Orizzonte
scarlatto
Era mia madre
quella che adorava il mare. Ricordo
che pregava spesso papà di portarci lì, tutti
insieme.
Di tempo ne è passato da allora, ma io, nonostante
la mia natura di mezzo demone mi abbia fatto il dono della
longevità, ho ancora
davanti a me il suo viso sorridente, soprattutto quando mio padre
l’accontentava in quella sua richiesta.
Sono nato in una famiglia strana, io: padre
mezzo-demone e madre da un’altra epoca, che aveva il profumo
di un favola nei
suoi racconti della buonanotte. Quando ero solo un bambino, non capivo
molto di
quello che mi stava intorno: non sapevo quanto fossi fortunato, ad
avere
entrambi i genitori, a vivere in un villaggio pacifico e circondato da
persone
che mi volevano bene.
Ogni piccola
ruga del mio viso di vecchio è il
ricordo di quelle persone che ho incontrato durane questo lungo
viaggio: lo zio
Miroku e la zia Sango, seguiti dalla faccia sorridente di Rin accanto
all’austero Sesshomaru, e poi ancora il piccolo Shippo,
Kohaku, la vecchia
Kaede, il bizzarro Jaken. Tutti loro sulla mia pelle.
Affondo una mano
nella candida sabbia e la osservo
scivolare tra le dita, così come sono scivolati questi anni,
talmente tanti che
ormai non so più quanti ne abbia. La storia è
andata avanti, ere si sono
susseguite e così i loro protagonisti. Io sono stato
spettatore involontario al
cambiamento del mio paese, ho visto a poco a poco i demoni svanire da
questo
mondo ed ora che sono vecchio, mi accorgo che mi sto affacciando
sull’epoca
dalla quale veniva mia madre.
È buffo pensare a quanto mi sembrasse una favola la
sua storia, quando invece era la nostra vita ad essere una meravigliosa
fiaba,
una storia lunga una vita, una ninna nanna dolce e confortante.
I miei occhi
stanchi vagano sul panorama che mi si
presenta davanti: il mare limpido che si infrange dolcemente sulla battigia.
Mamma aveva
l’abitudine di buttarsi in acqua con il
suo vestito da miko arrotolato lungo le gambe, sorrideva a
papà, che mi teneva
in braccio, e poi iniziava a schizzarci con la freschezza di una
bambina. Mio
padre, dopo qualche minuto di proteste, si univa, incitando anche me, a
quella
lotta. Io ridevo e battevo le mani.
Era bella la mamma, con i lunghi capelli neri
sciolti al vento e che a fine giornata erano ancora umidi. Era bella
quando si
girava a guardare papà, era bella quando si avvicinava a
darmi un bacio.
Appoggio la testa sul freddo scoglio e chiudo gli
occhi: sento che la mia esistenza sta volgendo al termine.
La Morte mi sta porgendo la sua mano ossuta ma io
non ho paura.
Chiudo gli occhi e
l’ultima cosa che vedo è l’ombra
delle mani di mia madre e di mio padre intrecciate, le cui sagome si
stagliano
sull’orizzonte scarlatto della mia infanzia.