della sua mano che perde le staffe e, con un grugnito, le intima di andarsene. La ragazza spaventata non se lo fa ripetere due volte, è lontana da lui e dalla sua vista in un secondo. Si versa un nuovo bicchiere ma prima di trangugiarlo, si ferma un attimo a pensare a come sarebbe stato se solo avesse saputo la fine che avrebbe fatto: il suo Io di anni prima non avrebbe esitato molto a scoparsi la prima cortigiana disponibile. Quando era venuto a Grande Inverno – molti anni prima, quasi in un’altra vita – era successo: al buio e di fretta, ma era successo, e per lui era bastato. Ma ora, ora non aveva bisogno di quel calore fasullo. Immerso nei suoi ricordi, non si accorse della figura che si stava avvicinando con calma.

- Avrebbe potuto renderti felice, almeno per un po’. -

E se quella non era Sansa Stark, il suo uccelletto impaurito in carne e ossa seduta comodamente davanti a lui, il vecchio Mastino avrebbe riso a crepapelle. Invece era proprio lei, con un bicchiere in mano e lo sguardo di porcellana. La guardò per un attimo, incerto se proseguire o meno la conversazione.

- C’è solo una cosa che mi rende felice. –
- E quale sarebbe? -
- Sono cazzi miei. –

Le aveva risposto rabbioso, non aveva proprio voglia di parlare con la Stark dei suoi pensieri. Anche se si pentì subito dopo. La fissò negli occhi azzurri senza provare pudore e constatando che lei non stava né abbassando lo sguardo né stava provando un qualche sentimento di paura o disprezzo né stava sbattendo le palpebre. Lo stava fissando a sua volta ed entrambi si stavano scavando l’anima con gli occhi.

- Una volta non riuscivi neanche a guardarmi. –
- È stato molto tempo fa. Ho visto da allora molto peggio rispetta a te. -

Continuano a guardarsi, a fissarsi, come se fosse una sfida all’ultimo sangue: la vede, è cambiata, è più adulta, più sicura, più forte. Ma sa che sta guardando anche la maschera che ha costruito per proteggersi: ormai è difficile anche per lui separare chi è cosa. Il leggero sorriso che ha fatto ne è la prova: è il sorriso leggero del suo uccelletto ormai libero, o della maschera?

- Sì, l’ho sentito. –

E appena ha sentito le voci avrebbe voluto urlare. Urlare per la frustrazione, per il dolore, per la sua capacità di averla lasciata da sola quando avrebbe potuto portarla via senza troppi problemi. Ha sentito cosa le hanno fatto, bisbigli che nascondono storie crudeli, storie fatte di cicatrici e di menzogne: se lo avesse ascoltato, non avrebbe avuto niente di tutto quello. I mastini non mentono mai.

- Ho sentito di come eri rotta. Di come eri spezzata e piena di lividi. –

Nessuno dei due deve specificare il soggetto a cui si stanno riferendo: non serve, Sansa lo ha marchiato sulla pelle e nella mente.

- Ha avuto quello che si meritava. Glielo ho dato. –

Il viso di porcellana sembra diventato ancora più duro, come se fosse diventato d’acciaio all’improvviso. I ricordi devono fare male, il mastino lo sa per esperienza.

- Come? -

Vuole sapere come è diventata il suo uccelletto senza la sua protezione: non è più la ragazzina che ricordava e vuole sapere quanto ha perso della sua fantasia romantica della realtà.

- Mastini. –

Quando risponde, le risate emergono prepotenti ma riesce a contenerle in uno sbuffo divertito. E compiaciuto. Abbassa gli occhi e la sua mente ride e festeggia una morte ironica: in fondo, aveva sempre insegnato a Sansa a trattare con i cani, lui compreso. Alla fine i cani, se non sfamati o se presi sempre a calci, mordevano la mano del padrone, sempre. Sorride a Sansa e lei ricambia, forse per la prima volta in assoluto.

- Sei cambiata uccelletto. –

Lo dice mentre beve un altro bicchiere di vino. Se continua così, si ritroverà ubriaco fradicio in giro per il castello. La guarda sorridere e l’alcol aiuta a sciogliere la sua lingua. Infondo, un mastino sarebbe morto per lei ma non le avrebbe mai mentito, e l’avrebbe guardata dritto in volto.

- Niente di tutto questo sarebbe successo se tu avessi lasciato Approdo del Re con me. Né Ditocorto, né Ramsey. Niente di tutto quello. –

Lo dice con una punta di rimorso. Spera che capisca che avrebbe voluto proteggerla, come aveva cercato di fare dentro la Fortezza Rossa. E lei capisce perché una sua mano va a stringere la sua, la sua pelle morbida e fredda stringe il dorso della sua mano, pieno di cicatrici e calli. Ma lui non si sposta: quella mano appartiene a Sansa Stark, il suo uccelletto, non a una persona qualsiasi. Può farsi toccare da Sansa Stark.

- Senza Ditocorto, Ramsey e il resto, sarei rimasta l’uccelletto per tutta la mia vita. –

Si guardano ancora qualche secondo, poi lei – sempre elegante, sempre una Lady – toglie la sua mano e si alza, allontanandosi da lui e dalla festa. Sa bene che ha ragione, il mondo è un posto pieno di merda e gente ancora peggiore: ma lei era l’unica eccezione, l’unica Lady di cui parole e azioni valessero la pena di sopportare. Rimane a guardare la caraffa ormai semivuota, stanco di tutto quel casino, delle chiacchiere inutili e del cibo ormai finito.
Vorrebbe andarsene a letto, riposare e magari pianificare gli eventi futuri. Eppure sente qualcosa che manca ma non sa bene cosa sia. Si alza, nonostante il banchetto sia ancora in atto, e lascia la sala, dirigendosi senza meta nel castello: forse una passeggiata gli schiarirà le idee.

Il mattino dopo, all’alba, è già in partenza: il suo cavallo è forte, giovane e robusto, già sellato e pronto a partire; carica dei viveri, monete, piccoli attrezzi per il viaggio e una coperta in più, in caso debba dormire all’aperto. Sa che probabilmente non tornerà più a Nord ma il tempo sta passando troppo velocemente e lui ha ancora una cosa in sospeso, l’unica che lo farebbe davvero felice: ha un conto in sospeso con suo fratello, un conto che Gregor deve saldare prima che lui muoia. In quello scontro probabilmente non ne uscirà vivo, lo ha messo nei piani, ma non gli importa. Ormai ha preso già il suo pagamento, ciò che gli serviva per decidere le sue prossime mosse.
Lascia Grande Inverno senza problemi e il cavallo cammina dolcemente verso sud, verso un inverno più mite, mentre mangia della carne secca. La fortezza degli Stark, in riparazione per i danni provocati dei non morti, è ormai un ricordo lontano, come il suo calore: ma ha imparato a conservare il fuoco dentro di sé, in modo da scaldarsi durante le giornate solitarie. Le sue orecchie captano però un trotto leggero, un altro cavallo che si dirige a sud e spera davvero che non sia qualcuno che conosce.

- Oh per la miseria! –

Arya Stark è davanti a lui, a cavallo di una puledra, tranquilla e riposata. Questo porta alla mente del Mastino i ricordi del loro viaggio, o almeno i ricordi più piacevoli di questo. Può sopportare un compano di viaggio se è lei.

- Sei da solo? –
- Non più. –

C’è un attimo di silenzio, una domanda muta sul perché se ne sia andato dal banchetto e da Grande Inverno. Sul perchè di tanta fretta.

- Non mi piacciono le folle. –
- Neanche a me. –
- Perché no? Ti amano tutti ora. La grande eroina.–

Il mastino non lo sa, non potrebbe mai sapere che Arya è stata pugnalata al ventre proprio in mezzo a una folla. Si sente sempre come se fosse seguita dall’Orfana, anche se si è occupata personalmente di lei. Se lo sapesse, ruggirebbe dentro di sè per ciò che hanno fatto a una ragazzina sola: alla fine non ha protetto nessuna delle due sorelle Stark, nonostante ci abbia provato, almeno in parte.

- Non mi piacciono gli eroi. –
- Deve essere stato bello pugnalare quel figlio di puttana cornuto. –
- Meglio che morire. Stai andando verso Approdo del Re? –

Gli risponde incolore ma sa bene che sta andando lì. Le aveva raccontato di Gregor e di cosa gli aveva fatto. Le aveva raccontato di come era nato il Mastino e di come era cresciuto. E ora andava a saldare il debito che suo fratello aveva con lui e niente avrebbe potuto fermalo. Niente e nessuno.

- Ho dei conti in sospeso. –
- Anche io. –

La guarda, per nulla sorpreso. Ricorda ancora alcuni nomi della sua lista, quella che mormorava ogni sera, ogni momento libero, ogni volta che maneggiava quel stuzzicadenti che chiamava spada. E ormai c’erano ancora poche persone su quella maledetta lista e Cersei Lannister era una di quelle.

- Non penso di tornare indietro. –

Suo fratello farà di tutto per fargli perdere la testa. Ci aveva già provato durante il torneo in onore di Stark, quando ancora era vivo e vegeto. Lui era ancora al servizio di quel psicopatico di Joffrey, era ancora fedele a lui e alla corona, era ancora pieno di rabbia. Sansa era ancora una Lady ingenua e Arya era semplicemente un maschiaccio senza sangue sulle mani.

- Neanche io. -
- Mi lascerai morire di nuovo se verrò ferito? -
- Probabilmente. –

Ridacchia perché è esattamente ciò che quella stronza di Arya farebbe. Cavalcano insieme, in silenzio, lei con la mente verso il suo prossimo omicidio e lui con un’ultima canzone nel cuore.
  
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