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Autore: Uruka    11/05/2019    1 recensioni
Si ricordò dei mesi di inferno. Della guerra. Dei morti. Dei cari che aveva perso. Della sofferenza. Della fuga. Degli ultimi risparmi che aveva usati per pagare un posto su un gommone che non poteva reggere più di una ventina di persone.
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L'unica cosa che puoi fare è fuggire.
Fuggire sempre.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Buio.
Dolore.
Freddo.
Urla.
Caos.
Paura.
 

Non sapeva dove fosse, sapeva solo che aveva freddo e che qualcosa le faceva male, tutto attorno a lei era confuso.

Non riusciva a vedere bene, aveva la vista offuscata, c’erano sagome non ben definite che vagano attorno a lei, e urlavano. Urla strazianti, che le facevano a pezzi il cuore.

Piano piano le sue pupille si aggiustarono alla fioca luce e i timpani ai suoni confusi. Erano in uno spiazzo di terra, circondati da una vasta vegetazione e da un fitto sottobosco, pieno di rovi e spine. Persone continuavano ad andare avanti e indietro senza una meta, chi urlava piangendo chiamando i figli, i genitori, gli amici o il proprio cagnolino, chi era seduto tamponato ferite a loro stessi o ad altri e chi era disteso a terra senza muoversi. E in quel momento si ricordò.

Si ricordò dei mesi di inferno. Della guerra. Dei morti. Dei cari che aveva perso. Della sofferenza. Della fuga. Degli ultimi risparmi usati per pagare un posto su un gommone che non poteva reggere più di una ventina di persone.

 Si ricordò del centinaio di compagni di viaggio. Delle giornate sotto il sole torrido. Della fame. Della sete. Dei cadaveri gettati in mare perché non erano stati abbastanza forti. Del senso di colpa per essere sopravvissuta.

Si ricordò della tempesta. Delle onde. Del vento. Del naufragio. Della paura di morire. Delle pietre. Di essere strisciata lontano dalla riva. Del buio che la sommerse poco dopo.
 

Cercò di alzarsi, per scappare, andare via, prima che arrivassero i militari a prenderla. Prima che potessero ricacciarla da dov’era venuta, riportarla all’inferno da cui era scappata. Provò ad alzarsi ma appena appoggiò il piede sinistro a terra la gamba cedette. E cadde faccia a terra. In mezzo alla polvere.

Si guardò la gamba, un lungo taglio percorreva tutta la coscia in obliquo, dall’interno coscia si faceva strada verso il lato esterno del ginocchio, con il sangue misto a sabbia che le colava giù per la gamba. Le lacrime le riempirono gli occhi e iniziarono a scendere senza sosta, e le venne un’improvvisa voglia di urlare, di sfogare tutta la sua disperazione, rabbia e dolore. E senza che se ne accorgesse lo fece, una, due, dieci volte. Solo quando le sembrò di non avere più fiato si accorse di una piccola pressione sulla schiena e un leggero tremolio. Si girò e vide una figura così piccola e fragile che riconosce subito senza difficoltà. Senza esitare si girò e strinse tra le sue braccia la sua amica, accarezzandole con quanta più dolcezza possibile la testa sperando di calmarla.

Le disse che non doveva preoccuparsi, che ci avrebbe pensato lei e che se ne sarebbero andate via presto da quel secondo inferno. Non voleva più vedere morti. Era stanca e la sua anima non poteva più reggere la vista di corpi senza vita. Non più. Era al limite, lo sapeva.
 

All’improvviso sentì dei motori che si avvicinavano, altre voci che urlavano in una lingua che non riusciva a capire, e vide delle luci: stava arrivando qualcuno.

Non potevano arrivare a loro, dovevano scappare. Non potevano farsi prendere. Non poteva aver affrontato tutto quello per tornare a “casa”.
Cercò di convincere la sua amica ad alzarsi, dovevano andarsene via, subito. Ma lei non ne voleva sapere. Piangeva e tremava, non riusciva a dire nulla e a muoversi.

Poi sentì dei passi in avvicinamento. Un ragazzo con una pettorina provò a parlarle, a guardarle la gamba ma lei si rifiutò. Urlò ancora di più, gli disse di andarsene e quando questo provò a fermarla lei iniziò ad agitarsi e finì per colpirlo in viso più volte riuscendo così nel suo intento, ma lui prima le prese la caviglia sinistra e le allacciò una benda verde. Non capiva, era sempre più confusa e con quell’ultimo gesto le sembrò di essere diventata carne da macello. E la voglia di fuggire si fece ancora più forte. E con quella nuova forza riuscì ad alzarsi e a far fare lo stesso alla sua amica, e mano nella mano andarono verso la parte opposta da dov’era arrivato quell’uomo.

Fu un errore. Improvvisamente si ritrovarono circondate da auto con sirene accese che illuminava tutto con una tetra tinta blu, tutto sembrava freddo e coperto dal manto della morte. Poi vide altre persone per terra, donne incinte con i volti graffiati, una ragazza con un frammento di vetro conficcato nell’occhio, un uomo con il foro di un proiettile che lo aveva trapassato da parte a parte nella spalla sinistra.

Vide altre persone che si muovevano concitate, andando da una persona ad un’altra sperando che una misera garza potesse fermare una ferita da sparo nell’addome. Poi vide i militari, anch’essi giravano tra le varie figure con le loro armi in mano, pronti a far fuoco a chi osasse ribellarsi. E il cervello reagì per istinto, forza di abitudine: si girò e scappò, iniziò a correre come la sua gamba ferita glielo permetteva e corse via. Lasciando la sua amica là. Ma non riusciva a pensare che a fuggire in quel momento. Aveva appena fatto in tempo a spostarsi di una decina di passi che si sentì prendere per le braccia e strattonare indietro: un militare. L’avevano presa.

Iniziò a divincolarsi ancora di più, iniziò a tirare calci e a mordere quelle braccia possenti che l’avevano bloccata. Urlava e piangeva, piangeva, urlava e mordeva. Si chiese se gli animali portati al macello facessero lo stesso una volta capito il loro destino, se cercavano di lottare per la vita oppure si arrendevano così facilmente. Proprio quando iniziava a pensare di lasciarsi prendere e portare via con gli altri le venne in mente un sorriso, il volto sorridente di sua sorella. Una nuova spinta si fece strada e iniziò ad agitarsi ancor di più mentre chiamava il nome della sorella. Era appena riuscita a liberarsi quando si sentì placcata nuovamente, ma da più persone, da quello che riusciva a intravedere attraverso le lacrime che sgorgano senza fine dovevano essere almeno tre, tutti militari a giudicare dalle divise. Non poteva essere vero. Non ora. Doveva cercare sua sorella, doveva assolutamente ricongiungersi con lei e aiutarla, ricordò che poco prima della partenza ci fu una sparatoria e che fu colpita al braccio. Durante il viaggio le aveva cambiato la fasciatura più volte, sciacquando i brandelli di stoffa ogni volta nel mare. Fortunatamente la ferita non sembrava essere infetta, grazie anche al fatto che il proiettile fosse fuoriuscito. Ma non c’era tempo, chissà quanto tempo era passato dal naufragio, e dubitò che qualcuno avesse pensato alla ferita di Annah.

Intanto gli energumeni la stavano portando via anche dagli altri, e lei cercava sempre più disperatamente di lottare, di sfuggire, ma secondo dopo secondo sentiva le forze che la abbandonavano. Probabilmente le stavano parlando, ma non li sentiva, non poteva capirli, così come loro non potevano capire lei anche se non faceva altro che chiamare la sorella.

Ormai al limite delle forze, si sedette tranquilla quando la poggiarono per terra in un angolo lontano da cadaveri e altri feriti. Qualcuno disse qualcosa che non capì e poco dopo sentì la sua amica piangere mentre la abbracciava. Istintivamente ricambiò il gesto e si mise a canticchiare una canzone per bambini mentre la cullava passandole la mano tra i capelli. Non poteva permettere che la sua amica innocente vedesse altri orrori, lei doveva andare avanti a vivere e conoscere la felicità pura. Doveva trovare un uomo che l’amasse ogni secondo e la facesse sentire importante, doveva vivere fino alla vecchiaia circondata da amore e dimenticarsi di tutto, della violenza e dell’odio. Doveva vivere, non sopravvivere.



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Salve a tutti,

Probabilmente non ha molto senso questa cosa, ma volevo provare a raccontare cosa potrebbe pensare una persona che non ha più speranze e fugge lontana dalla guerra, e si ritrova ad avere paura anche dei soccorsi, sempre pronti a salvare delle vite.
Ho provato sulla mia pelle quasi tutto quello che c'è scritto l'anno scorso durante la simulazione di una maxiemergenza, un naufragio di due imbarcazioni con profughi che fuggivano dalla guerra nel loro Paese. E io ero appunto una delle vittime, ferita alla gamba e che non volevs però essere curata per svariati motivi, primo tra tutti la paura di essere rimpatriata. 

In questo capitolo racconto quello successo al luogo del naufragio, se mi tornerà ispirazione parlerò di quello che è invece avvenuto nell'ospedale da campo 
  
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